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L’intelligenza emotiva di Goleman

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L’intelligenza emotiva di Goleman

È il 1990 quando Salovey e Mayer scrivono un famoso articolo in cui


espongono la prima definizione ufficiale di intelligenza emotiva, descrivendola
come “l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di
distinguerle tra di loro e di usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e
le proprie azioni” (Lo Presti, Quadernucci, 2004). Successivamente, per meglio
spiegare la loro idea di intelligenza emotiva, la divisero in quattro livelli di
abilità fondamentali:
1) percepire ed esprimere le emozioni;
2) usare le emozioni per facilitare il pensiero;
3) capire le emozioni;
4) gestire le emozioni.
È il 1996 quando Goleman adatta il loro modello definendo l’intelligenza
emotiva come “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un
obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la
gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci
impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”. Goleman nella sua
opera evidenzia come il QI, riferito alle tradizionali capacità logico-
matematiche, verbali e spaziali, mostra i suoi limiti quando viene utilizzato
come indice per prevedere il successo di un individuo. Goleman spiega quindi
la nozione di intelligenza emotiva, già descritta da Gardner nelle due forme
intrapersonale e interpersonale, distinguendo tra le competenze personali e le
competenze sociali. Le prime si riferiscono, in generale, alla capacità di
cogliere i diversi aspetti della vita emozionale, mentre le seconde, si riferiscono
al modo con cui si comprendono gli altri e ci si rapporta ad essi.
Per Goleman l’intelligenza emotiva è l’insieme di cinque abilità:

Conoscenza delle proprie emozioni


Riguarda la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si
presenta, l’autoconsapevolezza, intesa come una continua attenzione riflessiva
verso la propria esperienza. Il monitoraggio dei sentimenti è fondamentale per
la comprensione globale di se stessi, ed è importante per gestire al meglio le
varie situazioni della vita.
I cinque sensi – tatto, olfatto, gusto, udito, vista – raccolgono una quantità di
dati ogni secondo, ma solo una minima parte di queste informazioni viene
elaborata consapevolmente.
Come evidenziò Freud (1915) gran parte della vita emotiva è inconscia e i
sentimenti che ci investono non sempre raggiungono l’autoconsapevolezza. Di
conseguenza, in molti casi le reazioni emotive sono dovute al fatto di aver
prestato attenzione solo ad alcuni dati, trascurandone altri molto rilevanti. La
capacità di allargare il focus della propria attenzione può essere sviluppata ed
esercitata. Per raggiungere la strada dell’autoconsapevolezza è necessario
ampliare il più possibile l’insieme delle informazioni che si è in grado di
analizzare.
L’osservazione di sé permette una consapevolezza equilibrata di sentimenti,
siano essi positivi o negativi. Questa consapevolezza è la competenza
emozionale fondamentale sulla quale si basano tutte le altre.
L’autoconsapevolezza delle proprie emozioni è l’elemento costruttivo di un
altro importantissimo aspetto dell’intelligenza emotiva, ossia la capacità di
liberarsi di uno stato d’animo negativo. L’autoconsapevolezza emozionale
implica l’addestramento al riconoscimento precoce della propria emotività: a
livello fisiologico, a livello verbale, a livello cognitivo. A livello fisiologicoper
comprendere meglio la natura di fenomeni organici quali la sudorazione,
l’aumento del battito cardiaco ecc., che preannunciano la comparsa
dell’emozione e per contribuire ad avere un maggior controllo dell’ansia.
Alivello verbale per arricchire il vocabolario diretto alla descrizione dell’evento
e favorire il monitoraggio e la gestione dell’emozione. A livello cognitivo per
migliorare la capacità di riconoscere i pensieri rigidi, irrazionali e automatici
che intervengono fra la situazione-stimolo e l’emozione, per interpretarla e per
aiutare a ridurre l’impatto degli stati d’animo negativi.
Goleman, ha distinto tre ampie tipologie di funzionamento metaemotivo a
seconda di come gli individui percepiscono e gestiscono le loro emozioni, quali
l’autoconsapevole, il sopraffatto, il rassegnato.
Nell’“autoconsapevole” la visione chiara e sofisticata delle proprie emozioni
rafforza altri aspetti della personalità. “Si tratta di individui autonomi e sicuri
dei propri limiti, che godono di una buona salute psicologica e tendono a
vedere la vita in una prospettiva positiva. Quando sono di cattivo umore,
costoro non continuano a rimuginare e a ossessionarsi, e riescono a liberarsi
dello stato d’animo negativo prima degli altri. Infatti il loro essere attenti alla
propria vita interiore li aiuta a controllare le emozioni.
Il “sopraffatto” è colui che viene facilmente sommerso dallo “sfogo” delle
proprie emozioni. “Essendo dei tipi volubili e non pienamente consapevoli dei
propri sentimenti, questi individui si perdono in essi invece di considerarli con
un minimo di distacco. Di conseguenza, rendendosi conto di non avere alcun
controllo sulla propria vita emotiva, costoro fanno ben poco per sfuggire agli
stati d’animo negativi. Spesso si sentono sopraffatti e incapaci di controllare le
proprie emozioni”.
Il “rassegnato” invece è colui, che pur avendo spesso idee chiare sui propri
sentimenti, tende tuttavia a subirli piuttosto passivamente. In questa categoria
rientrano in particolar modo due tipi di soggetti “quelli che solitamente hanno
stati d’animo positivi e perciò sono scarsamente motivati a modificarli, e coloro
che, nonostante siano chiaramente consapevoli dei propri stati d’animo, e
siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano assumendo un
atteggiamento da laissezfaire senza cercare di modificarli nonostante la
sofferenza che essi comportano […]”. (Goleman, 1996)

