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UNIVERSITÀ di TRENTO

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea Magistrale - Conservazione e gestione dei Beni culturali.

Anno accademico 2018-2019

Prof. Sante GUIDO

Restauro dei Materiali

Dispense delle lezioni -


schemi riassuntivi tratti delle diapositive proiettate

1
SOMMARIO
TECNICHE DI ESECUZIONE PITTORICA ..................................................................................... 3

I DIPINTI SU TELA............................................................................................................................ 9

DIPINTI SU TAVOLA E SCULTURE LIGNEE ............................................................................. 14

IL RESTAURO DEI DIPINTI SU TAVOLA ................................................................................... 20

LA PITTURA MURALE................................................................................................................... 36

LA PITTURA MURALE - Tecniche................................................................................................. 49

I MOSAICI A PASTA VITREA ....................................................................................................... 52

I COLORI .......................................................................................................................................... 57

SCULTURA IN METALLO ............................................................................................................. 71

OREFICERIE..................................................................................................................................... 85

MANUFATTI IN OSSO ED AVORIO ........................................................................................... 104

2
TECNICHE DI ESECUZIONE PITTORICA
DISEGNI PREPARATORI
Nella pittura a tempera il disegno preparatorio ha grande importanza poiché garantisce la buona
riuscita della pittura evitando ripensamenti e modifiche in corso d’opera che comprometterebbero la
freschezza delle stesure dei colori.
Il disegno preparatorio veniva realizzato in due modi:
- A carboncino: direttamente sull’imprimitura, con tratto lineare e continuo;
- Con il sistema dello spolvero, come per gli affreschi, dove il disegno precedentemente
realizzato su un cartone, viene riportato sulla tavola per mezzo di carbone battuto sui
numerosi forellini del profilo.

Il disegno viene eseguito in modo molto dettagliato, quindi già con luci, ombre e particolari ben
delineati, in modo da costituire un’ottima guida alla realizzazione pittorica.

Un esempio significativo è rappresentato da una tavola incompiuta di Jan Van Eyck raffigurante
Santa Barbara, conservata ad Anversa, dove il disegno è minuzioso e rifinito in ogni dettaglio
figurativo e luministico

3
LA DORATURA

La doratura è un rivestimento costituito da una sottilissima lamina d’oro applicata sulla


preparazione.

Può essere eseguita con metodi e materiali diversi.

La doratura a bolo con foglia d’oro zecchino


Caratteristica delle tavole del ‘300, è la più pregiata. La tecnica di doratura è accuratamente
descritta da Cennino Cennini nel suo Libro dell’Arte.

1. Applicazione di una tempera a base di Bolo d’Armenia, che è una terra finissima e molto
grassa, come base per la foglia d’oro. Il bolo viene impastato con acqua e con il bianco
dell’uovo e applicato a pennello per stesure successive, le prime molto diluite, le ultime
molto corpose. Dopo l’asciugatura si leviga bene la superficie verificando che non vi siano
polveri o granelli.
2. Nella pittura bizantina al posto del bolo si usava la Terra Verde come fondo della doratura.

La doratura a bolo con foglia d’oro zecchino, anche detta “a guazzo”

1. Si bagnano piccole porzioni di bolo con il cosiddetto “guazzo” composto da acqua e una
piccolissima percentuale della stessa tempera a bolo usata prima.
2. Immediatamente dopo si applica la sottilissima foglia d’oro servendosi di particolari pinzette
o pennelli. Le foglie vengono sovrapposte lungo i bordi per evitare che rimangano parti
scoperte.
3. Si lascia asciugare e si brunisce la superficie dorata con una punta ricurva di pietra d’agata,
per lucidare l’oro e farlo aderire perfettamente alla preparazione.

Doratura a missione con foglia d’oro zecchino.

La tecnica a missione è utilizzata soprattutto per piccole finiture o decorazioni di superfici già
dipinte o, molto raramente, per la doratura delle miniature su carta.
La missione è una vernice densa e viscosa composta da olio molto denso e litargirio (si ottiene
riscaldando il bianco di piombo a 400° ed ha le sue stesse proprietà) che una volta stesa crea una
superficie appiccicosa sulla quale viene applicata la foglia d’oro prima che diventi del tutto secca.
Gli eccessi di oro e le sovrapposizioni delle foglie possono essere facilmente rimossi con un
pennello.
Non si può eseguire la brunitura poiché l’adesione al fondo della foglia non è rigida sullo strato e si
rischierebbe di asportarne delle parti.

Doratura a conchiglia

La tecnica dell’ oro a conchiglia è usata per le piccole finiture e consiste nell’applicazione a
pennello molto settile di oro in polvere mescolato ad acqua e gomme come collanti.

4
Doratura a mecca

È la variante più economica della doratura a foglia d’oro zecchino, chiamata infatti anche oro dei
poveri .
Essa consiste nell’applicazione, con gli stessi criteri della doratura a bolo, di foglia d’argento in
sostituzione di quella aurea, sulla quale, una volta brunita, veniva applicata una vernice gialla,
conosciuta come piastrella, composta da gommalacca ed alcool, che una volta asciugata crea una
pellicola gialla che conferisce all’argento in trasparenza un effetto simile all’oro.

La doratura si esegue per impreziosire i fondi o delle porzioni di immagine. La foglia d’oro è
applicata su tutte le parti che non devono accogliere la pittura, quindi “a risparmio”, cioè lasciando
scoperta la parte di preparazione che sarà poi dipinta.
Alcuni pittori, come Simone Martini e Vitale da Bologna, doravano tutta la tavola e dipingevano
con tempera ad uovo sull’oro.

Successivamente alla doratura e per decorarla in corrispondenza di aureole, manti e vesti o altri
particolari, si usava la bulinatura ( termine preso in prestito alle tecniche di lavorazione dei metalli
preziosi)
La bulinatura consiste nel praticare delle incisioni con uno strumento detto bulino sulla doratura,
componendo disegni a motivi ornamentali.

L’oro non veniva graffiato, ma inciso con dei microsolchi delicati che affondavano nella
preparazione.

5
Esempio di provino di ricostruzione filologica sulla tecnica della tempera ad uovo su tavola, tipica
del ‘300, con particolari riferimenti alle fasi della doratura.

1 - Preparazione della tavola


2 - Doratura a “guazzo” con foglia d’oro
3 - Colorazione di rifinitura delle ombreggiature
4 - Preparazione del fondo con bolo per la doratura
5 - Preparazione del supporto ligneo (vari strati: gesso, colla, imprimiture colorate)
6 - Preparazione del disegno a spolvero.
7 - Esempio di stesura tratteggiata tipica della tempera ad uovo
8 - Colorazione base “incarnato” (ocre, biacca, cinabro, nero)
9 - Punzonatura sulla doratura
10 - Lumeggiatura
11 - Colorazione di rifinitura a base rosso cinabro
12 - Colorazioni di preparazione per decorazione del tessuto

Da Giotto “Santo Stefano” – tempera su tavola – Firenze, Fondazione H.P.Horne.

6
LA PITTURA A TEMPERA

È la più antica tecnica che si serve dell’ acqua come diluente e come veicolo, e di sostanze solubili
in acqua allo stato pastoso, come medium e leganti.
I leganti sono le colle animali, le gomme, la caseina, il latte, l’uovo.
- Se si aggiunge alla tempera una sostanza idrofoba, come la cera, si ha la pittura ad encausto;
- Se si aggiunge un olio siccativo o delle resine naturali si avrà la cosiddetta tempera grassa.

La stesura del colore nella tempera si sviluppa attraverso diverse fasi: da un’iniziale campitura per
sovrapposizioni di colore giunge ad un graduale accostamento di colori, per terminare con delle
leggere velature trasparenti.

A) La Tempera Magra
Tipica della pittura bizantina.
È la formula più semplice di tempera ottenuta mescolando il pigmento con acqua e colle vegetali ed
animali.
È molto sensibile all’umidità perché le colle sono molto igroscopiche anche quando secche.
L’essiccamento della pellicola pittorica avviene per evaporazione dell’acqua.
È adatta ad una fattura sicura e precisa in cui prevale l’elemento grafico. Il disegno preparatorio è
essenziale.
Le stesure avvengono per sovrapposizioni successive.
Caratteristici di questa tecnica sono i chiaroscuri poco graduali e ricchi di scatti tonali secchi e
decisi e le modellazioni e modulazioni cromatiche ben distinte.

B) La Tempera a Uovo
È la tempera che offre i migliori requisiti per una buona resistenza nel tempo e per un buon risultato
visivo.
È eseguita mescolando i pigmenti con il rosso dell’uovo leggermente diluito in acqua. Questo, una
volta asciugato, non è più solubile in acqua, diventando molto resistente all’umidità.
Una volta asciutti i colori restano vivi e brillanti, senza spegnersi e intorpidirsi.
La tempera a uovo si conserva a lungo nel tempo poiché il legante secco diviene molto stabile.
Le pitture del Trecento e del Quattrocento erano eseguite con questa tecnica.

C) La Tempera Grassa

Il legante è un’emulsione cui si aggiunge una componente oleosa: olio siccativo e/o resina naturale.
La stesura pittorica è molto simile a quella ad olio, sia per la componente grassa sia per la maggiore
consistenza dell’impasto pigmento-legante, ma in realtà è sostanzialmente diversa dalla pittura ad
olio perché continua ad usare una parte acquosa come veicolo e mai un diluente grasso.
(Nel periodo di passaggio dalla tempera grassa all’olio, era frequente il ricorso alla tecnica mista,
dove la prima stesura veniva realizzata a tempera e su di essa si procedeva fino al termine con la
tecnica ad olio)

D) La Tempera all’olio

Non è chiaro quando sia definitivamente abbandonata la tecnica della tempera in favore dell’olio; la
teoria del Vasari che indica Jan Van Eyck, primi del ‘400, come l’inventore della pittura ad olio
risulta essere molto controversa e tutt’ora non accertata.

7
Già Teofilo parla di colori impastati con olio senza acqua, mentre il Cennini addirittura parla della
pittura ad olio citandola come in uso a quell’epoca presso i Fiamminghi.
Sembra che Antonello da Messina abbia partecipato alla sua esportazione e diffusione in Italia.

D) Pittura a olio

I Fiamminghi oltre ad un olio siccativo usavano impastare con il pigmento una resina dura, forse
copale o ambra, ragion per cui molte delle loro pitture sono oggi molto annerite.
La componente oleosa consentì l’uso di coloranti, le lacche, non solubili in acqua, aumentando di
gran lunga la gamma di colori disponibile.
L’impasto del colore è molto più corposo ed elastico rispetto alla tempera pura; il colore asciuga più
lentamente e consente numerose revisioni e ritocchi finali.
È possibile, infatti, sfumare i colori attraverso gradazioni di tonalità diverse e quasi impercettibili,
ottenendo morbidissimi passaggi chiaroscurali.
È possibile, inoltre, intervenire anche sui tempi di asciugatura della pellicola pittorica, aumentando
o diminuendo la presenza nell’impasto di sostanze volatili, gli olii essenziali.
I fiamminghi usavano le resine dure per aumentare i tempi d’asciugatura;
I pittori veneti usavano le resine molli o essenza di trementina per diminuirne i tempi.
La maggior fluidità del colore conduce ad una pennellata sciolta e sicura, eliminando la durezza
dei modellati tipici delle prime tempere.

8
I DIPINTI SU TELA
La pittura ad olio

la tela che deve essere molto ben stesa; era fissata per mezzo di chiodini o zeppete in legno e
con legni duri ed elastici come il bamboo

La tela
L’uso della tela, leggera e di facile approvvigionamento, è di semplice preparazione rispetto alle
pesanti tavole di legno accentua la velocità di esecuzione del dipingere ed integra il nuovo più
immediato fare pittorico.

Le caratteristiche del tessuto quali la trama e la consistenza (liscio, ruvido, spesso, compatto, sottile,
poroso) sono determinati per la riuscita del dipinto e la scelta del materiale da usare assolutamente
importante in fase di progettazione dell’opera.
La tela di lino (sottile e morbida), o canapa (solida e tenace), è da preferire al cotone (troppo
poroso: tende a sformarsi allentandosi e provocando cadute di colore) alla yuta (resistente e dalla
fibra legnosa, è appositamente scelta perchè piuttosto grossolana) o alla seta (col tempo tende a
fessurarsi e polverizzarsi).

La tela, precedentemente bagnata o lavata, viene montata preferibilmente su telai mobili in legno
inizialmente fissi e successivamente provvisti di cunei e tacche negli angoli che permettono piccoli
movimenti a correggere piegature e deformazioni.
La tela che deve essere molto ben stesa era fissata per mezzo di chiodini o zeppette in legno e con
legni duri ed elastici come il bambolo con spine di arbusti.
La tela poteva essere giuntata in senso verticale od orizzontale con vere e proprie cuciture per
raggiungere le dimensioni necessarie; casi eccezionali possono presentare una unica pezza di tela
come nel caso del Martirio di Santa Caterina di Mattia Preti conservato nella chiesa omonima a La
Valletta a Malta.
Prima della stesura dei colori è necessario applicare sulla tela uno strato preparatorio:
nel ‘500 era realizzato con un primo strato di colla (colla d’amido e zucchero); il giorno seguente
due strati di gesso e colla essiccati gli strati si passa alla raschiatura con spatola.

Schema della successione degli strati di un dipinto su tela: TELA - PREPARAZIONE - COLORE

9
La preparazione odierna è più complessa e attenta alla conservazione.
Si procede con un primo strato di colla (con gelatina, con colle animali, con caseina il tutto con
aggiunta di ammoniaca per bloccare la putrefazione); acetato di allumina sui due lati, quindi
con piu’ e piu’ strati di colla, ossido di zinco e carbonato di calcio. Particolare cura si deve dedicare
a nascondere le giunzioni della tela.
Le superfici vengono lisciate con spatole e carta vetrata.
L’essiccazione deve essere assoluta e necessita di alcuni mesi.
Il colore finale della preparazione della tela è bianco.
Il fondo bianco della preparazione condiziona la stesura successiva dei colori ad olio.
Era in uso colorare il fondo con tinteggiature in genere rosso ocra o bruno senza esagerare per non
incupire i colori finali.
Tiziano, Leonardo, Velasquez erano soliti colorare il fondo per zone: bruno per il terreno, celeste
per il fondo del cielo, rosato per gli incarnati.

LA “PITTURA AD OLIO”

Gli olii erano usati come medium dei colori già nell’antichità: Tale tecnica è largamente citata sia
da Teofilo (IX-X sec.), sia da Cennino Cennini (XIV sec); non appare quindi corretta la tradizione
che vuole che sia una tecnica ideata dai pittori fiamminghi.

I pittori fiamminghi del XV secolo la utilizzarono in modo quasi esclusivo con caratteristiche
tecniche tutte locali nella preparazione dei colori per dipingere opere su legno. I pigmenti venivano
macinati con olii di lino e noce; a caldo venivano aggiunte resine dure, come ambra e coppale, che
davano una particolare corposità ai colori.
Si aggiungevano olii essenziali per regolare i tempi di essiccazione .
Ciò rendeva possibile una pittura eseguita per strati successivi, ora densi e coprenti ora trasparenti e
luminosi anche in relazione allo strato colorato di preparazione del fondo.

L’uso di un medium grasso era già usato nel secolo precedente per la pittura su tavola a tempera
detta tempera grassa.
Antonello stendeva sulla tavola una preparazione di gesso molto compatto e spesso, quindi una
mano di patina uniforme di colorazione bruna molto scura poi, su una mano di olio di lino cotto
(quindi molto scuro e denso), i colori, ed ancora una mano di olio per sfumarli ed “impastarli”
assieme e creare il perfetto sfumato. Lasciava essiccare il tutto e lavorava con le velature per la
realizzazione dei chiari e delle luci con essenza di trementina.

La grande innovazione si ebbe con l’introduzione, quale supporto, di una tela in sostituzione della
tavola lignea e dall’uso di resine molli e olii aromatici per la fabbricazione di colori meno densi e
coprenti, ma soprattutto piu’ morbidi e leggeri; tale innovazione venne introdotta dai pittori veneti
sul finire del XV secolo

Il modo di dipingere venne totalmente modificato: da denso e per tratti successivi con un effetto di
“profondità”, si passò a dipingere per “rilievo” con stesure di colore corposo, plastico e vivo con
pennallete dense sulle quale si potevano applicare, dopo l’essiccazione totale, sfumature trasparenti
con vernici grasse.
È la pittura di Tiziano, del colorismo puro, ove il colore costituisce quasi la trama del dipinto nella
sua corposa matericità stesa con colpi precisi a volte a rilievo. Il lavoro era ultimato a ritocchi con le
dita per sfumare la materia.

10
I COLORI A OLIO

I colori a olio sono costituiti da pigmento e olio. Questo produce la coesione delle particelle del
pigmento e serve da adesivo al supporto.
I più usati sono: olio di lino, di noce e di papavero; sono detti “olii grassi” e danno ai colori corpo e
consistenza. Si distinguono dagli olii essenziali detti “diluenti”.

La loro attenta preparazione prevede la purificazione e la deacidificazione al fine di evitare


screpolature e forte ingiallimenti dei colori.
L’olio di lino è generalmente il più usato poiché:
- secca più velocemente ed in modo più compatto
- restituisce superfici lisce e omogenee
- è meno soggetto a screpolature
purtroppo ingiallisce con il buio e la penombra.

Di tonalità scura, gli “olii grassi”tendono a modificare pesantemente alcuni colori come il bianco e
l’azzurro dando tonalita’ opache e spente.
Agli olii pesanti si accosta allora l’uso degli “olii essenziali” ricavati da essenze vegetali: il più
usato è il distillato della resina delle conifere detto essenza di trementina; meno usate sono
le essenze di lavanda, di rosmarino, di spigo che producono, a differenza degli olii grassi superfici
più trasparenti.
Sono utilizzati per la realizzazione di velature e di particolari.
Evaporando facilmente, producono strati sottili di colore facilmente screpolabili e aridi: vanno
quindi utilizzati con sapienza ed esperienza miscelandoli agli olii grassi.

Altre sostanze utilizzate per la preparazione e l’utilizzo dei colori sono:


- le resine vegetali,
- i balsami,
- le gomme e cere
impiegate secondo particolari tecniche e tradizioni locali.

Colofònia «resina di Colofone (antica città dell’Asia Minore)»]. – Residuo solido, noto anche col
Nome di pece greca, della distillazione delle resine di varie conifere (pini, abeti, larici, ecc.)

COPALE o Coppale (voce d'origine messicana; copal;-


nome generico le resine fornite da diverse specie arboree di Leguminose, le quali servono alla
fabbricazione delle vernici fini.

11
L'ambra è una resina fossile originata dalla secrezione di piante ad alto fusto appartenenti a specie,
oggi estinte, caratterizzate dalla capacità di produrne in grande quantità ; l'ambra rappresenta il
passaggio successivo, ovvero il completamento del processo di fossilizzazione, o più propriamente
del processo di polimerizzazione, della copale.

Gomma Mastice di Chios


La gomma mastice di Chios è una resina naturale che fuoriesce dal “Pistachia Lentiscus” che cresce
nell’isola di Chios in Grecia. Si presenta sotto forma di lacrime arrotondate, di colore giallo chiaro,
brillante e trasparente. La gomma mastice di Chios è indicata per la preparazione di vernici in
pittura estremamente trasparenti e brillanti, flessibili e non ingiallenti.

Sandracca
La sandracca è una resina naturale ricavata dell’arbusto del Juniperus comunis. La sandracca è una
resina simile alla gommalacca, ma molto più chiara, che viene utilizzata come vernice finale per i
mobili laccati, per preparare fissativi per pastello, tempera o come additivo per vernici.

La Gomma Damar è originaria di Sumatra e Borneo (Indonesia). La gomma è l'essudazione


solidificata degli alberi Damar, e si presenta in granuli di colore giallo-avorio pallido e odore
piacevole, facilmente friabili

12
Gomma Arabica
La gomma arabica è un prodotto naturale che trasuda dal tronco e dai rami di alcune specie del
genere Acacia, appartenenti alla famiglia delle leguminose mimosoidee (in particolare l'Acacia
Senegal - o Acacia varek - e l'Acacia Seyal). Queste piante arboree, tipiche dell'Africa subsahariana,
producono il loro pregiatissimo secreto gommoso in seguito a stress di varia natura, come
l'alternarsi di periodi piovosi con altri di siccità, gli attacchi parassitari e soprattutto le incisioni
artificiali o le ferite accidentali del tronco e dei rami. Per lo stesso motivo, la secrezione di gomma
arabica è più abbondante nelle piante stentate e vecchie.

GOMMALACCA: di origine animale. solubile in alcool.


molto usata come vernice per i legni e le dorature antiche, come fissativo nelle pitture murali.
ingiallisce molto. Prodotto di secrezione di alcuni Insetti della famiglia Coccidi sui rami di vari
alberi delle zone intertropicali dell’Asia.
L’insetto si attacca ai rami per mezzo dell’apparato boccale formando masse di spessore variabile,
di colore bruno-rosso.
La g. greggia è costituita per il 65-80% da poliesteri e da lattoni di vari ossiacidi, per il 4-8% da
sostanze cerose insolubili in alcol (cera di g.), per lo 0,6-3% da un colorante rosso (laddia) e per il
resto da acqua, sali, zuccheri, sostanze albuminose.
Dopo la raccolta
greggia viene depurata sul posto (frantumazione, setacciatura, lisciviazione con acqua per
l’estrazione della laddia, essiccamento) e messa in commercio in varie forme (bastoncini, grani,
scaglie).

13
DIPINTI SU TAVOLA E SCULTURE LIGNEE

CARATTERISTICHE DEL LEGNO

IL LEGNO
Materiale duro e resistente di origine vegetale, utilizzato come combustibile e come materiale da
costruzione.
È composto da un insieme di tessuti vegetali che svolgono funzioni di sostegno per la pianta e sono
responsabili del trasporto della linfa dalle radici alle foglie: esso comprende pertanto anche parti
della pianta come le venature delle foglie.
Per le sue particolari caratteristiche il legno è sempre stato un materiale molto apprezzato ed
utilizzato in svariate applicazioni, per costruire case, mobili, utensili, veicoli e diversi altri prodotti.
La lavorazione del legno è stata una delle prime arti dell'uomo: dalle clave e lance degli albori della
civiltà, alle canoe scavate nei tronchi d'albero, agli aratri usati in agricoltura, ai semplici sgabelli a
tre gambe, fino ai mobili pregiati e alle complesse strutture edilizie dell'epoca moderna, questo
materiale ha sempre avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo della civiltà umana.

LA STRUTTURA DEL LEGNO


Venatura e struttura: i segni tipici del legno, detti venature, sono dovuti alla particolare struttura
di questo materiale. Esso, infatti, consiste essenzialmente di piccoli vasi conduttori, nei quali
fluiscono in senso verticale, dal fusto verso le foglie, acqua e sali minerali.

Quando il legno viene tagliato parallelamente all'asse del tronco, le venature appaiono diritte. In
alcuni tipi di albero, tuttavia, i condotti sono spiraliformi e di conseguenza le venature si
intersecano.

