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SOMMARIO
TECNICHE DI ESECUZIONE PITTORICA ..................................................................................... 3
I DIPINTI SU TELA............................................................................................................................ 9
LA PITTURA MURALE................................................................................................................... 36
I COLORI .......................................................................................................................................... 57
OREFICERIE..................................................................................................................................... 85
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TECNICHE DI ESECUZIONE PITTORICA
DISEGNI PREPARATORI
Nella pittura a tempera il disegno preparatorio ha grande importanza poiché garantisce la buona
riuscita della pittura evitando ripensamenti e modifiche in corso d’opera che comprometterebbero la
freschezza delle stesure dei colori.
Il disegno preparatorio veniva realizzato in due modi:
- A carboncino: direttamente sull’imprimitura, con tratto lineare e continuo;
- Con il sistema dello spolvero, come per gli affreschi, dove il disegno precedentemente
realizzato su un cartone, viene riportato sulla tavola per mezzo di carbone battuto sui
numerosi forellini del profilo.
Il disegno viene eseguito in modo molto dettagliato, quindi già con luci, ombre e particolari ben
delineati, in modo da costituire un’ottima guida alla realizzazione pittorica.
Un esempio significativo è rappresentato da una tavola incompiuta di Jan Van Eyck raffigurante
Santa Barbara, conservata ad Anversa, dove il disegno è minuzioso e rifinito in ogni dettaglio
figurativo e luministico
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LA DORATURA
1. Applicazione di una tempera a base di Bolo d’Armenia, che è una terra finissima e molto
grassa, come base per la foglia d’oro. Il bolo viene impastato con acqua e con il bianco
dell’uovo e applicato a pennello per stesure successive, le prime molto diluite, le ultime
molto corpose. Dopo l’asciugatura si leviga bene la superficie verificando che non vi siano
polveri o granelli.
2. Nella pittura bizantina al posto del bolo si usava la Terra Verde come fondo della doratura.
1. Si bagnano piccole porzioni di bolo con il cosiddetto “guazzo” composto da acqua e una
piccolissima percentuale della stessa tempera a bolo usata prima.
2. Immediatamente dopo si applica la sottilissima foglia d’oro servendosi di particolari pinzette
o pennelli. Le foglie vengono sovrapposte lungo i bordi per evitare che rimangano parti
scoperte.
3. Si lascia asciugare e si brunisce la superficie dorata con una punta ricurva di pietra d’agata,
per lucidare l’oro e farlo aderire perfettamente alla preparazione.
La tecnica a missione è utilizzata soprattutto per piccole finiture o decorazioni di superfici già
dipinte o, molto raramente, per la doratura delle miniature su carta.
La missione è una vernice densa e viscosa composta da olio molto denso e litargirio (si ottiene
riscaldando il bianco di piombo a 400° ed ha le sue stesse proprietà) che una volta stesa crea una
superficie appiccicosa sulla quale viene applicata la foglia d’oro prima che diventi del tutto secca.
Gli eccessi di oro e le sovrapposizioni delle foglie possono essere facilmente rimossi con un
pennello.
Non si può eseguire la brunitura poiché l’adesione al fondo della foglia non è rigida sullo strato e si
rischierebbe di asportarne delle parti.
Doratura a conchiglia
La tecnica dell’ oro a conchiglia è usata per le piccole finiture e consiste nell’applicazione a
pennello molto settile di oro in polvere mescolato ad acqua e gomme come collanti.
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Doratura a mecca
È la variante più economica della doratura a foglia d’oro zecchino, chiamata infatti anche oro dei
poveri .
Essa consiste nell’applicazione, con gli stessi criteri della doratura a bolo, di foglia d’argento in
sostituzione di quella aurea, sulla quale, una volta brunita, veniva applicata una vernice gialla,
conosciuta come piastrella, composta da gommalacca ed alcool, che una volta asciugata crea una
pellicola gialla che conferisce all’argento in trasparenza un effetto simile all’oro.
La doratura si esegue per impreziosire i fondi o delle porzioni di immagine. La foglia d’oro è
applicata su tutte le parti che non devono accogliere la pittura, quindi “a risparmio”, cioè lasciando
scoperta la parte di preparazione che sarà poi dipinta.
Alcuni pittori, come Simone Martini e Vitale da Bologna, doravano tutta la tavola e dipingevano
con tempera ad uovo sull’oro.
Successivamente alla doratura e per decorarla in corrispondenza di aureole, manti e vesti o altri
particolari, si usava la bulinatura ( termine preso in prestito alle tecniche di lavorazione dei metalli
preziosi)
La bulinatura consiste nel praticare delle incisioni con uno strumento detto bulino sulla doratura,
componendo disegni a motivi ornamentali.
L’oro non veniva graffiato, ma inciso con dei microsolchi delicati che affondavano nella
preparazione.
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Esempio di provino di ricostruzione filologica sulla tecnica della tempera ad uovo su tavola, tipica
del ‘300, con particolari riferimenti alle fasi della doratura.
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LA PITTURA A TEMPERA
È la più antica tecnica che si serve dell’ acqua come diluente e come veicolo, e di sostanze solubili
in acqua allo stato pastoso, come medium e leganti.
I leganti sono le colle animali, le gomme, la caseina, il latte, l’uovo.
- Se si aggiunge alla tempera una sostanza idrofoba, come la cera, si ha la pittura ad encausto;
- Se si aggiunge un olio siccativo o delle resine naturali si avrà la cosiddetta tempera grassa.
La stesura del colore nella tempera si sviluppa attraverso diverse fasi: da un’iniziale campitura per
sovrapposizioni di colore giunge ad un graduale accostamento di colori, per terminare con delle
leggere velature trasparenti.
A) La Tempera Magra
Tipica della pittura bizantina.
È la formula più semplice di tempera ottenuta mescolando il pigmento con acqua e colle vegetali ed
animali.
È molto sensibile all’umidità perché le colle sono molto igroscopiche anche quando secche.
L’essiccamento della pellicola pittorica avviene per evaporazione dell’acqua.
È adatta ad una fattura sicura e precisa in cui prevale l’elemento grafico. Il disegno preparatorio è
essenziale.
Le stesure avvengono per sovrapposizioni successive.
Caratteristici di questa tecnica sono i chiaroscuri poco graduali e ricchi di scatti tonali secchi e
decisi e le modellazioni e modulazioni cromatiche ben distinte.
B) La Tempera a Uovo
È la tempera che offre i migliori requisiti per una buona resistenza nel tempo e per un buon risultato
visivo.
È eseguita mescolando i pigmenti con il rosso dell’uovo leggermente diluito in acqua. Questo, una
volta asciugato, non è più solubile in acqua, diventando molto resistente all’umidità.
Una volta asciutti i colori restano vivi e brillanti, senza spegnersi e intorpidirsi.
La tempera a uovo si conserva a lungo nel tempo poiché il legante secco diviene molto stabile.
Le pitture del Trecento e del Quattrocento erano eseguite con questa tecnica.
C) La Tempera Grassa
Il legante è un’emulsione cui si aggiunge una componente oleosa: olio siccativo e/o resina naturale.
La stesura pittorica è molto simile a quella ad olio, sia per la componente grassa sia per la maggiore
consistenza dell’impasto pigmento-legante, ma in realtà è sostanzialmente diversa dalla pittura ad
olio perché continua ad usare una parte acquosa come veicolo e mai un diluente grasso.
(Nel periodo di passaggio dalla tempera grassa all’olio, era frequente il ricorso alla tecnica mista,
dove la prima stesura veniva realizzata a tempera e su di essa si procedeva fino al termine con la
tecnica ad olio)
D) La Tempera all’olio
Non è chiaro quando sia definitivamente abbandonata la tecnica della tempera in favore dell’olio; la
teoria del Vasari che indica Jan Van Eyck, primi del ‘400, come l’inventore della pittura ad olio
risulta essere molto controversa e tutt’ora non accertata.
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Già Teofilo parla di colori impastati con olio senza acqua, mentre il Cennini addirittura parla della
pittura ad olio citandola come in uso a quell’epoca presso i Fiamminghi.
Sembra che Antonello da Messina abbia partecipato alla sua esportazione e diffusione in Italia.
D) Pittura a olio
I Fiamminghi oltre ad un olio siccativo usavano impastare con il pigmento una resina dura, forse
copale o ambra, ragion per cui molte delle loro pitture sono oggi molto annerite.
La componente oleosa consentì l’uso di coloranti, le lacche, non solubili in acqua, aumentando di
gran lunga la gamma di colori disponibile.
L’impasto del colore è molto più corposo ed elastico rispetto alla tempera pura; il colore asciuga più
lentamente e consente numerose revisioni e ritocchi finali.
È possibile, infatti, sfumare i colori attraverso gradazioni di tonalità diverse e quasi impercettibili,
ottenendo morbidissimi passaggi chiaroscurali.
È possibile, inoltre, intervenire anche sui tempi di asciugatura della pellicola pittorica, aumentando
o diminuendo la presenza nell’impasto di sostanze volatili, gli olii essenziali.
I fiamminghi usavano le resine dure per aumentare i tempi d’asciugatura;
I pittori veneti usavano le resine molli o essenza di trementina per diminuirne i tempi.
La maggior fluidità del colore conduce ad una pennellata sciolta e sicura, eliminando la durezza
dei modellati tipici delle prime tempere.
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I DIPINTI SU TELA
La pittura ad olio
la tela che deve essere molto ben stesa; era fissata per mezzo di chiodini o zeppete in legno e
con legni duri ed elastici come il bamboo
La tela
L’uso della tela, leggera e di facile approvvigionamento, è di semplice preparazione rispetto alle
pesanti tavole di legno accentua la velocità di esecuzione del dipingere ed integra il nuovo più
immediato fare pittorico.
Le caratteristiche del tessuto quali la trama e la consistenza (liscio, ruvido, spesso, compatto, sottile,
poroso) sono determinati per la riuscita del dipinto e la scelta del materiale da usare assolutamente
importante in fase di progettazione dell’opera.
La tela di lino (sottile e morbida), o canapa (solida e tenace), è da preferire al cotone (troppo
poroso: tende a sformarsi allentandosi e provocando cadute di colore) alla yuta (resistente e dalla
fibra legnosa, è appositamente scelta perchè piuttosto grossolana) o alla seta (col tempo tende a
fessurarsi e polverizzarsi).
La tela, precedentemente bagnata o lavata, viene montata preferibilmente su telai mobili in legno
inizialmente fissi e successivamente provvisti di cunei e tacche negli angoli che permettono piccoli
movimenti a correggere piegature e deformazioni.
La tela che deve essere molto ben stesa era fissata per mezzo di chiodini o zeppette in legno e con
legni duri ed elastici come il bambolo con spine di arbusti.
La tela poteva essere giuntata in senso verticale od orizzontale con vere e proprie cuciture per
raggiungere le dimensioni necessarie; casi eccezionali possono presentare una unica pezza di tela
come nel caso del Martirio di Santa Caterina di Mattia Preti conservato nella chiesa omonima a La
Valletta a Malta.
Prima della stesura dei colori è necessario applicare sulla tela uno strato preparatorio:
nel ‘500 era realizzato con un primo strato di colla (colla d’amido e zucchero); il giorno seguente
due strati di gesso e colla essiccati gli strati si passa alla raschiatura con spatola.
Schema della successione degli strati di un dipinto su tela: TELA - PREPARAZIONE - COLORE
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La preparazione odierna è più complessa e attenta alla conservazione.
Si procede con un primo strato di colla (con gelatina, con colle animali, con caseina il tutto con
aggiunta di ammoniaca per bloccare la putrefazione); acetato di allumina sui due lati, quindi
con piu’ e piu’ strati di colla, ossido di zinco e carbonato di calcio. Particolare cura si deve dedicare
a nascondere le giunzioni della tela.
Le superfici vengono lisciate con spatole e carta vetrata.
L’essiccazione deve essere assoluta e necessita di alcuni mesi.
Il colore finale della preparazione della tela è bianco.
Il fondo bianco della preparazione condiziona la stesura successiva dei colori ad olio.
Era in uso colorare il fondo con tinteggiature in genere rosso ocra o bruno senza esagerare per non
incupire i colori finali.
Tiziano, Leonardo, Velasquez erano soliti colorare il fondo per zone: bruno per il terreno, celeste
per il fondo del cielo, rosato per gli incarnati.
LA “PITTURA AD OLIO”
Gli olii erano usati come medium dei colori già nell’antichità: Tale tecnica è largamente citata sia
da Teofilo (IX-X sec.), sia da Cennino Cennini (XIV sec); non appare quindi corretta la tradizione
che vuole che sia una tecnica ideata dai pittori fiamminghi.
I pittori fiamminghi del XV secolo la utilizzarono in modo quasi esclusivo con caratteristiche
tecniche tutte locali nella preparazione dei colori per dipingere opere su legno. I pigmenti venivano
macinati con olii di lino e noce; a caldo venivano aggiunte resine dure, come ambra e coppale, che
davano una particolare corposità ai colori.
Si aggiungevano olii essenziali per regolare i tempi di essiccazione .
Ciò rendeva possibile una pittura eseguita per strati successivi, ora densi e coprenti ora trasparenti e
luminosi anche in relazione allo strato colorato di preparazione del fondo.
L’uso di un medium grasso era già usato nel secolo precedente per la pittura su tavola a tempera
detta tempera grassa.
Antonello stendeva sulla tavola una preparazione di gesso molto compatto e spesso, quindi una
mano di patina uniforme di colorazione bruna molto scura poi, su una mano di olio di lino cotto
(quindi molto scuro e denso), i colori, ed ancora una mano di olio per sfumarli ed “impastarli”
assieme e creare il perfetto sfumato. Lasciava essiccare il tutto e lavorava con le velature per la
realizzazione dei chiari e delle luci con essenza di trementina.
La grande innovazione si ebbe con l’introduzione, quale supporto, di una tela in sostituzione della
tavola lignea e dall’uso di resine molli e olii aromatici per la fabbricazione di colori meno densi e
coprenti, ma soprattutto piu’ morbidi e leggeri; tale innovazione venne introdotta dai pittori veneti
sul finire del XV secolo
Il modo di dipingere venne totalmente modificato: da denso e per tratti successivi con un effetto di
“profondità”, si passò a dipingere per “rilievo” con stesure di colore corposo, plastico e vivo con
pennallete dense sulle quale si potevano applicare, dopo l’essiccazione totale, sfumature trasparenti
con vernici grasse.
È la pittura di Tiziano, del colorismo puro, ove il colore costituisce quasi la trama del dipinto nella
sua corposa matericità stesa con colpi precisi a volte a rilievo. Il lavoro era ultimato a ritocchi con le
dita per sfumare la materia.
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I COLORI A OLIO
I colori a olio sono costituiti da pigmento e olio. Questo produce la coesione delle particelle del
pigmento e serve da adesivo al supporto.
I più usati sono: olio di lino, di noce e di papavero; sono detti “olii grassi” e danno ai colori corpo e
consistenza. Si distinguono dagli olii essenziali detti “diluenti”.
Di tonalità scura, gli “olii grassi”tendono a modificare pesantemente alcuni colori come il bianco e
l’azzurro dando tonalita’ opache e spente.
Agli olii pesanti si accosta allora l’uso degli “olii essenziali” ricavati da essenze vegetali: il più
usato è il distillato della resina delle conifere detto essenza di trementina; meno usate sono
le essenze di lavanda, di rosmarino, di spigo che producono, a differenza degli olii grassi superfici
più trasparenti.
Sono utilizzati per la realizzazione di velature e di particolari.
Evaporando facilmente, producono strati sottili di colore facilmente screpolabili e aridi: vanno
quindi utilizzati con sapienza ed esperienza miscelandoli agli olii grassi.
