Futuri 18
Futuri 18
Editoriale 3
Bollettino IIF 5
osservatorio
Valentina Chabert
L’Italia come potenza spaziale: le sfide della New Space Economy 23
Thomas F. Connolly
Ancestral Voices Digitalizing War: Robot Warriors at the Gates? 27
Annamaria Dichio
Paspolemos: un’analisi SWOT degli effetti di una guerra glo-
bale nell’era della Quarta rivoluzione industriale 35
Gabriele Di Francesco
E guerra sia! Scenari bellici dalla Butte du Lion agli algoritmi
di combattimento 47
Adolfo Fattori
Immagini di una apocalisse possibile. Dinamiche della paura
nell’immaginario dell’invisibile 63
Gloria Puppi
Dalla fantascienza alla realtà: simulazioni, droni e super-solda-
ti per le guerre del futuro 77
Mauricio Hernandez Ramirez
Future use of Lethal Autonomous Weapons (LAWs) by crimi-
nal Non-State Actors 89
Donato Speroni
Tre scenari di guerra e pace per la metà del secolo 107
scenari
Alexander Sharov
Into the Global Monetary System: Past developments and Fu-
ture Scenarios 117
Andrea Apollonio
La crisi dell’immaginazione storica. Trasformazioni climati-
che, memorie sovversive e futuri alternativi 127
Marica Castaldi
ViP: Voyeurismo in Panopticon. Il dominio in Squid Game 149
narrazioni
Flavio Torba
Crash Test 159
Autorə 167
2
EDITORIALE
di Carolina Facioni
Fu quindi il timore di una Terza Guerra Mondiale la spinta che fece nascere,
negli USA, un think-tank come la Rand Corporation. Contesto, questo, in cui
furono messe a punto nuove tecniche di indagine rivolte ai futuri possibili (ad
esempio, gli scenari, il Delphi). Negli stessi anni va collocata la riflessione filo-
sofica europea su cosa fosse il futuro, se ci fosse un solo futuro possibile: tra gli
autori più importanti, Bertrand De Jouvenel e Gaston Berger teorizzarono l’u-
no la conjecture, l’altro la prospective, mentre in Italia Nicola Abbagnano rese,
teorizzando l’Esistenzialismo Positivo, un ruolo attivo dell’uomo nella storia.
Da una guerra – e dal timore di una nuova guerra – nasce dunque l’avventu-
ra scientifica della disciplina di cui FUTURI è portavoce. Non potevamo non
dedicare un numero a questo argomento. Numero pensato prima del febbraio
2022, data dell’inizio del conflitto russo-ucraino – e probabilmente ispirato da
alcuni temi emersi nel corso del Convegno della World Futures Studies Fede-
ration, a ottobre 2021. In quel contesto, più voci avevano parlato della possi-
bilità di una guerra a breve termine. Le ipotesi si sono verificate, ma limitarsi a
constatare cosa avviene nel presente non è la missione dei Futures Studies, che
debbono guardare più in là. Nei futuri per i quali si può ancora agire.
Gli ultimi eventi hanno nuovamente posto l’umanità di fronte alla possibi-
lità di una guerra mondiale – e mai come in questo momento ha senso parlare
di incertezza. I Futures Studies tornano, con i saggi presenti in questo numero,
alle loro origini, ma spostando il riferimento temporale ad un futuro non trop-
po lontano, il 2050. Se allora ci sarà una guerra, chi la combatterà, e come; quali
saranno le strategie di comunicazione rivolte ai cittadini; a che livello territoria-
le arriverà: possiamo pensare a una terza guerra mondiale, oppure a tanti con-
flitti sparsi, come già oggi quelli che coinvolgono anche la “pacifica” Europa?
Parlare di guerra significa parlare, chiaramente, anche di pace: quali saran-
no le strategie possibili per evitare nel 2050 un conflitto che potrebbe essere
disastroso per la storia umana? Perché siamo convinti che la guerra – e tutte
le sue implicazioni demografiche, economiche, sociali, culturali, tecnologiche
– debba avere nei Futures Studies, ed in particolare nell’anticipazione, un suo
fondamentale antagonista.
4
BOLLETTINO IIF
Il numero speciale di Futuri, il secondo curato dal Center for European Fu-
tures, viene pubblicato nei giorni in cui il Mondo si trova sull’orlo di una peri-
colosa escalation nucleare. L’aggressione russa all’Ucraina ha gettato la società
internazionale in una condizione di tempesta perfetta, possibilmente ancora
più intensa in Europa per ragioni di prossimità geografica e quindi politica. Sul
futuro dell’Europa tanto dipenderà anche dalla durata e dell’esito della guerra
in Ucraina: in questa partita si gioca, più in generale, il futuro dell’architettura
del Sistema Internazionale e dei rapporti di forza globali. Ci troviamo in un
quadro mutevole e di complessità estrema. Le variabili che interagiscono e pla-
smano il futuro prossimo e meno prossimo sono numerosissime e si intrecciano
in diversi livelli spaziali: nazionale, europeo, internazionale. Questo numero
di Futuri ha l’obiettivo di fornire alle lettrici e ai lettori prospettive e analisi per
orientarsi nel presente alla luce delle riflessioni sui futuri possibili dell’Europa
e del Sistema Internazionale.
Lo spazio Mediterraneo, i populismi dopo il Covid-19 in Europa e in pro-
spettiva internazionale comparata, il ritorno dello Stato e le trasformazioni del
discorso politico, il futuro del trasporto ferroviario, le politiche digitali euro-
pee, il caso della “health diplomacy” del Venezuela, le relazioni internazionali
nella cultura pop giapponese, le migrazioni, sono alcuni dei temi affrontati in
questo numero. Il numero ospita anche il contributo di Valeriy Heyets, Di-
rettore dell’Institute for Economics and Forecasting dell’Accademia nazionale
delle Scienze dell’Ucraina, che inaugura una collaborazione con l’Italian Insti-
tute for the Future che, speriamo, possa presto proseguire in un contesto di
Pace per questo Paese.
Il numero speciale fuori serie di FUTURI è disponibile esclusivamente in
formato digitale e scaricabile gratuitamente su https://bit.ly/3HL6u2l.
6
strumenti necessari. Il corso è rivolto a ricercatori in ambito pubblico e privato,
consulenti d’azienda, manager e data scientist con un background in scienze
sociali, economiche o statistiche.
La Winter School si terrà a Napoli in formula residenziale presso il Cuture
Hotel Villa Capodimonte dal 7 al 10 marzo 2023. Iscrizioni aperte fino al 22
febbraio. Programma completo, costi, scontistiche e modulo d’iscrizione sono
disponibili su instituteforthefuture.it/winter-school-2023.