Corteccia esterna: fisiologicamente è morta, serve come protezione alla pianta e consente gli
scambi gassosi necessari alla vita della pianta.

Corteccia interna: detta anche Alburno è formata da cellule vive e costituiscono l'apparato
circolatorio della pianta consentendo la conduzione dei sali minerali dalle radici alle foglie. Si
distingue dall'interno durame dal colore più chiaro.

Libro: contiene i vasi che conducono il nutrimento sintetizzato delle foglie ad ogni parte
dell'albero.

Midollo: Parte centrale del tronco, generalmente poco differenziabile dal durame che lo contiene.
In alcune varietà di legno sono molto visibili i caratteristici anelli stagionali. Un albero, dopo aver
raggiunto una certa altezza, si ingrossa soprattutto nel tronco. La parte che cresce si chiama cambio
e si forma annualmente tra il legno e il libro, la membrana vicino alla corteccia. Negli alberi delle
zone temperate, il cambio nuovo cresce durante la primavera e l'estate, e solitamente il primo legno
è più poroso e quindi più chiaro di quello prodotto in seguito.
I nodi sono zone del tronco in cui si è sviluppato l'inizio di un ramo.
Quando il legno viene segato, il nodo risulta più evidente e si presenta come un'irregolarità circolare
nella struttura della venatura.

14
CLASSIFICAZIONE DEI LEGNI

A seconda dell'albero da cui vengono ottenuti, si distinguono legni forti duri, legni fini duri, legni
dolci.
• legni forti e duri: quercia, abete, frassino, platano;
• legni fini e duri: noce, ciliegio, olivo, ebano, palissandro.
• legni dolci: pioppo, castagno, betulla;
I tessuti duri presentano condotti lunghi e continui lungo il tronco; al contrario, in quelli dolci, i
fluidi vengono trasportati da cellula a cellula. Molti legni teneri hanno i vasi conduttori della resina
che corrono paralleli alla venatura.

STAGIONATURA

Durante la stagionatura delle assi, i nodi si restringono più velocemente del resto del legno.
Una volta tagliato, il legno perde velocemente circa il 30% di acqua presente nelle cavità cellulari.
Successivamente il legno continuerà, ma più lentamente a perdere acqua, fino a raggiungere
l'equilibrio con l'ambiente circa il 17% - 23% di umidità.
Per ottenere questo, le assi devono essere stagionate o essiccate.
Esistono due metodi di stagionatura, uno naturale e uno artificiale.

La stagionatura naturale si ottiene accatastando le assi una sull'altra, frapponendo dei listelli al
fine di permettere la circolazione dell'aria. Il metodo naturale è quello che garantisce in futuro una
maggiore stabilità. Poiché per raggiungere i risultati voluti sarebbe necessario molto tempo (non
inferiore all'anno con climi favorevoli), quindi si fa ricorso a quella artificiale.

La stagionatura artificiale prevede un’essiccazione in appositi ambienti (essiccatoi) che sono veri
e propri forni con umidità e calore controllati.

Bisogna tener presente che il legno regolerà continuamente la sua umidità con quella dell'aria
circostante; se viene portato in un ambiente chiuso e dotato di riscaldamento, il suo contenuto di
umidità diminuirà lentamente fino a circa il 10%, provocando ovviamente un maggior
restringimento.

15
L’ANISOTROPIA

Il fenomeno legato ai movimenti del legno in relazione alla perdita e al riassorbimento di umidità e
alla diminuzione o aumento di volume è chiamata ANISOTROPIA.
L’anisotropia stabilisce genericamente il rapporto di ritiro fra le direzioni del fusto; si possono
quindi distinguere:

a) Ritiro tangenziale
b) Ritiro radiale
c) Ritiro longitudinale

Tipi di deformazione delle tavole lignee

16
IL LEGNO COME SUPPORTO PER LA PITTURA

L’impiego del supporto ligneo per la pittura inizia in età antichissima. Trova la sua massima
espansione nel XIII e XIV secolo in Italia, fino al XVI secolo.
L’impiego del supporto ligneo si presta ad una esecuzione pittorica fluida, molto accurata, attenta al
particolare, quella della grande tradizione della pittura a tempera e dei fondi oro.

Nella seconda metà del XV secolo, l’introduzione della tela determina lentamente la scomparsa
della tavola come supporto, che scompare quasi definitivamente alla fine del ‘600.
L’impiego della tela offre maggiore varietà di qualità, a condizioni economiche vantaggiose, e la
sua diffusione coincide con l’affermarsi della tecnica ad olio, il cui supporto naturale è proprio la
tela. Anche motivi di ordine pratico determinano l’abbandono della tradizionale tavola come
supporto pittorico:
- Le tele possono raggiungere grandi dimensioni di estensione;
- Le tele sono facilmente trasportabili perché si possono arrotolare e piegare;
- Le tele sono più economiche e facilmente reperibili.

I legni maggiormente usati nella pittura italiana sono:

- PIOPPO
- FRASSINO
- NOCE
- TIGLIO
- LARICE
- ABETE ROSSO
- CIPRESSO
- ACERO

In Europa invece:

- PERO, MOGANO, ACERO nelle Fiandre;


- PINO SILVESTRE in Spagna;
- FAGGIO, PINO SILVESTRE, ONTANO, TIGLIO, LARICE, ABETE ROSSO E ABETE
in Germania;
- CASTAGNO, TIGLIO, NOCE, in Francia

LA PREPARAZIONE DELLE TAVOLE

Per essere usate come supporti, le tavole di legno necessitano di:

- Piallatura e levigatura
- Eliminazione delle sostanze resinose e gommose residue.

Una volta preparate le singole assi, queste venivano assemblate e connesse tra di loro con
l’inserimento di cavicchi interni e/o tasselli a farfalla.

17
Successivamente venivano incollate con la colla a base di caseinato di calcio, la cosiddetta “colla di
calcina e formaggio” citata da Cennini, Teofilo e altri autori antichi, che veniva preferita alla colla
forte per la maggiore resistenza all’umidità.

In alcuni casi le assi venivano incastrate e tenute insieme da chiodi che venivano battuti dal fronte
del dipinto e ribattuti sul retro delle tavole.
Le teste erano isolate per impedire alla ruggine di interagire con i soprastanti strati pittorici, o con
l’inserimento di piccoli tasselli lignei cilindrici nel foro del chiodo battuto a fondo, o con stagno o
cera colati direttamente sulla testa metallica.
Talvolta, sul retro, veniva applicato uno strato di vernice per isolare il legno dall’umidità e quindi
ridurne i movimenti igroscopici.
Nel caso di tavole di grandi dimensioni le assi che costituivano il supporto erano di maggiore
spessore, per cui venivano assemblate anche per mezzo di incastri e ganci metallici.
Spesso l’intero supporto assemblato veniva rinforzato sul retro con un sistema di traverse e
montanti a costituire uno scheletro ligneo ancorato alla tavola con la funzione di irrigidimento e
prevenzione delle deformazioni.
Ancora, nel caso di tavole dalle forme particolari, come quelle che costituivano i tipici polittici
trecenteschi o le grandi croci lignee, veniva studiato un apposito sistema di assemblaggio
dell’intera struttura.
In presenza di nodi o difetti della tavola, questi venivano incisi e asportati e le lacune riempite,
secondo l’insegnamento del Cennini, con un impasto di colla di pelli e segatura di legno, la
cosiddetta mestica.
Fino a tutto il Trecento sulle tavole grezze veniva applicata una tela di lino sottile incollata con
colletta animale. Questo procedimento prende il nome di incamottatura.
L’incamottatura ha lo scopo di attenuare i movimenti del legno nonché di fornire un migliore
aggrappo allo strato di preparazione soprastante.
Dal Trecento in poi anziché applicare la tela sull’intera superficie vengono applicate solo delle
strisce in corrispondenza delle giunzioni.

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L’IMPRIMITURA

Sulla tela viene applicata infine la preparazione vera e propria, la cosiddetta imprimitura sulla
quale verrà eseguito il disegno e che rappresenta il “letto” della pellicola pittorica.
La preparazione delle tavole è appositamente realizzata per ricevere la pittura a tempera.
È quindi ASSORBENTE, per consentire una buona presa del colore.
È costituita da GESSO E COLLA.
Viene applicata fino a 8 STRATI sovrapposti, di cui quello successivo è ortogonale al precedente.
Una volta asciutta si leviga accuratamente e si procede con l’esecuzione del disegno preparatorio a
carboncino.

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IL RESTAURO DEI DIPINTI SU TAVOLA

CAUSE ALTERAZIONI TRATTAMENTI


Scelta del legno e del taglio Deformazioni e Raddrizzamento delle assi
sbagliati imbarcamento.

Cattiva stagionatura del Spaccature e fenditure Risanamento del retro del


legno supporto ligneo
Sollevamenti e cadute di
colore e preparazione Parchettatura

Attacco di insetti xilofagi Formazioni di canali di tarli Disinfestazione del legno


per condizioni errate di o termiti
conservazione e per la Consolidamento del legno
natura dell’essenza lignea Indebolimento totale o
parziale del legno

Distruzione

La cattiva manutenzione e i traumi esterni compromettono la conservazione dei dipinti, nonché


il mancato tempestivo intervento nel porre rimedio a danni del supporto che finiscono per
ripercuotersi sugli strati dipinti.

L’INVECCHIAMENTO ED IL DEGRADO DEI SUPPORTI LIGNEI

Le alterazioni subite dai supporti lignei sono di due tipi:


- fisico-strutturali
- bio-chimiche.

ALTERAZIONI FISICO STRUTTURALI


Sono causate dal fenomeno dell’anisotropia, per il quale il legno subisce un ritiro volumetrico
cagionato dalla perdita d’acqua.
Il ritiro volumetrico è influenzato dal taglio del legno: maggiore nei cerchi esterni e minore in
quelli interni.

Le assi che costituiscono i supporti del dipinto sono generalmente tagliate in senso longitudinale,
nel senso delle fibre, per cui sono soggette a forte deformazione, chiamata imbarcamento.

Le assi ottenute per taglio radiale subiscono un minimo ritiro perché i vari anelli del tronco si
distribuiscono con ordine verso l’estremità consentendo un essiccamento omogeneo.

In questi casi le assi possono subire ognuna una deformazione differente.


La differente deformazione è anche causata dalla presenza di vincoli esterni, come traverse e
cornici, o dalla disposizione delle assi, se contrarie o meno.

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DEFORMAZIONI DI UNA TAVOLA COMPOSTA DA PIU’ ASSI:
a) Assi costrette da una cornice → spaccature lungo le giunzioni delle assi
b) Assi libere → imbarcamento continuo
c) Assi libere contrarie → deformazione ondulatoria

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Altro fattore di degrado del legno è la sua igroscopicità, poiché è molto sensibile agli sbalzi di
temperatura e umidità che generano, appunto, le deformazioni strutturali.
Le deformazioni del legno influiscono notevolmente sulla conservazione della preparazione e della
pellicola pittorica, dando luogo a:
a - sollevamenti di colore; b - lesioni;
c - cadute di colore; d - screpolature.

Sollevamenti di colore

ALTERAZIONI BIO-CHIMICHE
Sono quelle generate dall’aggressione del legno da parte di organismi viventi.
I più distruttivi sono gli insetti xilofagi: tarli e termiti.

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I tarli si nutrono di sostanze contenute nel legno scavando gallerie al suo interno. Aggrediscono solo
i legni teneri. Scavano gallerie di 1 mm di diametro che arrivano a forare lo strato superficiale del
legno.

Le termiti sono più temibili rispetto ai tarli perché più difficilmente individuabili all’apparenza,
fanno meno fori sulla superficie lignea scavando gallerie più grosse, profonde e tortuose.
In questo modo l’esterno sembra integro, mentre l’interno può essere completamente vuoto,
divorato in profondità.

Il legno tarlato si indebolisce perché poco alla volta si svuota di tutta la sua materia riducendosi ad
una sostanza porosa come una spugna.

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L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLA PELLICOLA PITTORICA

A) L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLA PREPARAZIONE

La preparazione può subire gli effetti di un invecchiamento naturale delle sostanze componenti
e\o gli effetti generati dalle deformazioni del supporto ligneo.

La resistenza e i tipi di degrado dipendono dalla sua composizione:

Imprimitura a gesso e colla:


L’invecchiamento naturale determina l’indebolimento della colla, causando lo sfarinamento della
preparazione. Elevatissima sensibile all’umidità.

Mestica oleosa:
L’invecchiamento degli olii determina la perdita di adesione al supporto e la craquelure dello strato
preparatorio che poi si imprime anche sulla pellicola pittorica.

LA CRAQUELURE

Sollevamenti di scaglie a “scodella” e crequelure diffusa.

È il risultato del sollevamento della preparazione/colore che rimane saldo al supporto nei punti
centrali determinando delle micro-spaccature lungo i bordi con la formazione delle scodelline.
Quanto più la preparazione è grassa, tanto più la craquelure forma scodelle larghe e profonde.
La conseguenza estrema dei sollevamenti della preparazione è il distacco totale e quindi la perdita
definitiva della stessa e del colore che vi aderisce.

B) L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLA PELLICOLA PITTORICA

Anch’essa subisce i danni causati dall’invecchiamento dei suoi materiali costitutivi . Tuttavia si
mantiene abbastanza solida per parecchi secoli. Infatti alcuni leganti, come l’olio o l’uovo,
invecchiando, si induriscono, diventando più resistenti agli agenti esterni ed ai solventi.

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Le tempere sono più sensibili all’umidità ed agli sbalzi di temperatura: tendono a sfarinarsi
insieme alla preparazione.
Le tempere, invecchiando, perdono vigore cromatico ed opacizzano.
Infine, alcuni pigmenti usati, possono subire alterazioni in seguito all’ossidazione dei componenti
minerali, scurendo e virando cromaticamente verso i neri o i verdi.

È comunque possibile affermare che l’invecchiamento naturale della pellicola pittorica comporta
modificazioni che non compromettono la conservazione del dipinto.

I danni del colore sono strettamente connessi a quelli incorsi nella preparazione, a causa della forte
affinità e omogeneità tra i due strati. Tuttavia la superficie del dipinto può presentare sollevamenti
di colore e cadute indipendentemente dalla preparazione, lasciandola scoperta, formando la così
detta lacuna.

Le cadute di colore possono essere di varia entità e distribuzione:


- Sgranature: quando sono molto piccole;
- Abrasioni: occorse in seguito a puliture troppo invasive o per eccessiva azione meccanica. È
irreversibile.
- Spellatura: assottigliamento del colore che lascia intravedere la preparazione;
- Craquelure a coccodrillo: quando il colore è molto grasso e dall’essiccazione lenta, si forma
una crettatura a ragnatela diffusa su tutta la superficie. È indipendente dalla crettatura della
preparazione.

Depositi di sporco e polveri: non hanno conseguenze sulla conservazione strutturale ma solo su
quella estetica, come per l’ingiallimento delle vernici e l’alterazione ottica dei colori o dei leganti.

CAUSE ALTERAZIONI TRATTAMENTI

(olii) Ingiallimento
Cause costitutive: ossidazioni,
polimerizzazione Tendenza del colore a trasparire

(tempere) Tendenza del colore a opacizzare


Cause costitutive

Invecchiamento naturale

Cause traumatiche (movimenti Sollevamenti Velinatura


del supporto, urti, sfondamenti) Fissaggio locale del colore
Sgranature e cadute di colore Stuccatura
Ringranatura
Ritocco pittorico

Puliture sbagliate e aggressive Abrasioni di varia entità Ringranatura


Ritocco pittorico

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C) L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLE VERNICI FINALI

La vernice è lo strato più superficiale di un dipinto, quindi il più esposto agli agenti esterni ma
anche quello più sottile e fragile.
L’invecchiamento naturale causa la perdita di elasticità, quindi l’incapacità di assecondare i
movimenti dei supporti. La conseguenza di tale fenomeno è lo sgretolamento generale.

L’ingiallimento è un altro fenomeno comune. È dovuto all’ossidazione naturale delle resine e


genera l’alterazione del timbro cromatico della pellicola pittorica su cui è sovrapposta.

Talvolta è possibile osservare degli sbiancamenti, causati dalla penetrazione di umidità fra vernice e
colore.

Il deterioramento anche totale della vernice non determina il deperimento del dipinto. La sua
alterazione non compromette la conservazione dell’integrità strutturale del dipinto, ma solo quella
estetica, risolvibile con l’asportazione della vernice.

CAUSE ALTERAZIONI TRATTAMENTI

Cause meccaniche Spellature Rimozione della vernice

Perdita di elasticità Sgretolamento della vernice

Ossidazione Ingiallimento Rimozione della vernice

Infiltrazione di umidità tra Sbiancamenti Rimozione della vernice


vernice e colore

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INTERVENTI DI RESTAURO

INTERVENTI PRELIMINARI

Sono tutti quegli interventi che consentono di arginare fenomeni di degrado che altrimenti
aumenterebbero durante le successive operazioni di restauro:
- Velinatura
- Preconsolidamento e fissaggio del colore e della preparazione

La Velinatura

È un intervento mirato a proteggere la pellicola pittorica e la preparazione. Essa opera in modo che
il collante, fatto penetrare in profondità, agisca come consolidante degli strati decoesi o deadesi.
Si esegue nei casi in cui:
- Lo strato del colore e/o della preparazione abbiano perso il loro potere adesivo e presentino
sollevamenti dal supporto;
- Il dipinto debba subire interventi conservativi di consolidamento del supporto che possano
causare traumi alla pellicola pittorica ed alla preparazione.

Esistono diversi tipi di velinatura, distinti per l’adesivo che si utilizza.


Le più comuni sono:

1) Velinatura a colletta:(farina, melassa, aceto\fenolo)


La velina è applicata con colletta. È indicata per proteggere pellicole pittoriche che non risentano
dell’apporto di acqua e umidità, né in fase di applicazione che di rimozione. Si rimuove con acqua
tiepida.
Unisce le funzione protettiva a quella consolidante, poiché la colletta penetra all’interno del colore,
consolidandolo.
La velinatura può essere totale o parziale.

2)Velinatura a resina acrilica: (Paraloid)


La velina è applicata con una soluzione a base di Paraloid B-72, una resina acrilica sintetica solubile
in idrocarburi (acetone, diaceton-alcool, diluente nitro, ecc).

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Viene comunemente eseguita sui dipinti su tavola e nei casi in cui l’apporto di acqua risulterebbe
dannoso per la conservazione del dipinto.
A differenza di quella a colletta, essa ha esclusivamente funzione protettiva poiché il Paraloid non
agisce come consolidante del colore, ma solo come adesivo della carta.
La velinatura può essere totale o parziale.

Consolidamento e fissaggio del colore e della preparazione

Il consolidamento è un’operazione che consiste nel restituire la coesione alla materia resa
incoerente dall’invecchiamento dei materiali e dal degrado, e interessa generalmente solo lo strato
della preparazione.

Il fissaggio ripristina l’adesione fra gli strati del supporto, della preparazione e del colore, e può
interessarli entrambi.
Pur essendo due trattamenti diversi e con finalità diverse, vengono eseguiti in un’unica fase, poiché
le sostanze impiegate svolgono la duplice azione consolidante e fissativa.
La scelta del metodo e dei materiali da usare deve tener conto del tipo dei materiali costitutivi della
pellicola pittorica e della preparazione.
A differenza dei dipinti su tela, ove si agisce sul fronte e sul retro indifferentemente e\o a
completamento dell’operazione, nel caso delle tavole, l’intervento è molto più complesso a causa
dello spessore del supporto ligneo.

Consolidamento e fissaggio con collante acquoso.


Si deve usare un prodotto che risponda alle due necessità (consolidamento e fissaggio) e che sia
diluibile in acqua.

Si usano consolidanti con funzioni adesive, coesive e consolidanti che si diluiscano in acqua:
- Colletta ma meglio ancora
- Primal AC33 una resina acrilica in soluzione acquosa.

Si agisce in maniera controllata e localizzata, su piccole porzioni o singole scaglie.


La penetrazione del collante si ottiene con l’impiego di aghi e siringhe o pennelli nel caso di lesioni
create dai cretti.
La penetrazione del collante ha un’azione rigenetratrice e coesiva che si esplica con l’evaporazione
del mezzo acquoso.
Nel caso di bolle, rigonfiamenti e sollevamenti, una volta inserito il consolidante, è necessario
esercitare una leggere azione
1) meccanica, con l’applicazione di piccoli pesi uniformi e controllati sulla zona ancora umida,
oppure

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2) termica, con appositi strumenti, come il termocauterio o il ferro da stiro, facendo in modo di
abbassare i sollevamenti e ripristinare il livello generale dello strato.

TRATTAMENTI CONSERVATIVI DEI SUPPORTI LIGNEI

Gli interventi conservativi sul legno hanno come obiettivo quello di ricostituire le fibre del legno
e di restituire al legno la sua originaria funzione di sostegno e supporto.
Una delle cause più frequenti di alterazione delle tavole consiste nella scelta sbagliata del taglio e
del tipo di legno impiegato che causa imbarcamenti, deformazioni, lesioni e fenditure che
interessano anche gli strati pittorici. La scelta sbagliata del legno favorisce anche l’attacco da parte
dei tarli.

I trattamenti con cui si interviene sono:

- Consolidamento delle fibre lignee;


- Risanamento della struttura lignea;
- Disinfestazione contro i parassiti del legno;
- Incollaggi strutturali.

CONSOLIDAMENTO
Ha lo scopo di restituire al legno la forza e coesione perdute.
I danni maggiori sono apportati dalle gallerie dei tarli: un legno molto tarlato può raggiungere una
consistenza talmente spugnosa da inibirlo da ogni funzione strutturale, a tal punto da essere
impossibile il recupero del supporto.
In questi casi estremi si interviene con la sostituzione totale del supporto, ossia eliminando la
vecchia tavola e riapplicando la pittura su nuovo supporto.
Il consolidamento avviene inducendo la penetrazione nel legno di una sostanza consolidante
specifica.
L’immissione può avvenire:
- Per immersione;
- Per spennellature;
- Per iniezione o spruzzo.
Il consolidante deve avere ottime proprietà di penetrazione all’interno della struttura fibrosa.
Il consolidante maggiormente utilizzato è la resina acrilica (PARALOID B-72) diluito in diluente
nitro in percentuali che variano dal 5% al 20% a seconda dell’entità del consolidamento.
Si applica generalmente per iniezioni o spennellature, raramente per immersione o spruzzo.

L’azione consolidante si esplica attraverso la penetrazione della resine nelle fibre del legno, che
indurendosi, tornano ad assumere la funzione di sostegno originario.
È un’operazione IRREVERSIBILE, per cui è bene valutare dapprima l’effettiva necessità ed entità
dell’intervento.
Recentemente vengono impiegate anche sostanze termo-indurenti come le RESINE
EPOSSIDICHE. Svolgono però scarsa azione consolidante a causa dell’elevata viscosità che ne
impedisce la penetrazione profonda e sono totalmente irreversibili

RISANAMENTO
Il risanamento ha lo scopo di risarcire le lesioni provocatesi a causa delle deformazioni del legno o
in seguito ad eventi traumatici.