Colofònia «resina di Colofone (antica città dell’Asia Minore)»]. – Residuo solido, noto anche col
Nome di pece greca, della distillazione delle resine di varie conifere (pini, abeti, larici, ecc.)
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L'ambra è una resina fossile originata dalla secrezione di piante ad alto fusto appartenenti a specie,
oggi estinte, caratterizzate dalla capacità di produrne in grande quantità ; l'ambra rappresenta il
passaggio successivo, ovvero il completamento del processo di fossilizzazione, o più propriamente
del processo di polimerizzazione, della copale.
Sandracca
La sandracca è una resina naturale ricavata dell’arbusto del Juniperus comunis. La sandracca è una
resina simile alla gommalacca, ma molto più chiara, che viene utilizzata come vernice finale per i
mobili laccati, per preparare fissativi per pastello, tempera o come additivo per vernici.
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Gomma Arabica
La gomma arabica è un prodotto naturale che trasuda dal tronco e dai rami di alcune specie del
genere Acacia, appartenenti alla famiglia delle leguminose mimosoidee (in particolare l'Acacia
Senegal - o Acacia varek - e l'Acacia Seyal). Queste piante arboree, tipiche dell'Africa subsahariana,
producono il loro pregiatissimo secreto gommoso in seguito a stress di varia natura, come
l'alternarsi di periodi piovosi con altri di siccità, gli attacchi parassitari e soprattutto le incisioni
artificiali o le ferite accidentali del tronco e dei rami. Per lo stesso motivo, la secrezione di gomma
arabica è più abbondante nelle piante stentate e vecchie.
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DIPINTI SU TAVOLA E SCULTURE LIGNEE
IL LEGNO
Materiale duro e resistente di origine vegetale, utilizzato come combustibile e come materiale da
costruzione.
È composto da un insieme di tessuti vegetali che svolgono funzioni di sostegno per la pianta e sono
responsabili del trasporto della linfa dalle radici alle foglie: esso comprende pertanto anche parti
della pianta come le venature delle foglie.
Per le sue particolari caratteristiche il legno è sempre stato un materiale molto apprezzato ed
utilizzato in svariate applicazioni, per costruire case, mobili, utensili, veicoli e diversi altri prodotti.
La lavorazione del legno è stata una delle prime arti dell'uomo: dalle clave e lance degli albori della
civiltà, alle canoe scavate nei tronchi d'albero, agli aratri usati in agricoltura, ai semplici sgabelli a
tre gambe, fino ai mobili pregiati e alle complesse strutture edilizie dell'epoca moderna, questo
materiale ha sempre avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo della civiltà umana.
Quando il legno viene tagliato parallelamente all'asse del tronco, le venature appaiono diritte. In
alcuni tipi di albero, tuttavia, i condotti sono spiraliformi e di conseguenza le venature si
intersecano.
Corteccia esterna: fisiologicamente è morta, serve come protezione alla pianta e consente gli
scambi gassosi necessari alla vita della pianta.
Corteccia interna: detta anche Alburno è formata da cellule vive e costituiscono l'apparato
circolatorio della pianta consentendo la conduzione dei sali minerali dalle radici alle foglie. Si
distingue dall'interno durame dal colore più chiaro.
Libro: contiene i vasi che conducono il nutrimento sintetizzato delle foglie ad ogni parte
dell'albero.
Midollo: Parte centrale del tronco, generalmente poco differenziabile dal durame che lo contiene.
In alcune varietà di legno sono molto visibili i caratteristici anelli stagionali. Un albero, dopo aver
raggiunto una certa altezza, si ingrossa soprattutto nel tronco. La parte che cresce si chiama cambio
e si forma annualmente tra il legno e il libro, la membrana vicino alla corteccia. Negli alberi delle
zone temperate, il cambio nuovo cresce durante la primavera e l'estate, e solitamente il primo legno
è più poroso e quindi più chiaro di quello prodotto in seguito.
I nodi sono zone del tronco in cui si è sviluppato l'inizio di un ramo.
Quando il legno viene segato, il nodo risulta più evidente e si presenta come un'irregolarità circolare
nella struttura della venatura.
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CLASSIFICAZIONE DEI LEGNI
A seconda dell'albero da cui vengono ottenuti, si distinguono legni forti duri, legni fini duri, legni
dolci.
• legni forti e duri: quercia, abete, frassino, platano;
• legni fini e duri: noce, ciliegio, olivo, ebano, palissandro.
• legni dolci: pioppo, castagno, betulla;
I tessuti duri presentano condotti lunghi e continui lungo il tronco; al contrario, in quelli dolci, i
fluidi vengono trasportati da cellula a cellula. Molti legni teneri hanno i vasi conduttori della resina
che corrono paralleli alla venatura.
STAGIONATURA
Durante la stagionatura delle assi, i nodi si restringono più velocemente del resto del legno.
Una volta tagliato, il legno perde velocemente circa il 30% di acqua presente nelle cavità cellulari.
Successivamente il legno continuerà, ma più lentamente a perdere acqua, fino a raggiungere
l'equilibrio con l'ambiente circa il 17% - 23% di umidità.
Per ottenere questo, le assi devono essere stagionate o essiccate.
Esistono due metodi di stagionatura, uno naturale e uno artificiale.
La stagionatura naturale si ottiene accatastando le assi una sull'altra, frapponendo dei listelli al
fine di permettere la circolazione dell'aria. Il metodo naturale è quello che garantisce in futuro una
maggiore stabilità. Poiché per raggiungere i risultati voluti sarebbe necessario molto tempo (non
inferiore all'anno con climi favorevoli), quindi si fa ricorso a quella artificiale.
La stagionatura artificiale prevede un’essiccazione in appositi ambienti (essiccatoi) che sono veri
e propri forni con umidità e calore controllati.
Bisogna tener presente che il legno regolerà continuamente la sua umidità con quella dell'aria
circostante; se viene portato in un ambiente chiuso e dotato di riscaldamento, il suo contenuto di
umidità diminuirà lentamente fino a circa il 10%, provocando ovviamente un maggior
restringimento.
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L’ANISOTROPIA
Il fenomeno legato ai movimenti del legno in relazione alla perdita e al riassorbimento di umidità e
alla diminuzione o aumento di volume è chiamata ANISOTROPIA.
L’anisotropia stabilisce genericamente il rapporto di ritiro fra le direzioni del fusto; si possono
quindi distinguere:
a) Ritiro tangenziale
b) Ritiro radiale
c) Ritiro longitudinale
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IL LEGNO COME SUPPORTO PER LA PITTURA
L’impiego del supporto ligneo per la pittura inizia in età antichissima. Trova la sua massima
espansione nel XIII e XIV secolo in Italia, fino al XVI secolo.
L’impiego del supporto ligneo si presta ad una esecuzione pittorica fluida, molto accurata, attenta al
particolare, quella della grande tradizione della pittura a tempera e dei fondi oro.
Nella seconda metà del XV secolo, l’introduzione della tela determina lentamente la scomparsa
della tavola come supporto, che scompare quasi definitivamente alla fine del ‘600.
L’impiego della tela offre maggiore varietà di qualità, a condizioni economiche vantaggiose, e la
sua diffusione coincide con l’affermarsi della tecnica ad olio, il cui supporto naturale è proprio la
tela. Anche motivi di ordine pratico determinano l’abbandono della tradizionale tavola come
supporto pittorico:
- Le tele possono raggiungere grandi dimensioni di estensione;
- Le tele sono facilmente trasportabili perché si possono arrotolare e piegare;
- Le tele sono più economiche e facilmente reperibili.
- PIOPPO
- FRASSINO
- NOCE
- TIGLIO
- LARICE
- ABETE ROSSO
- CIPRESSO
- ACERO
In Europa invece:
- Piallatura e levigatura
- Eliminazione delle sostanze resinose e gommose residue.
Una volta preparate le singole assi, queste venivano assemblate e connesse tra di loro con
l’inserimento di cavicchi interni e/o tasselli a farfalla.
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Successivamente venivano incollate con la colla a base di caseinato di calcio, la cosiddetta “colla di
calcina e formaggio” citata da Cennini, Teofilo e altri autori antichi, che veniva preferita alla colla
forte per la maggiore resistenza all’umidità.
In alcuni casi le assi venivano incastrate e tenute insieme da chiodi che venivano battuti dal fronte
del dipinto e ribattuti sul retro delle tavole.
Le teste erano isolate per impedire alla ruggine di interagire con i soprastanti strati pittorici, o con
l’inserimento di piccoli tasselli lignei cilindrici nel foro del chiodo battuto a fondo, o con stagno o
cera colati direttamente sulla testa metallica.
Talvolta, sul retro, veniva applicato uno strato di vernice per isolare il legno dall’umidità e quindi
ridurne i movimenti igroscopici.
Nel caso di tavole di grandi dimensioni le assi che costituivano il supporto erano di maggiore
spessore, per cui venivano assemblate anche per mezzo di incastri e ganci metallici.
Spesso l’intero supporto assemblato veniva rinforzato sul retro con un sistema di traverse e
montanti a costituire uno scheletro ligneo ancorato alla tavola con la funzione di irrigidimento e
prevenzione delle deformazioni.
Ancora, nel caso di tavole dalle forme particolari, come quelle che costituivano i tipici polittici
trecenteschi o le grandi croci lignee, veniva studiato un apposito sistema di assemblaggio
dell’intera struttura.
In presenza di nodi o difetti della tavola, questi venivano incisi e asportati e le lacune riempite,
secondo l’insegnamento del Cennini, con un impasto di colla di pelli e segatura di legno, la
cosiddetta mestica.
Fino a tutto il Trecento sulle tavole grezze veniva applicata una tela di lino sottile incollata con
colletta animale. Questo procedimento prende il nome di incamottatura.
L’incamottatura ha lo scopo di attenuare i movimenti del legno nonché di fornire un migliore
aggrappo allo strato di preparazione soprastante.
Dal Trecento in poi anziché applicare la tela sull’intera superficie vengono applicate solo delle
strisce in corrispondenza delle giunzioni.
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L’IMPRIMITURA
Sulla tela viene applicata infine la preparazione vera e propria, la cosiddetta imprimitura sulla
quale verrà eseguito il disegno e che rappresenta il “letto” della pellicola pittorica.
La preparazione delle tavole è appositamente realizzata per ricevere la pittura a tempera.
È quindi ASSORBENTE, per consentire una buona presa del colore.
È costituita da GESSO E COLLA.
Viene applicata fino a 8 STRATI sovrapposti, di cui quello successivo è ortogonale al precedente.
Una volta asciutta si leviga accuratamente e si procede con l’esecuzione del disegno preparatorio a
carboncino.
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IL RESTAURO DEI DIPINTI SU TAVOLA
Distruzione
Le assi che costituiscono i supporti del dipinto sono generalmente tagliate in senso longitudinale,
nel senso delle fibre, per cui sono soggette a forte deformazione, chiamata imbarcamento.
Le assi ottenute per taglio radiale subiscono un minimo ritiro perché i vari anelli del tronco si
distribuiscono con ordine verso l’estremità consentendo un essiccamento omogeneo.
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DEFORMAZIONI DI UNA TAVOLA COMPOSTA DA PIU’ ASSI:
a) Assi costrette da una cornice → spaccature lungo le giunzioni delle assi
b) Assi libere → imbarcamento continuo
c) Assi libere contrarie → deformazione ondulatoria
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Altro fattore di degrado del legno è la sua igroscopicità, poiché è molto sensibile agli sbalzi di
temperatura e umidità che generano, appunto, le deformazioni strutturali.
Le deformazioni del legno influiscono notevolmente sulla conservazione della preparazione e della
pellicola pittorica, dando luogo a:
a - sollevamenti di colore; b - lesioni;
c - cadute di colore; d - screpolature.
Sollevamenti di colore
ALTERAZIONI BIO-CHIMICHE
Sono quelle generate dall’aggressione del legno da parte di organismi viventi.
I più distruttivi sono gli insetti xilofagi: tarli e termiti.
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I tarli si nutrono di sostanze contenute nel legno scavando gallerie al suo interno. Aggrediscono solo
i legni teneri. Scavano gallerie di 1 mm di diametro che arrivano a forare lo strato superficiale del
legno.
Le termiti sono più temibili rispetto ai tarli perché più difficilmente individuabili all’apparenza,
fanno meno fori sulla superficie lignea scavando gallerie più grosse, profonde e tortuose.
In questo modo l’esterno sembra integro, mentre l’interno può essere completamente vuoto,
divorato in profondità.
Il legno tarlato si indebolisce perché poco alla volta si svuota di tutta la sua materia riducendosi ad
una sostanza porosa come una spugna.
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L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLA PELLICOLA PITTORICA
La preparazione può subire gli effetti di un invecchiamento naturale delle sostanze componenti
e\o gli effetti generati dalle deformazioni del supporto ligneo.
Mestica oleosa:
L’invecchiamento degli olii determina la perdita di adesione al supporto e la craquelure dello strato
preparatorio che poi si imprime anche sulla pellicola pittorica.
LA CRAQUELURE
È il risultato del sollevamento della preparazione/colore che rimane saldo al supporto nei punti
centrali determinando delle micro-spaccature lungo i bordi con la formazione delle scodelline.
Quanto più la preparazione è grassa, tanto più la craquelure forma scodelle larghe e profonde.
La conseguenza estrema dei sollevamenti della preparazione è il distacco totale e quindi la perdita
definitiva della stessa e del colore che vi aderisce.
Anch’essa subisce i danni causati dall’invecchiamento dei suoi materiali costitutivi . Tuttavia si
mantiene abbastanza solida per parecchi secoli. Infatti alcuni leganti, come l’olio o l’uovo,
invecchiando, si induriscono, diventando più resistenti agli agenti esterni ed ai solventi.
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Le tempere sono più sensibili all’umidità ed agli sbalzi di temperatura: tendono a sfarinarsi
insieme alla preparazione.
Le tempere, invecchiando, perdono vigore cromatico ed opacizzano.
Infine, alcuni pigmenti usati, possono subire alterazioni in seguito all’ossidazione dei componenti
minerali, scurendo e virando cromaticamente verso i neri o i verdi.
È comunque possibile affermare che l’invecchiamento naturale della pellicola pittorica comporta
modificazioni che non compromettono la conservazione del dipinto.
I danni del colore sono strettamente connessi a quelli incorsi nella preparazione, a causa della forte
affinità e omogeneità tra i due strati. Tuttavia la superficie del dipinto può presentare sollevamenti
di colore e cadute indipendentemente dalla preparazione, lasciandola scoperta, formando la così
detta lacuna.
Depositi di sporco e polveri: non hanno conseguenze sulla conservazione strutturale ma solo su
quella estetica, come per l’ingiallimento delle vernici e l’alterazione ottica dei colori o dei leganti.
(olii) Ingiallimento
Cause costitutive: ossidazioni,
polimerizzazione Tendenza del colore a trasparire
Invecchiamento naturale
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C) L’INVECCHIAMENTO E IL DEGRADO DELLE VERNICI FINALI
La vernice è lo strato più superficiale di un dipinto, quindi il più esposto agli agenti esterni ma
anche quello più sottile e fragile.
L’invecchiamento naturale causa la perdita di elasticità, quindi l’incapacità di assecondare i
movimenti dei supporti. La conseguenza di tale fenomeno è lo sgretolamento generale.
Talvolta è possibile osservare degli sbiancamenti, causati dalla penetrazione di umidità fra vernice e
colore.
Il deterioramento anche totale della vernice non determina il deperimento del dipinto. La sua
alterazione non compromette la conservazione dell’integrità strutturale del dipinto, ma solo quella
estetica, risolvibile con l’asportazione della vernice.