Cosa potrebbe cambiare con il ritorno dell’umanità sulla Luna? Quali tra-
sformazioni potranno generare le nuove forme di intelligenze artificiali? Cosa
comporterà sul lungo periodo il rallentamento dell’economia cinese? Quali
nuove ideologie stanno emergendo per affrontare l’estinzione di massa del-
le specie viventi generata dall’Uomo? Sono solo alcune delle domande a cui
il rapporto Emerging Long-Term Megatrends 2023 cerca di rispondere. Nel
farlo, gli esperti dell’Italian Institute for the Future hanno soprattutto cercato
di comprendere le interazioni tra ambiti diversi. Rispetto ai rapporti che si
occupano esclusivamente di innovazione tecnologiche, o cambiamenti politici,
o aspetti economici, questo documento cerca di offrire una panoramica multi-
disciplinare delle trasformazioni in atto e delle loro correlazioni. La guerra in
Ucraina può accelerare lo sviluppo delle comunità energetiche, i cambiamenti
climatici possono portare a nuove regolamentazioni politiche, le trasformazioni
del modo in cui definiamo il genere possono avere impatti rilevanti sui mercati,
le nuove IA possono cambiare il settore delle professioni creative.
Il rapporto è scaricabile gratuitamente su https://bit.ly/3w6PHzC.
7
Esiste la sociologia del futuro?
L’8 ottobre 2021, in occasione del Festival della Sociologia, l’Italian Institute for the
Future ha organizzato a Narni un panel dal titolo “Esiste la sociologia del futuro?”
condotto da Mara Di Berardo, con i sociologi Filippo Barbera (Università di Torino),
Paolo Jedlowski (Università della Calabria) e Vincenza Pellegrino (Università di Par-
ma). Questo articolo propone la trascrizione degli interventi.
Mara Di Berardo
no gli autori è che sono fondamentali per guidare il cambiamento. Gli autori,
che vanno anche a revisionare il rapporto del sociologo con la stessa disciplina
della sociologia, si chiedono se la sociologia riesca, è riuscita e stia provando a
portare il concetto di futuro all’interno della materia. Secondo loro si dovrebbe
tentare di farlo, tentare di essere anche fautori del futuro, essere consapevoli
che gli stessi sociologi sono un po’ dei “creatori di futuro” e che con la loro
stessa azione, con la loro ricerca e la loro analisi della società, possono, volenti
o nolenti, influire su ciò che accadrà, perché studiano le immagini del futuro
e influiscono su tali immagini del futuro della società. Anche i Futures Studies
hanno tante anime, forse al pari della sociologia, però in generale cercano di
anticipare dei problemi che ci potrebbero essere a oggi. Così come nella socio-
logia si parla di molte immagini del futuro, anche nei Futures Studies si parla di
molti possibili futuri che potrebbero accadere a partire da oggi. Si parla di una
molteplicità di conseguenze possibili sulla base delle decisioni che prendiamo
in base a quello che intravediamo, esploriamo, andando in avanti.
Molto spesso uno dei fattori più problematici dei Futures Studies è proprio
il collegamento tra la previsione e l’azione stessa. Siamo molto bravi a intra-
vedere le possibilità attraverso il coinvolgimento di esperti e utilizzando me-
todologie specifiche, tanti metodi e tante modalità di approcci ai futuri, come
illustrano nei loro testi Jennifer Gidley e Eleonora Barbieri Masini2; però poi,
nonostante riusciamo a intravedere dei possibili problemi e delle possibili op-
portunità per il futuro, il collegamento con l’azione nel presente è molto spesso
problematico. Il Covid è una delle esemplificazioni di questa problematicità: ad
esempio, la consapevolezza che una pandemia del genere potesse verificarsi era
ben presente, il Millennium Project lo diceva addirittura dal 1997, eppure non
si è fatto granché. Quindi c’è proprio un gap che va colmato – e che potreb-
be anche essere colmato (noi pensiamo e speriamo) sulla base degli interventi
che avremmo oggi – tra previsioni dei futuri e azione nel presente. Attraverso
specifici processi la sociologia, meglio ancora di noi, può aiutare a capire come
migliorare la governance anticipatoria. È per questo che abbiamo organizzato
questo panel e messo insieme tre interessantissime persone: Paolo Jedlowski,
Filippo Barbera, Vincenzo Pellegrino; doveva essere con noi anche Giuliana
Mandich, professoressa ordinaria al Dipartimento di Scienze politiche e sociali
dell’Università di Cagliari, che però per problemi personali non ha potuto esse-
re qui, ma che coinvolgeremo nel prosieguo dei lavori su questo tema.
Quindi iniziamo con la prima domanda, che pongo ai nostri relatori per
poter iniziare a ragionare sul tema: esiste una sociologia del futuro secondo i
nostri illustri ospiti? Quale contributo può dare questa sociologia del futuro al
presente e al futuro dell’umanità? E quali sono gli approcci? Esistono? Quali
2
Gidley J., The Future: A Very Short Introduction, Oxford University Press, 2017; tr. it. Il futuro.
Una breve introduzione, Italian Institute for the Future, 2021; Barbieri-Masini E., Why Futures Stud-
ies?, Grey Seal, 1993 (prossima ed. it. Italian Institute for the Future, 2023).
10
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
Paolo Jedlowski
Grazie a voi per avere inventato questo workshop. Abbiamo dieci minuti a
testa grosso modo, quindi vado rapido con i ringraziamenti e prendo la prima
domanda: esiste una sociologia del futuro? Mi ero preparato, perché ci era
arrivata precedentemente, e la mia risposta è sì, però in diversi sensi che bre-
vissimamente nomino. Intanto prendiamo i classici, e vediamo che certamente
si occupano del futuro. Karl Marx lavora sul futuro dei modi di produzione,
che ben concettualizza e delinea nei suoi scritti. Certamente ha una tensione
verso il futuro e dice cose sul futuro. Max Weber, quando parla della “gabbia
d’acciaio”, parla del futuro, di una tendenza possibile. Potrei citare altri, ma
non c’è bisogno, ne bastano due per dire che in certi casi si sono occupati del
futuro. Hanno fatto una sociologia del futuro? No, ma in realtà perché la so-
ciologia del futuro non è che esista, esiste piuttosto una sensibilità per il futuro,
cosa che articolo venendo al secondo senso della mia risposta affermativa alla
domanda se esista una sociologia del futuro: per forza, perché esiste una socio-
logia del tempo, e dentro al tempo c’è il futuro. Anche qui, però, la sociologia
del tempo non è una sotto-branca della sociologia, ma è una sensibilità che, in
modi a volte espliciti e ben marcati e in altri più impliciti, non può mancare a
una riflessione sociologica. Il terzo senso è che esiste una sociologia del futuro
perché esistono un sacco di libri e articoli di sociologi sul tempo in particolare.
Ho qui davanti Alessandro Cavalli e volevo già nominarlo, quindi lo faccio.
Siamo a metà degli anni Ottanta quando esce Il tempo dei giovani, una ricerca
seminariale sul tempo3. Una ricerca empirica, ma teoricamente molto attrezzata
a cui lavorano Simonetta Tabboni e Carmen Leccardi tra gli altri, che firmeran-
no poi dei manuali di sociologia del tempo e, ogni volta, dentro al tempo c’è
evidentemente il futuro.
Tu chiedi anche che rapporto c’è con i Futures Studies: i Futures Studies
sono una galassia, per cui è difficile dire quali rapporti in particolare ha con
una disciplina come quella sociologica che peraltro io sento sempre con confini
3
Cavalli A., Calabrò A.R. (a cura di), Il tempo dei giovani, Il Mulino, Bologna, 1985.