Controllo e regolazione delle proprie emozioni


Si riferisce alla capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano
appropriati alla situazione. I momenti difficili, come del resto anche quelli
positivi, danno sapore alla vita, ma per poterlo fare devono essere in equilibrio;
infatti è proprio il rapporto tra emozioni positive e negative che determina il
benessere di un individuo. I sentimenti estremi, le emozioni che diventano
troppo intense o durano troppo a lungo, minano la stabilità e per questo è
importante che i sentimenti molto intensi non sfuggano al controllo.
Sicuramente l’istinto a reagire alle situazioni problematiche con una risposta
immediata è stato di aiuto alla sopravvivenza della specie, ma oggi è noto che
le reazioni istintive spesso si dimostrano inefficaci per risolvere i problemi. Per
riuscire a controllare meglio i propri impulsi è necessario utilizzare ciò che si sa
sui propri sentimenti e su quelli degli altri, sul proprio punto di vista e su quello
altrui. Il controllo delle emozioni comporta la capacità di dominare i propri stati
interiori, i propri impulsi e le proprie risorse.

Motivazione di se stessi
La capacità di padroneggiare le emozioni è un requisito fondamentale per
riuscire a concentrarsi, per trovare motivazione e controllo di sé. E’ un requisito
indispensabile per motivarsi al raggiungimento di un certo obiettivo e a
persistere nell’impegno quando le situazioni si fanno altamente frustranti. La
motivazione è il motore interno che spinge a mettere in atto tutta una serie di
comportamenti che consentono il raggiungimento dello scopo. Quando le
emozioni negative sono forti e concentrano l’attenzione dell’individuo sulle
proprie preoccupazioni, esse interferiscono negativamente con i suoi eventuali
tentativi di concentrarsi su qualcos’altro.
Nella misura in cui le azioni sono motivate da sentimenti di entusiasmo, e di
piacere, sono proprio tali sentimenti a spingere verso la realizzazione. In
questo senso l’intelligenza emotiva è “un’abilità fondamentale che influenza
profondamente tutte le altre, di volta in volta facilitandone l’espressione, o
interferendo con esse”. (Goleman, 1996)
In questo ambito può essere di notevole utilità insegnare alle persone a
sviluppare un pensiero positivo. Seligman (1996) definisce il pensiero positivo
“ottimismo flessibile” ed è collegato alla convinzione di essere in grado di
raggiungere in modo positivo i risultati prefissati. Come ha evidenziato Bandura
(2000) “C’è una differenza considerevole fra il possedere certe sottoabilità e
l’essere capace di integrarle in corsi d’azione adeguati ed eseguirle bene in
circostanze difficoltose. Spesso le persone non riescono a offrire prestazioni
ottimali anche se sanno benissimo che cosa devono fare e possiedono le abilità
necessarie per farlo. Il pensiero su di sé attiva i processi cognitivi, motivazionali
ed affettivi che governano la traduzione delle conoscenze e delle abilità in
un’azione competente. In sintesi il senso di autoefficacia non riguarda il
numero di abilità possedute, ma ciò che si crede di poter fare con i mezzi a
propria disposizione in una varietà di circostanze diverse”. La motivazione di se
stessi è secondo Bandura strettamente legata alle proprie aspettative di
autoefficacia. L’autore definisce l’autoefficacia in termini di “credenze nei
confronti delle proprie capacità di regolare il comportamento ed intervenire
attivamente nei confronti della scelta dei propri obbiettivi e delle azioni che