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INTERVENTI DI RESTAURO
INTERVENTI PRELIMINARI
Sono tutti quegli interventi che consentono di arginare fenomeni di degrado che altrimenti
aumenterebbero durante le successive operazioni di restauro:
- Velinatura
- Preconsolidamento e fissaggio del colore e della preparazione
La Velinatura
È un intervento mirato a proteggere la pellicola pittorica e la preparazione. Essa opera in modo che
il collante, fatto penetrare in profondità, agisca come consolidante degli strati decoesi o deadesi.
Si esegue nei casi in cui:
- Lo strato del colore e/o della preparazione abbiano perso il loro potere adesivo e presentino
sollevamenti dal supporto;
- Il dipinto debba subire interventi conservativi di consolidamento del supporto che possano
causare traumi alla pellicola pittorica ed alla preparazione.
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Viene comunemente eseguita sui dipinti su tavola e nei casi in cui l’apporto di acqua risulterebbe
dannoso per la conservazione del dipinto.
A differenza di quella a colletta, essa ha esclusivamente funzione protettiva poiché il Paraloid non
agisce come consolidante del colore, ma solo come adesivo della carta.
La velinatura può essere totale o parziale.
Il consolidamento è un’operazione che consiste nel restituire la coesione alla materia resa
incoerente dall’invecchiamento dei materiali e dal degrado, e interessa generalmente solo lo strato
della preparazione.
Il fissaggio ripristina l’adesione fra gli strati del supporto, della preparazione e del colore, e può
interessarli entrambi.
Pur essendo due trattamenti diversi e con finalità diverse, vengono eseguiti in un’unica fase, poiché
le sostanze impiegate svolgono la duplice azione consolidante e fissativa.
La scelta del metodo e dei materiali da usare deve tener conto del tipo dei materiali costitutivi della
pellicola pittorica e della preparazione.
A differenza dei dipinti su tela, ove si agisce sul fronte e sul retro indifferentemente e\o a
completamento dell’operazione, nel caso delle tavole, l’intervento è molto più complesso a causa
dello spessore del supporto ligneo.
Si usano consolidanti con funzioni adesive, coesive e consolidanti che si diluiscano in acqua:
- Colletta ma meglio ancora
- Primal AC33 una resina acrilica in soluzione acquosa.
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2) termica, con appositi strumenti, come il termocauterio o il ferro da stiro, facendo in modo di
abbassare i sollevamenti e ripristinare il livello generale dello strato.
Gli interventi conservativi sul legno hanno come obiettivo quello di ricostituire le fibre del legno
e di restituire al legno la sua originaria funzione di sostegno e supporto.
Una delle cause più frequenti di alterazione delle tavole consiste nella scelta sbagliata del taglio e
del tipo di legno impiegato che causa imbarcamenti, deformazioni, lesioni e fenditure che
interessano anche gli strati pittorici. La scelta sbagliata del legno favorisce anche l’attacco da parte
dei tarli.
CONSOLIDAMENTO
Ha lo scopo di restituire al legno la forza e coesione perdute.
I danni maggiori sono apportati dalle gallerie dei tarli: un legno molto tarlato può raggiungere una
consistenza talmente spugnosa da inibirlo da ogni funzione strutturale, a tal punto da essere
impossibile il recupero del supporto.
In questi casi estremi si interviene con la sostituzione totale del supporto, ossia eliminando la
vecchia tavola e riapplicando la pittura su nuovo supporto.
Il consolidamento avviene inducendo la penetrazione nel legno di una sostanza consolidante
specifica.
L’immissione può avvenire:
- Per immersione;
- Per spennellature;
- Per iniezione o spruzzo.
Il consolidante deve avere ottime proprietà di penetrazione all’interno della struttura fibrosa.
Il consolidante maggiormente utilizzato è la resina acrilica (PARALOID B-72) diluito in diluente
nitro in percentuali che variano dal 5% al 20% a seconda dell’entità del consolidamento.
Si applica generalmente per iniezioni o spennellature, raramente per immersione o spruzzo.
L’azione consolidante si esplica attraverso la penetrazione della resine nelle fibre del legno, che
indurendosi, tornano ad assumere la funzione di sostegno originario.
È un’operazione IRREVERSIBILE, per cui è bene valutare dapprima l’effettiva necessità ed entità
dell’intervento.
Recentemente vengono impiegate anche sostanze termo-indurenti come le RESINE
EPOSSIDICHE. Svolgono però scarsa azione consolidante a causa dell’elevata viscosità che ne
impedisce la penetrazione profonda e sono totalmente irreversibili
RISANAMENTO
Il risanamento ha lo scopo di risarcire le lesioni provocatesi a causa delle deformazioni del legno o
in seguito ad eventi traumatici.
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Il risarcimento avviene attraverso la sostituzione parziale di parti del supporto ligneo con nuova
materia legnosa. È un intervento strutturale che garantisce il ricongiungimento di grosse lesioni e
fratture della tavola o il ricongiungimento delle assi alterato dalle deformazioni incorse.
L’immissione del nuovo legno comporta l’asportazione di parte di quello vecchio, che viene
rimosso meccanicamente.
Fasi operative:
1) Creazione di solchi profondi circa ¾ dello spessore della tavola a sezione triangolare in
corrispondenza delle fenditure e delle linee di giunzione delle assi. Ci si serve di scalpelli e sgorbie
asportando gradualmente parti di legno fino alla creazione di un solco regolare e definito.
2) Una volta aperti i solchi si creano dei listelli lunghi circa 8-10 cm, realizzati con lo stesso legno
del supporto, aventi la stessa forma e dimensione dei solchi.
Questi listelli, chiamati “cunei”, vanno ricavati da un’asse del tronco tagliato in senso radiale per
evitare la loro deformazione. Vengono fissati all’interno del solco con colla forte da falegname
(colla di bue e acqua). Una volta fissati si rimuove l’eccedenza livellando la superficie con quella
della tavola
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Raddrizzamento delle assi
Il raddrizzamento delle tavole mira al recupero delle forme e dei volumi dei supporti lignei alterati
in seguito a deformazioni.
Quando la deformazione non incide sull’assetto strutturale della tavola e soprattutto non determina
danni trasmessi al colore e alla preparazione è preferibile non intervenire.
Secondo le tradizioni artigianali il sistema per intervenire era quello delle cosiddette sverzature.
Le sverzature sono incisioni parallele nel senso delle fibre effettuate lungo tutta la tavola e profonde
circa 2/3 dello spessore. La tavola indebolita da questi tagli veniva poi appianata da più coppie di
traverse poste in senso perpendicolare alle fibre e stretta da morsetti. All’interno delle fessure si
inserivano delle zeppe lignee che contenevano l’imbarcamento del legno.
Questo intervento, col tempo, si è dimostrato dannoso per gli strati preparatori e del colore, sulla cui
superficie si creavano delle fessure e lesioni.
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Attualmente è in uso un efficace sistema per il raddrizzamento delle assi, chiamato
PARCHETTATURA.
È un sistema di imbrigliamento della tavola che ha come obiettivo quello di ridurre i movimenti del
legno. Non ha lo scopo di ostacolarli, quanto quello di assorbirli e assecondarli, cercando di
contenerne e limitarne le deformazioni.
Il sistema più rudimentale consisteva nell’applicazione di traverse fisse in senso perpendicolare alle
fibre.
Altro sistema era quello di collocare sul retro della tavola traverse libere scorrevoli all’interno di
ponticelli incollati al retro del supporto, ma il risultato era poco efficace.
Il sistema più rudimentale consisteva nell’applicazione di traverse fisse in senso perpendicolare alle
fibre.
Altro sistema era quello di collocare, sul retro della tavola, traverse libere scorrevoli all’interno di
ponticelli incollati al retro del supporto, ma il risultato era poco efficace.
La parchettatura fiorentina,
già molto più evoluto come sistema, prevede invece l’applicazione sul retro della tavola di una rete
formata da listelli lunghi quanto il supporto e orientati parallelamente al senso delle fibre e listelli
larghi quanto il supporto perpendicolari alle fibre.
I listelli vengono incollati sul retro e forati in modo che le traverse possano scorrere nel loro verso
naturale.
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Parchettatura fiorentina
I ponticelli lignei che accolgono le traverse, prendono il nome di cattelli, e si incollano al le due
estremità del supporto, ad 1 cm di distanza dai bordi e con intervalli tra loro di 1/10 della larghezza
della tavola. Inoltre sono disposti sempre in numero dispari ed in senso alternato.
Le traverse metalliche devono essere in numero di due e vanno inserite nell’apposita “gabbia”
creata dai cattelli.
Da un lato della barra va applicata una striscia di teflon, un materiale che favorisce lo scorrimento
tra le due annullando ogni tipo di attrito.
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DISINFESTAZIONE
Ha lo scopo di bloccare l’attacco dagli insetti xilofagi attraverso l’introduzione, all’interno delle
gallerie, di prodotti specifici che ne causino la morte.
I legni tarlati possono essere trattati con introduzioni locali per iniezioni o spennellature di prodotti
antitarlo che , penetrando nel legno, lo rendo velenoso per gli insetti, causandone la morte.
Una volta imbibito il legno di prodotto si provvede alla sigillatura della tavola in ambiente
sottovuoto per impedire la rapida evaporazione dell’antitarlo e quindi favorirne la penetrazione
lenta e costante.
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I supportanti sono in genere emulsioni di sostanze lipofile in acqua o gelatine che hanno effetto
addensante, creando cioè una specie di pappetta gelatinosa che mantiene il solvente a contatto con
la superficie per tempi prolungati.
REINTEGRAZIONE PITTORICA
Valgono le stesse regole dei dipinti su tela.
Nel caso di presenza di dorature, esse vengono reintegrate o con nuova applicazione di foglia d’oro
o mediante una particolare tecnica di ritocco chiamata selezione effetto oro, che prevede la
realizzazione di tanti piccoli trattini di tre colori puri: giallo, rosso, verde, che restituiscono un tono
perfettamente integrato ed omogeneo a quello della doratura circostante.
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LA PITTURA MURALE
Alla classe della pittura murale appartengono tutti quei dipinti il cui supporto è costituito: da uno o
più strati di intonaco applicati su un muro oppure direttamente su una superficie architettonica.
Si crea una unità inscindibile tra architettura e decorazione pittorica, non solo dal punto di vista
materiale e tecnico, ma anche sotto il profilo estetico, storico, iconografico.
La raffigurazione qualifica con l’immagine lo spazio architettonico, rendendone visibile il
significato e la funzione e attraverso la forma suggerire i diversi gradi di realtà.
La raffigurazione può “fingere” la scultura e l’architettura, creando delle soglie di realtà fittizie, o
si sostituisce all’architettura stessa creando delle illusioni ottiche di spazi tridimensionali trasposti
su una superficie piana.
Nel caso in cui il supporto sia costituito da pareti naturali, come la roccia negli edifici rupestri,
l’intonaco segue e accompagna il profilo della roccia stessa.
Per la stabilità e la compattezza naturale della roccia, l’intonaco è soggetto in misura nettamente
inferiore ai movimenti strutturali di un muro, di conseguenza la sua tenuta e durata nel tempo sono
superiori, a meno che non siano altre cause proprie degli ambienti rupestri a comprometterne la
conservazione.
La parete rocciosa su cui viene steso l’intonaco può essere non lavorata, quindi allo stato naturale,
oppure può essere stata predisposta, attraverso operazioni di spianatura e levigatura, a ricevere
l’intonaco.
in alcuni casi, infine, la roccia può essere lavorata e sagomata a ricreare profili ed elementi
architettonici.
Dipinti su parete rocciosa levigata e sagomata Dipinti su parete rocciosa levigata e sagomata
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IL SUPPORTO MURARIO
La natura e le caratteristiche tecniche del supporto murario sono fondamentali per la conservazione
delle pitture murali.
Più la muratura ha una tessitura compatta e regolare, meno saranno le irregolarità nella stesura
dell’intonaco e maggiore la sua aderenza al supporto.
Una muratura mista in pietre e mattoni, dalla tessitura irregolare, costituisce un supporto meno
ideale rispetto ad una muratura eseguita o solo in mattoni o in conci tagliati regolarmente, con
conseguente minore aderenza al supporto dell’intonaco.
Vi sono poi casi particolari in cui le murature erano formate, ad esempio, da pietra non lavorate e
laterizi e legate con semplice terra: in questi casi l’aderenza dell’intonaco al muro e’ compromessa
sin dall’inizio, data l’incompatibilità tra terra e malta.
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Dipinti su muratura in pietra in conci squadrati
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Alla classe delle pittura murale appartengono tutti i dipinti murali realizzati con numerose e
diverse tecniche,
• affresco
• tempera
• encausto
• olio su muro
A prescindere dalla scelta del legante pittorico, sono per convezione definiti dipinti murali, (in
contrapposizione all’affresco ove si lavoro su supporto bagnato) quelli nei quali il colore viene
applicato sull’intonaco asciutto, lasciando che il medium scelto svolga la funzione di legante e
fissativo del colore.
L’arriccio
L’arriccio è il primo strato del supporto pittorico, cioè lo strato che aderisce al supporto murario.
Le proporzioni fra sabbia e calce che Cennini suggerisce sono di:due parti di sabbia e una
parte di calce. Queste sono rimaste pressoché invariate nei secoli.
La calce usata nell’impasto deve essere ben spenta, cioè completamente idrata, per evitare che
rimangano parti di calce ancora viva che causerebbero spanciamenti e rigonfiamenti dell’intonaco.
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tanto che vegna piano lo ‘ntonaco sopra il muro. Poi, quando vuoi lavorare, abbi prima a mente di
fare questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo.”
L’INTONACO E IL TONACHINO
Nell’affresco l’intonaco da dipingere deve essere sempre “fresco”, cioè umido. per questo la
quantità di intonaco da applicare deve essere commisurata alla durata del lavoro giornaliero
dell’artista.
Prima di stenderlo occorre, dunque, prevedere quanto tempo si impiegherà per l’esecuzione di una
determinata parte di composizione, avendo cura di ricoprire solamente lo spazio previsto per
poterne completare la realizzazione prima che si asciughi.
Soltanto in questo modo sarà possibile operare sempre “a fresco”.
Il Cennini raccomanda vivamente di non stendere una quantità di intonaco superiore a quella
del lavoro giornaliero.
Infatti, pur se l’intonaco rimane umido il giorno successivo, la stabilità della pittura eseguita sarà
inferiore, perchè il processo di carbonatazione della superficie sarà già avviato.
“ (…) togli della calcina predetta, ben rimentata con zappa o con cazzuola, per ordine che paia
unguento. Poi considera in te medesimo quanto il dì puoi lavorare; chè quello che smalti, ti convien
finire. Vero è che alcuna volta di verno, a tempo umido, lavorando il muro di pietra, sostiene lo
smalto fresco in nell’altro dì. Ma, se può, non t’indugiare; perché il lavorare in fresco, cioè di quel
dì, è la più forte tempera e migliore, e ‘l più dilettevole lavorare che si faccia. Adunque smalta un
pezzo d’intonaco sottiletto (e non troppo) e ben piano, bagnando prima lo ‘ntonaco vecchio. Poi
abbi il tuo pennello di setole grosse. In prima intingilo nell’acqua chiara; battilo e bagna sopra il
tuo smalto; e al tondo, con un’assicella di largheza di una palma di mano, va fregando su per lo
‘ntonaco ben bagnato, acciocchè l’assicella predetta sia donna di levare dove fosse troppa calcina,
o porre dove ne mancasse, e spianare bene il tuo smalto. “
(Cennino Cennini, Il libro dell’Arte, cap. LXVII)
Il procedimento per la stesura dell’intonaco e per l’esecuzione pittorica può avvenire per pontate o
per giornate.