11
Futuri 18 osservatorio
molto più porosi e sfumati di quanto altri non pensino. L’ho sempre vissuta
come sfondante da un lato verso la filosofia (e verso tutte le altre scienze sociali,
dalla storia in avanti), e ci aggiungerei anche altre cose, per esempio – ripren-
dendo la prima Scuola di Francoforte – continuo a pensare che la psicoanalisi ci
importi. Magari ci importa proprio quando ragioniamo su cose come il futuro.
Qual è il contributo specifico della sociologia dentro o vicino alla galassia dei
Futures Studies? Abbiamo delle ricerche che poi nominerò, e altri ne nomine-
ranno diverse, e credo che l’apparato concettuale possiamo offrirlo. Ne prendo
uno: il saggio di Niklas Luhmann The future cannot begin4. Luhmann non è un
mio autore, non ho una passione per lui, ma in quel saggio la parte su cos’è il
futuro è bellissima, con questa distinzione iniziale per cui ci sono due tipi di
futuri: c’è il futuro che è il prossimo presente, i presenti futuri, quello che cerchi
di prevedere; e poi c’è il futuro presente, cioè le immagini del futuro che ora
sono presenti. Lui parla di “immagini”, io mi permetterei di aggiungere non
solo le immagini, ma anche le tensioni verso il futuro, che stanno sia nelle azioni
che nelle emozioni e nei sentimenti. Ora, questa è una distinzione concettuale
che però comincia a pulire le cose. Di quale dei due parliamo? Certamente
nelle indagini li troviamo sempre entrambi, ma ti occupi del futuro che è di là
da venire e cerchi di pre-vedere in base alle cose che esistono, o ti occupi del
futuro ora, presente nelle immagini, nelle rappresentazioni (che è un termine
specificamente sociologico)? Potreste dire “ma del futuro presente perché ci
importa”? Invece ci importa molto e serve proprio ai Futures Studies, come del
resto tu hai accennato, perché il modo in cui si pensa al futuro è performativo.
Questo discorso poi è allargato, come diceva Robert Merton, alle profezie che
si auto-adempiono: produci la profezia e magari è sbagliata, ma può diventare
vera per il fatto di essere stata enunciata e diffusa, e ha orientato, quindi, delle
azioni. Questo vale non solo per i casi più ristretti di cui si occupava in quel
saggio Merton: il modo in cui ci poniamo verso il futuro, produce futuro.
Ci sono altri concetti che potremmo esaminare; a me piace molto il concetto
che ancora viene da quel saggio di Luhmann (anche se risale a più lontano) di
“orizzonte d’attesa”, cioè il modo più generale di parlare di tensioni, immagini,
rappresentazioni, costruzioni che riguardano il futuro. Il testo era in inglese e
diceva “reason of expectation”, non nel senso di attese come star lì ad aspettare,
ma come parola più larga possibile per dire tutto: dalle paure alle aspirazioni,
alle previsioni, alle speranze, tutto ciò che a che fare con e che è un orizzon-
te, una metafora molto forte che Luhmann spiega bene. Io spero che questa
espressione si diffonda di più di quanto non sia adesso. Non posso prendere
il tempo ora di sviluppare la metafora, ma è veramente molto forte usare “the
reason of expectation” e i suoi elementi, il modo in cui si forma e cambia ed è
variabile secondo tanti fattori.
4
Luhmann N., The Future Cannot Begin: Temporal Structures in Modern Society, “Social Re-
search”, vol. 43, n. 1, primavera 1976.
12
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
13
Futuri 18 osservatorio
preparare ciò che ci sarà domani. Sulla capacità di futuro so che Filippo dirà
delle cose, su tutto il resto anche sceglierà Vincenza cosa dire, ma magari anche
lei mi piacerebbe che sul future-making aggiungesse qualche cosa, lasciandoli
liberi di dire quello che vorranno ovviamente. Grazie.
Mara Di Berardo
Filippo Barbera
Grazie per l’invito e grazie a Paolo per lo splendido assist: adesso ho solo
l’incubo dell’attaccante che butta fuori la palla con la porta vuota. Può esistere
una sociologia del futuro? Il titolo del mio intervento è “Note sulla capacità di
futuro”, Paolo lo sapeva perché ho condiviso queste note qualche giorno fa e
lo ringrazio di averle introdotte nella sua relazione. La domanda è comune: può
esistere una sociologia del futuro? La risposta di Paolo è stata sì, la mia è “sì,
ma dipende”. Dipende non solo, come ovvio, come tutto e come sempre dalle
prospettive teoriche alle quali si aderisce, ma anche e, in questo caso e nel mio
caso soprattutto, dalla definizione sociologica di futuro.
Quanto al primo punto (quello teorico), mi rifaccio a un paper di Ruth
Levitas del 20108, dove si argomenta in modo molto interessante che nel mo-
mento della sua nascita e istituzionalizzazione accademica nei primi anni del
Novecento la sociologia britannica avrebbe potuto avere la genesi e la critica
dell’utopia come impegno principale della disciplina. È una cosa che ho impa-
8
Levitas R., Back to the future: Wells, sociology, utopia and method, “Sociological Review”, vol.
58, n. 4, novembre 2010.
14
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
rato scrivendo queste note, non la sapevo prima, lo ammetto. Questa vocazione
disciplinare è difesa da H.G. Wells, il noto autore de La macchina del tempo,
L’isola del dottor Moreau e La guerra dei mondi. Wells non è un nome che oc-
cupa un posto di rilievo nella storia della sociologia. Il suo appello ai sociologi,
contenuto in un paper del 1906 The So-Called Science of Sociology, è caduto nel
vuoto9. Il canone alla ricerca della legittimazione scientifica della sociologia è
andato, come sappiamo, in un’altra direzione. Wells, come altri, potrebbe rap-
presentare l’occasione per la ricostruzione di un secondo canone, di un canone
mancato, ciò che la sociologia avrebbe potuto essere, ma in effetti non è stata.
Una disciplina che ha al centro l’analisi e la critica dell’utopia. Secondo Wells
la creazione dell’utopia e la sua critica esauriente doveva essere il metodo pro-
prio e distintivo della sociologia. Così non è andata… il canone non è andato in
quella direzione e sarebbe interessante ricostruire in modo comparato, anche
andando a guardare i processi genetici di nascita delle diverse istituzionalizza-
zioni della sociologia, in diversi campi nazionali, come nel caso britannico il
futuro non è stato preso sul serio e non sia stato sviluppato, almeno in questi
termini.