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Il risarcimento avviene attraverso la sostituzione parziale di parti del supporto ligneo con nuova
materia legnosa. È un intervento strutturale che garantisce il ricongiungimento di grosse lesioni e
fratture della tavola o il ricongiungimento delle assi alterato dalle deformazioni incorse.
L’immissione del nuovo legno comporta l’asportazione di parte di quello vecchio, che viene
rimosso meccanicamente.

Fasi operative:

1) Creazione di solchi profondi circa ¾ dello spessore della tavola a sezione triangolare in
corrispondenza delle fenditure e delle linee di giunzione delle assi. Ci si serve di scalpelli e sgorbie
asportando gradualmente parti di legno fino alla creazione di un solco regolare e definito.

2) Una volta aperti i solchi si creano dei listelli lunghi circa 8-10 cm, realizzati con lo stesso legno
del supporto, aventi la stessa forma e dimensione dei solchi.
Questi listelli, chiamati “cunei”, vanno ricavati da un’asse del tronco tagliato in senso radiale per
evitare la loro deformazione. Vengono fissati all’interno del solco con colla forte da falegname
(colla di bue e acqua). Una volta fissati si rimuove l’eccedenza livellando la superficie con quella
della tavola

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Raddrizzamento delle assi
Il raddrizzamento delle tavole mira al recupero delle forme e dei volumi dei supporti lignei alterati
in seguito a deformazioni.
Quando la deformazione non incide sull’assetto strutturale della tavola e soprattutto non determina
danni trasmessi al colore e alla preparazione è preferibile non intervenire.
Secondo le tradizioni artigianali il sistema per intervenire era quello delle cosiddette sverzature.

Le sverzature sono incisioni parallele nel senso delle fibre effettuate lungo tutta la tavola e profonde
circa 2/3 dello spessore. La tavola indebolita da questi tagli veniva poi appianata da più coppie di
traverse poste in senso perpendicolare alle fibre e stretta da morsetti. All’interno delle fessure si
inserivano delle zeppe lignee che contenevano l’imbarcamento del legno.
Questo intervento, col tempo, si è dimostrato dannoso per gli strati preparatori e del colore, sulla cui
superficie si creavano delle fessure e lesioni.

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Attualmente è in uso un efficace sistema per il raddrizzamento delle assi, chiamato
PARCHETTATURA.
È un sistema di imbrigliamento della tavola che ha come obiettivo quello di ridurre i movimenti del
legno. Non ha lo scopo di ostacolarli, quanto quello di assorbirli e assecondarli, cercando di
contenerne e limitarne le deformazioni.
Il sistema più rudimentale consisteva nell’applicazione di traverse fisse in senso perpendicolare alle
fibre.
Altro sistema era quello di collocare sul retro della tavola traverse libere scorrevoli all’interno di
ponticelli incollati al retro del supporto, ma il risultato era poco efficace.

Il sistema più rudimentale consisteva nell’applicazione di traverse fisse in senso perpendicolare alle
fibre.
Altro sistema era quello di collocare, sul retro della tavola, traverse libere scorrevoli all’interno di
ponticelli incollati al retro del supporto, ma il risultato era poco efficace.

La parchettatura fiorentina,
già molto più evoluto come sistema, prevede invece l’applicazione sul retro della tavola di una rete
formata da listelli lunghi quanto il supporto e orientati parallelamente al senso delle fibre e listelli
larghi quanto il supporto perpendicolari alle fibre.
I listelli vengono incollati sul retro e forati in modo che le traverse possano scorrere nel loro verso
naturale.

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Parchettatura fiorentina

Attualmente le tecniche più evolute di parchettatura sostituiscono parzialmente o integralmente le


strutture lignee usate nelle parchettature tradizionali con elementi metallici o in alluminio
anodizzato che non sono suscettibili a deformazione.
Esse sfruttano un sistema di alloggiamenti per lo scorrimento delle traverse sempre più perfezionato
in modo da ottenere la maggiore flessibilità possibile ed il rispetto della mobilità del legno.

I ponticelli lignei che accolgono le traverse, prendono il nome di cattelli, e si incollano al le due
estremità del supporto, ad 1 cm di distanza dai bordi e con intervalli tra loro di 1/10 della larghezza
della tavola. Inoltre sono disposti sempre in numero dispari ed in senso alternato.
Le traverse metalliche devono essere in numero di due e vanno inserite nell’apposita “gabbia”
creata dai cattelli.
Da un lato della barra va applicata una striscia di teflon, un materiale che favorisce lo scorrimento
tra le due annullando ogni tipo di attrito.

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DISINFESTAZIONE
Ha lo scopo di bloccare l’attacco dagli insetti xilofagi attraverso l’introduzione, all’interno delle
gallerie, di prodotti specifici che ne causino la morte.
I legni tarlati possono essere trattati con introduzioni locali per iniezioni o spennellature di prodotti
antitarlo che , penetrando nel legno, lo rendo velenoso per gli insetti, causandone la morte.
Una volta imbibito il legno di prodotto si provvede alla sigillatura della tavola in ambiente
sottovuoto per impedire la rapida evaporazione dell’antitarlo e quindi favorirne la penetrazione
lenta e costante.

LA PULITURA DELLA SUPERFICIE PITTORICA


I metodi di pulitura impiegati nel caso dei dipinti su tavola sono gli stessi usati nei dipinti su tela.
Nel caso della tempera, però, a causa della sua forte sensibilità all’acqua ed all’umidità, sarà
necessario selezionare i solventi da impiegare in modo che essi non apportino acqua alla pellicola
pittorica compromettendone la conservazione.
La scelta del solvente da impiegare è conseguente all’individuazione della sostanza da sciogliere,
da eliminare, secondo alcuni principi:
- Il simile scioglie il simile
- Il solvente non deve interagire con la pellicola pittorica, portando in soluzione anche parti
del legante usato;
- Deve avere basso potere di penetrazione, cioè non penetrare al di sotto del colore e quindi
entrare in contatto con la preparazione e il supporto;
- Non deve lasciare residui in superficie.
Il solvente viene applicato mediante tamponcini di ovatta imbevuti, avendo cura di non esercitare
un’azione meccanica dannosa nei confronti delle microscaglie di colore eventualmente isolate o
deboli.
Dopo l’asportazione della sostanza da rimuovere, è necessario neutralizzare il solvente usato, con
un prodotto che ne inibisca l’eventuale prolungarsi della sua azione.
Nei casi in cui l’azione solvente si esplichi in tempi più lunghi dei normali tempi di evaporazione
del solvente e quindi è necessario un tempo di contatto maggiore, si impiegano delle sostanze
chiamate supportanti.

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I supportanti sono in genere emulsioni di sostanze lipofile in acqua o gelatine che hanno effetto
addensante, creando cioè una specie di pappetta gelatinosa che mantiene il solvente a contatto con
la superficie per tempi prolungati.

STUCCATURA DELLE LACUNE


Consiste nel riempimento delle lacune causate dalla caduta della preparazione e del colore per
consentire l’intervento di ritocco pittorico.
Lo stucco è composto da gesso di Bologna e colla di coniglio, viene applicato a spatola e, una volta
asciutto, rasato con carte abrasive e bisturi per ottenere una superficie piana e liscia.

REINTEGRAZIONE PITTORICA
Valgono le stesse regole dei dipinti su tela.
Nel caso di presenza di dorature, esse vengono reintegrate o con nuova applicazione di foglia d’oro
o mediante una particolare tecnica di ritocco chiamata selezione effetto oro, che prevede la
realizzazione di tanti piccoli trattini di tre colori puri: giallo, rosso, verde, che restituiscono un tono
perfettamente integrato ed omogeneo a quello della doratura circostante.

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LA PITTURA MURALE
Alla classe della pittura murale appartengono tutti quei dipinti il cui supporto è costituito: da uno o
più strati di intonaco applicati su un muro oppure direttamente su una superficie architettonica.
Si crea una unità inscindibile tra architettura e decorazione pittorica, non solo dal punto di vista
materiale e tecnico, ma anche sotto il profilo estetico, storico, iconografico.
La raffigurazione qualifica con l’immagine lo spazio architettonico, rendendone visibile il
significato e la funzione e attraverso la forma suggerire i diversi gradi di realtà.
La raffigurazione può “fingere” la scultura e l’architettura, creando delle soglie di realtà fittizie, o
si sostituisce all’architettura stessa creando delle illusioni ottiche di spazi tridimensionali trasposti
su una superficie piana.

Nel caso in cui il supporto sia costituito da pareti naturali, come la roccia negli edifici rupestri,
l’intonaco segue e accompagna il profilo della roccia stessa.
Per la stabilità e la compattezza naturale della roccia, l’intonaco è soggetto in misura nettamente
inferiore ai movimenti strutturali di un muro, di conseguenza la sua tenuta e durata nel tempo sono
superiori, a meno che non siano altre cause proprie degli ambienti rupestri a comprometterne la
conservazione.
La parete rocciosa su cui viene steso l’intonaco può essere non lavorata, quindi allo stato naturale,
oppure può essere stata predisposta, attraverso operazioni di spianatura e levigatura, a ricevere
l’intonaco.
in alcuni casi, infine, la roccia può essere lavorata e sagomata a ricreare profili ed elementi
architettonici.

Dipinti su parete rocciosa non lavorata Dipinti su parete rocciosa levigata

Dipinti su parete rocciosa levigata e sagomata Dipinti su parete rocciosa levigata e sagomata

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IL SUPPORTO MURARIO

La natura e le caratteristiche tecniche del supporto murario sono fondamentali per la conservazione
delle pitture murali.
Più la muratura ha una tessitura compatta e regolare, meno saranno le irregolarità nella stesura
dell’intonaco e maggiore la sua aderenza al supporto.
Una muratura mista in pietre e mattoni, dalla tessitura irregolare, costituisce un supporto meno
ideale rispetto ad una muratura eseguita o solo in mattoni o in conci tagliati regolarmente, con
conseguente minore aderenza al supporto dell’intonaco.
Vi sono poi casi particolari in cui le murature erano formate, ad esempio, da pietra non lavorate e
laterizi e legate con semplice terra: in questi casi l’aderenza dell’intonaco al muro e’ compromessa
sin dall’inizio, data l’incompatibilità tra terra e malta.

Dipinti su muratura in laterizi

Dipinti su muratura mista in laterizi e pietra

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Dipinti su muratura in pietra in conci squadrati

Dipinti su muratura mista legata con terra

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Alla classe delle pittura murale appartengono tutti i dipinti murali realizzati con numerose e
diverse tecniche,
• affresco
• tempera
• encausto
• olio su muro

A prescindere dalla scelta del legante pittorico, sono per convezione definiti dipinti murali, (in
contrapposizione all’affresco ove si lavoro su supporto bagnato) quelli nei quali il colore viene
applicato sull’intonaco asciutto, lasciando che il medium scelto svolga la funzione di legante e
fissativo del colore.

Il supporto pittorico artificiale


Il supporto pittorico dei dipinti murali, specialmente negli affreschi, si compone di due strati:
l’arriccio e l’intonaco (e intoncachino).
La differenza tra i due strati del supporto, arriccio e intonaco, consiste nella differente grandezza dei
grani di sabbia ma la loro composizione è uguale, perché viene usata la stessa malta.
La malta è un impasto composto da una carica ed un legante. La carica costituisce lo scheletro
dell’impasto; il legante è il mezzo che tiene uniti i granuli della carica.
Il legante della malta usata nell’affresco è di regola la calce, la carica è costituita dalla sabbia, che
è una carica inorganica inerte.
La calce solidifica legandosi alla sabbia formando una struttura compatta e rigida.

L’arriccio
L’arriccio è il primo strato del supporto pittorico, cioè lo strato che aderisce al supporto murario.

Secondo Cennino Cennini gli strati di arriccio dovevano essere due:


- un primo, chiamato rinzaffo, che serve a livellare le discontinuità della superficie muraria;
- un secondo, l’arriccio vero e proprio, che costituisce il supporto dell’intonaco da dipingere.

Lo spessore dell’arriccio è in genere di 2 cm.


La sabbia usata nell’impasto deve essere silicea e cristallina, di fiume e mai di mare, poiché quella
marina contiene sali che sono nocivi all’affresco.
I grani devono essere piuttosto grossi e di granulometria varia, per costituire una superficie
sufficientemente scabra da consentire la perfetta aderenza dell’intonaco.

Le proporzioni fra sabbia e calce che Cennini suggerisce sono di:due parti di sabbia e una
parte di calce. Queste sono rimaste pressoché invariate nei secoli.

La calce usata nell’impasto deve essere ben spenta, cioè completamente idrata, per evitare che
rimangano parti di calce ancora viva che causerebbero spanciamenti e rigonfiamenti dell’intonaco.

“Quando vuoi lavorare in muro,


ch’è ‘l più dolce e il più vago lavorare che sia,
prima abbi calcina e sabbione, stamignata, o stacciata, ben l’una e l’altra. E se la calcina è ben
grassa e fresca, richiede le due parti sabbione, la terza parte calcina. E intridili bene insieme con
acqua, e tanta ne intridi, che ti duri 15 dì o 20. e lasciala riposare qualche dì, tanto che n’esca il
fuoco: chè quando è così focosa, scoppia poi lo ‘ntonaco che fai.
Quando sé per ismaltare, spazza bene prima il muro, e bagnalo bene, chè non può essere troppo
bagnato; e togli la calcina tua ben rimenata a cazzuola a cazzuola; e smalta prima una volta o due;

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tanto che vegna piano lo ‘ntonaco sopra il muro. Poi, quando vuoi lavorare, abbi prima a mente di
fare questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo.”

(Cennino Cennini, Il libro dell’Arte, cap. LXVII)

L’INTONACO E IL TONACHINO

L’intonaco è il secondo strato, quello che deve ricevere la pittura.


Per ricevere la pittura l’intonaco viene lisciato più o meno accuratamente con la cazzuola, in modo
da costituire una superficie liscia e compatta, adatta all’esecuzione pittorica.
Lo spessore dello strato di intonaco è inferiore rispetto all’arriccio: varia da 2 a 6 millimetri.
L’intonaco viene steso sull’arriccio quando esso è già asciutto, in modo da non ostacolarne la
corretta asciugatura. tuttavia, per evitare una dispersione accelerata di umidità e garantire una
migliore adesione tra i due strati, si usa bagnare l’arriccio prima dell’applicazione.

Nell’affresco l’intonaco da dipingere deve essere sempre “fresco”, cioè umido. per questo la
quantità di intonaco da applicare deve essere commisurata alla durata del lavoro giornaliero
dell’artista.
Prima di stenderlo occorre, dunque, prevedere quanto tempo si impiegherà per l’esecuzione di una
determinata parte di composizione, avendo cura di ricoprire solamente lo spazio previsto per
poterne completare la realizzazione prima che si asciughi.
Soltanto in questo modo sarà possibile operare sempre “a fresco”.
Il Cennini raccomanda vivamente di non stendere una quantità di intonaco superiore a quella
del lavoro giornaliero.
Infatti, pur se l’intonaco rimane umido il giorno successivo, la stabilità della pittura eseguita sarà
inferiore, perchè il processo di carbonatazione della superficie sarà già avviato.

“ (…) togli della calcina predetta, ben rimentata con zappa o con cazzuola, per ordine che paia
unguento. Poi considera in te medesimo quanto il dì puoi lavorare; chè quello che smalti, ti convien
finire. Vero è che alcuna volta di verno, a tempo umido, lavorando il muro di pietra, sostiene lo
smalto fresco in nell’altro dì. Ma, se può, non t’indugiare; perché il lavorare in fresco, cioè di quel
dì, è la più forte tempera e migliore, e ‘l più dilettevole lavorare che si faccia. Adunque smalta un
pezzo d’intonaco sottiletto (e non troppo) e ben piano, bagnando prima lo ‘ntonaco vecchio. Poi
abbi il tuo pennello di setole grosse. In prima intingilo nell’acqua chiara; battilo e bagna sopra il
tuo smalto; e al tondo, con un’assicella di largheza di una palma di mano, va fregando su per lo
‘ntonaco ben bagnato, acciocchè l’assicella predetta sia donna di levare dove fosse troppa calcina,
o porre dove ne mancasse, e spianare bene il tuo smalto. “
(Cennino Cennini, Il libro dell’Arte, cap. LXVII)

Il procedimento per la stesura dell’intonaco e per l’esecuzione pittorica può avvenire per pontate o
per giornate.
L’applicazione per pontate avviene per fasce orizzontali alte quanto la distanza tra un piano e
l’altro di ponteggio. Se l’esecuzione è rapida, in una sola giornata di lavoro si può stendere
un’intera fascia orizzontale di intonaco. In questo caso le sole giunture visibili alla fine saranno i
limiti orizzontali tra i differenti piani delle pontate, eseguiti in ordine dall’alto verso il basso, che
prendono appunto il nome di pontate

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Quando l’esecuzione della pittura necessita di piu’ tempo di lavoro l’intonaco viene steso per
porzioni, ognuna corrispondente ad una “giornata” di lavoro. In questo caso appariranno delle
nuove linee di giunzione verticali o profilate che delimitano parti circoscritte di intonaco sulla
stessa fascia di pontata. Queste parti prendono il nome di giornate. Una volta terminata
l’esecuzione di una giornata o di una pontata, il pittore profila l’intonaco lungo la superficie di
giunzione per la successiva giornata.

Nella pittura antica e romana e fino al medioevo, la nuova giornata di intonaco copriva
leggermente quella precedente, sovrappoenendosi alla linea di giunzione.
Dal Trecento in poi, le giunzioni tra le giornate diventano il più precise e nette possibile, in modo
da rendere invisibile la successione.
L’esame attento delle giunzioni permette quasi sempre di stabilire la cronologia relativa alle
giornate di lavoro.

Francesco Salviati, Sala dei Fasti Farnesiani, particolare. Palazzo Farnese, Roma.
Indicazione delle giornate di lavoro e delle incisioni del disegno

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IL DISEGNO PREPARATORIO

Il disegno preparatorio è un abbozzo che precede la stesura del colore e ne agevola l’esecuzione
pittorica, che può essere più o meno rifinito a seconda della complessità della composizione.
Le tecniche di disegno preparatorio sono numerose e a volte sono caratteristiche di determinati
periodi storici e stilistici.
Le più comuni sono:
- sinopia
- disegno diretto
- incisione diretta
- spolvero
- cartone
- quadrettatura

Sinopia

LA SINOPIA

La sua funzione è quella di servire da guida per la stesura dell’intonaco sull’arriccio, in modo da
poter calcolare e preventivare la successione delle giornate di lavoro ed i collegamenti tra loro.
È l’unico disegno eseguito sull’arriccio e non sull’intonaco. A volte è presente anche direttamente
sul muro.
Il termine deriva dal luogo d’origine di tale materiale Sinope, città dell’Asia Minore, della terra
rossa argillosa usata per tracciare il disegno sull’arriccio.
Molte volte la sinopia non corrisponde alla realizzazione finale, a causa di ripensamenti e correzioni
in corso d’opera e perché una volta steso l’intonaco sopra di essa, l’artista dovrà ricordarne a
memoria lo schema.
L’uso della sinopia e’ molto diffuso fra il Trecento ed il Quattrocento.
Dal Quattrocento in poi, vista la crescente complessità delle raffigurazioni, ricche di figure, la
sinopia viene abbandonata in favore di altre tecniche.

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Solo nel XVII e XVIII sec. se ne riprende l’uso, ma perderà la sua funzione originaria di disegno
preparatorio, diventando semplicemente un metodo per avere una visione generale e immediata di
quella che sarà la composizione ultimata.

SINOPIA E RELATIVO AFFRESCO


Beato Angelico, Madonna della Visitazione, convento di S. Domenico di Fiesole, Firenze

Cennino Cennini descrive accuratamente l’esecuzione di una sinopia.

1) battitura dei fili


consiste nella suddivisione regolare degli spazi da riempire, e viene eseguita con l’uso di un
filo a piombo intriso di carbone fatto sbattere sull’arriccio, per ottenere linee verticali.
Poi, con un compasso si tracciano le intersezioni per le orizzontali

2) disegno dei contorni


successivamente vengono tracciati i contorni delle figure con carboncino e definite le prime
ombreggiature a pennello con ocra gialla molto stemperata.
Una volta eseguito il disegno con l’ocra e definiti i particolari, il carboncino viene spazzato,
mentre la sinopia, eseguita su arriccio fresco, si fissa per carbonatazione.

“(…) Poi, secondo la storia e le figure che dei fare, se lo ‘ntonaco è secco, togli il carbone, e
disegna, e componi, e cogli bene ogni tua misura, battendo prima alcun filo, pigliando i mezzi degli
spazi. Poi batterne alcuno, e coglierne i piani. E a questo che batti per lo mezzo, a cogliere il
piano, vuole essere uno piombo da piè del filo. E poi metti le seste grandi, l’una punta in sul detto
filo: e volgi le seste mezzo tondo dal lato del sotto; poi metti la punta delle seste in sulla croce del
mezzo dell’un filo e delle’altro, e fa l’altro mezzo tondo di sopra, e troverai che dalla mano diritta
hai per costante, per gli fili che si scontrano, fatto una crocetta. Similmente dalla man manca metti
il filo da battere, che dia proprio in su tuttadue le crocette: e per costante troverai il tuo filo essere
piano a livello.
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Poi componi col carbone, come detto ho, storie e figure; e guida i tuoi spazi sempre gualivi, o
uguali. Poi piglia un pennello piccolo e pontìo di setole, con un poco d’ocria, senza tempera,
liquida come acqua: e va ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come arai fatto con
acquerelle quando imparavi a disegnare. Poi togli un mazzo di penne, e spazza bene il disegno del
carbone.
poi togli un poco di sinopia senza tempera, e col pennello puntìo sottile va tratteggiando nasi,
occhi, e capellature, e tutte stremità e intorni di figure; e fa che queste figure siano bene compartite
con ogni misura, perché queste ti fanno cognoscere, e provedere delle figure, che hai a colorire.
Poi fa prima i tuoi fregi, o altre cose che voglia fare d’attorno, e come a te conviene.”

(Cennino Cennini, Il libro dell’Arte, cap. XLVII)

IL DISEGNO PREPARATORIO

Il disegno preparatorio vero e proprio è quello che viene eseguito direttamente sull’intonaco da
dipingere immediatamente prima dell’esecuzione della pittura.
È possibile distinguere due metodologie di disegno preparatorio:
- a) il disegno inciso direttamente o indirettamente sull’intonaco fresco con metodi diretti o
indiretti;
- b) il disegno riportato mediante colore sull’intonaco fresco, con metodi diretti o indiretti.

Le riquadrature, le linee di profili architettonici, i cerchi e le curve regolari, vengono eseguiti


con questa tecnica, avvalendosi di squadre, compassi, fili battuti, ecc.
Il vantaggio dell’incisione consiste nella permanenza del disegno durante l’esecuzione della pittura,
rimanendo utile guida fino al completamento del dipinto.
A volte l’incisione di determinati elementi, come quella delle aureole dei santi che avrebbero
ricevuto la foglia d’oro, avveniva su intonaco asciutto. In questi casi l’incisione risulta nettamente
differente da quella su intonaco fresco.