L’applicazione per pontate avviene per fasce orizzontali alte quanto la distanza tra un piano e
l’altro di ponteggio. Se l’esecuzione è rapida, in una sola giornata di lavoro si può stendere
un’intera fascia orizzontale di intonaco. In questo caso le sole giunture visibili alla fine saranno i
limiti orizzontali tra i differenti piani delle pontate, eseguiti in ordine dall’alto verso il basso, che
prendono appunto il nome di pontate
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Quando l’esecuzione della pittura necessita di piu’ tempo di lavoro l’intonaco viene steso per
porzioni, ognuna corrispondente ad una “giornata” di lavoro. In questo caso appariranno delle
nuove linee di giunzione verticali o profilate che delimitano parti circoscritte di intonaco sulla
stessa fascia di pontata. Queste parti prendono il nome di giornate. Una volta terminata
l’esecuzione di una giornata o di una pontata, il pittore profila l’intonaco lungo la superficie di
giunzione per la successiva giornata.
Nella pittura antica e romana e fino al medioevo, la nuova giornata di intonaco copriva
leggermente quella precedente, sovrappoenendosi alla linea di giunzione.
Dal Trecento in poi, le giunzioni tra le giornate diventano il più precise e nette possibile, in modo
da rendere invisibile la successione.
L’esame attento delle giunzioni permette quasi sempre di stabilire la cronologia relativa alle
giornate di lavoro.
Francesco Salviati, Sala dei Fasti Farnesiani, particolare. Palazzo Farnese, Roma.
Indicazione delle giornate di lavoro e delle incisioni del disegno
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IL DISEGNO PREPARATORIO
Il disegno preparatorio è un abbozzo che precede la stesura del colore e ne agevola l’esecuzione
pittorica, che può essere più o meno rifinito a seconda della complessità della composizione.
Le tecniche di disegno preparatorio sono numerose e a volte sono caratteristiche di determinati
periodi storici e stilistici.
Le più comuni sono:
- sinopia
- disegno diretto
- incisione diretta
- spolvero
- cartone
- quadrettatura
Sinopia
LA SINOPIA
La sua funzione è quella di servire da guida per la stesura dell’intonaco sull’arriccio, in modo da
poter calcolare e preventivare la successione delle giornate di lavoro ed i collegamenti tra loro.
È l’unico disegno eseguito sull’arriccio e non sull’intonaco. A volte è presente anche direttamente
sul muro.
Il termine deriva dal luogo d’origine di tale materiale Sinope, città dell’Asia Minore, della terra
rossa argillosa usata per tracciare il disegno sull’arriccio.
Molte volte la sinopia non corrisponde alla realizzazione finale, a causa di ripensamenti e correzioni
in corso d’opera e perché una volta steso l’intonaco sopra di essa, l’artista dovrà ricordarne a
memoria lo schema.
L’uso della sinopia e’ molto diffuso fra il Trecento ed il Quattrocento.
Dal Quattrocento in poi, vista la crescente complessità delle raffigurazioni, ricche di figure, la
sinopia viene abbandonata in favore di altre tecniche.
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Solo nel XVII e XVIII sec. se ne riprende l’uso, ma perderà la sua funzione originaria di disegno
preparatorio, diventando semplicemente un metodo per avere una visione generale e immediata di
quella che sarà la composizione ultimata.
“(…) Poi, secondo la storia e le figure che dei fare, se lo ‘ntonaco è secco, togli il carbone, e
disegna, e componi, e cogli bene ogni tua misura, battendo prima alcun filo, pigliando i mezzi degli
spazi. Poi batterne alcuno, e coglierne i piani. E a questo che batti per lo mezzo, a cogliere il
piano, vuole essere uno piombo da piè del filo. E poi metti le seste grandi, l’una punta in sul detto
filo: e volgi le seste mezzo tondo dal lato del sotto; poi metti la punta delle seste in sulla croce del
mezzo dell’un filo e delle’altro, e fa l’altro mezzo tondo di sopra, e troverai che dalla mano diritta
hai per costante, per gli fili che si scontrano, fatto una crocetta. Similmente dalla man manca metti
il filo da battere, che dia proprio in su tuttadue le crocette: e per costante troverai il tuo filo essere
piano a livello.
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Poi componi col carbone, come detto ho, storie e figure; e guida i tuoi spazi sempre gualivi, o
uguali. Poi piglia un pennello piccolo e pontìo di setole, con un poco d’ocria, senza tempera,
liquida come acqua: e va ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come arai fatto con
acquerelle quando imparavi a disegnare. Poi togli un mazzo di penne, e spazza bene il disegno del
carbone.
poi togli un poco di sinopia senza tempera, e col pennello puntìo sottile va tratteggiando nasi,
occhi, e capellature, e tutte stremità e intorni di figure; e fa che queste figure siano bene compartite
con ogni misura, perché queste ti fanno cognoscere, e provedere delle figure, che hai a colorire.
Poi fa prima i tuoi fregi, o altre cose che voglia fare d’attorno, e come a te conviene.”
IL DISEGNO PREPARATORIO
Il disegno preparatorio vero e proprio è quello che viene eseguito direttamente sull’intonaco da
dipingere immediatamente prima dell’esecuzione della pittura.
È possibile distinguere due metodologie di disegno preparatorio:
- a) il disegno inciso direttamente o indirettamente sull’intonaco fresco con metodi diretti o
indiretti;
- b) il disegno riportato mediante colore sull’intonaco fresco, con metodi diretti o indiretti.
“Ancora se vuoi fare le diademe de’ santi senza mordenti, quando hai colorita la figura in fresco,
togli una agugella, e gratta su per lo contorno della testa. Poi in secco ugni la diadema di
vernice…”
Il disegno inciso
Consiste nell’incidere sull’intonaco fresco, con mezzi appuntiti, come il punteruolo, il disegno e le
sagome delle figure che si intendono rappresentare.
L’incisione può essere eseguita:
- direttamente, cioè con strumenti appuntiti usati a diretto contatto dell’intonaco, creando
dei solchi sulla superficie tenera, eseguendo a mano libera il disegno;
Il solco lasciato dalle due tecniche è facilmente distinguibile perchè il primo crea un tratto
profondo, dai bordi netti e vivi come un bulino, a volte frastagliati; il secondo genera un solco dai
bordi arrotondati e smussati come un cesello, meno profondi.
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Giorgio Vasari, Le vite dè più eccellenti pittori, scultori ed architetti, 1568
CAPITOLO II
Degli schizzi, disegni, cartoni, ed ordine di prospettive; per quel che si fanno, ed a quello che i
pittori se ne servono.
“gli schizzi, dè quali si è favellato sopra, chiamiamo noi prima sorte di disegni che si fanno per
trovar il modo delle attitudini, ed il primo componimento dell’opra. (…) Da questi dunque vengono
poi rilevati in buona forma i disegni; nel far dei quali, con tutta quella diligenza che si può, si cerca
vedere dal vivo (…). Appresso, misuratili con le seste o a occhio, si ringrandiscono dalle misure
piccole nelle maggiori, secondo l’opra che si ha da fare. (…). Fatti così i disegni, chi vuol lavorare
in fresco, cioè in muro, è necessario che faccia i cartoni, ancorachè e’ si costumi per molti di
fargli per lavorar anco in tavola.
(…). Dappoi, quando sono secchi, si vanno con una canna lunga, che abbia in cima un cartone,
riportando sul cartone, per giudicar da discosto tutto quello che nel disegno piccolo è disegnato
con pari grandezza; e così, a poco a poco, quando a una figura e all’altra danno fine.
(…). E quando questi cartoni al fresco o la muro s’adoprano, ogni giorno nella commettitura se ne
taglia un pezzo, e si calca sul muro, che sia calcinato di fresco e pulito eccellentemente. Questo
pezzo del cartone si mette in quel luogo dove s’ha a fare la figura, e si contrassegna; perché l’altro
dì che si voglia rimettere un altro pezzo, si riconosca il suo luogo appunto, e non possa nascere
errore. Appresso, per i dintorni del pezzo detto, con un ferro si va calcando in su l’intonaco della
calcina; la quale, per esser fresca, acconsente alla carta, e così ne rimane segnata. Per il che si
leva via il cartone, e per quei segni che nel muro sono calcati, si va con i colori lavorando; e così si
conduce il lavoro in fresco o in muro. (…). Assai pittori sono, che per l’opre a olio sfuggono ciò;
ma per il lavoro in fresco non si può sfuggire che non si faccia. Ma certo, chi trovò tal’invenzione,
ebbe buona fantasia; attesochè né cartoni si vede il giudizio di tutta l’opra insieme, e si acconcia e
guasta finchè stiano bene; il che nell’opra poi può farsi.”
Il disegno preparatorio riportato con il colore sull’intonaco fresco consente di eseguire la traccia
disegnativa senza incidere la superficie, ma attraverso la trasposizione del disegno precedentemente
realizzato su un cartone con dei pigmenti che rimangono impressi nell’intonaco.
Con questo tipo di disegno è possibile riportare scene molto complesse e ricche di figurazioni in
maniera rapida e veloce, molto fedele e soprattutto senza intaccare la superficie intonacata da
dipingere.
Si diffonde dal Quattrocento in poi, proprio in corrispondenza della diffusione della prospettiva e
dell’arricchirsi della figurazione.
La tecnica piu’ diffusa è quella dello spolvero.
Lo spolvero
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3. Una volta forato il disegno, il cartone viene giustapposto all’intonaco fresco e viene
tamponato con una garza intrisa di pigmento nero (in genere carbone di legna). La polvere
nera, insinuandosi tra i fori del modello, si deposita sull’intonaco.
In questo modo si genera sull’intonaco un disegno puntinato, perfettamente fedele al modello, che
costituira’ la traccia da definire successivamente a pennello e con i colori.
Andrea Pozzo, Breve istruzione per dipingere e fresco, in Prospettiva dè Pittori ed Architetti,
parte II, 1693-1702, citato secondo l’edizione del 1758.
RICALCARE
“ Stabiliti che sieno i contorni del disegno in carta grande, come abbiamo detto, si soprapporrà
sopra l’intonaco, che per la sua freschezza sarà atto a ricevere ogni impressione: ed allora con una
punta di ferro anderete legiermente premendo i contorni. Né disegni di cose piccole basterà fare
uno spolvero, che si fa con far spessi, e minuti fori né contorni con sovraporvi carbone spolverizato
legato in uno straccio, che sia atto a lasciar le sue orme meno sensibili. Ciò da Pittori si chiama
spolverare.
La Quadrettatura
È un’ulteriore tecnica per mezzo della quale si può riportare a mano libera, seguendo un reticolo
geometrico, il disegno preparatorio direttamente sull’intonaco fresco.
È particolarmente indicata nei casi in cui la rappresentazione è molto ampia e/o si sviluppa su
superfici curve (absidi, volte, cupole)
L’uso di questa tecnica è successivo alla diffusione dello spolvero e del cartone e si sviluppa tra
XVII e XVIII secolo.
Padre Andrea Pozzo descrive ampiamente le fasi esecutive di questa tecnica di disegno
preparatorio.
Andrea Pozzo, Breve istruzione per dipingere e fresco, in Prospettiva dè Pittori ed Architetti,
parte II, 1693-1702, citato secondo l’edizione del 1758.
GRATICOLARE
“Quando si hanno a dipinger luoghi grandi, come Chiese, Sale, o Volte storte, ed irregolari, nelle
quali non si posson far carte così grandi, o non si posson distendere, è necessario servirsi della
graticolazione, la quale è molto utile per trasferir dal piccolo in grande. La graticolazione
prospettica è altresì necessaria particolarmente nelle Volte, o in altri luoghi irregolari, per far
comparire retta, piana, o dritta un’Architettura in prospettiva, ed il modo di farla l’ho dichiarato
nel primo Tomo figura 100, e nel presente figura 69. Primieramente adunque graticoleremo il
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modello piccolo, e trasferiremo l’istesso numero di quadrati, accresciutane solo la grandezza, nella
parte arricciata: ciò fatto sceglierà il Pittore quel numero di graticole, che potrà dipingere in un
giorno, ed ordinerà, che sia diligentemente intonacato, ripigliando sopra la nuova intonacatura la
graticolazione, che fu coperta, acciocchè serva di guida per contornare la vostra operazione: se
dopo dipinto quel in quel giorno vi avanzasse qualche pezzo di intonaco, tagliatelo, ma guardatevi
di far ciò in mezzo delle carnigioni, e solo si permette né contorni di quelle, o di qualche
panneggiamento. Così di mano in mano ordinerete. Che proseguisca l’intonacatura, avvisando il
Muratore, che in ciò proceda destramente per non imbrattar i contorni dell’operato, né far altre
schiature: che però ad ovviar al pericolo, sarà bene comincare l’opera nelle parti superiori.”
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I COLORI NELL’AFFRESCO
Caratteristiche
I pigmenti che offrono tali requisiti sono quelli di origine minerale, e fra questi vengono scelti i
più resistenti.
- le argille o terre, costituiti da ossidi di ferro, che offrono gamme di gialli, bruni e rossi;
- alcuni silicati, il Verde di Verona, che compongono
- i bianchi, composti principalmente dal bianco Sangiovanni (carbonato di calcio);
- i neri, costituiti o da pigmenti minerali (grafite) o animali e vegetali (nero avorio, nero
vite).
Alcuni pigmenti non possono essere assolutamente usati a fresco, per incompatibilità con la
calce, all’acqua o all’esposizione all’aria.
- bianco di piombo, che reagisce coi solfuri nell’aria;
- cinabro, che non resiste all’aria ed all’umidita’;
- blu di prussia, (moderno) instabile alla luce;
Gli azzurri
Gli azzurri di lapislazzuli e lo smaltino sono incompatibili all’acqua, e venivano applicati a
secco, misti a tempera a uovo o colla. L’unico azzurro applicabile a fresco era il blu di cobalto.
Il procedimento per stendere gli azzurri è molto particolare:
Il fondo da “azzurrire” era precedentemente campito con una terra rossa a volte mescolata al nero,
per poi essere ricoperto con l’azzurro applicato a secco, che su un fondo così scuro, brillava e
risaltava.
Essendo applicati a secco, molti fondi azzurri sono andati perduti.
Ogni tinta deve essere applicata con un minimo lavoro del pennello sull’intonaco fresco, per non
rovinare la superficie e non deteriorare il colore e indebolirne l’aderenza.
I chiaroscuri, i modellati, sono eseguiti non per sfumatura e impasto di colore, ma per
giustapposizione, per sovrapposizione di ombreggiature e luci.
Le tinte applicate tendono notevolmente a schiarire man mano che si asciugano. per questo motivo
esse vengono preparate prima della stesura in quantità necessaria per tutta la zona da campire.
La tecnica a fresco non lascia spazio a ritocchi e modifiche in corso d’opera, come avveniva nella
pittura a tempera e olio.
L’artista deve procedere speditamente prima che l’intonaco inizi ad asciugare.
Le luci, i dettagli e la rifinitura dei modellati avveniva in un secondo momento, mediante tecniche a
secco, come colori a calce o tempere, stesi su intonaco asciutto o poco umido.
Le dorature venivano eseguite alla fine.
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LA PITTURA MURALE - Tecniche
Alla classe delle pittura murale appartengono tutti i dipinti murali realizzati con numerose e
diverse tecniche:
• affresco
• tempera
• encausto
• olio su muro
Essendo l’affresco la madre di tutte le tecniche di pittura murale, nonché una tecnica che si
avvale di un particolare procedimento esecutivo, occorrerà distinguere le opere affrescate da quelle
eseguite in altro modo.
Il dipinto murale si distingue dall’affresco per la tecnica di applicazione del colore e per il
legante.
A prescindere dalla scelta del legante pittorico, nei dipinti murali il colore viene applicato
sull’intonaco asciutto, lasciando che il medium scelto svolga la funzione di legante e fissativo del
colore.
L’AFFRESCO
Per affresco si intende una tecnica di pittura murale che utilizza l’intonaco fresco quale supporto
pittorico, e una reazione chimica, la carbonatazione, quale legante e fissativo del colore.