Troviamo in questa accezione di Wells una specifica declinazione del rap-
porto tra utopia e sociologia, diversa da quella a cui siamo più abituati, come
sociologi, che declina l’utopia come explanandum e la sociologia come expla-
nans. La sociologia come disciplina scientifica si occupa di analizzare la costru-
zione sociale dell’utopia, le sue dimensioni socio-cognitive, le sue determinanti
strutturali, istituzionali, ma anche il ruolo che l’utopia occupa nell’azione col-
lettiva, nella dinamica dei movimenti. Wells, invece, indica un’altra direzione,
declina la sociologia come utopia. Paolo ha accennato a questo, l’idea che tra i
classici ci sia la società utopica come riferimento per l’analisi di quella attuale
(patologico e fisiologico in Durkheim, ad esempio, o la gabbia d’acciaio in We-
ber, ecc.). Il secondo versante è l’utopia come sociologia, ovvero la costruzione
consapevolmente sociologica di futuri altri. In questi casi il rapporto tra socio-
logia e utopia non è assimilabile tanto a quello tra explanans ed explanandum,
quanto alla sociologia come educazione del desiderio. L’utopia, in modo non
dissimile dal canone della letteratura, creerebbe così uno spazio in cui il lettore
è sollecitato non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche da quello espres-
sivo ed esperienziale, fino a sentire come sarebbe non solo vivere in modo di-
verso, ma come sarebbe desiderare in modo diverso, mettendo così in crisi la
natura del presente con finalità di critica sociale ed emancipativa. Ecco di nuo-
vo in modo frattale riproporsi una volta di più e ancora, in questa distinzione,
la differenza tra sociologia come scienza sociale orientata alla spiegazione e la
sociologia come disciplina critico-espressiva.
Vorrei provare a sdrammatizzare questa contrapposizione provando ad ar-
9
Wells H.G., The So-Called Science of Sociology, “Sociological Review”, vol. sp3, n. 1, gennaio
1906.
15
Futuri 18 osservatorio
gomentare che se si guarda al tema del futuro non tanto come un problema
di diverse prospettive teoriche, ma come un problema di definizione, questa
distinzione si fa più sfumata. Cos’è per un sociologo il futuro? Ovviamente non
è un fatto fisico.
Di quale tipo di futuro si occupa la sociologia? Vorrei provare a suggerire
che la sociologia non debba solo occuparsi di futuro, ma debba occuparsi della
capacità collettiva di futuro. Come vedremo, c’è un’idea di futuro che riprende
in qualche modo l’insegnamento di Arjun Appadurai, legata alla capacità di
aspirare, ma lo declina più in chiave di organizzazione sociale. Cos’è la capacità
collettiva del futuro? Nei termini di Amartya Sen sappiamo che la capacità
esprime un’idoneità o un’abilità di carattere generale, una potenzialità, un’op-
portunità favorevole all’acquisizione di stati di essere o di fare che l’individuo
ritiene consoni ai suoi piani di vita. Per ciò che ora interessa, l’approccio del-
la capacità rimanda alla diversità delle persone e dei contesti, cioè riconosce
la complessità sia dei soggetti dell’azione, che della multidimensionalità delle
condizioni di contesto nelle quali l’azione si svolge. Per questa ragione tematiz-
zare non il futuro, ma la capacità di futuro, ci obbliga immediatamente all’uso
del plurale. La sociologia non si occupa del futuro, ma si occupa dei futuri, e
questa è una cosa che mi ha insegnato Vincenza. La variabilità individuale degli
individui e dei contesti mette a tema la rilevanza dei futuri al plurale, piuttosto
che del futuro.
La seconda specificazione, la capacità collettiva, riguarda la valenza collet-
tiva della capacità di futuro, quindi non tanto le capacità individuali e la loro
variabilità, ma la capacità collettiva e la sua variabilità. La tesi centrale di queste
brevissime note è che, intesa come capacità collettiva, la capacità di futuro si
sviluppa – voglio sostenere – solo in presenza di specifiche condizioni relative
all’organizzazione sociale, cioè solo quando l’organizzazione sociale o i regimi
di interazione o i processi decisionali permettono di valorizzare l’ambiguità, il
dubbio, l’incertezza rappresentati dalla alterità. Solo in questo caso si dà una
vera capacità collettiva di futuro. L’inclusione dell’altro, del diverso, del margi-
nale nel proprio orizzonte di senso, comporta sempre incertezza e ambiguità,
dove diversi futuri individuali si confrontano all’insegna dell’incommensura-
bilità o della dissonanza, direbbe David Stark. Senza l’altro non c’è capacità
collettiva di futuro, ma solo ripetizione del presente individuale. Senza alterità
non c’è alternativa.
Questa è la tesi centrale che ho messo in fila per queste note che mi pia-
cerebbe sviluppare in futuro. Possiamo sostenere, in termini più analitici, che
la valorizzazione dei futuri si ha riconoscendo la voice e quindi gli ordini del
valore, le convenzioni di qualità, l’intreccio tra valore e valori dei soggetti mar-
ginali che, per l’appunto, rappresentano l’alterità. Allora la domanda diventa:
come si creano queste condizioni? Come e quando l’organizzazione sociale è
in grado di esprimere una capacità collettiva di futuro? Quindi due brevi ri-
sposte. La prima: quando l’organizzazione assume i caratteri del rituale alla
16
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
Mara Di Berardo
Cerco di andare veloce così riusciamo ad avere qualche intervento dal pub-
blico e passo quindi direttamente la parola a Vincenza, con cui vorremmo cer-
care di capire: parlando di capacità di aspirare, di strutture, di gruppi sociali,
di come si può supportare, accompagnare questa capacità di voice che ricon-
duce all’aspirazione stessa, quali sono le caratteristiche di questa capacità di
aspirare? Quali sono le condizioni affinché ci possa essere capacità di futuro?
Ne parliamo con Vincenza Pellegrino, professoressa associata di Sociologia dei
processi culturali e comunicativi all’Università di Parma, dove insegna politi-
che sociali, si occupa di migranti, un tema a lei molto caro, studi di futuro e
partecipazione civico-politica.
Vincenza Pellegrino
Prendo un po’ il filo da Filippo che ha parlato di campi di ricerca per chie-
dere: ma cosa intendiamo per campi di ricerca? Ambiti in cui esploriamo in-
terazioni collettive, intenzionali, ritualizzate, che mostrano in che condizioni
10
De Leonardis O., I welfare mix. Privatismo e sfera pubblica, “Stato e mercato”, vol. 46, n. 1,
aprile 1996.
17
Futuri 18 osservatorio
alcuni tipi di soggetti, che non sono soggetti solo marginali, che noi in questa
ricerca abbiamo imparato a chiamare “intemporanei”, usciti dalla corsa, messi
fuori dalla corsa (un migrante che aspetta in montagna nell’Appennino perché
solo lì lo ospitano, è qualcuno che ha cercato di integrarsi nella velocità del
progresso ed è stato messo nell’intemporaneità). La marginalità può essere im-
maginata oggi, sociologicamente, come questo essere presi e spostati laddove si
sta fuori da una corsa. Filippo diceva che i marginali nella loro alterità (quindi
stiamo pensando a un campo cognitivo interclasse sociale) evocano un’altra
possibilità.