“Ancora se vuoi fare le diademe de’ santi senza mordenti, quando hai colorita la figura in fresco,
togli una agugella, e gratta su per lo contorno della testa. Poi in secco ugni la diadema di
vernice…”

(Cennino Cennini, Il Libro dell’Arte, cap. CI)

Il disegno inciso
Consiste nell’incidere sull’intonaco fresco, con mezzi appuntiti, come il punteruolo, il disegno e le
sagome delle figure che si intendono rappresentare.
L’incisione può essere eseguita:
- direttamente, cioè con strumenti appuntiti usati a diretto contatto dell’intonaco, creando
dei solchi sulla superficie tenera, eseguendo a mano libera il disegno;

- -indirettamente, cioè interpondendo tra la punta dello strumento e l’intonaco un cartone,


in modo da ricalcare il disegno che rimarrà impresso sulla superficie fresca.

Il solco lasciato dalle due tecniche è facilmente distinguibile perchè il primo crea un tratto
profondo, dai bordi netti e vivi come un bulino, a volte frastagliati; il secondo genera un solco dai
bordi arrotondati e smussati come un cesello, meno profondi.

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Giorgio Vasari, Le vite dè più eccellenti pittori, scultori ed architetti, 1568

CAPITOLO II
Degli schizzi, disegni, cartoni, ed ordine di prospettive; per quel che si fanno, ed a quello che i
pittori se ne servono.

“gli schizzi, dè quali si è favellato sopra, chiamiamo noi prima sorte di disegni che si fanno per
trovar il modo delle attitudini, ed il primo componimento dell’opra. (…) Da questi dunque vengono
poi rilevati in buona forma i disegni; nel far dei quali, con tutta quella diligenza che si può, si cerca
vedere dal vivo (…). Appresso, misuratili con le seste o a occhio, si ringrandiscono dalle misure
piccole nelle maggiori, secondo l’opra che si ha da fare. (…). Fatti così i disegni, chi vuol lavorare
in fresco, cioè in muro, è necessario che faccia i cartoni, ancorachè e’ si costumi per molti di
fargli per lavorar anco in tavola.
(…). Dappoi, quando sono secchi, si vanno con una canna lunga, che abbia in cima un cartone,
riportando sul cartone, per giudicar da discosto tutto quello che nel disegno piccolo è disegnato
con pari grandezza; e così, a poco a poco, quando a una figura e all’altra danno fine.
(…). E quando questi cartoni al fresco o la muro s’adoprano, ogni giorno nella commettitura se ne
taglia un pezzo, e si calca sul muro, che sia calcinato di fresco e pulito eccellentemente. Questo
pezzo del cartone si mette in quel luogo dove s’ha a fare la figura, e si contrassegna; perché l’altro
dì che si voglia rimettere un altro pezzo, si riconosca il suo luogo appunto, e non possa nascere
errore. Appresso, per i dintorni del pezzo detto, con un ferro si va calcando in su l’intonaco della
calcina; la quale, per esser fresca, acconsente alla carta, e così ne rimane segnata. Per il che si
leva via il cartone, e per quei segni che nel muro sono calcati, si va con i colori lavorando; e così si
conduce il lavoro in fresco o in muro. (…). Assai pittori sono, che per l’opre a olio sfuggono ciò;
ma per il lavoro in fresco non si può sfuggire che non si faccia. Ma certo, chi trovò tal’invenzione,
ebbe buona fantasia; attesochè né cartoni si vede il giudizio di tutta l’opra insieme, e si acconcia e
guasta finchè stiano bene; il che nell’opra poi può farsi.”

Il disegno riportato con il colore

Il disegno preparatorio riportato con il colore sull’intonaco fresco consente di eseguire la traccia
disegnativa senza incidere la superficie, ma attraverso la trasposizione del disegno precedentemente
realizzato su un cartone con dei pigmenti che rimangono impressi nell’intonaco.
Con questo tipo di disegno è possibile riportare scene molto complesse e ricche di figurazioni in
maniera rapida e veloce, molto fedele e soprattutto senza intaccare la superficie intonacata da
dipingere.
Si diffonde dal Quattrocento in poi, proprio in corrispondenza della diffusione della prospettiva e
dell’arricchirsi della figurazione.
La tecnica piu’ diffusa è quella dello spolvero.

Lo spolvero

1. Il disegno viene eseguito, ricco di dettagli, su un cartone preparatorio.


2. Successivamente le linee del disegno vengono forate con un ago in modo che il profilo
risulti bucherellato con piccoli fori a distanza di 1 cm l’uno dall’altro.

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3. Una volta forato il disegno, il cartone viene giustapposto all’intonaco fresco e viene
tamponato con una garza intrisa di pigmento nero (in genere carbone di legna). La polvere
nera, insinuandosi tra i fori del modello, si deposita sull’intonaco.

In questo modo si genera sull’intonaco un disegno puntinato, perfettamente fedele al modello, che
costituira’ la traccia da definire successivamente a pennello e con i colori.

Andrea Pozzo, Breve istruzione per dipingere e fresco, in Prospettiva dè Pittori ed Architetti,
parte II, 1693-1702, citato secondo l’edizione del 1758.

RICALCARE

“ Stabiliti che sieno i contorni del disegno in carta grande, come abbiamo detto, si soprapporrà
sopra l’intonaco, che per la sua freschezza sarà atto a ricevere ogni impressione: ed allora con una
punta di ferro anderete legiermente premendo i contorni. Né disegni di cose piccole basterà fare
uno spolvero, che si fa con far spessi, e minuti fori né contorni con sovraporvi carbone spolverizato
legato in uno straccio, che sia atto a lasciar le sue orme meno sensibili. Ciò da Pittori si chiama
spolverare.

La Quadrettatura
È un’ulteriore tecnica per mezzo della quale si può riportare a mano libera, seguendo un reticolo
geometrico, il disegno preparatorio direttamente sull’intonaco fresco.
È particolarmente indicata nei casi in cui la rappresentazione è molto ampia e/o si sviluppa su
superfici curve (absidi, volte, cupole)

1) su un foglio viene tracciato un reticolo regolare


2) sul reticolo viene realizzato il disegno
3) il reticolo viene riportato sull’intonaco fresco nella scala della grandezza desiderata
4) sull’intonaco fresco, su cui e’ stata riportata la quadrettatura, si riproduce il disegno,
ricopiandolo dal cartone sulla base della griglia.

L’uso di questa tecnica è successivo alla diffusione dello spolvero e del cartone e si sviluppa tra
XVII e XVIII secolo.
Padre Andrea Pozzo descrive ampiamente le fasi esecutive di questa tecnica di disegno
preparatorio.

Andrea Pozzo, Breve istruzione per dipingere e fresco, in Prospettiva dè Pittori ed Architetti,
parte II, 1693-1702, citato secondo l’edizione del 1758.

GRATICOLARE

“Quando si hanno a dipinger luoghi grandi, come Chiese, Sale, o Volte storte, ed irregolari, nelle
quali non si posson far carte così grandi, o non si posson distendere, è necessario servirsi della
graticolazione, la quale è molto utile per trasferir dal piccolo in grande. La graticolazione
prospettica è altresì necessaria particolarmente nelle Volte, o in altri luoghi irregolari, per far
comparire retta, piana, o dritta un’Architettura in prospettiva, ed il modo di farla l’ho dichiarato
nel primo Tomo figura 100, e nel presente figura 69. Primieramente adunque graticoleremo il

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modello piccolo, e trasferiremo l’istesso numero di quadrati, accresciutane solo la grandezza, nella
parte arricciata: ciò fatto sceglierà il Pittore quel numero di graticole, che potrà dipingere in un
giorno, ed ordinerà, che sia diligentemente intonacato, ripigliando sopra la nuova intonacatura la
graticolazione, che fu coperta, acciocchè serva di guida per contornare la vostra operazione: se
dopo dipinto quel in quel giorno vi avanzasse qualche pezzo di intonaco, tagliatelo, ma guardatevi
di far ciò in mezzo delle carnigioni, e solo si permette né contorni di quelle, o di qualche
panneggiamento. Così di mano in mano ordinerete. Che proseguisca l’intonacatura, avvisando il
Muratore, che in ciò proceda destramente per non imbrattar i contorni dell’operato, né far altre
schiature: che però ad ovviar al pericolo, sarà bene comincare l’opera nelle parti superiori.”

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I COLORI NELL’AFFRESCO

Caratteristiche

I colori impiegati nell’affresco devono presentare caratteristiche particolari:


- resistenza alla luce, all’aria, agli agenti atmosferici
- resistenza all’azione caustica della calce.

I pigmenti che offrono tali requisiti sono quelli di origine minerale, e fra questi vengono scelti i
più resistenti.

I colori più usati nel passato sono:

- le argille o terre, costituiti da ossidi di ferro, che offrono gamme di gialli, bruni e rossi;
- alcuni silicati, il Verde di Verona, che compongono
- i bianchi, composti principalmente dal bianco Sangiovanni (carbonato di calcio);
- i neri, costituiti o da pigmenti minerali (grafite) o animali e vegetali (nero avorio, nero
vite).

Alcuni pigmenti non possono essere assolutamente usati a fresco, per incompatibilità con la
calce, all’acqua o all’esposizione all’aria.
- bianco di piombo, che reagisce coi solfuri nell’aria;
- cinabro, che non resiste all’aria ed all’umidita’;
- blu di prussia, (moderno) instabile alla luce;

Gli azzurri
Gli azzurri di lapislazzuli e lo smaltino sono incompatibili all’acqua, e venivano applicati a
secco, misti a tempera a uovo o colla. L’unico azzurro applicabile a fresco era il blu di cobalto.
Il procedimento per stendere gli azzurri è molto particolare:

Il fondo da “azzurrire” era precedentemente campito con una terra rossa a volte mescolata al nero,
per poi essere ricoperto con l’azzurro applicato a secco, che su un fondo così scuro, brillava e
risaltava.
Essendo applicati a secco, molti fondi azzurri sono andati perduti.

Ogni tinta deve essere applicata con un minimo lavoro del pennello sull’intonaco fresco, per non
rovinare la superficie e non deteriorare il colore e indebolirne l’aderenza.
I chiaroscuri, i modellati, sono eseguiti non per sfumatura e impasto di colore, ma per
giustapposizione, per sovrapposizione di ombreggiature e luci.
Le tinte applicate tendono notevolmente a schiarire man mano che si asciugano. per questo motivo
esse vengono preparate prima della stesura in quantità necessaria per tutta la zona da campire.
La tecnica a fresco non lascia spazio a ritocchi e modifiche in corso d’opera, come avveniva nella
pittura a tempera e olio.
L’artista deve procedere speditamente prima che l’intonaco inizi ad asciugare.
Le luci, i dettagli e la rifinitura dei modellati avveniva in un secondo momento, mediante tecniche a
secco, come colori a calce o tempere, stesi su intonaco asciutto o poco umido.
Le dorature venivano eseguite alla fine.

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LA PITTURA MURALE - Tecniche
Alla classe delle pittura murale appartengono tutti i dipinti murali realizzati con numerose e
diverse tecniche:
• affresco
• tempera
• encausto
• olio su muro

Essendo l’affresco la madre di tutte le tecniche di pittura murale, nonché una tecnica che si
avvale di un particolare procedimento esecutivo, occorrerà distinguere le opere affrescate da quelle
eseguite in altro modo.

Parleremo genericamente di dipinto murale in presenza di una qualsiasi pittura eseguita su un


supporto murario intonacato o non intonacato, la cui tecnica sia differente dall’affresco.
All’interno di questa classe potremo poi distinguere i dipinti a tempera, ad olio, ad encausto ecc.

Il dipinto murale si distingue dall’affresco per la tecnica di applicazione del colore e per il
legante.
A prescindere dalla scelta del legante pittorico, nei dipinti murali il colore viene applicato
sull’intonaco asciutto, lasciando che il medium scelto svolga la funzione di legante e fissativo del
colore.

L’AFFRESCO
Per affresco si intende una tecnica di pittura murale che utilizza l’intonaco fresco quale supporto
pittorico, e una reazione chimica, la carbonatazione, quale legante e fissativo del colore.
I pigmenti vengono mescolati in acqua e stesi sull’intonaco fresco, cioé ancora umido.

INTONACO → SUPPORTO

ACQUA → VEICOLANTE

CARBONATAZIONE → LEGANTE

Ciò che caratterizza l’affresco è dunque la reazione chimica che nasce dalla stesura dei colori
sull’intonaco fresco: la carbonatazione.
La carbonatazione e’ una reazione chimica che si determina fra la calce contenuta nell’intonaco e
l’anidride carbonica presente nell’aria.

L’idrossido di calcio (CA (OH)2 ) disciolto nell’intonaco migra verso la superficie e incontra
l’anidride carbonica (CO2) presente nell’aria, con la quale reagisce formando carbonato di calcio
(CACO3) e rilasciando acqua (H2o) allo stato di vapore.

CA (OH)2 + CO2 → CACO3 + H2O

Durante questa reazione i pigmenti vengono inglobati dalla cristallizzazione superficiale del
carbonato di calcio, che li fissa quasi rendendoli parte integrante di una lastra di calcare colorato.

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La carbonatazione, che si produce dalla superficie verso l’interno, forma, dopo un certo tempo,
una crosta superficiale che rallenta la reazione in profondità.
La pittura si indurisce prima in superficie e diviene più resistente degli strati sottostanti.
I pigmenti non vengono cosi inglobati in tutto lo spessore dell’ intonaco, ma costituiscono uno
strato ben distinto, una vera e propria pellicola pittorica come si avrebbe in un dipinto a tempera.

LE TECNICHE A SECCO
Si definiscono tecniche a secco tutte le forme di pittura murale eseguite sull’intonaco o su una mano
di calce secca, in cui i pigmenti sono fissati da un legante al quale vengono mescolati prima
dell’applicazione.

La pittura a calce.
La formula più comune è la cosiddetta pittura a calce, che consiste nell’applicare i pigmenti
mescolati al latte di calce (il legante), su di un intonaco secco preventivamente bagnato per
favorirne l’aderenza.
Spesso questo tipo di pittura viene erroneamente definito “mezzo fresco” o “fresco secco”.
In questo caso infatti si ha solo la carbonatazione della calce mescolata ai pigmenti, non di quella
che compone tutto lo strato di intonaco.

Oltre alla pittura a calce esistono tre tipi principali di tecniche a secco per dipingere su muro:
le tempere, l’olio e l’ encausto.
I colori possono essere applicati o su uno strato di intonaco secco o direttamente sul muro
preventivamente “preparato” con un’imprimitura.

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La pittura a tempera
Per pittura a tempera si intendono quelle tecniche nelle quali i pigmenti sono mescolati ad un
legante acquoso o in emulsione che asciugando fissa i pigmenti. I principali leganti per tempera
usati nella pittura murale sono:
- l’uovo
- la caseina
- la colla animale
- le gomme vegetali

La pittura a olio
I colori sono mescolati ad un legante oleoso che asciugando, lentamente, fissa i pigmenti al
supporto, come nella pittura ad olio su tela o tavola.
I principali olii vegetali usati nella pittura murale sono:
- olio di lino
- olio di papavero

Una pittura murale è costituita generalmente da:

1. Un supporto portante (struttura muraria), che può essere costituito da muri artificiali
formati da mattoni e/o pietra cementati tra loro con malta, o da pareti naturali come quelle
di una grotta.

2. Un supporto pittorico, (intonaco) costituito a sua volta da più strati.

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I MOSAICI A PASTA VITREA
“OPUS MUSIVUM” O “METALLA”

Con i termini “OPUS MUSIVUM” o “METALLA” s’intendeva in età antica il solo mosaico
parietale.
Il “MUSIVARIUS” o “MUSEARIUS” colui che realizzava i mosaici parietali.
Considerato forma espressiva affine alla pittura ma con materiali più nobili e più duraturi, nasce
come evoluzione del “OPUS VERMICULATIM” al fine di arricchire la gamma cromatica piuttosto
ridotta delle pietre naturali.
Sebbene noto alle civiltà più antiche come gli egizi, non se ne hanno testimonianze in ambito greco.
Con Plinio l’uso di elementi in vetro si fa risalire con datazione certa al 58 a.C. (Teatro di Scauro)
Non esistono fonti sulla tecnica in età bizantina.
Testimonianze di tessere auree si hanno non prima del III secolo d.C.
In età romana il mosaico a pasta vitrea era considerato una tecnica perfettamente parallela alla
pittura murale, sebbene una particolare attenzione per questa tecnica è intuibile dall’uso,
dall’importanza e dalla costosità di piccole opere portatili in mosaico: gli “EMBLEMATA”

TECNICA
Di grande diffusione fu la tecnica del mosaico vitreo su supporto per la realizzazione di icone.
In età bizantina il mosaico parietale quale espressione artistica assume valore assoluto.
Di “tessere vitree” nell’accezione moderna parla per primo Teofilo (cap. II) riferendosi a opere
superstiti in edifici antichi.
È interessante notare come la tecnica esecutiva rimane pressoché identica per secoli.
In età romana e nel tardo antico si hanno testimonianze di realizzazione di mosaici vitrei con
l’inserimento diretto per pressione della tessera su una strato di mastice precedentemente steso sul
supporto murario. L’uso specifico di mosaici viene citato per ambienti molto umidi quali fontane e
strutture termali.

La tecnica prettamente utilizzata per la realizzazione di mosaici parietali prevedeva la preparazione


della struttura muraria con tre strati:
1) uno più grossolano e di maggiore spessore con calce, sabbia, cocciopesto sottile e paglia
2) uno più sottile realizzato con calce, sabbia e polvere di marmo
3) uno composta da calce e polvere di marmo
Lo spessore totale variava da cm 3, 5 a 7,5.
I primi due strati permettevano di regolarizzare le superfici murarie. Erano stesi non lisciando le
superfici al fine di agevolare l’ancoraggio degli strati successivi. A tale scopo si eseguivano
apposite incisioni sugli strati ancora freschi.
In considerazione degli spessori e della inclinazione delle pareti (catini absidali, volte, soffitti) si
posizionavano perni metallici a forma di T sino alla struttura muraria.
Il terzo strato, detto “letto delle tessere”, era steso con particolare attenzione sia nell’uniformità
dello spessore sia nella levigatura al fine di eliminare ogni possibile bolla d’aria.
Tale strato era steso in piccole porzioni in quanto era necessario si mantenesse umido al fine di
permettere l’inserimento delle tessere e la loro perfetta tenuta.
Sul secondo strato detto “letto” era riportato il disegno sia con semplice segni incisi nel fresco, sia
come sinopia, sia, come nel caso di Santa Sofia o di San Marco, come veri dipinti ricoperti

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A San Marco si ha la testimonianza di un vero dipinto che funge da strato d’allettamento delle
tessere.

Il tessuto musivo era realizzato in base a schemi fissi e regolari negli esempi più antichi.
Col passare dei secoli segue sempre più il disegno. Nel XIII assomiglia ed imita vere e minute
pennellate. Si usano tessere più grandi per i fondi; tessere più piccole per i panneggi; tessere minute
per i volti e le mani.
Le tessere potevano avere tendenzialmente forma quadrata, ma non mancano esempi di tessere
triangolari e tonde.
La campitura delle aree prevede in genere una stesura di tessere a definire il profilo.
Il contorno è composto da un massimo tre tessere.

La gamma cromatica è infinita sfruttando la possibilità di creare molteplici sfumature nella


realizzazione delle tessere vitree, sia grazie all’accostamento di altri materiali quali tessete lapidee,
in terracotta, in madreperla.
Le diverse tonalità di uno stesso colore erano ottenute sia in fase di preparazione delle materie
prime per la realizzazione del vetro prima della fusione, sia nella lavorazione a caldo del vetro.

Tecnica realizzazione tessere


Le tessere erano ottenute tagliando in piccole porzioni lastre di vetro ottenute per colatura.
La colatura del fluido incandescente su una piano di pietra permetteva di ottenere spessori costanti
ed uniformi.
Il taglio variava a seconda delle dimensione della tessera necessarie.
Altro modo di ottenere lastre di maggiore qualità era da soffiatura o di cilindri che venivano quindi
aperti e spianati. Oppure da bolle che venivano spianate. Con questa tecnica il vetro appariva più
compatto, omogeneo in quanto erano assenti piccole bolle d’aria.

Le tessere venivano tagliate con una “mazzetta” su di un cuneo nel caso di tessere lapidee, con
pinze e cristalli nel caso di vetri.

Tecnica realizzazione tessere d’oro


La realizzazione delle tessere d’oro o d’argento, come espresso da Teofilo, avveniva in tre tempi:
1) si realizzava una lastra trasparente, ma dalla inevitabile colorazione verdestra;

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2) si applicava sulla superficie la foglia d’oro o d’argento;
3) si ricoprivano le lamine metalliche colando un sottile strato di vetro fluido trasparente . Il calore
permetteva la “fusione-saldatura” dei tre strati.
Esempi

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FATTORI DI DEGRADO

1) degrado degli strati preparatori


2) degrado del tessuto musivo
3) degrado delle tessere vitree
3Bis) degrado delle tessere d’oro

Distacchi di tessere e della cartellina

Porosità e lesioni delle tessere vitree

RESTAURO

1) consolidamento degli strati preparatori: iniezioni di malte o nanocalci a risarcire i distacchi


2) consolidamento del tessuto musivo: malte o nanocalci a ricucire il reticolo di malta a vista
3) consolidamento della tessere: sostanze impregnati acriliche

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4) pulitura: con miscele di solventi o chelanti
5) reintegrazioni musive e pittoriche: a riproporre il tessuto musivo ma sotto tono; a riproporre il
l'ornato con un dipinto

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I COLORI
In antichità si distingueva tra color e pigmentum

Color è la tinta che si ottiene


Pigmentum è la sostanza da cui si ottiene il colore

Plinio distingueva tra colori fluidi e colori austeri:


i colori fluidi sono trasparenti: minio, cinabro e indaco
gli austeri coprenti sono: ocre, terre, cerussa, sandracca.

In età moderna si distinguono:


pigmenti e coloranti
pigmenti hanno corpo e colore essendo ricavati da polveri
coloranti sono colore puro senza matericità - I coloranti più usati in pittura sono le lacche. Sono
pigmenti ottenuti da coloranti organici di origine animale o vegetali fissati su sostanze inorganiche
sono particolarmente trasparenti e vengono usate per le velature sottili.
I pigmenti allo stato naturale sono polveri macinate colorate. Vengono impastate con un medium o
legante, la cui natura determina la tecnica pittorica:

- OLII → PITTURA AD OLIO


- ACQUA + COLLE O LEGANTI PROTEICI →TEMPERE
- ACQUA → ACQUERELLO

Proprietà fisiche dei pigmenti:

Potere coprente, ossia la capacità di colorare ed essere coprente e corposo.