I pigmenti vengono mescolati in acqua e stesi sull’intonaco fresco, cioé ancora umido.
INTONACO → SUPPORTO
ACQUA → VEICOLANTE
CARBONATAZIONE → LEGANTE
Ciò che caratterizza l’affresco è dunque la reazione chimica che nasce dalla stesura dei colori
sull’intonaco fresco: la carbonatazione.
La carbonatazione e’ una reazione chimica che si determina fra la calce contenuta nell’intonaco e
l’anidride carbonica presente nell’aria.
L’idrossido di calcio (CA (OH)2 ) disciolto nell’intonaco migra verso la superficie e incontra
l’anidride carbonica (CO2) presente nell’aria, con la quale reagisce formando carbonato di calcio
(CACO3) e rilasciando acqua (H2o) allo stato di vapore.
Durante questa reazione i pigmenti vengono inglobati dalla cristallizzazione superficiale del
carbonato di calcio, che li fissa quasi rendendoli parte integrante di una lastra di calcare colorato.
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La carbonatazione, che si produce dalla superficie verso l’interno, forma, dopo un certo tempo,
una crosta superficiale che rallenta la reazione in profondità.
La pittura si indurisce prima in superficie e diviene più resistente degli strati sottostanti.
I pigmenti non vengono cosi inglobati in tutto lo spessore dell’ intonaco, ma costituiscono uno
strato ben distinto, una vera e propria pellicola pittorica come si avrebbe in un dipinto a tempera.
LE TECNICHE A SECCO
Si definiscono tecniche a secco tutte le forme di pittura murale eseguite sull’intonaco o su una mano
di calce secca, in cui i pigmenti sono fissati da un legante al quale vengono mescolati prima
dell’applicazione.
La pittura a calce.
La formula più comune è la cosiddetta pittura a calce, che consiste nell’applicare i pigmenti
mescolati al latte di calce (il legante), su di un intonaco secco preventivamente bagnato per
favorirne l’aderenza.
Spesso questo tipo di pittura viene erroneamente definito “mezzo fresco” o “fresco secco”.
In questo caso infatti si ha solo la carbonatazione della calce mescolata ai pigmenti, non di quella
che compone tutto lo strato di intonaco.
Oltre alla pittura a calce esistono tre tipi principali di tecniche a secco per dipingere su muro:
le tempere, l’olio e l’ encausto.
I colori possono essere applicati o su uno strato di intonaco secco o direttamente sul muro
preventivamente “preparato” con un’imprimitura.
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La pittura a tempera
Per pittura a tempera si intendono quelle tecniche nelle quali i pigmenti sono mescolati ad un
legante acquoso o in emulsione che asciugando fissa i pigmenti. I principali leganti per tempera
usati nella pittura murale sono:
- l’uovo
- la caseina
- la colla animale
- le gomme vegetali
La pittura a olio
I colori sono mescolati ad un legante oleoso che asciugando, lentamente, fissa i pigmenti al
supporto, come nella pittura ad olio su tela o tavola.
I principali olii vegetali usati nella pittura murale sono:
- olio di lino
- olio di papavero
1. Un supporto portante (struttura muraria), che può essere costituito da muri artificiali
formati da mattoni e/o pietra cementati tra loro con malta, o da pareti naturali come quelle
di una grotta.
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I MOSAICI A PASTA VITREA
“OPUS MUSIVUM” O “METALLA”
Con i termini “OPUS MUSIVUM” o “METALLA” s’intendeva in età antica il solo mosaico
parietale.
Il “MUSIVARIUS” o “MUSEARIUS” colui che realizzava i mosaici parietali.
Considerato forma espressiva affine alla pittura ma con materiali più nobili e più duraturi, nasce
come evoluzione del “OPUS VERMICULATIM” al fine di arricchire la gamma cromatica piuttosto
ridotta delle pietre naturali.
Sebbene noto alle civiltà più antiche come gli egizi, non se ne hanno testimonianze in ambito greco.
Con Plinio l’uso di elementi in vetro si fa risalire con datazione certa al 58 a.C. (Teatro di Scauro)
Non esistono fonti sulla tecnica in età bizantina.
Testimonianze di tessere auree si hanno non prima del III secolo d.C.
In età romana il mosaico a pasta vitrea era considerato una tecnica perfettamente parallela alla
pittura murale, sebbene una particolare attenzione per questa tecnica è intuibile dall’uso,
dall’importanza e dalla costosità di piccole opere portatili in mosaico: gli “EMBLEMATA”
TECNICA
Di grande diffusione fu la tecnica del mosaico vitreo su supporto per la realizzazione di icone.
In età bizantina il mosaico parietale quale espressione artistica assume valore assoluto.
Di “tessere vitree” nell’accezione moderna parla per primo Teofilo (cap. II) riferendosi a opere
superstiti in edifici antichi.
È interessante notare come la tecnica esecutiva rimane pressoché identica per secoli.
In età romana e nel tardo antico si hanno testimonianze di realizzazione di mosaici vitrei con
l’inserimento diretto per pressione della tessera su una strato di mastice precedentemente steso sul
supporto murario. L’uso specifico di mosaici viene citato per ambienti molto umidi quali fontane e
strutture termali.
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A San Marco si ha la testimonianza di un vero dipinto che funge da strato d’allettamento delle
tessere.
Il tessuto musivo era realizzato in base a schemi fissi e regolari negli esempi più antichi.
Col passare dei secoli segue sempre più il disegno. Nel XIII assomiglia ed imita vere e minute
pennellate. Si usano tessere più grandi per i fondi; tessere più piccole per i panneggi; tessere minute
per i volti e le mani.
Le tessere potevano avere tendenzialmente forma quadrata, ma non mancano esempi di tessere
triangolari e tonde.
La campitura delle aree prevede in genere una stesura di tessere a definire il profilo.
Il contorno è composto da un massimo tre tessere.
Le tessere venivano tagliate con una “mazzetta” su di un cuneo nel caso di tessere lapidee, con
pinze e cristalli nel caso di vetri.
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2) si applicava sulla superficie la foglia d’oro o d’argento;
3) si ricoprivano le lamine metalliche colando un sottile strato di vetro fluido trasparente . Il calore
permetteva la “fusione-saldatura” dei tre strati.
Esempi
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FATTORI DI DEGRADO
RESTAURO
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4) pulitura: con miscele di solventi o chelanti
5) reintegrazioni musive e pittoriche: a riproporre il tessuto musivo ma sotto tono; a riproporre il
l'ornato con un dipinto
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I COLORI
In antichità si distingueva tra color e pigmentum
1).colori naturali:
- di origine animale o vegetale
2) colori artificiali:
- sono ricavati con procedimenti chimici
Colori naturali
- colori vegetali: si estraggono da alcune parti delle piante (noci, zafferano, noccioli di pesca
ecc…).
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- colori animali: si ottengono dagli organi e dalle ossa degli animali per spremitura,
essiccatura, macinazione, bruciatura. Vengono usati nella composizione delle lacche
Colori artificiali
Si tratta sostanze che provengono dalla natura sotto forma di sali, ossidi, solfuri di diversi
metalli, quali il ferro, il piombo, il rame, il mercurio. Si ricavano con procedimenti chimici:
calcinazione, ossidazione, carbonatazioni, precipitazioni. Sono i più usati per la loro maggiora
stabilità fisica e chimica
I colori vengono finemente macinati in un mortaio per ottenere una polvere finissima. La polvere
viene miscelata di volta in volta con la giusta quantità di medium.
(maggiori dettagli sul sito consigliato: pigmenti.net
BIANCHI
GIALLI
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DELL’IDRATAZIONE. MOLTO USATO DALLA PREISTORIA. E’ UNO DEI COLORI PIU’
STABILI E USATO IN TUTTE LE TECNICHE PITTORICHE.
ROSSI
TERRE ROSSE (Ocre rosse, terra di Pozzuoli, Rosso Veneziano, Rosso Indiano, Rosso
Inglese) OSSIDI DI FERRO CHE VARIANO LA TONALITA’ A SECONDA DELLA
COMPOSIZIONE. MOLTO COPRENTI E RESISTENTI, COMPATIBILI CON OGNI
TECNICA.
VERDI
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VERDE MALACHITE (Verde azzurro, Verde di Armenia) SI OTTIENE DALLA
MACINAZIONE DELLA MALACHITE (PIETRA SEMIPREZIOSA). SCARSO POTERE
COPRENTE, REATTIVO CON SOLFURI E L’ARIA. USATO NELLA TEMPERA E
NELL’OLIO. DERIVA DALL’OSSIDAZIONE DELL’AZZURRITE.
BLU
BRUNI
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BITUME (asfalto, Bruno d’Anversa)
PIGMENTO NATURALE MINERALE, COMPOSTO DALLA MISCELA DI IDROCARBURI.
ABBASTANZA TRASPARENTE, USATO SIN DAL ‘400 NELLA PITTURA AD OLIO.
IL SUO IMPIEGO PUO’ CAUSARE CRETTATURE PRECOCI E PROFONDE POICHE’ NON
SECCANDO DEL TUTTO CONTINUA A MUOVERSI.
NERI
NERO DI VITE
SI OTTIENE BRUCIANDO TRALCI DI VITE. SCARSO POTERE COPRENTE MA
ABBASTANZA STABILE.
GIALLO INDIANO
COLORANTE DI NATURA ORGANICA OTTENUTO DALLE URINE DI ALCUNI BOVINI.
COLORE TRASPARENTE, MOLTO USATO PER LE VELATURE AD OLIO.
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GIALLO DI CADMIO (in uso dal XIX secolo)
SI OTTIENE SINTETICAMENTE. MOLTO STABILE E RESISTENTE. LARGAMENTE
USATO AD OLIO, COMPATIBILE CON TUTTI I PIGMENTI, TRANNE CON QUELLI A
BASE DI RAME E PIOMBO CHE IN SUA PRESENZA ANNERISCONO.
GIALLO DI BARIO (Giallo permanente) (in uso dai primi del XIX secolo)
CROMATO DI BARIO, PRODOTTO SIN DALL’ OTTOCENTO.
BASSO POTERE COPRENTE E POCO STABILE. LA LUCE LO VIRA AL VERDE.
VERDE OSSIDO DI CROMO (Viridian) (in uso dai primi del XIX secolo)
OTTENUTO SINTETICAMENTE, OPACO O TRASPARENTE A SECONDA
DELL’IDRATAZIONE. STABILE E RESISTENTE CON TUTTI I PIGMENTI E LE
TECNICHE.
VERDE SMERALDO (Verde Veronese, Verde di Parigi) ( in uso dalla fine del XVIII
secolo- primi del XIX secolo)
PIGMENTO A BASE DI ARSENICO, TOSSICO. PRODOTTO SIN DA INIZI ‘800.
COMPATIBILE CON L’OLIO MA SCARSAMENTE RESISTENTE AI SOLFURI.
BLU DI PRUSSIA (Blu di Berlino, Blu Cinese) (in uso dal XVIII secolo)
ALTISSIMO POTERE COPRENTE, ABBASTANZA RESISTENTE A TUTTO TRANNE LE
SOSTANZE ALCALINE, QUINDI NON IMPIEGATO NELL’AFFRESCO.
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PRODOTTO SINTETICAMENTE. SEMITRASPARENTE E CHIMICAMENTE MOLTO
STABILE. USATO IN TUTTE LE TECNICHE.
I LEGANTI
Il medium ha la funzione di aggregare i microgranuli del colore, creando una sostanza filmogena
L’essiccamento del legante crea il film pittorico. L’essiccamento avviene in due fasi:
1a fase: l’impasto diventa solido e secco al tatto. avviene in circa 48 ore.
2a fase: diviene completamente secco (polimerizza). può durare decine di anni.
L’essiccamento del legante ne comporta modificazioni fisiche, chimiche, meccaniche e ottiche.
La flessibilità del film pittorico: è una caratteristica meccanica che consente di assecondare i
movimenti del supporto senza determinarne conseguenze negative (screpolature, craquelure,
lesioni).
Compatibilità. Il legante non deve alterarsi e non deve alterare i pigmenti, garantendo:
- resistenza alla luce
- insolubilità
- trasparenza
Colle animali
Si ottengono da pelli, cartilagini e ossa di alcuni animali, che vengono bollite e poi essiccate. il
collagene è la sostanza che gli conferisce proprietà adesive e coesive.
Il grado di purificazione determina le loro proprietà adesive e coesive. Hanno buona stabilità, ma
l’umidità può alterarle.
Vengono usate nella tempera, come medium per i colori, e nelle preparazioni dei supporti mista a
gesso.
Uovo
Il rosso è usato nella “tempera a uovo”. Il bianco nella miniatura o come fissativo nella tempera su
tavola.
Il tuorlo, essiccando, diviene insolubile in acqua. L’albume, asciugando, invece è sensibile.
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Tempi di essiccazione molto lenti, ma non si degrada con l’invecchiamento.
Buone capacità di coesione, flessibilità, stabilità alla luce (non ingiallisce).
Caseina e Latte
La caseina e’ una proteina contenuta nel latte. Viene impiegata sia nella tempera su tavola sia,
specialmente, in quella su muro. Ha scarse proprietà meccaniche: non è molto flessibile e
asciugando tende a screpolarsi.
Il latte è più stabile e resistente perché più grasso.
Provengono dalle essudazioni di piante. Sono miscele ottenute dal succo dei frutti e dei semi.
Comprendono gli olii siccativi e le gomme vegetali.
Olii Siccativi
Sono olii che nell’essiccare formano una sostanza filmogena. Il più importante e l’olio di lino.
L’olio di lino asciuga al tatto in 2 giorni, ma totalmente solo dopo decine di anni, per ossidazione e
polimerizzazione, trasformandosi in linossina. Per accelerarne il processo di asciugatura e per
correggere inconvenienti alla pittura, come l’ingiallimento, venivano usati dei catalizzatori, come
biacca o litargirio. L’invecchiamento lo rende stabile e solido ma ne altera le proprietà
Gomme Vegetali
Sostanze naturali prodotte dall’essudazione di alcune piante. Sono idrofile poiché solubili in acqua.
Formano un film pittorico fragile, reso più elastico aggiungendogli miele o glicerina. Vengono
usate come leganti nell’acquerello e nella miniatura al posto dell’uovo.
La più comune è la gomma arabica: derivata dall’essudazione di acacie.
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Reintegrazione pittorica
La reintegrazione pittorica, qualunque sia il tipo tecnica di reintegrazione pittorica si decida di
seguire deve essere posta su una stuccatura.
Stuccatura che deve essere realizza in caso di mancanza di colore e sottostante preparazione
imprimitura .
Per la stuccatura si procederà con l’applicazione di uno strato di gesso e colla animale.
La stuccatura va eseguita a livello dell’originale e non sottosquadro il cui dislivello produrrebbe
un’ombra del contorno e renderebbe
visibile l’integrazione.
Reintegrazione a neutro
Si intende il trattamento di grandi lacune che no è possibile ricostruire e per le quali
Si preferisce dare un colore neutro che le uniformi e le differenze dall’originale
In una unica tinta. Metodo concettualmente corretto ma che produce effetti decisamente
Non in linea con la lettura dell’opera e la sua fruizione estetica
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Reintegrazione imitativa sottotono
Prevede ove possibile la reintegrazione delle lacune grazie all’uso di tonalità più chiare (sottotono)
rispetto a quelle circostanti permettendo di individuare l’area di intervento.
Si esegue a velature di colore uniforme o a “ragatino” o a “puntianto” cioè applicando o spruzzando
colore in mille puntini accostati gli uni agli altri permettendo cosi la leggibilità dell’intervento.