Ci entriamo pian piano, perché comunque è il nostro argomento: come co-
struiamo, come immaginiamo un luogo in cui queste interazioni sociali producono
un discorso sui futuri plurali tra soggetti che vivono in uscita dal progresso, che è
molto performativo e viene da quella borghesia che invece il progresso l’ha incu-
bato, culturalmente legittimato e posto come punto di arrivo del soggetto, e coloro
che invece arrivano da un’altra storia, cercano di connettere questa e sono respinti
fuori? Dov’è che si incontrano insieme e com’è che noi possiamo concettualizzare
il loro incontro con un campo di ricerca metodologicamente sostenibile? E questa
era solo la prima frase…. Sono solo due le cose che vorrei provare a dire di questo
complesso nostro modo di ragionare insieme su questo tema. Adesso dico solo l’i-
dea, poi accelero ai campi perché di più non riesco a fare. Una è l’idea che quindi,
per noi, le aspirazioni sono un oggetto culturale diverso dalle ambizioni. Seconda
idea è che le aspirazioni, che ora andrò a definire – dunque diverse dalle ambizioni
– sono un’eredità, non sono un’innovazione sociale.
Prima idea: le aspirazioni che si danno in questi contesti di ricerca non sono
le ambizioni dei singoli, e quindi si danno come prodotto della loro interazione
in un campo. Vi porto nel primo campo, quello che più a lungo ho frequentato
e che è nel libro Futuri testardi11: i precari cognitivi delle città dell’Emilia-Ro-
magna (Parma, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna). Progresso, capita-
lismo familiare molto spinto, nato insieme a uno stato sociale forte, quello che
possiamo chiamare veramente stato sociale-mercato; il progresso ha sempre
visto la marginalità retoricamente come una pausa, la cultura inclusiva potente
ha molto legittimato la nozione di progresso secondo cui moltiplicando la pro-
duttività si fa redistribuzione, senza mai essere consumismo: questa è la dimen-
sione più performativa e meno attaccabile del progresso. È la cultura borghese
nel suo trentennio glorioso, in un luogo che l’ha glorificata come classe solidale
per eccellenza. I fili di questa esperienza sono plurilaureati, precari, con quat-
tro lavori a testa, di sinistra. Incontri queste persone che hanno una condizione
“cronofrenica” per eccellenza: corrono sempre, ma scopri che han perduto il
punto di arrivo del progresso. Non c’è la fiducia che quel correre porti a un
aumento di produttività di tipo redistributivo. Quindi per “cronofrenia” in-
11
Pellegrino V., Futuri testardi. La ricerca sociale per l’elaborazione del «dopo-sviluppo», ombre
corte, Verona, 2020.
18
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
12
Cfr. Pellegrino V., Le propensioni utopiche di una generazione precaria. L’ascolto attento delle
aspirazioni emergenti, “Animazione sociale”, n. 319, 2018.
19
Futuri 18 osservatorio
Mara Di Berardo
Prima domanda
Seconda domanda
20
Mara Di Berardo, et al. Esiste la sociologia del futuro?
sono le basi sociali per la capacità di innovazione e di creatività, che sono una
precondizione per la capacità di futuro. Per i sociologi sarebbe molto interes-
sante analizzare le basi socio-organizzative istituzionali della capacità collettiva
di futuro. In Stark c’è il tema dell’eterarchia e della dissonanza: ci sono questi
temi, esistono strumenti concettuali, la sfida è applicarli alla sfera pubblica,
perché Stark li usa per spiegare come funziona l’industria dei videogiochi e va
benissimo, ma il tema è chiedersi quando funzionano le eterarchie pubbliche,
quando diventa un’eterarchia organizzata in grado di produrre immagini e rap-
presentazioni collettive del futuro e di metterle al lavoro.
Mara Di Berardo
Andiamo via con ancora più ipotesi e considerazioni da fare, ma credo che
sia stato interessante e che valga la pena mettere un po’ più a sistema contributi
variegati, come sempre fa il campo dei Futures Studies. L’onore di chiudere la
nostra conversazione a Roberto Paura, che ha organizzato questo workshop,
ma speriamo e pensiamo di andare via non con delle conclusioni, ma con delle
aperture.
Roberto Paura
21
L’Italia come potenza spaziale: le sfide della New Space Economy
di Valentina Chabert
1
Legge 11 gennaio 2018 n.7, pubblicata in G.U. n.34 del 10 febbraio 2018.
Futuri 18 osservatorio
24
Valentina Chabert L’Italia come potenza spaziale
piccole e medie imprese italiane, tra cui la piemontese Criotec, che ha costruito
le valvole per regolare l’apporto e la miscelazione di azoto e ossigeno necessari
alla respirazione dei futuri astronauti. La torinese Alfa Meccanica ha poi elabo-
rato la struttura e le coperture delle strutture che in Artemis 2 consentiranno
l’idratazione degli alimenti, mentre la compaesana Aviotec ha messo a punto un
sistema di cinghie che proteggeranno parte della struttura da micrometeoriti e
detriti vaganti. Dtm Technologies, con sede a Modena, si è infine occupata del-
le piastre per il raffreddamento, consolidando e portando avanti la tradizione
spaziale della propria realtà aziendale già inaugurata con gli hardware impiega-
ti sullo Space Shuttle e sulla stazione spaziale internazionale.
A testimonianza dell’importanza del settore spaziale per l’economia italia-
na, oltre 2,4 miliardi di euro verranno investiti nell’industria e nelle tecnolo-
gie spaziali entro il 2026 nell’ambito del PNRR, in particolare della Recovery
and Resilience Facility e del Fondo Complementare2. Di notevole rilevanza è la
quota stanziata per la creazione di un’Italia produttrice di tecnologie avanzate,
che risulta nettamente superiore ai fondi previsti dalle altre potenze europee,
Francia e Germania in primis. Tuttavia, una chiara valutazione dell’efficacia
degli investimenti del PNRR sarà possibile solo dopo la finestra temporale del
2026, quando il nostro Paese si troverà nella posizione di proseguire l’afflusso
di risorse dedicate allo spazio e, di conseguenza, continuare ad alimentare la
filiera spaziale nella sua dimensione industriale e finanziaria. Tale approccio,
inoltre, favorirebbe la posizione delle imprese italiane nel futuro contesto ge-
opolitico globale, attirando potenzialmente investitori internazionali e, al con-
tempo, istituzionali. Non da ultimo, la sinergia con numerosi settori industriali
italiani contribuirebbe a creare nuovi posti di lavoro che richiederanno capaci-
tà specifiche e tecniche.
Articolo apparso originariamente con il titolo L’Italia come potenza spaziale alla
luce della Legge 7/2018 su Opinio Juris. Si ringrazia Domenico Nocerino per la
concessione dei diritti di ripubblicazione.
2
Maggiori informazioni sono disponibili al link: https://italiadomani.gov.it/it/home.html.
25
Futuri 18 osservatorio
Bibliografia
Aresu A., Mauro R., I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio
1950 -2050, Luiss University Press, Roma, 2022.
Cozzi E., Artemis 1 è pronta a partire verso la Luna, «Wired Italia», 27 agosto 2022: wired.
it/article/artemis-1-data-lancio-dettagli-missione/
Grevsmühl S., 1965: Astérix Among the Stars, in Boucheron P., Gerson S., France in the
World: A New Global History, Other Press, New York, 2019.