possono essere scelte per il loro raggiungimento”. L’autoefficacia, quindi, è
strettamente interconnessa al concetto di sé. James (1890) aveva individuato
tre componenti fondamentali del sé: il sé materiale che si riferisce alle
conoscenze che la persona possiede a proposito del proprio corpo, del proprio
ambiente e di ciò che possiede; il sé sociale che riguarda le molteplici immagini
e percezioni che ciascuno presume che gli altri abbiano di noi; il sé spirituale
che rappresenterebbe l’autoconsapevolezza che ogni persona ha di se stessa a
proposito delle proprie abilità, dei propri atteggiamenti, valori, motivazioni e
interessi. Queste tre dimensioni del sé, strettamente interconnesse, dirigono la
motivazione in ogni azione.

Riconoscimento delle emozioni altrui: empatia


L’empatia si riferisce a quella particolare condizione esperienziale che gli
individui vivono quando “sentono dentro” le emozioni di un’altra persona.
E’ quella capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è di
fondamentale importanza nelle relazioni con gli altri. Questa capacità consente
di sapere come si sente un altro essere umano, ed entra in gioco in moltissime
situazioni, da quelle tipiche della vita professionale a quella della vita privata, a
partire dal rapporto sentimentale al rapporto tra genitori e figli.
Per un bambino è fondamentale sapere che le sue emozioni incontrano
l’empatia dell’altro e che sono accettate e ricambiate in un processo che Stern
(1987) definisce di “sintonizzazione”. Mediante la sintonizzazione, il bambino,
dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la percezione che gli altri possono
e vogliono condividere i suoi sentimenti. Nella teorizzazione di Hoffman (1982)
l’empatia viene definita come un processo di attivazione emotiva e consonante
con quello di un’altra persona. La chiave per comprendere i sentimenti e le
emozioni altrui consiste nella capacità di leggere i messaggi che vengono
manifestati da una comunicazione non verbale. Raramente gli individui
riescono a verbalizzare le proprie emozioni che, spesso, devono vengono
espresse attraverso dei segni, quali il tono della voce, i gesti o altri canali non
verbali, che possiedono codici specifici in grado di trasmettere agli altri stati
d’animo ed emozioni. Come ha affermato Watzlawick (1980), gli individui non
solo comunicano attraverso vari codici, ma metacomunicano (la
metacomunicazione: è una comunicazione sulla comunicazione) esplicitando
all’altro ciò che sta dietro al messaggio inviato.
L’empatia si basa innanzitutto sull’autoconsapevolezza, nel senso che più
“siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più saremo abili anche nel
leggere i sentimenti degli altri”. (Goleman, 1996) Condividere, o comunque
provare un sentimento insieme ad un’altra persona significa essere
emozionalmente partecipi. Ma per poter condividere affettivamente, come ha
affermato Strayer, (1987) occorre la differenziazione emotiva tra sé e l’altro.
Solo riconoscendo gli affetti dell’altro come diversi dai propri è possibile
accoglierli e farli propri. Le persone empatiche sono più sensibili ai sottili
segnali sociali che indicano i bisogni, le necessità o i desideri altrui, mentre
“l’incapacità di registrare i sentimenti altrui è considerata come un gravissimo
deficit dell’intelligenza emotiva”. (Goleman, 1996) In ogni tipo di rapporto,
nella capacità di essere umani, la radice dell’interesse per l’altro sta
nell’entrare in sintonia emozionale. Questa è la premessa fondamentale per
una efficace gestione delle relazioni.