Dipende dalla quantità di medium usato: più medium meno coprente - meno medium più coprente.
Dipende dalla granulometria della polvere e dalle proprietà fisiche del pigmento

Proprietà chimiche dei pigmenti:

- Insolubilità nel medium: il pigmento non deve sciogliersi nel legante


- Stabilità agli agenti atmosferici, alla luce: non devono alterarsi e quindi cambiare colore.
- Inerzia: non devono reagire con altre sostanze contenute negli altri pigmenti

Classificazione dei colori:

1).colori naturali:
- di origine animale o vegetale

2) colori artificiali:
- sono ricavati con procedimenti chimici

Colori naturali
- colori vegetali: si estraggono da alcune parti delle piante (noci, zafferano, noccioli di pesca
ecc…).

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- colori animali: si ottengono dagli organi e dalle ossa degli animali per spremitura,
essiccatura, macinazione, bruciatura. Vengono usati nella composizione delle lacche

Colori artificiali
Si tratta sostanze che provengono dalla natura sotto forma di sali, ossidi, solfuri di diversi
metalli, quali il ferro, il piombo, il rame, il mercurio. Si ricavano con procedimenti chimici:
calcinazione, ossidazione, carbonatazioni, precipitazioni. Sono i più usati per la loro maggiora
stabilità fisica e chimica

Preparazione dei colori

I colori vengono finemente macinati in un mortaio per ottenere una polvere finissima. La polvere
viene miscelata di volta in volta con la giusta quantità di medium.
(maggiori dettagli sul sito consigliato: pigmenti.net

BIANCHI

BIANCO DI PIOMBO (Biacca, Cerussa, Bianco Argento) SI RICAVA


ARTIFICIALMENTE DAL PIOMBO ESPOSTO A VAPORI DI ACETO. HA OTTIMO POTERE
COPRENTE. REAGISCE CON I SOLFURI E DIVENTA NERO.
MOLTO USATO PER LE PREPARAZIONI DEI DIPINTI E NELLA PITTURA AD OLIO.

BIANCO SAN GIOVANNI (Bianco di calce) SI OTTIENE PER MACINAZIONE DI


CALCE PURA. E’ MOLTO STABILE ALL’ARIA ED ALLA LUCE. HA BASSO POTERE
COPRENTE. IDEALE PER L’AFFRESCO.

GIALLI

LITARGIRIO (Massicot) SI OTTIENE RISCALDANDO IL BIANCO DI PIOMBO A


400 °C ED HA LE SUA STESSE PROPRIETA’.

LACCA GIALLA (Lacca di quercitron) COLORANTE GIALLO A BASE DI


quercitrina, CHE SI ESTRAE DALLA CORTECCIA DELLE QUERCIE. POCO STABILE AD
ACQUA E LUCE.

GIALLORINO (Giallo di Antimonio, Giallo di Napoli) E’ UN ESTRATTO


VULCANICO A BASE DI ANTIMONIATO BASICO DI PIOMBO. MOLTO STABILE ALLA
LUCE. REAGISCE CON I COLORI A BASE DI FERRO E ZOLFO. MOLTO USATO DA EGIZI
E BABILONESI PER GLI SMALTI.

OCRA GIALLA (Terra gialla) DI ORGINE MINERALE ARGILLOSA E SILICEA.


E’ UN OSSIDO IDRATO DI FERRO CHE VARIA IL COLORE A SECONDA

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DELL’IDRATAZIONE. MOLTO USATO DALLA PREISTORIA. E’ UNO DEI COLORI PIU’
STABILI E USATO IN TUTTE LE TECNICHE PITTORICHE.

TERRA DI SIENA NATURALE OSSIDO DI FERRO CON ELEVATO POTERE


COPRENTE. ANCH’ESSA E’ MOLTO STABILE, RESISTENTE AGLI AGENTI
ATMOSFERICI, INERTE CON GLI ALTRI COLORI E USATA CON TUTTE LE TECNICHE
SIN DALL’ANTICHITA’.

ROSSI

MINIO (Rosso di Piombo) SI OTTIENE PER RISCALDAMENTO DEL BIANCO DI


PIOMBO A 480 °C. NON E’ MOLTO STABILE COME TUTTI I COLORI A BASE DI
PIOMBO.E’ STATO MOLTO USATO NELLA MINIATURA (Minio=miniatura)

LACCA DI GARANZA (Lacca della Robbia, Alizarina) COLORANTE VEGETALE


ESTRATTO DALLE RADICI DELL’ALIZARINA. E’ TRASPARENTE. ADATTO PER TUTTE
LE TECNICHE.

TERRE ROSSE (Ocre rosse, terra di Pozzuoli, Rosso Veneziano, Rosso Indiano, Rosso
Inglese) OSSIDI DI FERRO CHE VARIANO LA TONALITA’ A SECONDA DELLA
COMPOSIZIONE. MOLTO COPRENTI E RESISTENTI, COMPATIBILI CON OGNI
TECNICA.

BOLO ROSSO (Bolo d’Armenia) TERRA ROSSA DI OSSIDI DI FERRO, MOLTO


GRASSA CON FORTE POTERE COPRENTE. MAI USATA IN PITTURA MA COME BASE
PER LA DORATURA.

LACCA DI COCCINIGLIA ( Lacca di Carminio) LACCA DI ORIGINE ANIMALE,


MOLTO USATA NELLA PITTURA AD OLIO, MA POCO NELLA TEMPERA PERCHE’ LA
LUCE E L’UMIDITA’ LA SCOLORISCONO.

VERMIGLIONE (Cinabro) SOLFURO DI MERCURIO CHE SI TROVA IN


NATURA, MA DAL MEDIOEVO SI PRODUCE ARTIFICIALMENTE. QUELLO NATURALE
FU MOLTO USATO DAI VENEZIANI PER COLORARE I TESSUTI, QUELLO ARTIFICIALE
NELLA PITTURA AD OLIO E TEMPERA. NON E’ USATO NELL’AFFRESCO PERCHE’
POCO STABILE ALLA LUCE. MOLTO USATO DAI ROMANI

VERDI

VERDERAME (Verdigris, Verde di Grecia) SI OTTIENE ARTIFICIALMENTE


ESPONENDO IL RAME AI VAPORI DI ACETO. NON RESISTE AL CALORE POICHE’
SBIANCA, ALLA LUCE, SI ALTERA, ANNERENDO, CON ALCALI E SOLFURI.

TERRA VERDE (Ocra Verde, Ocra di Verona) PIGMENTO NATURALE A BASE


DI OSSIDI DI FERRO. MOLTO USATO COME FONDO PER LE ARGENTATURE. A BASE
DEL verdaccio COME BASE PITTORICA PER GLI INCARNATI NELLA PITTURA A
TEMPERA.

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VERDE MALACHITE (Verde azzurro, Verde di Armenia) SI OTTIENE DALLA
MACINAZIONE DELLA MALACHITE (PIETRA SEMIPREZIOSA). SCARSO POTERE
COPRENTE, REATTIVO CON SOLFURI E L’ARIA. USATO NELLA TEMPERA E
NELL’OLIO. DERIVA DALL’OSSIDAZIONE DELL’AZZURRITE.

BLU

BLU EGIZIANO (Fritta, Blu pompeiano)


E’ COMPOSTO DA SILICATI DI RAME E CALCIO CHE SI OTTIENE ARTIFICIALMENTE.
DI ORIGINI ANTICHISSIME, USATO SIN DAGLI EGIZI E DAGLI ETRUSCHI.

AZZURRO DI SMALTO (Smaltino, smalto, vetro di cobalto)


SILICATO DI POTASSIO E COBALTO OTTENUTO DALLA FUSIONE DEL VETRO CON
UN PROTOSSIDO DI COBALTO. BUONA RESISTENZA A LUCE E UMIDITA’, MENO AL
CALORE. MOLTO TRASPARENTE.

AZZURRITE (Azzurro della Magna, Ceruleo Ciprum)


CARBONATO BASICO DI RAME. TENDE A DIVENTARE VERDE (malachite) IN
PRESENZA DI UMIDITA’, MENTRE CON I SOLFURI ANNERISCE. MOLTO USATO
NELLE PITTURE MURALI IN SOSTITUZIONE DEI PIU’ COSTOSI LAPISLAZZULI

LAPISLAZZULI (Oltremare naturale, Blu d’Armenia)


DERIVA DALLA MACINAZIONE DI UNA PIETRA SEMIPREZIOSA (il lapislazzuli), MA
DAL MEDIOEVO SI INIZIO’ AD OTTENERLO ARTIFICIALMENTE PERCHE’ TROPPO
COSTOSO. E’ SEMITRASPARENTE E REAGISCE CON LA CALCE, SBIANCANDO, PER
CUI POCO USATO NEGLI AFFRESCHI. POCO COMPATIBILE ANCHE CON L’OLIO.

BLU BICE (Blu verditer)


STESSA COMOSIZIONE DELL’AZZURRITE, MA OTTENUTO CON PROCEDIMENTI PIU’
ECONOMICI, PER CUI LARGAMENTE USATO.

BRUNI

TERRA DI SIENA BRUCIATA


SI OTTIENE PER CALCINAZIONE DELLA TERRA DI SIENA NATURALE. HA LE SUE
STESSE CARATTERISTICHE MA COLORE PIU’ ROSSASTRO.

TERRA OMBRA (Naturale e bruciata)


COMPOSIZIONE SIMILE ALLA SIENA NATURALE: NELLA FORMA IDRATA DIVIENE DI
COLORE BRUNO VERDASTRO, (ombra naturale) E NELLA FORMA ANIDRA HA TONO
PIU’ ROSSASTRO (ombra bruciata). COME TUTTE LE TERRE E LE OCRE E’ COMPATIBILE
CON TUTTE LE TECNICHE PITTORICHE E GLI ALTRI COLORI.

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BITUME (asfalto, Bruno d’Anversa)
PIGMENTO NATURALE MINERALE, COMPOSTO DALLA MISCELA DI IDROCARBURI.
ABBASTANZA TRASPARENTE, USATO SIN DAL ‘400 NELLA PITTURA AD OLIO.
IL SUO IMPIEGO PUO’ CAUSARE CRETTATURE PRECOCI E PROFONDE POICHE’ NON
SECCANDO DEL TUTTO CONTINUA A MUOVERSI.

BRUNO VAN DYKE (Terra di Cassel, Terra di Colonia)


COLORANTE ORGANICO OTTENUTO DALLA DECOMPOSIZIONE DI ALCUNE PIANTE.
MOLTO TRASPARENTE.

NERI

NERO D’AVORIO (Nero d’ossa)


PIGMENTO NATURALE ANIMALE OTTENUTO DALLA CALCINAZIONE DELLE OSSA E
DELL’AVORIO. MEDIO POTERE COPRENTE E BUONA RESISTENZA FISICA E CHIMICA.

NERO FUMO (Nero lampada)


COMPOSTO AL 99% DA CARBONE. SI OTTIENE DALLA FULIGGINE DI MATERIALE
ESPOSTO ALLA CARBONIZZAZIONE DI OLII, CERE, GRASSI. CHIMICAMENTE
STABILE. USATO SIN DALL’ANTICHITA’.

NERO DI VITE
SI OTTIENE BRUCIANDO TRALCI DI VITE. SCARSO POTERE COPRENTE MA
ABBASTANZA STABILE.

COLORI RECENTI - colori sintetici

BIANCO DI ZINCO ( dal 1746 ma in uso nel XIX secolo)


PIGMENTO ARTIFICIALE A BASE DI ZINCO. MOLTO USATO IN TUTTE LE TECNICHE
PITTORICHE. ELEVATO POTERE COPRENTE E COMPATIBILE CON TUTTI I PIGMENTI.

BIANCO DI TITANIO ( in uso dal XX secolo)


CHIMICAMENTE E FISICAMENTE STABILE, SI PRESTA AD ESSERE USATO IN TUTTE
LE TECNICHE E MESCOLATO CON TUTTI I PIGMENTI.

GIALLO INDIANO
COLORANTE DI NATURA ORGANICA OTTENUTO DALLE URINE DI ALCUNI BOVINI.
COLORE TRASPARENTE, MOLTO USATO PER LE VELATURE AD OLIO.

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GIALLO DI CADMIO (in uso dal XIX secolo)
SI OTTIENE SINTETICAMENTE. MOLTO STABILE E RESISTENTE. LARGAMENTE
USATO AD OLIO, COMPATIBILE CON TUTTI I PIGMENTI, TRANNE CON QUELLI A
BASE DI RAME E PIOMBO CHE IN SUA PRESENZA ANNERISCONO.

GIALLO DI CROMO (Giallo di Parigi) ( in uso dal XIX secolo)


OTTENUTO ARTIFICIALMENTE COME CROMATO DI PIOMBO. SCONSIGLIATO
NELL’AFFRESCO POICHE’ SENSIBILE ALLE SOSTANZE ALCALINE, MOLTO USATO
INVECE AD OLIO. SI ALTERA CON I SOLFURI.

GIALLO DI BARIO (Giallo permanente) (in uso dai primi del XIX secolo)
CROMATO DI BARIO, PRODOTTO SIN DALL’ OTTOCENTO.
BASSO POTERE COPRENTE E POCO STABILE. LA LUCE LO VIRA AL VERDE.

ROSSO DI CADMIO (in uso daiprimi del XIX secolo)


SI OTTIENE SINTETICAMENTE. MOLTO STABILE. INDICATO PER TUTTE LE
TECNICHE.

ROSSO DI CROMO (in uso dopo il 1820)


OTTENUTO ARTIFICIALMENTE COME IL GIALLO DI CROMO, DI CUI HA LE STESSE
CARATTERISTICHE.

VERDE OSSIDO DI CROMO (Viridian) (in uso dai primi del XIX secolo)
OTTENUTO SINTETICAMENTE, OPACO O TRASPARENTE A SECONDA
DELL’IDRATAZIONE. STABILE E RESISTENTE CON TUTTI I PIGMENTI E LE
TECNICHE.

VERDE SMERALDO (Verde Veronese, Verde di Parigi) ( in uso dalla fine del XVIII
secolo- primi del XIX secolo)
PIGMENTO A BASE DI ARSENICO, TOSSICO. PRODOTTO SIN DA INIZI ‘800.
COMPATIBILE CON L’OLIO MA SCARSAMENTE RESISTENTE AI SOLFURI.

BLU DI PRUSSIA (Blu di Berlino, Blu Cinese) (in uso dal XVIII secolo)
ALTISSIMO POTERE COPRENTE, ABBASTANZA RESISTENTE A TUTTO TRANNE LE
SOSTANZE ALCALINE, QUINDI NON IMPIEGATO NELL’AFFRESCO.

BLU DI COBALTO (in uso dal XIX secolo)


PRODOTTO SIN DALL’800. BUON POTERE COPRENTE E BUONA RESISTENZA, USATO
IN TUTTE LE TECNICHE.

BLU DI MANGANESE (in uso daalla prima metà del XX secolo)

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PRODOTTO SINTETICAMENTE. SEMITRASPARENTE E CHIMICAMENTE MOLTO
STABILE. USATO IN TUTTE LE TECNICHE.

I LEGANTI

Pellicola pittorica = pigmento + medium

MEDIUM = legante pittorico

Il medium ha la funzione di aggregare i microgranuli del colore, creando una sostanza filmogena

Coesione = capacità di aggregazione della polvere del pigmento che è incoerente


Adesione = capacità dell’impasto di restare saldato al supporto.

L’essiccamento del legante crea il film pittorico. L’essiccamento avviene in due fasi:
1a fase: l’impasto diventa solido e secco al tatto. avviene in circa 48 ore.
2a fase: diviene completamente secco (polimerizza). può durare decine di anni.
L’essiccamento del legante ne comporta modificazioni fisiche, chimiche, meccaniche e ottiche.

La flessibilità del film pittorico: è una caratteristica meccanica che consente di assecondare i
movimenti del supporto senza determinarne conseguenze negative (screpolature, craquelure,
lesioni).

Il pigmento va miscelato in proporzioni adeguate ed equilibrate al legante:


- poco legante = scarsa adesione dei granuli del pigmento, quindi polverizzazione del colore.
- troppo legante = provoca la dispersione del pigmento, quindi film pittorico debole e secco.

Compatibilità. Il legante non deve alterarsi e non deve alterare i pigmenti, garantendo:
- resistenza alla luce
- insolubilità
- trasparenza

LEGANTI ORGANICI PROTEICI

Inizialmente solubili in acqua. Facilmente aggredibili da microrganismi in presenza di umidità.


L’invecchiamento li rende insolubili in acqua.

Colle animali
Si ottengono da pelli, cartilagini e ossa di alcuni animali, che vengono bollite e poi essiccate. il
collagene è la sostanza che gli conferisce proprietà adesive e coesive.
Il grado di purificazione determina le loro proprietà adesive e coesive. Hanno buona stabilità, ma
l’umidità può alterarle.
Vengono usate nella tempera, come medium per i colori, e nelle preparazioni dei supporti mista a
gesso.

Uovo
Il rosso è usato nella “tempera a uovo”. Il bianco nella miniatura o come fissativo nella tempera su
tavola.
Il tuorlo, essiccando, diviene insolubile in acqua. L’albume, asciugando, invece è sensibile.

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Tempi di essiccazione molto lenti, ma non si degrada con l’invecchiamento.
Buone capacità di coesione, flessibilità, stabilità alla luce (non ingiallisce).

Caseina e Latte
La caseina e’ una proteina contenuta nel latte. Viene impiegata sia nella tempera su tavola sia,
specialmente, in quella su muro. Ha scarse proprietà meccaniche: non è molto flessibile e
asciugando tende a screpolarsi.
Il latte è più stabile e resistente perché più grasso.

LEGANTI ORGANICI NATURALI

Provengono dalle essudazioni di piante. Sono miscele ottenute dal succo dei frutti e dei semi.
Comprendono gli olii siccativi e le gomme vegetali.

Olii Siccativi
Sono olii che nell’essiccare formano una sostanza filmogena. Il più importante e l’olio di lino.
L’olio di lino asciuga al tatto in 2 giorni, ma totalmente solo dopo decine di anni, per ossidazione e
polimerizzazione, trasformandosi in linossina. Per accelerarne il processo di asciugatura e per
correggere inconvenienti alla pittura, come l’ingiallimento, venivano usati dei catalizzatori, come
biacca o litargirio. L’invecchiamento lo rende stabile e solido ma ne altera le proprietà

Gomme Vegetali

Sostanze naturali prodotte dall’essudazione di alcune piante. Sono idrofile poiché solubili in acqua.
Formano un film pittorico fragile, reso più elastico aggiungendogli miele o glicerina. Vengono
usate come leganti nell’acquerello e nella miniatura al posto dell’uovo.
La più comune è la gomma arabica: derivata dall’essudazione di acacie.

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Reintegrazione pittorica
La reintegrazione pittorica, qualunque sia il tipo tecnica di reintegrazione pittorica si decida di
seguire deve essere posta su una stuccatura.
Stuccatura che deve essere realizza in caso di mancanza di colore e sottostante preparazione
imprimitura .
Per la stuccatura si procederà con l’applicazione di uno strato di gesso e colla animale.
La stuccatura va eseguita a livello dell’originale e non sottosquadro il cui dislivello produrrebbe
un’ombra del contorno e renderebbe
visibile l’integrazione.

La reintegrazione delle lacune pittoriche è


“l’intervento teso a ricreare un collegamento cromatico o cromatico e formale laddove sono
presenti lacune o abrasioni della pellicola pittorica”.
Il trattamento cromatico delle lacune prevede diversi metodo
in base alle epoche e alle scuole.
Reintegrazione a neutro
Reintegrazione imitativa a sottotono
Reintegrazione a rigatino detto “rigatino romano”
Reintegrazione ad astrazione cromatica metodo fiorentino
Reintegrazione a selezione cromatica metodo fiorentino
Reintegrazione imitativa - sconsigliata

Reintegrazione a neutro
Si intende il trattamento di grandi lacune che no è possibile ricostruire e per le quali
Si preferisce dare un colore neutro che le uniformi e le differenze dall’originale
In una unica tinta. Metodo concettualmente corretto ma che produce effetti decisamente
Non in linea con la lettura dell’opera e la sua fruizione estetica

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Reintegrazione imitativa sottotono
Prevede ove possibile la reintegrazione delle lacune grazie all’uso di tonalità più chiare (sottotono)
rispetto a quelle circostanti permettendo di individuare l’area di intervento.
Si esegue a velature di colore uniforme o a “ragatino” o a “puntianto” cioè applicando o spruzzando
colore in mille puntini accostati gli uni agli altri permettendo cosi la leggibilità dell’intervento.

Reintegrazione a rigatino detto “rigatino romano”


Tecnica messa a punto dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma,
Si tratta della reintegrazione pittorica tramite un tratteggio verticale, con colori in armoni con le
zone originali in modo si evidente ad una visione ravvicinata ma che da lontano risulti
impercettibile.
Prevede l’uso di colori ad acquarello, anche miscelandoli tra loro per la tinta e il tono giusto,
applicati per sottili tratti verticali senza cioè seguire l’andamento grafico della pellicola pittorica
originale.

Astrazione cromatica
Per superfici dipinte con grandi lacune quando non è possibile una esatta idea ricostruttiva
Al fine di chiudere la lacuna con una
stesura pittorica neutra
che colleghi la pellicola pittorica superstite.
L’astrazione cromatica consiste nell’applicazione dei colori diversi per piccolo tratteggio crea una
campitura di colore non monocromatica e non segue il verso delle pennellate originali.
L’effetto finale dei colori deve derivare dalla lettura cromatica dell’intera opera e deve essere la
somma della cromia dell’intero dipinto e la cromia finale dell’integrazione deve essere uguale in
tutte le lacune presenti nell’opera.
Astrazione cromatica non si deve accordare con le tonalità della singola lacuna e delle lacune
dell’intera opera per
restituire unita di lettura dell’opera nella sua globalità.

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Astrazione cromatica
TECNICA
Si eseguono a tratteggio di quattro colori diversi in quattro diverse stesure. La cromia finale sarà un
neutro identico in tutte le lacune ma l’orientamento del tratteggio varierà a seconda della
figurazione
Quattro stesure
- Colore giallo a stesura verticale:
molto fitto per coprire il bianco del fondo.
- Colore rosso a stesura obliqua rispetto al giallo in modo da realizzare un intreccio.
- Colore verde o blu, a stesura obliqua rispetto al rosso. La scelta del verde o del blu sarà
condizionata dalla tonalità d'insieme dell’opera: il verde per i toni
marroni, ocra e terrosi; il blu per una vibrazione cromatica all’azzurro, algrigio e ai rossi.
- Colore nero , quale ultima stesura, inclinata rispetto al verde o blu.

Selezione cromatica.
Tecnica di reintegrazione di lacune localizzate di
sicura interpretazione figurativa.
Operazione piuttosto complessa che prevede tramite piccolissime pennellate, stese in riprese
successive una accanto all’altra di tutti i colori presenti nell’opera
in tutte le sue componenti cromatiche.
La composizione dell’insieme della piccole pennellata è realizzata per effetto ottico di chi guarda in
una uniformità di lettura:
Cosi mentre da vicino si noteranno tutti i colori utilizzati singolarmente a distanza la reintegrazione
sarà perfettamente ricomposta nella integrità della figurazione.