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Strategia nazionale di sicurezza per lo spazio, 18 luglio
2019: https://bit.ly/3W7qL6b-
Sanna G., New space economy, ambiente, sviluppo sostenibile. Premesse al Diritto Aerospa-
ziale dell’Economia, Giappichelli, Torino, 2021.
26
Ancestral Voices Digitalizing War: Robot Warriors at the Gates?
by Thomas F. Connolly
Abstract
In the 21st century, the prospect of a radically different battlefield and home front
looms. Robot soldiers will soon march into the fray, and “casualties” will go the way of cav-
alry charges. This is something to consider as a cultural phenomenon. Moreover, the idea
that mechanized devices will have a decisive effect on warfare has always required cognitive
dissonance. However, robot soldiers may magnify this gap in perception and inspire delu-
sions of risk-free conflicts, or from a bleaker perspective, wars without end.
As the 21st century civilian population of the West rouses from the pipe-
dreams of peace that, in a bizarre reversal of logic, the threat of nuclear anni-
hilation inspired through the second half of the 20th century, the prospect of a
radically different battlefield and home front looms. Robot soldiers will soon
march into the fray, rather than children, siblings, or spouses. Terms such as
“casualty,” “P.O.W.” and “M.I.A.” will go the way of cavalry charges, carrier
pigeons, and fixed bayonets. This is something to consider as a cultural phe-
nomenon. Let us recall the mentalité that has brought us to the point where
robot soldiers are necessary. They are being developed not only because we can
produce such weapons (are they “weapons”?), but because decades of erosion
of traditional cultural imperatives inform us that if robot soldiers did not exist,
they would have to be invented. Complacency and wishful thinking about a
new global order that has rendered continental wars obsolete is nothing new.
The idea that mechanized devices will have a decisive effect on warfare wheth-
er they be dreadnoughts, tanks, or long-range bombers, has always required
cognitive dissonance (Blackwell, 2021).
Robot soldiers will magnify this and create the possibility of risk-free con-
flicts, or from a bleaker perspective, there will be war without end. This is
similar to the horrific delusion in August 1914 that the soldiers would be home
before the leaves fell. The latter conclusion is also countered by the lessons
of The Great War. The cost of munitions and machines became unsustaina-
ble. Catastrophically for humanity though, cognitive dissonance is omnipotent.
Throughout the history of military technology, whether it be the “Greek fire”
of the Byzantines or today’s Lethal Autonomous Weapon Systems (LAWS) the
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
next new weapon is invariably seen as the ultimate weapon. What could be
more satisfying than the development of robot soldiers to salve civilian sensi-
bilities? (Liu, 2015). However, faith in the invincibility bestowed by military
technology is as irrational as the arrogance of the Teutonic talisman, “Gott mit
uns.”
Devices only succeed if the opponent lacks similar armament. The legend
of the Dorians sweeping down from the north with their crudely wrought iron
swords and spears that smashed the graceful bronze panoplies of the Achaeans
resounds from antiquity. Millennia later, we still chase the chimera of weapons
that will destroy the enemy while protecting us from them. Of course, there
have been numerous wars since the atomic bombs that ended World War II,
but no continental war has broken out since then and this has led to an uneasy
optimism (Kaysen, 1990). In spite of the wars fought in the Balkans through
the last decade of the 20th century, the Western consciousness accepted mutu-
ally assured destruction as a balm, as no “great power” would wage war, given
the possibility of Armageddon. However, this was not the first time Europeans
convinced themselves they would never go to war again. After Waterloo, the
Congress of Vienna devised great power diplomacy that lulled the Continent
into a sense of security that dismissed the Crimean War, the Russo-Turkish
Wars, the wars for Italian and German unification, the Balkan wars, etc., as
somehow “not counting.”
The hubris of foreign ministries and chancelleries propagated this, and
commentators of many stripes weighed in on the impossibility of wars between
major powers. The decades before the First World War offer numerous pro-
nouncements that war was neither economically advantageous nor was victory
possible, given the reality of industrialized warfare (Motta, 1995). In 1899 Ivan
Bloch’s Is War Now Impossible? was distributed at the first international peace
conference, The Hague Convention, in 1899. This was an abridged version of
the six-volume original, The War of the Future in its Technical, Economic and
Political Relations published the year before.
What is more, it was believed that international socialism would prevent
the workers from taking up arms against their comrades (Callahan, 2004). In
the popular historical imagination, if the great French socialist Jean Jaurès
had not been assassinated, he could have prevented France from going to war
(Tuchman, 1966). This ignores the reality of the French alliance with Russia,
which doomed those countries as much as the mortal embrace of Germany and
Austria-Hungary. Moreover, French politics and media had been manipulated
by Russian agents for years into paranoia about German aggression—not to
mention persistent revanchism (Long, 1962). Interestingly, in what is also the
close of an era, contemporary American politics are bedeviled by accusations
of similar Russian activities.
In the fin de siècle, economic and political theories were not quite part of
public consciousness; however, one such work became an international best
28
Thomas F. Connolly Ancestral Voices Digitalizing War
seller in 1909 and was even revised and republished after The Great War. The
Great Illusion by Norman Angell was translated into eleven languages and
caused an international sensation. It crystalized the argument that modern was
war economically unfeasible and was neither socially nor militarily sustainable.
Unfortunately, since Angell was the editor of a rather sensationalist British
newspaper, his alarm about the naval arms race between Great Britain and
Germany was taken by the British leaders to be directed as a warning to the
Germans: the British navy was invincible. The cognitive dissonance trumpets.
We know how catastrophically wrong such prognostications were. How-
ever, there is a contemporary social development rumbling beneath the high-
er-level discourse discounting future wars between major powers: conventional
war is obsolete (Luttwak, 1995). This may be so, but the coming wars presum-
ably fought by robots will soon have their own conventions. The term “war
games” may soon have an entirely resonance; videogames may have altered
perceptions of combat such that robot warfare seems unexceptional.
The influence of mechanized mobility on violence in European culture be-
fore the First World War reveals the desensitizing effect of new technology
(Möser, 2003). The serious scholarly attention to the impact of mechanized
speed on sensibilities contrasts with the concern that violence in film or even
in comic books was inuring youth to savagery that has long been mocked by
liberal humanists (Cawelti, 1975).
What of the decades of video games that digitalize mechanized violence?
There is no consensus about this, but as we live increasingly in a virtual world, are
questions about empathy the proper ones? In 1984, President Ronald Reagan’s
“Star Wars” laser-beam fantasy, the Strategic Defense Initiative, prepared the pub-
lic for what was to come. A few years later, television newscasts showed the Patriot
missiles during Operation Desert Storm; it was like a video game lighting up the
sky. Nobody appeared to be killed or injured. It was an ideal ideal follow-up. Or,
was it the perfect prelude to drone warfare? Preparing the populace for robot
soldiers continues apace. The United States Space Force, an actual military unit,
came into being with the enactment of the Fiscal Year 2020 National Defense
Authorization Act.