Astrazione cromatica
Per superfici dipinte con grandi lacune quando non è possibile una esatta idea ricostruttiva
Al fine di chiudere la lacuna con una
stesura pittorica neutra
che colleghi la pellicola pittorica superstite.
L’astrazione cromatica consiste nell’applicazione dei colori diversi per piccolo tratteggio crea una
campitura di colore non monocromatica e non segue il verso delle pennellate originali.
L’effetto finale dei colori deve derivare dalla lettura cromatica dell’intera opera e deve essere la
somma della cromia dell’intero dipinto e la cromia finale dell’integrazione deve essere uguale in
tutte le lacune presenti nell’opera.
Astrazione cromatica non si deve accordare con le tonalità della singola lacuna e delle lacune
dell’intera opera per
restituire unita di lettura dell’opera nella sua globalità.
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Astrazione cromatica
TECNICA
Si eseguono a tratteggio di quattro colori diversi in quattro diverse stesure. La cromia finale sarà un
neutro identico in tutte le lacune ma l’orientamento del tratteggio varierà a seconda della
figurazione
Quattro stesure
- Colore giallo a stesura verticale:
molto fitto per coprire il bianco del fondo.
- Colore rosso a stesura obliqua rispetto al giallo in modo da realizzare un intreccio.
- Colore verde o blu, a stesura obliqua rispetto al rosso. La scelta del verde o del blu sarà
condizionata dalla tonalità d'insieme dell’opera: il verde per i toni
marroni, ocra e terrosi; il blu per una vibrazione cromatica all’azzurro, algrigio e ai rossi.
- Colore nero , quale ultima stesura, inclinata rispetto al verde o blu.
Selezione cromatica.
Tecnica di reintegrazione di lacune localizzate di
sicura interpretazione figurativa.
Operazione piuttosto complessa che prevede tramite piccolissime pennellate, stese in riprese
successive una accanto all’altra di tutti i colori presenti nell’opera
in tutte le sue componenti cromatiche.
La composizione dell’insieme della piccole pennellata è realizzata per effetto ottico di chi guarda in
una uniformità di lettura:
Cosi mentre da vicino si noteranno tutti i colori utilizzati singolarmente a distanza la reintegrazione
sarà perfettamente ricomposta nella integrità della figurazione.
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Selezione cromatica
TECNICA
Prevede l’uso di colori puri selezionati in base al tono della parte originale superstite da ricostruire.
con tre stesure
Successive:
- prima il colore più chiaro
- colore intermedio
- colore scuro
Si procede dalla tonalità più calda a quella più fredda.
La reintegrazione che verrà eseguita con piccole pennellate che devono seguire l’effetto grafico
originale: orizzontale per
una cornice, una base; verticale per i fondi piani; obliquo per una piega; curvi per esempio volti e
decorazioni come aureole.
ASTRAZIONE CROMATICA
SELEZIONE CROMATICA
La differenza tra la selezione cromatica e il rigatino romano è che il tratteggio con il metodo
fiorentino
- segue l’andamento delle pennellate originali
- il colore deve avere una «identità di effetto» con quello
originale pur essendo eseguito con colori puri accostati.
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Reintegrazione
imitativa -
Detto anche “restauro
mimetico”.
Intervento di
reintegrazione che non
permette
di distinguere le parti
originali
da quelle restaurate.
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LE VERNICI
La vernice è uno strato sottile, trasparente e incolore, applicato sulla superficie pittorica.
La sua funzione principale è la protezione del colore dagli agenti esterni.
-VERNICI OLEORESINOSE:
Composte dalla mescolanza di resine naturali e olio di lino cotto.
Essiccata divengono irreversibili e insolubili.
L’invecchiamento determina la perdita di brillantezza, opacizzando i colori sottostanti.
-VERNICI A SOLVENTE:
Composte da sostanze volatili (solventi) e resine naturali o sintetiche.
L’essiccamento avviene per evaporazione del solvente.
Formano una pellicola elastica, sottile e solubile in qualsiasi momento con lo stesso solvente.
Con il tempo perdono flessibilità e si sgretolano, ingialliscono.
RESINE NATURALI
Di natura vegetale: per essudazione delle piante.
Sono insolubili in acqua e solubili in solventi organici.
Formano film con alte proprieta’ adesive e coesive.
L’ossidazione genera l’ingiallimento.
DAMMAR: si scioglie facilmente nei solventi organici. forma un film sottile e poco resistente. Non
ingiallisce, buone proprieta’ adesive.
ALTRE VERNICI:
COLOFONIA O PECE GRECA: dalle secrezioni dei pini. Fonde a basse temperature. forte
tendenza ad imbrunire.
COPALI: resine dure, fossili. insolubili in molti soventi. formano film duri e brillanti. Molto usate
anticamente nelle vernici finali. Scuriscono molto e screpolano.
GOMMALACCA: di origine animale. solubile in alcool. Molto usata come vernice per i legni e le
dorature antiche, come fissativo nelle pitture murali. Ingiallisce molto.
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SCULTURA IN METALLO
Gli esempi più antichi e quelli più diffusi in età medievale sono rappresentati da manufatti eseguiti
con la tecnica detta “a lavorazione diretta”:
- L’opera viene realizzata martellando e/o sagomando delle lamine metalliche su un matrice in
legno già scolpita ed in molti casi già perfettamente rifinita in ogni particolare.
- Durante le fasi di lavorazioni di sagomatura, le lamine necessitano di “ricotture” per
restituire elasticità al metallo e proseguire con ulteriori interventi di modellazione.
- Le lamine vengono assemblate con saldature dello stesso metallo, ma con punto di fusione
più basso grazie alla differente composizione della lega metallica utilizzata.
- Le lamine, se di determinato spessore (autoportanti), possono anche essere montate tra loro
senza più bisogno di un supporto interno.
- In alternativa poteva essere impiegata una più antica tecnica che prevedeva di unire le
lamine tra loro su una struttura portante, per mezzo di vincoli (chiodi, perni, rivetti).
- I particolare decorativi vengono eseguiti successivamente a con ceselli e bulini
Bronzi e ottoni
Viene per tale ragione, anche se utilizzato per tecniche come la “cera persa” miscelato con altri
metalli detti “metalli bianchi” per abbassare il punto di fusione e per permettere una maggiore
lavorabilità.
BRONZO
La migliore composizione metallica prevede per il Rame 92-99 % e per lo Stagno 1-8%.
Altri metalli in lega sono Zinco e il Piombo in percentuali variabili.
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Composizione nella storia
La composizione del bronzo variò moltissimo nelle epoche.
Bronzi preistorici e pre-classici : rame attorno al 95%
Bronzi classici ed ellenistici: rame attorno al 95-90%
Bronzi romani: rame anche con valori inferiori al 80%
(Si inizia a introdurre una alta percentuale di Piombo: caratteristica che sarà costante in tutto il
medioevo. Il Piombo rende il manufatto più pesante ma la lega molto più fluida e, se introdotta in
grosse percentuali, incupisce la colorazione)
ESEMPI
Colosso di Barletta: rame 67%, Piombo 29%, Stagno 4%
Porte di Hildesheim (1015): rame76%, piombo 10%,stagno 8%, zinco 4%.
San Pietro di Arnolfo: rame 72%, stagno 20%, piombo 5%
Nel Rinascimento la composizione torna ad essere con percentuali di rame attorno al 90% e di
“metalli bianchi” attorno al 10%.
Altre caratteristiche
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Aumentando la percentuale di stagno, il bronzo indurisce ed acquista caratteristiche di sonorità: con
percentuali superiori al 20% si producono tutt’oggi le campane.
Tale produzione fu di particolare importanza nel medioevo, in quanto solo i campanari permisero la
sopravvivenza di conoscenze tecnologiche tali da essere dopo anno 1000 sfruttate per tornare a
produrre manufatti decorativi in leghe di rame.
Le differenti percentuali di “metalli bianchi”, influenzano il colore della lega: più il manufatto è
realizzato in rame quasi puro più sarà di colore caldo tendente al rosso;
Maggiori sono le percentuali di stagno, zinco, piombo più il manufatto acquisterà toni chiari
tendenti al bianco lucente
OTTONE
1) FUSIONE PIENA
Tecnica in uso per le oreficerie e per piccoli manufatti in bronzo in quanto si impiega molta materia
prima.
Il manufatto che si vuole ottenere si realizza in cera o in altro materiale; si crea una matrice in
argilla; si cuoce per l’eliminazione della cera.
Si riempie lo spazio precedentemente occupato dall’originale in cera con metallo fuso; si spacca la
matrice in terracotta.
Inconveniente è che si ottiene una sola copia e se la fusione è errata si perde il lavoro originale
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2) FUSIONE A CERA PERSA DIRETTA
Tecnica molta antica ma ben illustrata da Cellini nel Trattato della Scultura e nel Vita per il Perseo.
Si inizia modellando, con una struttura interna di rinforzo in metallo, una figura sommaria più
“magretta un dito” in materiale refrattario: abbozzo, detto Anima o Maschio, realizzato con Luto:
composto da creta, sterco, cimatura di panni, paglia, urina, tutto fatto macerare per mesi in acqua. Il
composto deve essere facilmente modellabile; non crepare in fase di asciugatura; poroso;
permeabile a aria e gas di cottura.
Si copre l’Anima di uno strato di cera (cera vergine, trementina e grasso) dello spessore che
s’intende dare al manufatto. Si modella sin nei più minuti particolari.
Si ricopre l’opera in cera di una “Camicia di luto”, molto sottile e simile a quello precedentemente
usato, che si applica prima a pennello con aggiunta di albume e, dopo perfetta essiccazione, in più
strati fino allo spessore di un dito.
Il primo strato, Camicia, si ricopre con spessori più grossolani di Luto, ottenendo la Cappa, o forma
esterna, che si irrobustisce con filo di ferro o cerchi in ferro.
Si essicca.
Si cuoce il tutto in modo di irrobustire gli strati esterni ed eliminare la cera:
lo spazio interno rimasto vuoto verrà riempito dal metallo, Colata, che prenderà esattamente la
forma della cera ossia dell’opera finita in ogni particolare.
Prima della camicia si applicano delle barrette di cera o di legno di sambuco, secondo modi e
tecniche dettate dalle necessità e dall’esperienza:
detti “Scolatoi” e necessari a far uscire la cera da ogni interstizio,
detti “Getti di colata” per colare il bronzo fuso,
detti “Sfiatatoi” per far uscire i gas che si sprigionano in cottura.
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Si applicano inoltre i “chiodi distanziatori” in ferro o, meglio ancora, in bronzo, al fine di bloccare e
rendere solidali l’anima interna e la camicia esterna. Questi resteranno bloccati nel bronzo
nell’opera finale. In genere se in ferro vengono rimossi e il foro ottenuto viene chiuso con una
fusione di bronzo “bassofondente”. Nel caso di utilizzo di chiodi in bronzo tale operazione non è
necessaria.
La forma chiusa nella “Cappa”, cerchiata di metallo, deve essere interrata e la colata del metallo
deve avvenire in breve tempo in modo che il refrattario “Luto”, non assorba umidità e quindi non si
spacchi in fase di fusione.
Raffreddata la colata si rimuovono, distruggendole, la Cappa e la Camicia, si tagliano i vari canali,
si svuota l’interno dall’Anima e si passa alle rifiniture.
Riparazioni, saldature, rimozione dei “chiodi distanziatori”.
I “getti” grezzi di fusione appaiono di colore scuro e grumoso e dalle superficie resa irregolare da
“bave di fusione”; necessitano di lente meticolose “operazioni finali”di levigatura, lucidatura,
cesellatura, bulinatura e doratura (ad “amalgama” diretta o “a contatto”).
La realizzazione di una statua prevedeva numerose fusioni distinte per differenti porzioni della
figura: testa, braccia, busto, gambe.
Le parti, sempre “aperte” almeno su un lato, potevano essere svuotate dalla camicia interna.
La realizzazione poteva presentare “errori di fusione”: il bronzo liquido non raggiunge tutte le parti,
lo spessore è irregolare con porzioni troppo sottili e\o fori e mancanze.
Le parti di spessore non idoneo vengono eliminate, in genere con tagli regolari piani a formare
figure geometriche poligonali. Tali mancanze vengono risarcite con “tasselli”: lastre di bronzo
precisamente sagomate, fuse a parte, assemblate all’opera ad incastro o con saldature localizzate.
Le porzioni che costituivano la figura nella sua completezza ( testa, braccia, gambe etc) si
assemblavano successivamente per mezzo di saldature in bronzo “bassofondente”: lega più ricca di
stagno e facilmente colabile.
Le saldature venivano nascoste durante le operazioni finali di levigatura e lucidatura delle superfici.
In età rinascimentale il metallo lucente veniva patinato per fargli assumere colorazioni brune,
verdastre o nere.
La patinatura artificiale era una sorta di dipintura con cere, bitume, grassi con pigmenti o ottenuta
grazie a reazioni chimiche provocate con l’uso di acidi (nitrico) o di ammoniaca (urina).
Le porzioni che costituivano la figura nella sua completezza ( testa, braccia, gambe etc) si
assemblavano successivamente per mezzo di saldature in bronzo “bassofondente”: lega più ricca di
stagno e facilmente colabile.
Le saldature venivano nascoste durante le operazioni finali di levigatura e lucidatura delle superfici.
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In età rinascimentale il metallo lucente veniva patinato per fargli assumere colorazioni brune,
verdastre o nere.
La patinatura artificiale era una sorta di dipintura con cere, bitume, grassi con pigmenti o ottenuta
grazie a reazioni chimiche provocate con l’uso di acidi (nitrico) o di ammoniaca (urina).
76
I tasselli assemblati vengono spalmati nel lato interno di cera liquida alla quale viene applicata cera
in fogli fino a raggiungere lo spessore che si desidera per l’opera.
Per opere di piccole dimensioni si cola direttamente la cera all’interno.
Si ricompone il tutto facendo ben cura di saldare i vari fogli di cera tra loro.
L’interno della statua è riempito di materiale refrattario: “Luto”.
Si liberano le cere e si montano gli sfiatatoi, i gocciolatoi, i canali di colata e quindi si procede
come già illustrato con la tecnica a “Cera Persa Diretta”.
Il vantaggio di tale tecnica, ben più complessa, è che si possono ottenere innumerevoli copie di un
originale.
77
CONSERVAZIONE DEI MANUFATTI BRONZEI
Per analizzare le caratteristiche conservative dei manufatti bronzei bisogna tener presente:
1. Natura della lega e dei minerali che la compongono
2. La fusione ed il metodo di lavorazione del manufatto
3. Tasselli e saldature originali e successive
4. Natura e stato delle superfici (corrosioni)
5. Manutenzione
Tutto ciò in vista delle tre necessità da risolvere per la sua conservazione:
1. Bloccare la corrosione
2. Eliminare l’umidità
3. Creare una barriera tra il manufatto e l’ambiente circostante sempre inquinato
-visivo
-fisico
-chimico
Una prima grande trasformazione dei tre aspetti-caratteristiche di manufatti in leghe metalliche si è
avuta con la rivoluzione industriale ed il deterioramento dell’ambiente
L’anidride solforosa condiziona in modo determinante la conservazione. La relazione tra la
presenza di tale sostanza nell’aria e la conservazione dei metalli fu evidenziata già nel 1800 a
Berlino.
Leghe metalliche
“miscela” di più metalli tra loro al fine d’ottenere un composto con caratteristiche chimico-fisiche
corrispondenti alle specifiche necessità nella realizzazione di un manufatto
78
Omogeneità della lega condiziona la conservazione del manufatto.
Le leghe non hanno struttura cristallina perfetta: le irregolarità si dicono “dislocazioni”: dalle
dislocazioni possono determinarsi fenomeno chimico-fisici di degrado.
I Bronzi
Lega metallica di Rame, Stagno, Zinco, Piombo in percentuali variabili.