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Selezione cromatica
TECNICA
Prevede l’uso di colori puri selezionati in base al tono della parte originale superstite da ricostruire.
con tre stesure
Successive:
- prima il colore più chiaro
- colore intermedio
- colore scuro
Si procede dalla tonalità più calda a quella più fredda.
La reintegrazione che verrà eseguita con piccole pennellate che devono seguire l’effetto grafico
originale: orizzontale per
una cornice, una base; verticale per i fondi piani; obliquo per una piega; curvi per esempio volti e
decorazioni come aureole.

ASTRAZIONE CROMATICA
SELEZIONE CROMATICA

La differenza tra la selezione cromatica e il rigatino romano è che il tratteggio con il metodo
fiorentino
- segue l’andamento delle pennellate originali
- il colore deve avere una «identità di effetto» con quello
originale pur essendo eseguito con colori puri accostati.

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Reintegrazione
imitativa -
Detto anche “restauro
mimetico”.
Intervento di
reintegrazione che non
permette
di distinguere le parti
originali
da quelle restaurate.

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LE VERNICI

La vernice è uno strato sottile, trasparente e incolore, applicato sulla superficie pittorica.
La sua funzione principale è la protezione del colore dagli agenti esterni.

- sono miscele composte da più sostanze, specialmente resine, olii, cere.


- hanno anche funzione estetica, poiché ravvivano i toni cromatici e la brillantezza dei colori.

-VERNICI OLEORESINOSE:
Composte dalla mescolanza di resine naturali e olio di lino cotto.
Essiccata divengono irreversibili e insolubili.
L’invecchiamento determina la perdita di brillantezza, opacizzando i colori sottostanti.

-VERNICI A SOLVENTE:
Composte da sostanze volatili (solventi) e resine naturali o sintetiche.
L’essiccamento avviene per evaporazione del solvente.
Formano una pellicola elastica, sottile e solubile in qualsiasi momento con lo stesso solvente.
Con il tempo perdono flessibilità e si sgretolano, ingialliscono.

Le resine più usate per la preparazione di vernici sono la MASTICE e la DAMMAR.


Possono essere applicate a spruzzo, pennello, tampone.

RESINE NATURALI
Di natura vegetale: per essudazione delle piante.
Sono insolubili in acqua e solubili in solventi organici.
Formano film con alte proprieta’ adesive e coesive.
L’ossidazione genera l’ingiallimento.

TREMENTINA VENETA: dalle conifere.

ESSENZA DI TREMENTINA:dalla distillazione della trementina veneta. Usata come solvente di


resine, diluente di olii.

DAMMAR: si scioglie facilmente nei solventi organici. forma un film sottile e poco resistente. Non
ingiallisce, buone proprieta’ adesive.

MASTICE: simile alla Dammar.

ALTRE VERNICI:

COLOFONIA O PECE GRECA: dalle secrezioni dei pini. Fonde a basse temperature. forte
tendenza ad imbrunire.

SANDRACCA: dalle conifere. simile alla colofonia. Film duro e brillante.

COPALI: resine dure, fossili. insolubili in molti soventi. formano film duri e brillanti. Molto usate
anticamente nelle vernici finali. Scuriscono molto e screpolano.

GOMMALACCA: di origine animale. solubile in alcool. Molto usata come vernice per i legni e le
dorature antiche, come fissativo nelle pitture murali. Ingiallisce molto.

70
SCULTURA IN METALLO
Gli esempi più antichi e quelli più diffusi in età medievale sono rappresentati da manufatti eseguiti
con la tecnica detta “a lavorazione diretta”:
- L’opera viene realizzata martellando e/o sagomando delle lamine metalliche su un matrice in
legno già scolpita ed in molti casi già perfettamente rifinita in ogni particolare.
- Durante le fasi di lavorazioni di sagomatura, le lamine necessitano di “ricotture” per
restituire elasticità al metallo e proseguire con ulteriori interventi di modellazione.
- Le lamine vengono assemblate con saldature dello stesso metallo, ma con punto di fusione
più basso grazie alla differente composizione della lega metallica utilizzata.
- Le lamine, se di determinato spessore (autoportanti), possono anche essere montate tra loro
senza più bisogno di un supporto interno.
- In alternativa poteva essere impiegata una più antica tecnica che prevedeva di unire le
lamine tra loro su una struttura portante, per mezzo di vincoli (chiodi, perni, rivetti).
- I particolare decorativi vengono eseguiti successivamente a con ceselli e bulini

Manufatti in leghe di rame

Bronzi e ottoni

Il termine bronzo è riferito alla lega binaria rame-stagno.


Le lega binaria rame-zinco è denominata ottone

Il RAME, metallo estremamente versatile, ed impiegato fin dalla preistoria trovandosi


bbondantemente e facilmente in natura.
Lucente dal tono rosso caldo, malleabile e resistente agli agenti atmosferici (se non inquinati).
Fonde a temperatura molto alta 1083° C. purtroppo ha grado di fluidità molto ridotto: ciò ha
condizionato la sua utilizzazione per es. per colatura in stampi.

Viene per tale ragione, anche se utilizzato per tecniche come la “cera persa” miscelato con altri
metalli detti “metalli bianchi” per abbassare il punto di fusione e per permettere una maggiore
lavorabilità.

BRONZO

La lega di rame e stagno è detta Bronzo

- Aumentando la percentuale di stagno si ottiene maggiore fluidità ma al contrario minore


lavorabilità a freddo: rifiniture per i particolari decorativi.
Con aggiunta di 10% stagno il punto di fusione scende a 1000°C, con il 20% a 900°C.
- Aumentando la percentuale di rame si ottiene grande possibilità di lavorazioni a freddo ma una
pessima resa dei particolari al momento del colata: essendo il rame poco fluido non si adatterà al
meglio alla matrice.
La scelta della composizione sarà calibrata rispetto allo scopo ultimo della realizzazione del
manufatto.

La migliore composizione metallica prevede per il Rame 92-99 % e per lo Stagno 1-8%.
Altri metalli in lega sono Zinco e il Piombo in percentuali variabili.

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Composizione nella storia
La composizione del bronzo variò moltissimo nelle epoche.
Bronzi preistorici e pre-classici : rame attorno al 95%
Bronzi classici ed ellenistici: rame attorno al 95-90%
Bronzi romani: rame anche con valori inferiori al 80%
(Si inizia a introdurre una alta percentuale di Piombo: caratteristica che sarà costante in tutto il
medioevo. Il Piombo rende il manufatto più pesante ma la lega molto più fluida e, se introdotta in
grosse percentuali, incupisce la colorazione)

ESEMPI
Colosso di Barletta: rame 67%, Piombo 29%, Stagno 4%
Porte di Hildesheim (1015): rame76%, piombo 10%,stagno 8%, zinco 4%.
San Pietro di Arnolfo: rame 72%, stagno 20%, piombo 5%

Nel Rinascimento la composizione torna ad essere con percentuali di rame attorno al 90% e di
“metalli bianchi” attorno al 10%.

Altre caratteristiche

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Aumentando la percentuale di stagno, il bronzo indurisce ed acquista caratteristiche di sonorità: con
percentuali superiori al 20% si producono tutt’oggi le campane.
Tale produzione fu di particolare importanza nel medioevo, in quanto solo i campanari permisero la
sopravvivenza di conoscenze tecnologiche tali da essere dopo anno 1000 sfruttate per tornare a
produrre manufatti decorativi in leghe di rame.
Le differenti percentuali di “metalli bianchi”, influenzano il colore della lega: più il manufatto è
realizzato in rame quasi puro più sarà di colore caldo tendente al rosso;
Maggiori sono le percentuali di stagno, zinco, piombo più il manufatto acquisterà toni chiari
tendenti al bianco lucente

OTTONE

La lega di Rame e Zinco è detta Ottone


L’Ottone presenta caratteristiche di minore fragilità e ottima fluidità: è quindi più adatto ad essere
colato i matrici sottili con risparmio di materie prime.
Il colore è molto simile all’oro brillante e presenta un’ottima resistenza agli agenti atmosferici,
conservando così caratteristiche estetiche.
La percentuale di zinco può superare il 40% conservando la caratteristica colorazione dorata.
Lo zinco, ancora in tutto il Rinascimento, non era conosciuto come metallo puro ma solo come
prodotto di alcuni composti come il minerale di zinco detto Giallamina o Calamina. L’ Ottone era
quindi considerato non una lega di due metalli, ma una miscela tra rame ed un colorante che dava
caratteristico colore giallo-oro.
Venne usato soprattutto nelle cultura mussulmana, ma anche bizantina, nel Rinascimento italiano in
ambito veneziano, ma soprattutto nei Paesi Bassi.

REALIZZAZIONE DI MANUFATTI PER FUSIONE


La tecnica di fusione prevede molte varianti, quattro sono i metodi principali
- FUSIONE PIENA (es . la fusione ad “osso di seppia”)
- FUSIONE A CERA PERSA DIRETTA
- FUSIONE A CERA PERSA INDIRETTA
- FUSIONE A STAFFA

1) FUSIONE PIENA
Tecnica in uso per le oreficerie e per piccoli manufatti in bronzo in quanto si impiega molta materia
prima.
Il manufatto che si vuole ottenere si realizza in cera o in altro materiale; si crea una matrice in
argilla; si cuoce per l’eliminazione della cera.
Si riempie lo spazio precedentemente occupato dall’originale in cera con metallo fuso; si spacca la
matrice in terracotta.
Inconveniente è che si ottiene una sola copia e se la fusione è errata si perde il lavoro originale

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2) FUSIONE A CERA PERSA DIRETTA
Tecnica molta antica ma ben illustrata da Cellini nel Trattato della Scultura e nel Vita per il Perseo.

Si inizia modellando, con una struttura interna di rinforzo in metallo, una figura sommaria più
“magretta un dito” in materiale refrattario: abbozzo, detto Anima o Maschio, realizzato con Luto:
composto da creta, sterco, cimatura di panni, paglia, urina, tutto fatto macerare per mesi in acqua. Il
composto deve essere facilmente modellabile; non crepare in fase di asciugatura; poroso;
permeabile a aria e gas di cottura.

L’Anima si fa essiccare e si cuoce.

Si copre l’Anima di uno strato di cera (cera vergine, trementina e grasso) dello spessore che
s’intende dare al manufatto. Si modella sin nei più minuti particolari.
Si ricopre l’opera in cera di una “Camicia di luto”, molto sottile e simile a quello precedentemente
usato, che si applica prima a pennello con aggiunta di albume e, dopo perfetta essiccazione, in più
strati fino allo spessore di un dito.
Il primo strato, Camicia, si ricopre con spessori più grossolani di Luto, ottenendo la Cappa, o forma
esterna, che si irrobustisce con filo di ferro o cerchi in ferro.
Si essicca.
Si cuoce il tutto in modo di irrobustire gli strati esterni ed eliminare la cera:
lo spazio interno rimasto vuoto verrà riempito dal metallo, Colata, che prenderà esattamente la
forma della cera ossia dell’opera finita in ogni particolare.
Prima della camicia si applicano delle barrette di cera o di legno di sambuco, secondo modi e
tecniche dettate dalle necessità e dall’esperienza:
detti “Scolatoi” e necessari a far uscire la cera da ogni interstizio,
detti “Getti di colata” per colare il bronzo fuso,
detti “Sfiatatoi” per far uscire i gas che si sprigionano in cottura.

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Si applicano inoltre i “chiodi distanziatori” in ferro o, meglio ancora, in bronzo, al fine di bloccare e
rendere solidali l’anima interna e la camicia esterna. Questi resteranno bloccati nel bronzo
nell’opera finale. In genere se in ferro vengono rimossi e il foro ottenuto viene chiuso con una
fusione di bronzo “bassofondente”. Nel caso di utilizzo di chiodi in bronzo tale operazione non è
necessaria.
La forma chiusa nella “Cappa”, cerchiata di metallo, deve essere interrata e la colata del metallo
deve avvenire in breve tempo in modo che il refrattario “Luto”, non assorba umidità e quindi non si
spacchi in fase di fusione.
Raffreddata la colata si rimuovono, distruggendole, la Cappa e la Camicia, si tagliano i vari canali,
si svuota l’interno dall’Anima e si passa alle rifiniture.
Riparazioni, saldature, rimozione dei “chiodi distanziatori”.
I “getti” grezzi di fusione appaiono di colore scuro e grumoso e dalle superficie resa irregolare da
“bave di fusione”; necessitano di lente meticolose “operazioni finali”di levigatura, lucidatura,
cesellatura, bulinatura e doratura (ad “amalgama” diretta o “a contatto”).
La realizzazione di una statua prevedeva numerose fusioni distinte per differenti porzioni della
figura: testa, braccia, busto, gambe.
Le parti, sempre “aperte” almeno su un lato, potevano essere svuotate dalla camicia interna.

La realizzazione poteva presentare “errori di fusione”: il bronzo liquido non raggiunge tutte le parti,
lo spessore è irregolare con porzioni troppo sottili e\o fori e mancanze.
Le parti di spessore non idoneo vengono eliminate, in genere con tagli regolari piani a formare
figure geometriche poligonali. Tali mancanze vengono risarcite con “tasselli”: lastre di bronzo
precisamente sagomate, fuse a parte, assemblate all’opera ad incastro o con saldature localizzate.
Le porzioni che costituivano la figura nella sua completezza ( testa, braccia, gambe etc) si
assemblavano successivamente per mezzo di saldature in bronzo “bassofondente”: lega più ricca di
stagno e facilmente colabile.
Le saldature venivano nascoste durante le operazioni finali di levigatura e lucidatura delle superfici.
In età rinascimentale il metallo lucente veniva patinato per fargli assumere colorazioni brune,
verdastre o nere.
La patinatura artificiale era una sorta di dipintura con cere, bitume, grassi con pigmenti o ottenuta
grazie a reazioni chimiche provocate con l’uso di acidi (nitrico) o di ammoniaca (urina).
Le porzioni che costituivano la figura nella sua completezza ( testa, braccia, gambe etc) si
assemblavano successivamente per mezzo di saldature in bronzo “bassofondente”: lega più ricca di
stagno e facilmente colabile.
Le saldature venivano nascoste durante le operazioni finali di levigatura e lucidatura delle superfici.

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In età rinascimentale il metallo lucente veniva patinato per fargli assumere colorazioni brune,
verdastre o nere.
La patinatura artificiale era una sorta di dipintura con cere, bitume, grassi con pigmenti o ottenuta
grazie a reazioni chimiche provocate con l’uso di acidi (nitrico) o di ammoniaca (urina).

3) FUSIONE A CERA PERSA INDIRETTA


Tecnica particolarmente in uso in età romana che permette di realizzare molte copie da un originale.
Tecnica molto vicina a quella usata per i Cavalli di San Marco.
Il metodo è descritto sia da Biringuccio nel libro della Pirotecnica, sia da Cellini nel Trattato della
Scultura.
Si realizza l’opera in argilla, gesso, legno, marmo, cera.
L’opera è rifinita in tutti i particolari.
Tutte e superfici vengono spennellate di un materiale grasso (olio, sego, grasso) e sottili fogli di
stagnolo, argento, oro per permettere un distacco perfetto del gesso che verrà applicato per
realizzare numerose matrici negative di porzioni dell’opera, detti “Tasselli”, con i quali si realizza
un calco completo dell’opera.
I tasselli sono in gesso e sono componibili tra loro per mezzo di incastri sul lato non interessato
della forma dell’opera.

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I tasselli assemblati vengono spalmati nel lato interno di cera liquida alla quale viene applicata cera
in fogli fino a raggiungere lo spessore che si desidera per l’opera.
Per opere di piccole dimensioni si cola direttamente la cera all’interno.
Si ricompone il tutto facendo ben cura di saldare i vari fogli di cera tra loro.
L’interno della statua è riempito di materiale refrattario: “Luto”.
Si liberano le cere e si montano gli sfiatatoi, i gocciolatoi, i canali di colata e quindi si procede
come già illustrato con la tecnica a “Cera Persa Diretta”.
Il vantaggio di tale tecnica, ben più complessa, è che si possono ottenere innumerevoli copie di un
originale.

4) FUSIONE A STAFFA o A SABBIA


Tecnica molto semplice ottenuta senza uso della cera.
Il modello originale si imprime su una superficie morbida costituita da sabbia, o sabbia e argilla, o
gesso morbido.
La pressione riproduce il modellato realizzando una matrice negativa.
La matrice viene riempita di argilla realizzando così una copia fedele dell’originale.
La copia viene assottigliata, sul lato riproducente l’opera, tanto quanto sarà lo spessore che
s’intende ottenere per la copia in metallo.
Accostando nuovamente le due parti tra loro avremo uno spazio vuoto che verrà riempito di metallo
fuso.
Inconveniente: con questa tecnica si possono realizzare solo opere semplici, in quanto sculture a
tutto tondo necessitano di moltissimi porzioni da assemblare con saldature e tasselli. Inoltre la
fedeltà all’originale non è buona.

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CONSERVAZIONE DEI MANUFATTI BRONZEI

Per analizzare le caratteristiche conservative dei manufatti bronzei bisogna tener presente:
1. Natura della lega e dei minerali che la compongono
2. La fusione ed il metodo di lavorazione del manufatto
3. Tasselli e saldature originali e successive
4. Natura e stato delle superfici (corrosioni)
5. Manutenzione

Tutto ciò in vista delle tre necessità da risolvere per la sua conservazione:
1. Bloccare la corrosione
2. Eliminare l’umidità
3. Creare una barriera tra il manufatto e l’ambiente circostante sempre inquinato

Approccio allo studio dei manufatti metallici

-visivo
-fisico
-chimico

Una prima grande trasformazione dei tre aspetti-caratteristiche di manufatti in leghe metalliche si è
avuta con la rivoluzione industriale ed il deterioramento dell’ambiente
L’anidride solforosa condiziona in modo determinante la conservazione. La relazione tra la
presenza di tale sostanza nell’aria e la conservazione dei metalli fu evidenziata già nel 1800 a
Berlino.

METALLI: PROPRIETA’ E STRUTTURA

- Elevata densità: pesanti


- Elevato punto di fusione: resistenti al calore
- Elevata lucentezza: riflettono la luce
- Elevata o buona resistenza meccanica: molto duri o discretamente duri

Ciò è determinato dalla loro struttura cristallina.

Leghe metalliche
“miscela” di più metalli tra loro al fine d’ottenere un composto con caratteristiche chimico-fisiche
corrispondenti alle specifiche necessità nella realizzazione di un manufatto

Tre metodi di “miscelazione”:


- Sostituzione: ottoni
- Sostituzione parziale: bronzo
- Interposizione: acciaio

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Omogeneità della lega condiziona la conservazione del manufatto.
Le leghe non hanno struttura cristallina perfetta: le irregolarità si dicono “dislocazioni”: dalle
dislocazioni possono determinarsi fenomeno chimico-fisici di degrado.

I Bronzi
Lega metallica di Rame, Stagno, Zinco, Piombo in percentuali variabili.

Se le componenti del bronzo non sono ben proporzionati, la lega diventerà cattiva con
caratteristiche negative: troppo dura o troppo morbida

Fasi di formazione
1. Struttura dendridica
2. Raffreddamento lento
3. Struttura poligonale
4. Struttura poligonale con lavorazione meccaniche
5. altre

Corrosione
Tutti i manufatti metallici sono soggetti a corrosione: insieme delle interrelazioni chimico-fisiche
tra il materiale metallico e l’ambiente circostante.

Esistono due classi di corrosione:


1. Elettro-chimica. Esclusiva dei metalli: avviene in presenta di acqua ed ossigeno. SI CREA
UNA CORRENTE ELETTRICA TRA DIFFERENTI METALLI E/O DIFFERENTI
PUNTI DI METALLI
2. Chimica. Di tutti i materiali: avviene in assenza di elettrolisi.

Anche la formazione di UNA PATINA NOBILE è un fenomeno di corrosione dovuto a processi


naturali. Il metallo torna minerale; ad esempio per il bronzo si formano le patine di malachite (verde
intenso e brillante) e di azzurrite (azzurro-blu intenso e brillante)

Cinque differenti tipi e gradazioni di corrosione: SCALA DI OSSIDAZIONE

1. I metalli restano inalterati: METALLI NOBILI NON SI CORRODONO


2. I metalli si stabilizzano: PASSIVIZZANO dopo breve ed uniforme corrosione (es: acciaio
inox oppure alluminio ma solo in ambienti non inquinati)
3. Metalli che si corrodono in modo DECRESCENTE CON FORMAZIONE DI UNA
PATINA PROTETTIVA (es. bronzo ma solo in ambienti non inquinati)
4. Metalli che si corrodono in modo COSTANTE: (es. ottone e bronzo in area inquinata)
5. Metalli che si corrodono in modo ESPONENZIALE ( es. acciaio in area inquinata)

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LA CORROSIONE È PROVOCATA E/O ACCELLERATA DA:
- Accoppiamento di 2 metalli con diversa posizione nella “scala di ossidazione” dal più nobile
al più volgare
- Aerazione differenziata: zone con maggiore o minore scambio o contatto con aria e quindi
con ossigeno
- Superfici disomogenee: irregolarità di fusione, successive creazioni di lesioni o fratture
dovute a fenomeni traumatici o a costanti fenomeni di indebolimento della struttura come a
sollecitazioni quali vibrazioni.
- Presenza di prodotti di corrosione già formati quali ad es.:
o La presenza di sali solubili
o Di ioni specifici: ioni cloro, ioni zolfo
o Di prodotti e derivati dalla aria inquinata: particelle carboniose che agiscono come
una spugna assorbendo umidità e prodotti inquinanti
o Di acidi dispersi nell’aria e /o prodotti con la combinazione dell’acqua

Prima classe di corrosione: Reazione elettrolitica


Necessità di Acqua e di Ossigeno

Reazioni preliminari: Ossigeno si trasforma in ione ossidrile liberando cariche “+”.


Le superfici metalliche verranno ed essere interessate da puntiformi creazioni di zone con cariche
“+” e zone per differenza con cariche “-”.
LA DIFFERENZA DI CARICA PORTA ALLA CREAZIONE DI CORRENTI ELETTRICHE
facilitate dalla presenza dell’acqua (umidità atmosferica).

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PATINA
STRATO NON METALLICO MA MINERALE
Definizione: è un tipo di incrostazione stabile in condizioni normali di temperatura e di umidità;
è tanto più protettiva quanto è dura e compatta;
ha un aspetto piacevole in relazione ai minerali che la compongono.

ELENCO DEI PRINCIPALI MINEALI STABILI CHE COMPONGONO LA “PATINE NOBILI”


DEL BRONZO:
- Tenorite: ossido rameico CuO
- Cuprite: ossido rameoso Cu2O
- Malachite: carbonato basico di rame Cu2(OH)2CO3
- Azzurrite: carbonato di rame Cu3(OH)2(CO3)2
- Nantochite: cloruro rameoso CuCl (cloruro diverso da quello dannoso che vedremo in
seguito)

a) Schema di patina stabile – b) processo di corrosione attiva

Seconda classe di corrosione: reazione chimica


Condizioni non ottimali di conservazione provocano la trasformazione sia del metallo, sia delle
“patine nobili” appena indicate con la :
Formazione di prodotti non stabili, detti “prodotti di corrosione” derivati dall’alterazione della
naturale composizione del metallo
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Sono in genere composti a base di rame e cloro e di rame e zolfo.