Such cadres call to mind the “Terminator” films, which depict chilling
scenes of robots slaughtering human beings in the near future. I would argue in
reality, Americans do not imagine actual combat between human and robot sol-
diers. The delusion is that robot soldiers are desirable because they will prevent
“real” casualties. Robots will fight with each other. This is military cognitive
dissonance on the home front. Civilians know that drones are already widely
used, but they may overlook that they mainly kill civilians. A military analyst
refers to drones as “flying robots” and elaborates on the twisted perception of
their use:
29
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
But let’s be clear: Even though we may perceive of warfare as a (video) game,
this doesn’t mean that countries and people on the receiving end of these potent
military tools feel the same. By some estimates, over 90% of those killed in drone
strikes are civilians. (Buehler, 2016)
the closeness to death appears in connection with high speeds. Speed generates a
form of sober drunkenness, and a flock of racing drivers, sitting like puppets at the
wheel, gives an impression of the curious mixture of precision and danger. (Jünger
1932)
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Thomas F. Connolly Ancestral Voices Digitalizing War
I had seen nothing sacred, and the things that were glorious had no glory and the
sacrifices were like the stockyards at Chicago if nothing was done with the meat
except to bury it. There were many words that you could not stand to hear and
finally only the names of places had dignity. Certain numbers were the same way
and certain dates and these with the names of the places were all you could say
31
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
and have them mean anything. Abstract words such as glory, honor, courage, or
hallow were obscene beside the concrete names of villages, the numbers of roads,
the names of rivers, the numbers of regiments and the dates. (184-85)
One must also note Le Feu by Henri Barbusse, first published in 1916, now
cited as the first anti-war novel of World War I. However, it was originally writ-
ten as a realistic amplification of French propaganda to reveal the truth about
conditions at the front. It was only later taken up as anti-war literature. Its
intent was closer to Ernst Jünger’s In Stahlgewittern, which had no aim other
than to describe the experiences of a German officer in combat. Nevertheless,
the French novel became a landmark of antiwar literature. These accounts and
others were detached from any sort of inspirational message. In Western so-
cieties, there is still sympathy for soldiers, (“Support Our Troops”), but since
the Nuremberg Trials, Algeria, Vietnam, etc., heroism is not a donnèe. What is
more, it has been so long since “brave boys in blue” marched off while bands
played patriotic airs that the loss may be irrelevant. The “home front” is dis-
placed because it no longer exists in an age of imminent robot combat.
“The paths of glory lead but to grave,” but when soldiers themselves are
hors de combat does the narrow gate of military ethics swing shut? If there is
no such thing as heroism, is warfare finally shown for what it is, nothing more
than mass murder? Yet if no humans are being killed, what is the cost beyond
the material destruction of automated weapons? (Enemark, 2013). Can a robot
be a war criminal? Critics of anthropocentrism may ask this question of the
military, with the assumption that the act of war is criminal under any cir-
cumstances. The International Committee for Robot Arms Control confronts
this, as do other organizations (“Killer Robots”). Robot soldiers differ from
previous combat devices only in degree. What has changed is the capacity of
the home front to accept consequences beyond its immediate circumstances. A
century of cynicism about and disillusion with martial glory has hollowed out
the concept of citizen soldiery. Videogamers who have grown up to be cubicled
warriors are as disconnected from any carnage as civilians in their living rooms,
who can instantly avoid any disturbing news by scrolling away from it on their
smart phones. While in some corner of a foreign field a robot brigade of perfect
soldiers is being programmed not to make reply, not to reason why, but to do
and die.
32
Thomas F. Connolly Ancestral Voices Digitalizing War
References
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Paspolemos: un’analisi SWOT degli effetti di una guerra globale nell’era
della Quarta rivoluzione industriale
di Annamaria Dichio
Abstract
The struggle for existence is a primordial idea that we can identify since the early
history of philosophy. The growth of humanity urges an incessant comparison with war
and its destructive character that therefore requires new cohabitations and sociopolitical
models. The concept of Paspolemos offers an alternative perspective of the conflicts in a
globalized world that run to the 2050s featuring the horrific consequences of the use of
Industry 4.0 technologies. Who will save the world? The key players will be the resilient
GenZ 5.0.
attribuito a Sun Tzu, che dalla tradizione orale cinese è giunto fino ai nostri
giorni per iniziare diversi popoli e intere generazioni all’arte della guerra. Arte
che può lasciar intendere una specificità settoriale di stampo prettamente mi-
litare con, alla base, la saggezza collettiva orientale di stampo taoista, ma che
in realtà è facilmente scalabile nei contesti polemici più variegati della quoti-
dianità umana di ogni popolo. Il punto di partenza è la consapevolezza che il
conflitto è parte integrante della vita umana e che la vittoria può essere ottenuta
attraverso una profonda conoscenza di sé, ma anche del nemico e di tutte le
variabili che possono intrecciarsi sul campo di battaglia. Si prospetta l’esistenza
di una profonda unità tra i diversi fattori in gioco: in questo frangente, la vera
vittoria si configura laddove si riesca a preservare ogni elemento del conflit-
to. «Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese
nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore» (Sun Tzu, 2017). Sulla
base di ciò, vince davvero chi riesce a mantenere intatta la visione d’insieme,
tenendo conto che gli elementi interagiscono tra di loro e si muovono continua-
mente in mutevoli relazioni. Essere in grado di abbracciare tutti gli aspetti del
mondo significa tener presente che modificare un singolo elemento produce
ripercussioni sull’insieme, in quanto tutti gli elementi sono connessi tra loro,
per cui diventa necessario conoscerli uno a uno e capire come ognuno agisce
e influenza gli altri, per avere potere sulle diverse configurazioni che la guerra
può assumere.
Ma quante forme può avere un conflitto? Le modulazioni di una guerra
solitamente sono considerate in relazione a un campo di battaglia, in cui si
confrontano uomini di diverse identità, incapaci di riconoscere e rispettare le
reciproche istanze. Le diversità in lotta possono quindi distinguersi sulla base
dell’identità territoriale, ideologica, politica, socio-economica, sessuale, religio-
sa, culturale, demografica. Ma non solo. Esistono anche conflitti intrapresi dagli
uomini non contro altri uomini, ma contro fattori di diverso tipo che vengono
percepiti come una minaccia per l’uomo: per cui si sente parlare di lotta contro
talune specie animali (si pensi ai cinghiali), lotta contro le conseguenze prodot-
te dalle azioni del genere umano (si considerino ad esempio il cambiamento
climatico oppure azioni legate a talune politiche economico-legislative, come
nel caso della lotta al precariato o al carovita) o lotta contro un virus come il
Covid-19. Non meno importante è la guerra non contro un nemico esterno,
ma interiore. L’esistenza individuale si sviluppa continuamente sul confronto
dell’io con se stesso nelle diverse fasi della sua vita, che si tratti di conflitti legati
alla mancata accettazione di alcuni aspetti identitari di sé oppure a momenti
decisionali che implichino diverse alternative in gioco e producano sofferenze
o rimorsi. Infine, pensando alle antiche suggestioni richiamate, il conflitto può
non interessare l’uomo, bensì i diversi altri elementi della natura.