Se le componenti del bronzo non sono ben proporzionati, la lega diventerà cattiva con
caratteristiche negative: troppo dura o troppo morbida
Fasi di formazione
1. Struttura dendridica
2. Raffreddamento lento
3. Struttura poligonale
4. Struttura poligonale con lavorazione meccaniche
5. altre
Corrosione
Tutti i manufatti metallici sono soggetti a corrosione: insieme delle interrelazioni chimico-fisiche
tra il materiale metallico e l’ambiente circostante.
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LA CORROSIONE È PROVOCATA E/O ACCELLERATA DA:
- Accoppiamento di 2 metalli con diversa posizione nella “scala di ossidazione” dal più nobile
al più volgare
- Aerazione differenziata: zone con maggiore o minore scambio o contatto con aria e quindi
con ossigeno
- Superfici disomogenee: irregolarità di fusione, successive creazioni di lesioni o fratture
dovute a fenomeni traumatici o a costanti fenomeni di indebolimento della struttura come a
sollecitazioni quali vibrazioni.
- Presenza di prodotti di corrosione già formati quali ad es.:
o La presenza di sali solubili
o Di ioni specifici: ioni cloro, ioni zolfo
o Di prodotti e derivati dalla aria inquinata: particelle carboniose che agiscono come
una spugna assorbendo umidità e prodotti inquinanti
o Di acidi dispersi nell’aria e /o prodotti con la combinazione dell’acqua
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PATINA
STRATO NON METALLICO MA MINERALE
Definizione: è un tipo di incrostazione stabile in condizioni normali di temperatura e di umidità;
è tanto più protettiva quanto è dura e compatta;
ha un aspetto piacevole in relazione ai minerali che la compongono.
CLORO e ZOLFO
I processi di corrosione più diffusi sono legati alla completa dissoluzione della patina nobile in
quanto il processo è legato al Cloruro Rameoso.
Alla più drammatica relazione tra la patina e l’ambiente acido (inquinamento) con il quale si crea un
meccanismo esterno alla patina ed il prodotto d’aggressione è costituito dalla Anidride solforica
SO2 e Anidride solforosa SO3.
82
Azione di corrosione dei composti di zolfo
Lo zolfo è presente nell’atmosfera inquinata sotto forma di anidride solforosa e anidride solforica;
tali composti sono entrambi prodotti dall’azione dei motori a scoppio e delle industrie, ma anche
presenti in natura vicino a terme o zone vulcaniche.
Anidride solforosa e anidride solforica presenti nell’aria con l’umidità ambientale si trasformano in
acido solforico, che condensa sulle superfici in alcune ore del giorno.
Più elevato il tasso dei due composti nell’aria più concentrato ed acido sarà il velo deposto sulle
superfici.
Fenomeno detto “acidificazione del bronzo”.
L’acido discioglie da prima le patine, spesso costituite di carbonati di rame, ed in seguito trasforma
il rame in sostanze facilmente solubili e polverose come:
- brocantite: solfato basico di rame, verde chiaro azzurro
- calcocite: solfuro rameoso, nero
- covellite: solfuro rameico, nero-blu
- solfato penta idrato di rame , verde chiaro molto solubile.
Tutti i composti di zolfo tendono ad essere molto solubili ed essendo sali superficiali, sono molto
igroscopici tendendo, in presenza di umidità, ad assorbire e conservare sulla superficie sempre
maggiori quantità di acido solforico.
L’aspetto è quello delle statue all’aperto quasi completamente ricoperte di una strato verde chiaro
che con la pioggia percola sulle superfici sottostanti (piedistalli, muri, balaustre)
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SCHEMA BASE DEL RESTAURO DEI BRONZI ALL’APERTO
- rimozione polveri e depositi di varia natura: guano, semi, nidi d’inetti, croste nere
- rimozione depositi calcerei nel caso di fontane
-rimozione meccanica Sali solubili
-lavaggi intensivi con acqua demineralizzata ( e misurazione dei sali solubilizzati)
- disidratazione
-trattamento di inibizione di corrosione del rame
- protezione superficiale con resine acriliche
- protezione superficiale con cere microstalline
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OREFICERIE
ORO
2) giacimenti
-rocce silicee
-quarzo d’origine idrotermale associato a solfuri, pirite etc.
3)derivato da lavorazione:
- si ricava come residuo di lavorazione d’altri minerali metalli: argento, piombo, rame e nichel
A causa della scarsa durezza, è utilizzato in lega con altri metalli : argento, rame, nichel, zinco
Lega ORO-RAME: colorazione rosata detto oro-rosso
Lega ORO-ARGENTO: colorazione argentea-verdestra detto “elettro”
Lega ORO-PLATINO, ORO-NICHEL: colorazione bianca detto oro-bianco
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ARGENTO
2) Giacimenti
- piombo argentifero
- come: solfuri d’argento “argentite” di colorazione nera lucida
- come: cloruro d’argento “luna cornea” di colorazione biancastra-grigia
3) Derivato da lavorazione:
- si ricava con un processo di lavorazione detto “coppellazione” dal piombo, dal rame.
Proprieta’ fisico-chimiche:
▪ simbolo: AG
▪ punto di fusione: 961° c.
▪ punto di ebollizione: 1955° c.
▪ cristallizzazione cubica ma in genere si trova in aggregati dendritici
▪ colore: bianco metallico lucente
▪ poco più duro dell’oro
▪ estremamente malleabile e duttile:
(ridotto in fogli di spessore di 3μ oppure in fili dal peso di 0,5 μgr/m)
▪ alta densita’ (10,50 g/cm ) sebbene minore dell’oro
▪ scarsa reattivita’ agli acidi e agli alcoli
▪ alta reattivita’ allo zolfo
▪ scioglie in acido nitrico
A causa della scarsa durezza è utilizzato in lega con altri metalli: oro, rame, nichel, zinco
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TECNICHE DI LAVORAZIONE
1. FUSIONE
o Piena
o A cera persa ( vedi paragrafo bronzo)
o Indiretta ( vedi paragrafo bronzo)
2. LAMINAZIONE
o Lamine
o Foglie
Di preliminare importanza era la “composizione del titolo” della lega metallica al fine di ottenere
una materia prima dalla buona duttilità e malleabilità.
All’argento puro venivano aggiunte percentuali di rame.
La Fusione: il metallo era fuso a circa 960 gradi in crogioli di grafite e colato in stampi lunghi e
stretti a formare delle barrette,che venivano cotte nuovamente a basse temperature per dare
maggiore coesione alla lega.
La Battitura: si battevano le lamine per assottigliarle fine allo spessore voluto. Di volta in volta
si passava alla ricottura.
• La laminazione dell’oro, meglio conosciuto come “foglia d’oro”, veniva realizzata partendo
da piccoli grumi, frammenti di metallo, pepite oppure da monete.
• La foglia è realizzata per martellatura.
ancora oggi per ottenere spessori veramente sottili si lavora a mano su fogli di spessore di
25 millesimi di millimetro.
o frammenti di lamine più spesse vengono alternati a strati di pelle di vitello
o la pelle assorbe i colpi ed evita d’alterare le lamine
o la battitura avviene con martello a testa molto larga su un incudine in legno
o dilatandosi la lamina aumenta di dimensioni e le parti che fuoriescono dalla pelle
vengono eliminate
solo a questo punto
o si sfilano i fogli con speciali pinze in legno di bosso.
o le foglie vengono tagliate in quattro quarti
o le porzioni vengono poste nuovamente tra strati di pelle
o si ripete l’operazione fino allo spessore voluto
Plinio riferisce che con un’oncia (circa g. 27) si potevano ricavare più di 750 foglie d’oro, ciascuna
di circa 16 cm2.
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TECNICHE DI REALIZZAZIONE DI UN MANUFATTO
▪ Sbalzo
▪ Punzonatura
▪ Stampigliatura
▪ Cesellatura e Bulinatura
SBALZO
Strumenti
Lo “sbalzo” necessita di numerosi strumenti quali:
▪ almeno due ceppi in legno (di nespolo e di castagno) dalla superficie piana usati
come incudini;
▪ alcune morse di differenti misure;
▪ pinze e forbici a taglio dritto e a taglio ricurvo,
▪ martelli dalla testa arrotondata di differenti diametri;
▪ un “imbottitore” supporto in legno duro a forma di “L” con un’estremità
arrotondata;
▪ infine “profilatori”: scalpellini in ferro lunghi circa dieci centimetri e con la
punto di circa un centimetro;
▪ punteruoli in ferro dalla testa arrotondata;
▪ inoltre una fonte di calore continuo.
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• I ceppi, costituiti da due rocchi presentano la superficie non piana, ma con numerosi
avvallamenti di differenti profondità e diametri, utilizzati per realizzare le curvature
desiderate.
• La lavorazione avviene sia sul lato anteriore sia sul lato posteriore in base alla necessità,
previa ogni volta “ricottura” della lamina.
• Le successive, lievissime ed estremamente graduali modificazioni plastiche, alterano le
superfici della lamina in relazione al progetto finale.
• L’estrema perizia degli orafi permetteva di mutare anche di vari centimetri la convessità
delle lamine senza incrinature né lesioni.
• Curvature e deformazioni più accentuate e minute erano ottenute battendo le lamine su un
piccolo martello a palla, fissato ad una morsa con funzione d’incudine, con un secondo
martello a palla.
• Con tale procedimento si otteneva circa l’80% della realizzazione desiderata.
• Il lavoro era ultimato con la cesellatura al fine di ottenere particolari minuti e aggetti con
angoli più acuti.
• Durante tali lavorazioni le lamine venivano più volte “ripulite” dagli ossidi che si formavano
sulle superfici a seguito delle varie ricotture. La pulitura era realizzata con lavaggi in
sostanze acide
FOTO VARIE
89
PUNZONATURA
• I punzoni sono barre in ferro o in bronzo alla cui estremità è stata incisa le decorazione che
s’intende riprodurre.
• Il punzone veniva appoggiato alla superficie della lamina e percosso con un colpo secco e
preciso di un martello (in metallo o in legno).
• La lamina era “preparata” a ricevere i colpi rinforzando la superficie esterna con uno strato
di pece o di pece e cera.
• I punzoni presentano disegno molto semplice
▪ linee
▪ semicerchi
▪ cerchi.
• in casi più rari
▪ motivi geometrici: quadrati, triangoli, esagoni, ottagoni, stelle.
• le decorazioni più complesse erano realizzate ripetendo, accostando e sovrapponendoli
numerose volte tali segni.
• grande capacità era dimostrata nel punzonare la lamina senza produrre lacerazioni.
STAMPIGLIATURA
1) in tale caso la matrice poteva già essere stata decorata con singole punzonature accostate
le une alle altre.
2) incidendo direttamente la superficie metallica.
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CESELLATURA E BULINATURA
CESELLATURA
BULINATURA
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▪ elementi anatomici
▪ capigliature
▪ motivi fitomorfi etc.;
• Spesso tali particolari sono successivamente messi in risalto intervenendo con due ulteriori
lavorazioni: la “lucidatura” e la “doratura.
DORATURA
1. Doratura per applicazione di una lamina d’oro, oppure di una foglia d’oro.
2. Doratura per applicazione d’oro con l’uso di mercurio detto “amalgama” diretto o indiretto.
b) Sulla superficie si stende il mercurio come se fosse un collante. Si applicano le foglie d’oro. Si
scalda ottenendo la doratura per mezzo della formazione localizzata dell’ ”amalgama” per
contatto
• Schedula diversarum artium di Teofilo (VIII-IX sec. d.c.) libro III, ricetta
35.
92
• De coloribus et artibus romanorum di Eraclio (XII-XIII sec. d.c.) libro III,
ricetta 14.
93
DECORAZIONI DELE SUPERFICI METALLICHE : APPLICAZIONI O TRAFORI
• Agemina
• Damaschinatura
• Filigrana
• Trafori
1) Le superfici venivano incise a bulino, oppure a cesello, a costituire il disegno. Molto cura
doveva essere dedicata alla creazione delle incisioni che avrebbero costituito la decorazione
finale.
2) Si sovrapponevano piccole e sottili lamine di metallo di differente colore.
3) Si agiva “a freddo”, cioè martellando ripetutamente e\o con l’ausilio del cesello, in modo tale
che fili metallici si inserissero nelle incisioni.
L’applicazione avviene per azione meccanica con l’incastro all’interno dei solchi e, in misura
minore, per azione chimico-fisica con una sorta di “saldatura”. Le superfici venivano quindi limate
e lucidate al fine di far emerge solo quanto restava del metallo aggiunto all’interno dei solchi.
La decorazione è evidenziata dalla differente cromia dei metalli usati.
DAMASCHINATURA
Agemina con particolari caratteristiche. Applicazione ad arabesco di fili d’un metallo prezioso: oro,
argento, rame sulle superfici un manufatto costituito da un differente metallo meno prezioso.
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“Falsa damaschinatura”: i solchi vengono colmati con sottilissimi fili di metallo prezioso e le
decorazioni applicate per martellatura.
FILIGRANA
Decorazione delle superfici realizzata con l’applicata di fili metallici con effetti decorativi:
• monocromi per mezzo di fili dello stesso metallo (argento su argento oppure oro su oro)
• policromi con applicazione di file di metalli diversi sia tra loro sia dalla lastra di supporto
Le decorazioni erano realizzate per saldatura dei singoli fili tra loro e quindi saldatura al supporto
oppure per saldatura direttamente al supporto.
▪ perle
▪ rocchetti
▪ imbuti
▪ viti
Oltre a fili a sezione rotonda erano in uso fili a sezione quadrata ottenuti per taglio di sottili lastrine
ricavate per taglio di fogli sottili: permettono di ottenere effetti decorativi simili ai precedenti
TRAFORO
La tecnica di traforare la lamina può essere diretta ed indiretta:
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• diretta: sulle superfici del manufatto viene incisa la decorazione e, iniziando con piccoli fori
e lavorando con lime di grandezze e grana differenti, si tagliano le lamine realizzando
l’ornato desiderato.
• indiretta: su una superficie metallica (anche differente dal manufatto) viene incisa la
decorazione e, iniziando con piccoli fori e lavorando con lime di grandezze e grana diverse,
si tagliano le lamine realizzando l’ornato desiderato. Il traforo così attenuto viene applicato
sul manufatto da decorare per mezzo di saldature o di incastri o di pernetti.
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TECNICHE DI DECORAZIONE DEI MANUFATTI METALLICI IN ORO ED ARGENTO
APPLICAZIONI POLIMATERICHE:
• Smalto
• Niello
• Avorio, Pietre e altri materiali
SMALTO
La decorazione con lo smalto prevede due tempi di lavorazione ben distinti:
• la preparazione dello smalto come polvere vitrea
• la realizzazione della decorazione.
Il biossiodo di manganese: neutralizza i colore verde giallastro che il vetro assume naturalmente.
97
Tre differenti tipologie di smalti:
• smalto cloisonné (e da questo lo smalto plique-à-jour)
• smalto champlevé
• smalto traslucido
SMALTO CLOISONNÈ
Lo smalto riempie piccoli alveoli della lastra metallica di supporto realizzati applicandovi piccoli e
sottili listelli (detti cloisons) oppure fili metallici (Smalto filigranato. I fili possono anche essere
tortili o intrecciati).
I listelli e i fili sono bloccati con piccole saldature. Il motivo decorativo e cadenzato dal succedersi,
spesso regolare, di tali sottili elementi metallici.
In uso in ambito bizantino e veneziano.
SMALTO CHAMPLEVÈ
Lo smalto riempie piccoli alveoli. Gli alveoli sono realizzati direttamente nella lastra metallica di
supporto incidendola e asportandone porzioni: ciò permette di realizzare un disegno più fluido e di
ridurre il numero degli inserti metallici a vista dilatando le campiture di smalto
In uso dall’epoca merovingia. Ebbe larga diffusione dal XII secolo con la nascita di scuole come:
mosana, renana e limosina.