CLORO e ZOLFO
I processi di corrosione più diffusi sono legati alla completa dissoluzione della patina nobile in
quanto il processo è legato al Cloruro Rameoso.
Alla più drammatica relazione tra la patina e l’ambiente acido (inquinamento) con il quale si crea un
meccanismo esterno alla patina ed il prodotto d’aggressione è costituito dalla Anidride solforica
SO2 e Anidride solforosa SO3.

Azione di corrosione del cloruro rameoso


La corrosione da cloruro rameoso, detta PITTING, è da considerarsi la più dannosa per le patine.
Il cloro è presente in ambiente inquinato soprattutto in zone marine: sale marino→ cloruro di sodio.
A causa della forte umidità, in alcune ore o momenti del giorno (più freddi: all’alba), oppure con
umidità costante per lunghi periodi dell’anno, si ha il fenomeno di trasformazione di prodotti del
metallo contenuti nella patine che tendono a passare dallo “stato solido” allo “stato solubile”,
migrando in superfici e attraverso i capillari.

Corrosione ciclica ed esponenziale


Il cloruro rameoso già presente nel metallo, anche in piccole quantità, a contatto con acqua forma
due composti: uno dei quali stabile, la Cuprite, ossido rameoso, ed uno fortemente dannoso quale
acido cloridrico.
Acido cloridrico si combina con nuovo rame e l’ossigeno dell’aria a formare nuovo cloruro
rameoso.
Tale meccanismo molto semplice e veloce può in breve tempo trasformare tutto il rame in un
prodotto di corrosione.
Ancora più grave il meccanismo che tale composto provoca bucando la patina e asportando i
composti di cloro in superficie con la formazione di polvere verde chiara, in forma di tanti piccoli
puntini.

I più diffusi prodotti di corrosione a base di cloro sono:


Il cloruro di rame ed il cloruro di rame idrato
La paratacamite: ossicloruro rameico Cu2(OH)3 Cl
L’ atacamite: ossicloruro rameico Cu2(OH)3 Cl

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Azione di corrosione dei composti di zolfo
Lo zolfo è presente nell’atmosfera inquinata sotto forma di anidride solforosa e anidride solforica;
tali composti sono entrambi prodotti dall’azione dei motori a scoppio e delle industrie, ma anche
presenti in natura vicino a terme o zone vulcaniche.
Anidride solforosa e anidride solforica presenti nell’aria con l’umidità ambientale si trasformano in
acido solforico, che condensa sulle superfici in alcune ore del giorno.
Più elevato il tasso dei due composti nell’aria più concentrato ed acido sarà il velo deposto sulle
superfici.
Fenomeno detto “acidificazione del bronzo”.

L’acido discioglie da prima le patine, spesso costituite di carbonati di rame, ed in seguito trasforma
il rame in sostanze facilmente solubili e polverose come:
- brocantite: solfato basico di rame, verde chiaro azzurro
- calcocite: solfuro rameoso, nero
- covellite: solfuro rameico, nero-blu
- solfato penta idrato di rame , verde chiaro molto solubile.

Tutti i composti di zolfo tendono ad essere molto solubili ed essendo sali superficiali, sono molto
igroscopici tendendo, in presenza di umidità, ad assorbire e conservare sulla superficie sempre
maggiori quantità di acido solforico.

Il processo è esponenziale ed una volta innescato è molto veloce ed aggressivo.


A differenza del cloruro di rame che buca il manufatto deteriorandolo in senso verticale, i composti
di zolfo tendono a distruggere il manufatto sciogliendolo in senso orizzontale: assottigliando l’intera
superficie.

L’aspetto è quello delle statue all’aperto quasi completamente ricoperte di una strato verde chiaro
che con la pioggia percola sulle superfici sottostanti (piedistalli, muri, balaustre)

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SCHEMA BASE DEL RESTAURO DEI BRONZI ALL’APERTO

- rimozione polveri e depositi di varia natura: guano, semi, nidi d’inetti, croste nere
- rimozione depositi calcerei nel caso di fontane
-rimozione meccanica Sali solubili
-lavaggi intensivi con acqua demineralizzata ( e misurazione dei sali solubilizzati)
- disidratazione
-trattamento di inibizione di corrosione del rame
- protezione superficiale con resine acriliche
- protezione superficiale con cere microstalline

Con la presenza di parti in ferro necessita di


-pulitura meccanica
- trattamento con tannini di riconversione degli ossidi di ferro
- impermeabilizzazione/sigillatura con resine epossidiche pigmentate
- protezione superficiale

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OREFICERIE
ORO

1) Presente nella litosfera allo stato nativo in


- cristalli arborescenti
- sottili lamelle
- aggregati filiformi
- pagliuzze e noduli irregolari (pepite) nelle sabbie dei fiumi.

2) giacimenti
-rocce silicee
-quarzo d’origine idrotermale associato a solfuri, pirite etc.

3)derivato da lavorazione:
- si ricava come residuo di lavorazione d’altri minerali metalli: argento, piombo, rame e nichel

Trovandosi in natura come “metallo” contiene sempre delle impurita’ di:


- Argento: con una percentuale variabile dal 3% al 45%
(valori di argento in lega superiori al 40% danno luogo all’elettro naturale, di colore
argenteo o con tonalità tendenti al verde chiaro)
- Rame: con una percentuale variabile dal 0,1% al 5%
- di altri metalli.

A causa della scarsa durezza, è utilizzato in lega con altri metalli : argento, rame, nichel, zinco
Lega ORO-RAME: colorazione rosata detto oro-rosso
Lega ORO-ARGENTO: colorazione argentea-verdestra detto “elettro”
Lega ORO-PLATINO, ORO-NICHEL: colorazione bianca detto oro-bianco

la misura della purezza dell’oro nei manufatti si misura in carati “K”


• Oro puro: corrisponde a 24 K
• Oro in lega al 75%: corrisponde a 18 K
• Oro in lega al 58,3%: corrisponde a 14 K

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ARGENTO

1) Presente nella litosfera allo stato nativo è molto raro


- cristalli distorti
- aggregati filiformi

2) Giacimenti
- piombo argentifero
- come: solfuri d’argento “argentite” di colorazione nera lucida
- come: cloruro d’argento “luna cornea” di colorazione biancastra-grigia

3) Derivato da lavorazione:
- si ricava con un processo di lavorazione detto “coppellazione” dal piombo, dal rame.

Trovandosi in natura come “metallo” contiene sempre delle impurità


- Oro: con una percentuale variabili
(valori di oro in lega superiori al 60% danno luogo all’elettro naturale, di colore argentee o con
tonalità tendenti al verde chiaro)
- Rame: con una percentuale variabile
- altri metalli

Proprieta’ fisico-chimiche:
▪ simbolo: AG
▪ punto di fusione: 961° c.
▪ punto di ebollizione: 1955° c.
▪ cristallizzazione cubica ma in genere si trova in aggregati dendritici
▪ colore: bianco metallico lucente
▪ poco più duro dell’oro
▪ estremamente malleabile e duttile:
(ridotto in fogli di spessore di 3μ oppure in fili dal peso di 0,5 μgr/m)
▪ alta densita’ (10,50 g/cm ) sebbene minore dell’oro
▪ scarsa reattivita’ agli acidi e agli alcoli
▪ alta reattivita’ allo zolfo
▪ scioglie in acido nitrico

A causa della scarsa durezza è utilizzato in lega con altri metalli: oro, rame, nichel, zinco

Lega ORO-ARGENTO: colorazione argentea-verdestra, detto “elettro”

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TECNICHE DI LAVORAZIONE

Tecniche di lavorazione di oro e agento al fine ri realizzare un manufatto artistico:

1. FUSIONE
o Piena
o A cera persa ( vedi paragrafo bronzo)
o Indiretta ( vedi paragrafo bronzo)

2. LAMINAZIONE
o Lamine
o Foglie

La realizzazione di lamine si otteneva in due fasi


1) La Fusione
2) La Battitura

Di preliminare importanza era la “composizione del titolo” della lega metallica al fine di ottenere
una materia prima dalla buona duttilità e malleabilità.
All’argento puro venivano aggiunte percentuali di rame.
La Fusione: il metallo era fuso a circa 960 gradi in crogioli di grafite e colato in stampi lunghi e
stretti a formare delle barrette,che venivano cotte nuovamente a basse temperature per dare
maggiore coesione alla lega.

La Battitura: si battevano le lamine per assottigliarle fine allo spessore voluto. Di volta in volta
si passava alla ricottura.

La realizzazione di lamine molto sottili : le Foglie

• La laminazione dell’oro, meglio conosciuto come “foglia d’oro”, veniva realizzata partendo
da piccoli grumi, frammenti di metallo, pepite oppure da monete.
• La foglia è realizzata per martellatura.
ancora oggi per ottenere spessori veramente sottili si lavora a mano su fogli di spessore di
25 millesimi di millimetro.
o frammenti di lamine più spesse vengono alternati a strati di pelle di vitello
o la pelle assorbe i colpi ed evita d’alterare le lamine
o la battitura avviene con martello a testa molto larga su un incudine in legno
o dilatandosi la lamina aumenta di dimensioni e le parti che fuoriescono dalla pelle
vengono eliminate
solo a questo punto
o si sfilano i fogli con speciali pinze in legno di bosso.
o le foglie vengono tagliate in quattro quarti
o le porzioni vengono poste nuovamente tra strati di pelle
o si ripete l’operazione fino allo spessore voluto
Plinio riferisce che con un’oncia (circa g. 27) si potevano ricavare più di 750 foglie d’oro, ciascuna
di circa 16 cm2.

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TECNICHE DI REALIZZAZIONE DI UN MANUFATTO

▪ Sbalzo
▪ Punzonatura
▪ Stampigliatura
▪ Cesellatura e Bulinatura

SBALZO
Strumenti
Lo “sbalzo” necessita di numerosi strumenti quali:

▪ almeno due ceppi in legno (di nespolo e di castagno) dalla superficie piana usati
come incudini;
▪ alcune morse di differenti misure;
▪ pinze e forbici a taglio dritto e a taglio ricurvo,
▪ martelli dalla testa arrotondata di differenti diametri;
▪ un “imbottitore” supporto in legno duro a forma di “L” con un’estremità
arrotondata;
▪ infine “profilatori”: scalpellini in ferro lunghi circa dieci centimetri e con la
punto di circa un centimetro;
▪ punteruoli in ferro dalla testa arrotondata;
▪ inoltre una fonte di calore continuo.

Lavorazione della lamina


• La lamina viene martellata partendo da una lastra piana realizzata in metallo quasi puro.
• La purezza della lega permette di sfruttare al meglio alcune caratteristiche dell’argento quali
la maggiore duttilità e malleabilità, necessarie per eseguire con una sola lamina immagini
con aggetti di alcuni centimetri.
• Le lamine devono essere di dimensioni proporzionali al rilievo da realizzare (in genere
spessori tra i due e i cinque millimetri in relazione all’aggetto che si intende raggiungere).
• Sulla lamina s’incide il disegno con i punteruoli e i profilatori, si ritaglia il profilo simile al
soggetto realizzato e si passa alla prima “ricottura” della lamina.
• Ad ogni lavorazione meccanica la lamina necessita di nuova ricottura.
• I colpi subiti modificano artificialmente la struttura dei cristalli del metallo che “incrudisce”
e diviene estremamente fragile e delicato.
• Le successive “ricotture” restituiscono coesione alla struttura cristallina ripristinando la
capacità di tenuta e la malleabilità.
• La lamina inizia a essere lavorata sul retro ove è evidente l’incisione del disegno.
• Si procede dal centro verso i bordi, con colpi con il martello “a palla” su supporto in legno
di nespolo, più duro.
• Si passa al supporto in legno di castagno, più morbido.

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• I ceppi, costituiti da due rocchi presentano la superficie non piana, ma con numerosi
avvallamenti di differenti profondità e diametri, utilizzati per realizzare le curvature
desiderate.
• La lavorazione avviene sia sul lato anteriore sia sul lato posteriore in base alla necessità,
previa ogni volta “ricottura” della lamina.
• Le successive, lievissime ed estremamente graduali modificazioni plastiche, alterano le
superfici della lamina in relazione al progetto finale.
• L’estrema perizia degli orafi permetteva di mutare anche di vari centimetri la convessità
delle lamine senza incrinature né lesioni.
• Curvature e deformazioni più accentuate e minute erano ottenute battendo le lamine su un
piccolo martello a palla, fissato ad una morsa con funzione d’incudine, con un secondo
martello a palla.
• Con tale procedimento si otteneva circa l’80% della realizzazione desiderata.
• Il lavoro era ultimato con la cesellatura al fine di ottenere particolari minuti e aggetti con
angoli più acuti.
• Durante tali lavorazioni le lamine venivano più volte “ripulite” dagli ossidi che si formavano
sulle superfici a seguito delle varie ricotture. La pulitura era realizzata con lavaggi in
sostanze acide

FOTO VARIE

Ceselli Bulini Incisioni

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PUNZONATURA

Riproduzione di un motivo decorativo con l’ausilio di punzoni

• I punzoni sono barre in ferro o in bronzo alla cui estremità è stata incisa le decorazione che
s’intende riprodurre.
• Il punzone veniva appoggiato alla superficie della lamina e percosso con un colpo secco e
preciso di un martello (in metallo o in legno).
• La lamina era “preparata” a ricevere i colpi rinforzando la superficie esterna con uno strato
di pece o di pece e cera.
• I punzoni presentano disegno molto semplice
▪ linee
▪ semicerchi
▪ cerchi.
• in casi più rari
▪ motivi geometrici: quadrati, triangoli, esagoni, ottagoni, stelle.
• le decorazioni più complesse erano realizzate ripetendo, accostando e sovrapponendoli
numerose volte tali segni.
• grande capacità era dimostrata nel punzonare la lamina senza produrre lacerazioni.

STAMPIGLIATURA

Riproduzione di un motivo decorativo su larghe campiture di lamina

• Si ottiene martellando la lamina su una matrice


▪ matrice in legno ove è stata riprodotta la decorazione per intaglio
▪ matrice in metallo

1) in tale caso la matrice poteva già essere stata decorata con singole punzonature accostate
le une alle altre.
2) incidendo direttamente la superficie metallica.

90
CESELLATURA E BULINATURA

CESELLATURA

I ceselli semplicemente incidono la superficie

La lavorazione è eseguita con l’uso di un martello.


La “cesellatura” prevedeva l’uso di numerosissimi strumenti: i “ceselli”, costituti da barrette di ferro
di differenti lunghezze, realizzati autonomamente degli orafi.
Essi presentano una estremità arrotondata, per ricevere i colpi del “martello da cesellatore” e l’altra
estremità dalle forme diverse:
▪ a punta, concave, convesse
▪ con sezioni piana, semicircolare, tonda
▪ dimensioni delle che variano da un centimetro a meno di un millimetro.
I leggerissimi colpi inferti alla lamina dal singolo cesello producono superfici concave o convesse a
seconda della loro forma, se utilizzati indifferentemente sul verso o sul recto della lamina.

BULINATURA

I bulini tagliano la superficie e asportano parte del metallo


La lavorazione è eseguita senza l’uso del martello, ma grazie alla pressione esercitata dal palmo
della mano su una impugnatura molto corta in legno.
La “bulinatura” prevedeva l’uso di numerosissimi strumenti: i “bulini”, costituti da barrette di ferro
di circa dieci di lunghezza, autonomamente realizzati degli stessi orafi, con un’estremità inserita in
un corta impugnatura in legno e l’altra estremità tagliente.
• Il bulino presentano l’estremità a punta, a “V”.
• Le dimensioni sono generalmente sempre molto ridotte.
• I leggerissimi colpi inferti alla lamina dal singolo bulino producono tagli e incisioni a
seconda della loro forma.
• Segni più o meno profondi, a seconda delle pressione esercitata e della inclinazione dello
strumento
• La lavorazione prevede l’uso, diverso di volta in volta , di riempire o coprire la superfici non
interessata dalla lavorazione diretta con delle “pece” al fine di irrobustire la lamina ormai
molto sottile e creare una certa resistenza, assorbendo gli urti e le sollecitazioni dei colpi
degli strumenti metallici.
• La pece è un miscuglio di catrame, grassi animali e gesso facilmente modellabile e sensibile
al calore che viene con molta facilità fatta ammorbidire per la sua rimozione.
• Con la cesellatura si realizza il 80% circa del lavoro da eseguire e, più in particolare, tutti
quei dettagli che portano il lavoro a rappresentazioni estremamente realistiche tipiche della
produzione orafa:

91
▪ elementi anatomici
▪ capigliature
▪ motivi fitomorfi etc.;
• Spesso tali particolari sono successivamente messi in risalto intervenendo con due ulteriori
lavorazioni: la “lucidatura” e la “doratura.

TECNICHE DI DECORAZIONE DI UN MANUFATTO METALLICO

DORATURA

Per manufatti in argento o rame (argentatura di manufatti in rame)

1. Doratura per applicazione di una lamina d’oro, oppure di una foglia d’oro.
2. Doratura per applicazione d’oro con l’uso di mercurio detto “amalgama” diretto o indiretto.

1. Doratura per applicazione di una lamina d’oro


Doratura per applicazione di una lamina d’oro per mezzo di martellatura sulla superficie: l’azione
meccanica provoca l’adesione tra i due metalli rinforzata dalla “ricotture” delle lamine.
In età industriale tale tecnica venne detta “placché”

2. Doratura per applicazione d’oro con mercurio


a) La polvere d’oro si mescola con il mercurio per formare l’“amalgama”. Tale sostanza, della
consistenza del miele, viene stesa sulle superfici: con l’esposizione al calore il mercurio evapora e
l’oro si salda alle superfici da dorare.

b) Sulla superficie si stende il mercurio come se fosse un collante. Si applicano le foglie d’oro. Si
scalda ottenendo la doratura per mezzo della formazione localizzata dell’ ”amalgama” per
contatto

Doratura per applicazione d’oro con mercurio - LE FONTI ANTICHE

La doratura ad “amalgama” al mercurio è citata in tutte le fonti medioevali. La percentuale dei


due ingredienti è indicata in sette-otto parti di mercurio e una parte di polvere.
Tralasciando il Papiro di Leida - III sec. d.c.- che non specifica tale dato, si rimanda a tutte le opere
successive che trattano l’argomento:
• Manoscritto di Lucca (VIII-IX sec. d.c.) ricetta Z18-alfa7.

• Schedula diversarum artium di Teofilo (VIII-IX sec. d.c.) libro III, ricetta
35.

• Mappae calvicula (XII sec. d.c.) ricetta 55.

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• De coloribus et artibus romanorum di Eraclio (XII-XIII sec. d.c.) libro III,
ricetta 14.

La doratura a foglia d’oro con mercurio come collante è citata da


• Plinio nella Naturalis historia, libro III, parr. 65 . 100.
Ed in età tardo medioevale
• nel manoscritto di Michele Savonarola (1385-1466), detto Pseudo-Savonarola nel foglio 172r
(Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara. MS CL.II.147)

93
DECORAZIONI DELE SUPERFICI METALLICHE : APPLICAZIONI O TRAFORI

• Agemina
• Damaschinatura
• Filigrana
• Trafori

AGEMINA detta anche TAUSIA


Applicazione di lamine d’un metallo prezioso: oro, argento, rame sulle superfici di un manufatto
costituito da un differente metallo meno prezioso

1) Le superfici venivano incise a bulino, oppure a cesello, a costituire il disegno. Molto cura
doveva essere dedicata alla creazione delle incisioni che avrebbero costituito la decorazione
finale.
2) Si sovrapponevano piccole e sottili lamine di metallo di differente colore.
3) Si agiva “a freddo”, cioè martellando ripetutamente e\o con l’ausilio del cesello, in modo tale
che fili metallici si inserissero nelle incisioni.

L’applicazione avviene per azione meccanica con l’incastro all’interno dei solchi e, in misura
minore, per azione chimico-fisica con una sorta di “saldatura”. Le superfici venivano quindi limate
e lucidate al fine di far emerge solo quanto restava del metallo aggiunto all’interno dei solchi.
La decorazione è evidenziata dalla differente cromia dei metalli usati.

DAMASCHINATURA
Agemina con particolari caratteristiche. Applicazione ad arabesco di fili d’un metallo prezioso: oro,
argento, rame sulle superfici un manufatto costituito da un differente metallo meno prezioso.

L’effetto decorativo finale è realizzato da linee intervallate o incrociate di differenti colori.


La vera damaschinatura è una tecnica di origine araba che prevede la “morsatura” cioè la corrosione
intenzionale delle superfici in forme volute decorative. Le incisioni sono piccoli e sottili solchi a
distanza regolare “vera damaschinatura”.
Le incisioni sono realizzate con una lima di forma irregolare.

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“Falsa damaschinatura”: i solchi vengono colmati con sottilissimi fili di metallo prezioso e le
decorazioni applicate per martellatura.

FILIGRANA
Decorazione delle superfici realizzata con l’applicata di fili metallici con effetti decorativi:
• monocromi per mezzo di fili dello stesso metallo (argento su argento oppure oro su oro)
• policromi con applicazione di file di metalli diversi sia tra loro sia dalla lastra di supporto

Le decorazioni erano realizzate per saldatura dei singoli fili tra loro e quindi saldatura al supporto
oppure per saldatura direttamente al supporto.

I fili erano realizzati tramite “trafilatura”.


La “trafila” è una lastra in metallo duro (acciaio) con una serie di fori di differenti grandezze.
Venivano realizzati dei fili grossolani, di sezione più grande rispetto ai fori, per taglio di lastre o
fusione o martellatura. Tali fili grossolani venivano inseriti e tirati attraverso i fori della trafila per
mezzo di pinze.
La malleabilità dell’oro e dell’argento permette di tirare i fili in successione in fori sempre più
piccoli fino ad ottenere lo spessore voluto.

Ad ogni trafilatura il filo s’irrigidisce e necessita di “cottura”.


I fili così ottenuti potevano essere ulteriormente lavorati: due e più fili attorcigliati tra loro per
mezzo di rotazione; due o più fili intrecciati a motivi decorativi per mezzo di lavorazione con
profilatoi di differente disegno al fine d’ottenere come

▪ perle
▪ rocchetti
▪ imbuti
▪ viti

Oltre a fili a sezione rotonda erano in uso fili a sezione quadrata ottenuti per taglio di sottili lastrine
ricavate per taglio di fogli sottili: permettono di ottenere effetti decorativi simili ai precedenti

TRAFORO
La tecnica di traforare la lamina può essere diretta ed indiretta:

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• diretta: sulle superfici del manufatto viene incisa la decorazione e, iniziando con piccoli fori
e lavorando con lime di grandezze e grana differenti, si tagliano le lamine realizzando
l’ornato desiderato.
• indiretta: su una superficie metallica (anche differente dal manufatto) viene incisa la
decorazione e, iniziando con piccoli fori e lavorando con lime di grandezze e grana diverse,
si tagliano le lamine realizzando l’ornato desiderato. Il traforo così attenuto viene applicato
sul manufatto da decorare per mezzo di saldature o di incastri o di pernetti.