Gestione delle relazioni


La capacità di gestire le emozioni altrui è un’abilità fondamentale nell’arte di
trattare le relazioni interpersonali. Per poter gestire le emozioni altrui e per
entrare in sintonia con gli altri, è basilare aver sviluppato una buona
padronanza di sé, una certa calma interiore e una buona conoscenza dei propri
sentimenti. Gestire in modo efficace le relazioni interpersonali può essere
definita come “un’arte raffinata delle relazioni” che richiede la maturità di altre
due capacità emozionali, l’autocontrollo e l’empatia”. (Goleman, 1996). Queste
due capacità emergono intorno ai due anni e si sviluppano poi, negli anni
successivi. Con il raggiungimento dell’autocontrollo e dell’empatia, matura
l’abilità sociale, che permetterà lo sviluppo delle competenze sociali che
contribuiranno a fare in modo che l’individuo tratti efficacemente con gli altri.
Tali abilità sociali consentono di plasmare un’interazione, di trovarsi bene nelle
relazioni intime, di mobilitare, ispirare, influenzare gli altri, facendo, comunque,
sentire l’altro a proprio agio. La mancanza di queste abilità può portare un
individuo, anche se intellettualmente brillante, al fallimento nella gestione delle
sue relazioni, rivelandosi nei confronti degli altri, come un individuo insensibile
e antipatico. Le competenze emotive possono essere apprese e allenate. Il
nostro cervello è plastico e non smetteremo mai di imparare, ma durante i
primi anni di vita la capacità di apprendimento è massima. Più i bambini sono
piccoli, più i loro neuroni sono alla ricerca di nuovi collegamenti e ramificazioni:
è questo che permette loro di apprendere con grande rapidità e in modo
permanente (LeDoux, 1996). Goleman nella sua opera ipotizza che
l’intelligenza emotiva, a differenza del QI, possa essere acquisita e potenziata
in qualsiasi fase della vita e sottolinea come essa tenda ad aumentare in
proporzione alla consapevolezza degli stati d’animo, al contenimento delle
emozioni che provocano sofferenza, al maggior affinamento dell’ascolto e della
sensibilizzazione empatica. Inoltre, evidenzia che QI e intelligenza emotiva non
sono competenze da ritenersi opposte, ma solo separate poiché tutti siamo
dotati di abilità intellettuali ed emozionali e in ogni nostra azione, reazione,
comportamento, esse si fondono in un’unica totalità.
Come afferma Goleman (1996), ogni bambino per poter apprendere in modo
efficace deve aver sviluppato sette “ingredienti” fondamentali tutti collegati
all’intelligenza emotiva, quali:
1. Fiducia. Un senso di controllo e padronanza sul proprio corpo, sul proprio
comportamento e sul proprio mondo; la sensazione, da parte del bambino, di
avere maggiori probabilità di riuscire in ciò che intraprende di quante non ne
abbia invece di fallire, e che comunque gli adulti lo aiuteranno.
2. Curiosità. La sensazione che la scoperta sia un’attività positiva e fonte di
piacere.
3. Intenzionalità. Il desiderio e la capacità di essere influenti e perseveranti.
Questa capacità è collegata al senso di competenza, alla sensazione di essere
efficaci.
4. Autocontrollo. La capacità di modulare e controllare le proprie azioni in modo
appropriato all’età; un senso di controllo interiore.
5. Connessione. La capacità di impegnarsi con gli altri, basata sulla sensazione
di essere compresi e di comprendere gli altri.
6. Capacità di comunicare. Il desiderio e la capacità di scambiare verbalmente
idee, sentimenti e concetti con gli altri. Questa abilità è legata a una
sensazione di fiducia negli altri e di piacere nell’impegnarsi con loro, adulti
compresi.
7. Capacità di cooperare. L’abilità di equilibrare le proprie esigenze con quelle
degli altri in un’attività di gruppo.

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