SMALTO TRASLUCIDO
Lo smalto ricopre completamente la lastra metallica di supporto ove in precedenza è stato realizzato
il disegno che s’intende smaltare.
Si usano esclusivamente smalti trasparenti.
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Il disegno è realizzato con ceselli e bulini.
Il primo esempio di smalto traslucido è il calice di Niccolò IV conservato ad Assisi, opera del
senese Guccio di Mannaia datato 1290;
l’opera più rappresentativa è il reliquario del Corporale di Orvieto, opera di Ugolino di Vieri datato
1337-38 .
NIELLO
Il niello è un amalgama di argento, rame, piombo e zolfo.
Il nome deriva appunto dallo zolfo “nigellum” elemento fondamentale per la costituzione di tale
composto.
99
Il colore, la durezza, la trasparenza e la duttilità del niello variano attraverso le epoche e le botteghe
in base alle percentuali dei metalli usati.
Le diverse quantità di zolfo danno toni di colore più o meno scuri:
• blu-acciaio: trasparente e delicato
• grigio-piombo: leggero e usato per piccoli passaggi tonali
• nero-carbone: compatto e coprente.
Tale “amalgama” in polvere si applica sulle lastre roventi precedentemente incise in base al disegno
desiderato.
Il disegno deve essere eseguito in ogni più piccola parte e la lastra lucidata e perfettamente pulita:
sciogliendosi il composto penetra in ogni minuta incisione. Gli eccessi vengono rimossi dalle
superfici con delicate levigature.
Il niello penetrato nelle incisione evidenzia il disegno precedentemente inciso con leggerissimi
passaggi di tonali monocromi.
Arte ottoniana, Corona del Sacro Romano Impero, seconda metà del X secolo, oro, smalti, perle e
pietre preziose, Vienna, Kunstistoriches Museum
100
Giovanni da Castelbolognese e Manno Sbarri, Cassetta Farnese, 1540 circa, argento dorato
lapislazzuli e cristallo di rocca, Napoli, Museo di Capodimonte
• Il più comune fattore di degrado delle superfici in argento è lo scurimento causato dalla
presenza nell’aria di anidride solforosa e conseguente formazione sul metallo di solfuro
d’argento di colorazione grigio scura in alcuni casi quando il fenomeno è particolarmente
attivo, di colorazione nero lucida con riflessi bluastri.
• effluorescenze di sali di rame in lega con l'argento - conseguente distacco della doratura
• Il più comune fattore di degrado delle superfici in argento dorato è assottigliamento dello
strato di doratura causato da puliture delle superfici con materiali abrasivi
101
MANUFATTI IN SMALTI: FATTORI DI DEGRADO
Possono provocare il deterioramento localizzato o uniforme dello strato vetroso con fenomeno di
polverizzazione della materia e formazione di lesioni, cricche e buchi.
• Nel caso di smalti traslucidi, a causa del sottilissimo strato vetroso e della mancanza di
segmenti metallici di contenimento, si verificano fenomeni di distacco della pasta vitrea da
supporto in argento su molta parte della superficie o limitatamente ad alcune zone.
•
• È stato più volte osservato come il deterioramento dello strato vetroso coinvolga le sole parti
di un determinato colore. Ciò è dovuto alla composizione della pasta vitrea in relazione
all’ossido metallico utilizzato per ottenere tale colorazione.
•
102
103
MANUFATTI IN OSSO ED AVORIO
AVORIO
Da sempre il termine avorio è impropriamente impiegato per definire il tessuto osseo dentale,
proveniente da un discreto numero d’animali.
In passato vennero utilizzati: gli incisivi d’elefante, gli incisivi e i canini di ippopotamo, i canini
superiori di tricheco, di facocero, di cinghiale, ed inoltre capidogli, balene e del narvalo, il cui unico
dente tortile fu per secoli attribuito al leggendario unicorno.
Si tratta di denti di notevoli grandezza quindi con un considerevole quantitativo di materia prima
atta alla produzione di manufatti sia d’uso comune (pettini, pedine per scacchi etc) che artistici.
La zanna possiede una forma conica, leggermente curva di sezione tondeggiante. Presenta inoltre
la caratteristica d’essere vuota, alla base, generalmente per circa un terzo della sua lunghezza,
mentre nei casi d’animali molto anziani tale fenomeno può superare il 60% della dimensione totale.
Questa cavità è dovuta alla presenza, all'interno del dente, della "polpa dentale" che costituisce la
sua materia vitale, elemento essenziale per la vita e l’accrescimento.
Intorno alla polpa dentale si costituisce l’avorio disponendosi in caratteristici strati successivi che
formano l'elemento essenziale della massa.
Le zanne, impiantate nell’osso pre-mascellare del cranio, sono a crescita continua e, non essendo
soggette ad usura durante la masticazione, raggiungono dimensioni notevoli seguendo una
inclinazione che viene loro impressa dall'alveolo originario. Le zanne sono chimicamente
costituite per il 40% da sostanze organiche quali il “collagene”, ricco di fosfati e calci, e da una
parte inorganica, la “dentina”, costituita per il 60% da sostanze minerali. La dentina è costituita dal
deposito di particolari cellule, gli “odontoblasti”, che assumono nel loro processo d'accrescimento
una caratteristica forma filamentosa.
Raggruppati in più unita, tali elementi detti “tuboli”, decorrono dall’estremità apicale in fasce
parallele con un andamento lievemente curvilineo.
105
Nell’ambito di ogni strato di dentina esiste inoltre una fitta rete di fibre di collagene che
scorrono perpendicolarmente all’asse maggiore dei tuboli, cioè parallelamente o tangenzialmente
alla superficie esterna del dente.
Contemporaneamente a questo sistema di formazione del tessuto dentale, abbiano inoltre un
secondo sistema d’accrescimento del dente, con linee di sviluppo della zanna parallele alla
deposizione della dentina, in strati simil-lamellari successivi. In altre parole, in sezione trasversale,
il dente appare costituito da anelli concentrici, con un aspetto simile a quello della crescita annuale
del tronco di un albero.
Le zanne elefantine, oltre che per queste caratteristiche modalità morfologiche, si differenziano
dagli altri denti dei mammiferi, in quanto non sono ricoperte da uno strato di “smalto”, (cioè da un
tessuto osseo molto duro formato per il 96% da sali inorganici prevalentemente costituiti da calcio)
ma da uno strato di “cemento” che partendo a stratificarsi sulla radice del dente finisce per ricoprire
l'intera superficie del zanna. La sostanza fibrosa che costituisce tale “cemento” è
fondamentalmente simile a quella di un tessuto osseo ma a differenza di quest'ultimo essa non è
organizzata in lamelle, essendo più compatta della dentina. Il “cemento” protegge l’avorio
dall'azione meccanica esercitata dall'animale nell’utilizzo delle zanne come strumento di scavo e
di leva.
Questo strato cortecciale, risultando opaco e più scuro della avorio interno, viene detto "scorza"
o "buccia della zanna". Viene generalmente rimosso per permettere la lavorazione della
sostanza eburnea.
Merceologicamente le zanne grezze sono denominate “morfili”. I migliori esemplari sono quelli
asportati da animali giovani in quanto sono esenti da fenditure ed irregolarità del tessuto dentale,
come accade frequentemente nel caso di zanne estratte da animali anziani. I morfili giovani sono
per un terzo vuoti a causa della “cavità polpale” e presentano l’inconveniente d’avere una minore
quantità di materia prima utilizzabile. Questa però presenta accentuate tutte le caratteristiche
qualitative dell’avorio quali:
• scarsa presenza di nervature,
• l'integrità della massa lavorabile,
• la compattezza della grana,
• uniformità di tonalità e colore.
•
Le condizioni climatiche influenzano le caratteristiche di accrescimento della materia. La finezza
e la compattezza dell’avorio e la trasparenza della grana sono determinate dalla temperatura del
luogo ove vive l’animale: dagli alti tassi di umidità e dagli sbalzi di calore.
106
Anche il colore dell’avorio varia seconde le zone di provenienza: dal bianco puro al crema, dal
giallo paglierino al roseo (proveniente dal Siam) al grigio (dal Senegal). I più pregiato è l'avorio
verde del Gabon che mostra, durante la lavorazione, una tinta calda e morbida che scompare col
tempo per lasciare al manufatto un tono bianco uniforme e persistente.
Tutti questi fattori variano dunque a seconda dal paese d'origine: più duro, compatto e trasparente
è l’avorio proveniente dalla cost dell'africa occidentale (Gabon, Camerun e Angola);
particolarmente pregiate sono le zanne lunghe ed affusolate, con minore curvatura, che permettono
un maggior sfruttamento del materiale.
Dalla costa dell'Africa Orientale (Tanzania, Kenya e Madagascar) provengono avori più teneri e
tendenti, col tempo, ed ingiallire.
Dall’Asia (Ceylon, Siam e India) provengono morfili più piccoli, di colore rosato, di grana molto
fine ma, al tempo stesso, troppo compatta e pesante.
Caratteristiche merciologiche
L'avorio fresco contiene circa il 10% d’acqua.
Peso specifico: 1,92.
Durezza: 2 – 2,5 (Scala di Mohs)
Reazioni caratteristiche
Con acidi: resta indisciolta la parte organica sotto forma di massa gelatinosa;
Con acqua,: dopo 24 ore d’immersione, inizia l'idrolisi delle proteine, con il conseguente rilascio
della componente minerale.
107
OSSO
La componente cellulare del tessuto osseo è costituita dagli “osteociti”. Si tratta di cellule ovali,
provviste di prolungamenti ramificati. Sono contenute in canali scavati nella struttura base, costituiti
da collagene e da una componente amorfa di natura proteica, in seno alla quale sono depositati sali
di calcio (fosfato di calcio e carbonato di calcio).
Morfologicamente il tessuto osseo è formato da stratificazioni dei materiali costitutivi in fasci
paralleli dette "lamelle ossee". Le lamelle sono raccolte in più unità intorno ad un canale centrale,
percorso da un vaso sanguigno nutritivo: l'unita' strutturale dell’ osso compatto, detto “osteone”, è
quindi costituita da un Canale di Havers, che corre parallele all'asse maggiore dell'osso, circondato
da numerosi fasci di lamelle ossee. Più osteoni paralleli e accostati, tra loro, formano la struttura
dell'osso così come è possibile vedere ad occhio nudo.
L'osso e l'avorio hanno, (a differenza della struttura istologica così diversa), composizioni chimiche
molto simili: sono costituiti, da una componente organica che s’aggira su valori del 40%;
il restante 60% da materiale inorganico (fosfato di calcio e magnesio, associati a fluoruro e
carbonato).
Per la fabbricazione di manufatti artistici vennero utilizzate ossa di particolari dimensioni che
permettono d'ottenere superfici lavorabili discretamente estese.
A tale riguardo vengono genericamente utilizzate ossa lunghe quali femori o tibie e, nel caso di
animali di notevoli dimensioni, le ossa craniche e del bacino e del dorso.
In ambito europeo furono largamente utilizzate le ossa di mammiferi quali equini e bovini; sulle
coste artiche, atlantiche e dell'oceano pacifico vennero utilizzate le ossa di cetacei: balene, capidogli
e trichechi.
Ancora ai nostri giorni sopravvive in alcuni centri del medioriente, la tradizionale lavorazione
artigianale di manufatti d'osso di cammello e dromedario.
108
Nelle zone scarsamente abitate da specie animali, quali le regioni siberiche e l’Alaska, ove fu da
sempre possibile il ritrovamento di scheletri di mammuth {Mammuthus primigenus), vennero
comunemente utilizzate le ossa e l'avorio fossili di questi giganteschi pachidermi.
Così come per l'avorio, anche nel caso dei tessuti ossei, le caratteristiche qualitative di un materiale
sono: l’integrità' della massa lavorabile, la totale assenza di nervature e lesioni, ma soprattutto, e
specificatamente del caso d’ossa fossili, l'assenza di porosità.
La compattezza della grana è infatti condizione imprescindibile per la realizzazione d’oggetti che
devono rispondere a necessità di durezza e di tenacità e all'usura.
Il tessuto osseo migliore è quello a grana piccola, che non tende a frantumarsi superficialmente
durante le operazioni di sezionamento ed intaglio.
La colorazione del materiale non varia in base alla specie animale d’origine, ma varia in relazione
alla vetustà del manufatto, in quanto sotto l’azione dei raggi ultravioletti ed infrarossi, esso tende ad
ingiallire, passando dal bianco-latte al giallo-paglierino. Le ossa fossili presentano in genere
colorazioni più chiare ma dal tono opaco e sordo.
Purtroppo, a causa dei processi d'industrializzazione e dell'introduzione di nuovi materiali, la
tradizionale lavorazione di questo materiale povero è quasi completamente caduta in disuso ed è
stata sostituita, a discapito della qualità e della resa estetica dei manufatti, da prodotti plastici
sicuramente più economici e di più facile produzione.
Reazioni caratteristiche:
• con acidi: si distrugge la parte minerale
• con sostanze alcaline: si distrugge la parte organica.
L’osso diventa friabile dall'aspetto gessoso e polveroso.
Microstruttura: la formazione del tessuto in osteoni e lamelle fa apparire la superficie estremamente
irregolare per la presenza di piccolissimi fori scuri.
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Tecnica di lavorazione
1) scultura e incisioni
Preparazione del materiale
Con acidi: resta indisciolta la parte organica sotto forma di massa gelatinosa;
Con acqua: dopo 24 ore di immersione inizia l'idrolisi delle proteine, con il conseguente rilascio
della componente minerale.
Le caratteristiche merceologiche posso fornire indicazioni circa gli espedienti utilizzati per incidere
e scolpire osso ed avorio. Anche l’osservazione dei manufatti in restauro e le analisi scientifiche
effettuate duranti tali interventi possono permettere di raccogliere informazioni utili.
Scultura ed incisione erano realizzati con scalpelli e bulini. Le superfici erano quindi levigate e
lucidate con abrasive sottili e pelle di pescecane.
È possibile affermare che le tecniche di decorazione degli ossi ed avori sono assimilabili a quelle di
scultura lignea e di oreficeria .
2) Doratura e dipintura
L’ osservazione dei manufatti in restauro e le analisi scientifiche effettuate duranti tali interventi
possono permettere di raccogliere informazioni utili.
È possibile affermare che le tecniche di decorazione degli ossi ed avori sono assimilabili a quelle di
decorazione della pergamena al fine di realizzare iscrizioni e miniature.
Dorature
doratura a foglia:
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1) applicazione di un collante (albume d’uovo) nel disegno che si desidera dorare
2) applicazione della foglia d’oro. Resterà adesa alle superfici solo la parte precedentemente
trattata con collante.
doratura a conchiglia:
1) preparazione della miscela di polvere d’oro e colla (ad es. gomma arabica o missione)
2) stesura sulle superfici da dorare come nel caso di stesura di pigmenti
Policromia
Non abbiamo fonti circa le tecniche di decorazione pittorica di manufatti in osso ed avorio né delle
tecniche di doratura.
Teolifo descrive come tingere di colore verde l’osso, ma nulla circa l’applicazione di pigmenti a
colorire particolari dei manufatti.
L’osservazione dei manufatti e le poche indagini realizzate permettono di affermare che si
procedeva con:
• preparazione dei colori in polvere (di derivazione minerale, vegetale o animale) miscelati
con colle e gomme (es gomma arabica)
• applicazione sulle superfici per con piccoli pennelli della miscela precedentemente preparata
3) altre lavorazioni
tornio
In epoca rinascimentale si diffuse la produzione di preziosi manufatti in avorio realizzati con una
lavorazione assimilabile alla tornitura per falegnameria.
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