96
TECNICHE DI DECORAZIONE DEI MANUFATTI METALLICI IN ORO ED ARGENTO

APPLICAZIONI POLIMATERICHE:
• Smalto
• Niello
• Avorio, Pietre e altri materiali

SMALTO
La decorazione con lo smalto prevede due tempi di lavorazione ben distinti:
• la preparazione dello smalto come polvere vitrea
• la realizzazione della decorazione.

I composti di base sono gli stessi del vetro:


• Silicati (sabbia, scaglie di quarzo, pietra arenaria o ciottoli).
• Alcali (cioè composti di carbonato di sodio derivato da minerali quali la soda o da vegetali
quali soda e potassa derivata da ceneri.) Gli alcali abbassano il punto di fusione dei silicato
rendendo la massa vetrosa e più a lungo lavorabile.
• Carbonati di calcio (già presenti nelle sabbie sotto forma di conchiglie). Rendono il vetro
insolubile all’acqua e più resistente.

Gli ingredienti secondari: ossidi con funzione di coloranti


• di rame: azzurro; verde; rosso
• di rame e piombo: rosso
• di antimonio: giallo
• di cobalto: turchese scuro
• di ferro: verde
• di ferro: ambra trasparente
• di magnesio: ametista
• di magnesio: porpora
• di stagno (in particelle in sospensione): bianco opaco

Il biossiodo di manganese: neutralizza i colore verde giallastro che il vetro assume naturalmente.

Nella fusione dei componenti a 700-800 °C si ottiene un composto detto “fritta”.


La fusione dei componenti prevede tempi e modi diversi a seconda delle miscele e dei colori
richiesti.
Una volta raffreddata, la “fritta”, nei differenti colori, viene polverizzata.
Le polveri così ottenute sono disciolte in acqua e applicate sulla lastra metallica da smaltare.
La lastra è sottoposta a calore e le “fritte” sciogliendosi aderiscono al supporto metallico.
I componenti condizionano il punto di fusione della “fritta”: sta all’abilità dello smaltatore iniziare
ad applicare le polveri che necessitano di maggior calore e aggiungere via via quelle più
bassofondenti.

Dopo un lento raffreddamento, molto spesso le superfici smaltate necessitano di operazioni:


di livellazione eseguite tramite mole e sostanze abrasive
di lucidatura con polveri smerigliatrici

97
Tre differenti tipologie di smalti:
• smalto cloisonné (e da questo lo smalto plique-à-jour)
• smalto champlevé
• smalto traslucido

SMALTO CLOISONNÈ
Lo smalto riempie piccoli alveoli della lastra metallica di supporto realizzati applicandovi piccoli e
sottili listelli (detti cloisons) oppure fili metallici (Smalto filigranato. I fili possono anche essere
tortili o intrecciati).
I listelli e i fili sono bloccati con piccole saldature. Il motivo decorativo e cadenzato dal succedersi,
spesso regolare, di tali sottili elementi metallici.
In uso in ambito bizantino e veneziano.

SMALTO CHAMPLEVÈ
Lo smalto riempie piccoli alveoli. Gli alveoli sono realizzati direttamente nella lastra metallica di
supporto incidendola e asportandone porzioni: ciò permette di realizzare un disegno più fluido e di
ridurre il numero degli inserti metallici a vista dilatando le campiture di smalto
In uso dall’epoca merovingia. Ebbe larga diffusione dal XII secolo con la nascita di scuole come:
mosana, renana e limosina.

SMALTO TRASLUCIDO
Lo smalto ricopre completamente la lastra metallica di supporto ove in precedenza è stato realizzato
il disegno che s’intende smaltare.
Si usano esclusivamente smalti trasparenti.

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Il disegno è realizzato con ceselli e bulini.

I leggerissimi passaggi di piano suggeriscono differenti gradazioni di tono di colore.


Le incisioni più profonde, nelle quali si depositeranno spessori maggiori di smalto, risulteranno più
scure le incisioni più delicate produrranno toni più delicati.

Il primo esempio di smalto traslucido è il calice di Niccolò IV conservato ad Assisi, opera del
senese Guccio di Mannaia datato 1290;

l’opera più rappresentativa è il reliquario del Corporale di Orvieto, opera di Ugolino di Vieri datato
1337-38 .

NIELLO
Il niello è un amalgama di argento, rame, piombo e zolfo.
Il nome deriva appunto dallo zolfo “nigellum” elemento fondamentale per la costituzione di tale
composto.

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Il colore, la durezza, la trasparenza e la duttilità del niello variano attraverso le epoche e le botteghe
in base alle percentuali dei metalli usati.
Le diverse quantità di zolfo danno toni di colore più o meno scuri:
• blu-acciaio: trasparente e delicato
• grigio-piombo: leggero e usato per piccoli passaggi tonali
• nero-carbone: compatto e coprente.

Tale “amalgama” in polvere si applica sulle lastre roventi precedentemente incise in base al disegno
desiderato.
Il disegno deve essere eseguito in ogni più piccola parte e la lastra lucidata e perfettamente pulita:
sciogliendosi il composto penetra in ogni minuta incisione. Gli eccessi vengono rimossi dalle
superfici con delicate levigature.
Il niello penetrato nelle incisione evidenzia il disegno precedentemente inciso con leggerissimi
passaggi di tonali monocromi.

AVORIO, PIETRE E ALTRI MATERIALI


Applicazione di manufatti in avorio, pietre i altri materiali come coralli, perle, cammei di epoche
più antiche al fine di nobilitare l’opera in lavorazione.
L’esempio più noto è l’altare di Vulvino nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano.

Arte ottoniana, Corona del Sacro Romano Impero, seconda metà del X secolo, oro, smalti, perle e
pietre preziose, Vienna, Kunstistoriches Museum

100
Giovanni da Castelbolognese e Manno Sbarri, Cassetta Farnese, 1540 circa, argento dorato
lapislazzuli e cristallo di rocca, Napoli, Museo di Capodimonte

MANUFATTI IN ARGENTO\ARGENTO DORATO: FATTORI DI DEGRADO


Si rimanda a quanto illustrato a lezione

• Il più comune fattore di degrado delle superfici in argento è lo scurimento causato dalla
presenza nell’aria di anidride solforosa e conseguente formazione sul metallo di solfuro
d’argento di colorazione grigio scura in alcuni casi quando il fenomeno è particolarmente
attivo, di colorazione nero lucida con riflessi bluastri.

• effluorescenze di sali di rame in lega con l'argento - conseguente distacco della doratura

• Il più comune fattore di degrado delle superfici in argento dorato è assottigliamento dello
strato di doratura causato da puliture delle superfici con materiali abrasivi

101
MANUFATTI IN SMALTI: FATTORI DI DEGRADO

Degrado della pasta vitrea


• La composizione della fritta
• Le impurità contenute nella fritta
• L’eccessiva temperatura di fusione della fritta con “bollitura “ e formazione di bolle d’aria

Possono provocare il deterioramento localizzato o uniforme dello strato vetroso con fenomeno di
polverizzazione della materia e formazione di lesioni, cricche e buchi.
• Nel caso di smalti traslucidi, a causa del sottilissimo strato vetroso e della mancanza di
segmenti metallici di contenimento, si verificano fenomeni di distacco della pasta vitrea da
supporto in argento su molta parte della superficie o limitatamente ad alcune zone.


• È stato più volte osservato come il deterioramento dello strato vetroso coinvolga le sole parti
di un determinato colore. Ciò è dovuto alla composizione della pasta vitrea in relazione
all’ossido metallico utilizzato per ottenere tale colorazione.

102
103
MANUFATTI IN OSSO ED AVORIO
AVORIO
Da sempre il termine avorio è impropriamente impiegato per definire il tessuto osseo dentale,
proveniente da un discreto numero d’animali.

In passato vennero utilizzati: gli incisivi d’elefante, gli incisivi e i canini di ippopotamo, i canini
superiori di tricheco, di facocero, di cinghiale, ed inoltre capidogli, balene e del narvalo, il cui unico
dente tortile fu per secoli attribuito al leggendario unicorno.
Si tratta di denti di notevoli grandezza quindi con un considerevole quantitativo di materia prima
atta alla produzione di manufatti sia d’uso comune (pettini, pedine per scacchi etc) che artistici.

La specifica dizione d'avorio è oggi riservata a :


"..la modificazione della dentina le cui rotture o sezioni trasversali presentano linee di
varie convessità e striature inclinate ad arco di cerchio, che formano, nell'intersezione,
piccoli rombi dai lati curvilinei”.
Queste linee, determinanti per il riconoscimento dell'avorio,sono dette "Linee di Schregel" dal nome
dell'anatomista tedesco B.G. Schregel che per primo le identificò, attorno agli inizi del
XIX secolo.

Tali estrinseche caratteristiche appartengono quasi esclusivamente al tessuto dentale elefantino


permettendoci quindi di distinguerlo sia dalle altre sostanze dentali utilizzate per la fabbricazione di
manufatti, sia dai prodotti utilizzati in alternativa al costoso avorio quali l'osso o il così detto
"avorio vegetale" come viene impropriamente detta la sostanza derivata dai semi di alcune piante.
L’avorio viene ricavato dai denti incisivi degli elefanti appartenenti zoologicamente ad un unico
genere, ma distinguibili in due diverse specie:
elefante africano (Loxodonta africana e Loxodonta cyclotis)
e lefante indiano (Elephas indicus o maximus).
Le due specie di elefanti hanno caratteristiche e dimensioni diverse, ma un sistema di dentizione
simile formato da tre sole coppie di denti: due coppie atte alla masticazione sono costituite da
molari, mentre la terza, atta a funzioni non specifiche della masticazione, è costituita da una coppia
di incisivi. Questi ultimi sono impropriamente detti "zanne".
104
Le “zanne” sono utilizzati quale materia prima per la produzione di manufatti d’uso e artistici.
L'elefante indiano maschio adulto è provvisto di zanne che non superano la lunghezza di 120 cm
ed il peso di 25-30 kg; le femmine ne sono quasi completamente prive.

La zanna possiede una forma conica, leggermente curva di sezione tondeggiante. Presenta inoltre
la caratteristica d’essere vuota, alla base, generalmente per circa un terzo della sua lunghezza,
mentre nei casi d’animali molto anziani tale fenomeno può superare il 60% della dimensione totale.
Questa cavità è dovuta alla presenza, all'interno del dente, della "polpa dentale" che costituisce la
sua materia vitale, elemento essenziale per la vita e l’accrescimento.

Intorno alla polpa dentale si costituisce l’avorio disponendosi in caratteristici strati successivi che
formano l'elemento essenziale della massa.
Le zanne, impiantate nell’osso pre-mascellare del cranio, sono a crescita continua e, non essendo
soggette ad usura durante la masticazione, raggiungono dimensioni notevoli seguendo una
inclinazione che viene loro impressa dall'alveolo originario. Le zanne sono chimicamente
costituite per il 40% da sostanze organiche quali il “collagene”, ricco di fosfati e calci, e da una
parte inorganica, la “dentina”, costituita per il 60% da sostanze minerali. La dentina è costituita dal
deposito di particolari cellule, gli “odontoblasti”, che assumono nel loro processo d'accrescimento
una caratteristica forma filamentosa.
Raggruppati in più unita, tali elementi detti “tuboli”, decorrono dall’estremità apicale in fasce
parallele con un andamento lievemente curvilineo.

Organizzazione strutturale dell'avorio

105
Nell’ambito di ogni strato di dentina esiste inoltre una fitta rete di fibre di collagene che
scorrono perpendicolarmente all’asse maggiore dei tuboli, cioè parallelamente o tangenzialmente
alla superficie esterna del dente.
Contemporaneamente a questo sistema di formazione del tessuto dentale, abbiano inoltre un
secondo sistema d’accrescimento del dente, con linee di sviluppo della zanna parallele alla
deposizione della dentina, in strati simil-lamellari successivi. In altre parole, in sezione trasversale,
il dente appare costituito da anelli concentrici, con un aspetto simile a quello della crescita annuale
del tronco di un albero.

Le zanne elefantine, oltre che per queste caratteristiche modalità morfologiche, si differenziano
dagli altri denti dei mammiferi, in quanto non sono ricoperte da uno strato di “smalto”, (cioè da un
tessuto osseo molto duro formato per il 96% da sali inorganici prevalentemente costituiti da calcio)
ma da uno strato di “cemento” che partendo a stratificarsi sulla radice del dente finisce per ricoprire
l'intera superficie del zanna. La sostanza fibrosa che costituisce tale “cemento” è
fondamentalmente simile a quella di un tessuto osseo ma a differenza di quest'ultimo essa non è
organizzata in lamelle, essendo più compatta della dentina. Il “cemento” protegge l’avorio
dall'azione meccanica esercitata dall'animale nell’utilizzo delle zanne come strumento di scavo e
di leva.
Questo strato cortecciale, risultando opaco e più scuro della avorio interno, viene detto "scorza"
o "buccia della zanna". Viene generalmente rimosso per permettere la lavorazione della
sostanza eburnea.
Merceologicamente le zanne grezze sono denominate “morfili”. I migliori esemplari sono quelli
asportati da animali giovani in quanto sono esenti da fenditure ed irregolarità del tessuto dentale,
come accade frequentemente nel caso di zanne estratte da animali anziani. I morfili giovani sono
per un terzo vuoti a causa della “cavità polpale” e presentano l’inconveniente d’avere una minore
quantità di materia prima utilizzabile. Questa però presenta accentuate tutte le caratteristiche
qualitative dell’avorio quali:
• scarsa presenza di nervature,
• l'integrità della massa lavorabile,
• la compattezza della grana,
• uniformità di tonalità e colore.

Le condizioni climatiche influenzano le caratteristiche di accrescimento della materia. La finezza
e la compattezza dell’avorio e la trasparenza della grana sono determinate dalla temperatura del
luogo ove vive l’animale: dagli alti tassi di umidità e dagli sbalzi di calore.

106
Anche il colore dell’avorio varia seconde le zone di provenienza: dal bianco puro al crema, dal
giallo paglierino al roseo (proveniente dal Siam) al grigio (dal Senegal). I più pregiato è l'avorio
verde del Gabon che mostra, durante la lavorazione, una tinta calda e morbida che scompare col
tempo per lasciare al manufatto un tono bianco uniforme e persistente.
Tutti questi fattori variano dunque a seconda dal paese d'origine: più duro, compatto e trasparente
è l’avorio proveniente dalla cost dell'africa occidentale (Gabon, Camerun e Angola);
particolarmente pregiate sono le zanne lunghe ed affusolate, con minore curvatura, che permettono
un maggior sfruttamento del materiale.
Dalla costa dell'Africa Orientale (Tanzania, Kenya e Madagascar) provengono avori più teneri e
tendenti, col tempo, ed ingiallire.
Dall’Asia (Ceylon, Siam e India) provengono morfili più piccoli, di colore rosato, di grana molto
fine ma, al tempo stesso, troppo compatta e pesante.

Caratteristiche merciologiche
L'avorio fresco contiene circa il 10% d’acqua.
Peso specifico: 1,92.
Durezza: 2 – 2,5 (Scala di Mohs)

Reazioni caratteristiche
Con acidi: resta indisciolta la parte organica sotto forma di massa gelatinosa;
Con acqua,: dopo 24 ore d’immersione, inizia l'idrolisi delle proteine, con il conseguente rilascio
della componente minerale.

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OSSO

L’osso è un tessuto connettivo rigido, fondamentalmente costituito da una sostanza calcificata


piuttosto dura e resistente. È il materiale costitutivo di organi anatomici ben definiti detti “ossa”.
Le ossa formano lo scheletro degli animali vertebrati, svolgendo varie funzioni quali: la struttura di
supporto ai muscoli che permette il movimento.
Osservando un osso lungo in sezione longitudinale si possono notare, alle estremità, due elementi
dalla forma piuttosto articolata detti “epifesi” costituiti da un nucleo centrale spugnoso delimitato
da un involucro d’osso compatto.

La componente cellulare del tessuto osseo è costituita dagli “osteociti”. Si tratta di cellule ovali,
provviste di prolungamenti ramificati. Sono contenute in canali scavati nella struttura base, costituiti
da collagene e da una componente amorfa di natura proteica, in seno alla quale sono depositati sali
di calcio (fosfato di calcio e carbonato di calcio).
Morfologicamente il tessuto osseo è formato da stratificazioni dei materiali costitutivi in fasci
paralleli dette "lamelle ossee". Le lamelle sono raccolte in più unità intorno ad un canale centrale,
percorso da un vaso sanguigno nutritivo: l'unita' strutturale dell’ osso compatto, detto “osteone”, è
quindi costituita da un Canale di Havers, che corre parallele all'asse maggiore dell'osso, circondato
da numerosi fasci di lamelle ossee. Più osteoni paralleli e accostati, tra loro, formano la struttura
dell'osso così come è possibile vedere ad occhio nudo.
L'osso e l'avorio hanno, (a differenza della struttura istologica così diversa), composizioni chimiche
molto simili: sono costituiti, da una componente organica che s’aggira su valori del 40%;
il restante 60% da materiale inorganico (fosfato di calcio e magnesio, associati a fluoruro e
carbonato).

Per la fabbricazione di manufatti artistici vennero utilizzate ossa di particolari dimensioni che
permettono d'ottenere superfici lavorabili discretamente estese.
A tale riguardo vengono genericamente utilizzate ossa lunghe quali femori o tibie e, nel caso di
animali di notevoli dimensioni, le ossa craniche e del bacino e del dorso.
In ambito europeo furono largamente utilizzate le ossa di mammiferi quali equini e bovini; sulle
coste artiche, atlantiche e dell'oceano pacifico vennero utilizzate le ossa di cetacei: balene, capidogli
e trichechi.
Ancora ai nostri giorni sopravvive in alcuni centri del medioriente, la tradizionale lavorazione
artigianale di manufatti d'osso di cammello e dromedario.

108
Nelle zone scarsamente abitate da specie animali, quali le regioni siberiche e l’Alaska, ove fu da
sempre possibile il ritrovamento di scheletri di mammuth {Mammuthus primigenus), vennero
comunemente utilizzate le ossa e l'avorio fossili di questi giganteschi pachidermi.

Così come per l'avorio, anche nel caso dei tessuti ossei, le caratteristiche qualitative di un materiale
sono: l’integrità' della massa lavorabile, la totale assenza di nervature e lesioni, ma soprattutto, e
specificatamente del caso d’ossa fossili, l'assenza di porosità.
La compattezza della grana è infatti condizione imprescindibile per la realizzazione d’oggetti che
devono rispondere a necessità di durezza e di tenacità e all'usura.
Il tessuto osseo migliore è quello a grana piccola, che non tende a frantumarsi superficialmente
durante le operazioni di sezionamento ed intaglio.
La colorazione del materiale non varia in base alla specie animale d’origine, ma varia in relazione
alla vetustà del manufatto, in quanto sotto l’azione dei raggi ultravioletti ed infrarossi, esso tende ad
ingiallire, passando dal bianco-latte al giallo-paglierino. Le ossa fossili presentano in genere
colorazioni più chiare ma dal tono opaco e sordo.
Purtroppo, a causa dei processi d'industrializzazione e dell'introduzione di nuovi materiali, la
tradizionale lavorazione di questo materiale povero è quasi completamente caduta in disuso ed è
stata sostituita, a discapito della qualità e della resa estetica dei manufatti, da prodotti plastici
sicuramente più economici e di più facile produzione.

Schema riassuntivo OSSO:


tessuto rigido d’origine animale
elemento caratteristico: i fori risultanti dai canali atti ad ospitare i vasi sanguigni.
componente organica: 30-25 % del totale della massa;
• matrice di collagene
componente minerale: 70-65% del totale della massa;
• calcio fosfato 58-62%
• calcio carbonato 1 %
• magnesio fosfato 1 %
• magnesio fluoruro 1 %
• solfati

L'osso contiene il 5-10 % d’acqua.


Peso specifico: 1,94 – 2,10
Durezza: 2,5-3,5 (scla di mohls)

Reazioni caratteristiche:
• con acidi: si distrugge la parte minerale
• con sostanze alcaline: si distrugge la parte organica.
L’osso diventa friabile dall'aspetto gessoso e polveroso.
Microstruttura: la formazione del tessuto in osteoni e lamelle fa apparire la superficie estremamente
irregolare per la presenza di piccolissimi fori scuri.

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Tecnica di lavorazione
1) scultura e incisioni
Preparazione del materiale
Con acidi: resta indisciolta la parte organica sotto forma di massa gelatinosa;
Con acqua: dopo 24 ore di immersione inizia l'idrolisi delle proteine, con il conseguente rilascio
della componente minerale.

Le caratteristiche merceologiche posso fornire indicazioni circa gli espedienti utilizzati per incidere
e scolpire osso ed avorio. Anche l’osservazione dei manufatti in restauro e le analisi scientifiche
effettuate duranti tali interventi possono permettere di raccogliere informazioni utili.

Scultura ed incisione erano realizzati con scalpelli e bulini. Le superfici erano quindi levigate e
lucidate con abrasive sottili e pelle di pescecane.
È possibile affermare che le tecniche di decorazione degli ossi ed avori sono assimilabili a quelle di
scultura lignea e di oreficeria .

2) Doratura e dipintura
L’ osservazione dei manufatti in restauro e le analisi scientifiche effettuate duranti tali interventi
possono permettere di raccogliere informazioni utili.

È possibile affermare che le tecniche di decorazione degli ossi ed avori sono assimilabili a quelle di
decorazione della pergamena al fine di realizzare iscrizioni e miniature.

Dorature
doratura a foglia:

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1) applicazione di un collante (albume d’uovo) nel disegno che si desidera dorare

2) applicazione della foglia d’oro. Resterà adesa alle superfici solo la parte precedentemente
trattata con collante.

doratura a conchiglia:
1) preparazione della miscela di polvere d’oro e colla (ad es. gomma arabica o missione)
2) stesura sulle superfici da dorare come nel caso di stesura di pigmenti

Policromia
Non abbiamo fonti circa le tecniche di decorazione pittorica di manufatti in osso ed avorio né delle
tecniche di doratura.
Teolifo descrive come tingere di colore verde l’osso, ma nulla circa l’applicazione di pigmenti a
colorire particolari dei manufatti.
L’osservazione dei manufatti e le poche indagini realizzate permettono di affermare che si
procedeva con:
• preparazione dei colori in polvere (di derivazione minerale, vegetale o animale) miscelati
con colle e gomme (es gomma arabica)
• applicazione sulle superfici per con piccoli pennelli della miscela precedentemente preparata

3) altre lavorazioni

tornio
In epoca rinascimentale si diffuse la produzione di preziosi manufatti in avorio realizzati con una
lavorazione assimilabile alla tornitura per falegnameria.

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