In definitiva, la guerra assume un ruolo centrale secondo varie angolazio-
ni, per il suo carattere diffuso e permeante. Da qui l’idea che il greco antico
possa essere d’ausilio per indicare tale pervasività, configurando l’idea di con-
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Annamaria Dichio Paspolemos
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Guerra 4.0
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
1
Report dettagliati sono riportati sul sito web https://ceobs.org del CEOBS – Conflict and Envi-
ronment Observatory, che monitora costantemente le conseguenze ambientali e umanitarie scatenate
dai conflitti in tutto il mondo.
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Annamaria Dichio
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Fig. 2 – Analisi SWOT Guerra 4.0
Paspolemos
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Opportunities (Opportunità)
Se da un lato è stato evidenziato l’alto costo della tecnologia, dall’altro ri-
veste sicuramente una grande opportunità la quantità di investimenti che gli
Stati decidono ogni anno di destinare sia all’acquisto delle nuove tecnologie,
sia alla ricerca scientifica. Di certo, un buon punto di partenza in una guerra è
possedere il know-how tecnologico, oppure poter contare su partner affidabili
in tal senso, pronti a condividere il proprio sapere.
Threats (Minacce)
La principale minaccia della guerra 4.0 è speculare al carattere di capillarità e
pervasività insito nella tecnologia 4.0, che aumenta la vulnerabilità di ogni parte
del globo, facilmente attaccabile in poco tempo dai nuovi dispositivi. Se la mi-
naccia nucleare è stata il principale deterrente fino ad oggi, attacchi inferti dalle
tecnologie abilitanti implicherebbero la possibilità di distruzione del pianeta in
maniera più sofisticata e devastante. Per giunta, viaggiando i Big Data delle ope-
razioni militari su reti utilizzate da Stati e continenti differenti, una mancata legi-
slazione unitaria del web rende le operazioni mai completamente sicure, perché
non tutti i reati informatici risultano tali in tutte le Nazioni e questo rende più
diffusi gli illeciti. Il dark web potrebbe permettere a gruppi hacker non gover-
nativi di entrare nei conflitti a briglie sciolte, seguendo una propria etica hacker
(cfr. Himanen, 2001), ostacolando pur tuttavia operazioni militari mirate. Molti
cracker invece potrebbero costituire una reale minaccia incontrollabile.
44
Annamaria Dichio Paspolemos
45
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Bibliografia
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Sun Tzu, L’arte della guerra, a cura del Gruppo di traduzione Denma, tr.it. di M. Rossi,
Mondadori, Milano, 2017.
46
E guerra sia! Scenari bellici dalla Butte du Lion
agli algoritmi di combattimento
di Gabriele Di Francesco
Abstract
The essay intends to present possible future war scenarios, through the analysis of
variables that have constituted – and constitute largely even today – the essence of the wars
from Napoleon to von Clausewitz, from closed combat spaces to strategies connected to
the use of war algorithms and tactical digital holograms. Following this logic and the possi-
ble recurrence of wars with actions codified and used from the more distant past, possible
scenarios also arise linked to technological innovations, the growing dependence of the
military on virtual reality and the widespread use of propaganda.
1
La butte du lion (in olandese: leeuw van Waterloo) è un elevato tumulo a cono eretto a Water-
loo sul campo dove fu combattuta la storica battaglia per commemorare il luogo in cui il principe
Guglielmo II d’Orange dei Paesi Bassi, comandante del I Corpo d’Armata, fu disarcionato da cavallo
e ferito da un colpo di moschetto alla spalla. Secondo alcuni storici nella battaglia di Waterloo com-
mise atroci errori militari che portarono alla morte di diversi uomini. Wellington attribuì gli errori
all’inesperienza militare del generale che aveva soltanto 23 anni.
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
fase finale della battaglia, la loro disfatta nella “triste pianura” (morne plaine)
di Waterloo, i loro drammatici eroismi e i cedimenti di fronte all’incolmabi-
le superiorità del nemico. Elenca così «dimenticanze e distrazioni incredibili»
che pregiudicarono l’esito della campagna ritenuta persa in partenza. Per lo
storico francese il comportamento di Napoleone oscillò tra temeraria sicurezza
ed eccessiva prudenza. In conclusione Bainville ritiene che niente riuscì per-
ché niente doveva riuscire a causa soprattutto della mutevolezza dello spirito
dell’imperatore e per la sua “segreta disperazione” (Bainville, 2006).
La battaglia di fatto segnò la fine di un’epoca di grandi ambizioni territo-
riali, di altrettanto grandi conquiste dovute in massima parte alla fedeltà dei
propri soldati. Erano uomini che credevano in lui e nella sua visione mitizzata
come imperatore. La strategia militare napoleonica aveva i suoi punti focali
nella disciplina ferrea dei soldati e nella fedeltà delle sue truppe, dell’esercito
tutto, al quale chiedeva rapidità di movimento, azioni rapide e incisive: una
campagna rapida e una battaglia decisiva. Tra le variabili che entravano nella
strategia bellica napoleonica si imponeva la stessa costruzione del mito dell’Im-
peratore, che in ogni caso teneva vivi i principi di uguaglianza e fraternità affer-
matisi durante la fine dell’Ancien Régime, lo spirito rivoluzionario dei combat-
tenti, ma anche la facilitazione logistica, in un’Europa ormai dotata di strade e
ponti, e di veloci collegamenti con numerosi villaggi, molto utili per raccogliere
approvvigionamenti. Un’altra dimensione della strategia napoleonica era il co-
siddetto “inganno “tattico”, cioè
Bonaparte aveva impostato le sue azioni belliche con una visione tattica
del tutto originale, ancora oggi oggetto di studio nelle accademie militari, mo-
dificando «il modo di combattere le guerre» e mutando «la concezione stessa
del campo di battaglia e dello schieramento delle truppe» (Lodato, 2021). Per
quanto possa sembrare oggi superato, lo stile bellico napoleonico è stato alla
base di molte operazioni vittoriose e si sostanziava nel dominio del campo di
battaglia e nella velocità. Il suo punto debole si rivelò peraltro proprio a Water-
loo, per essere venuto meno alla sua collaudata tattica bellica: lentezza se non,
come è stata poi definita, “letargia” nelle azioni e nomina come suo secondo
del generale Michel Ney, detto prode tra i prodi, ma di scarsa intelligenza e
incapace in fondo di padroneggiare in senso nuovo la strategia militare. «Lo
stesso Napoleone aveva definito la sua comprensione della strategia militare
48
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
pari a quella dell’ultimo dei tamburini» che all’epoca erano ragazzini di 15 anni
(De Luca, 2015). Questo fu talmente chiaro che il comandante inglese, duca di
Wellington, poté affermare che a Waterloo i francesi avevano combattuto alla
vecchia maniera ed erano stati sconfitti nello stesso modo.
In questa linea la riflessione che Karl von Clausewitz fa nei suoi pensieri
sulla guerra (Vom Kriege, pubblicato postumo nel 1832), scritti al termine delle
guerre napoleoniche, che raccolgono riflessioni e scenari di tattica e strategia
militare.
Volendo abbattere il nemico, dobbiamo commisurare il nostro sforzo alla sua ca-
pacità di resistenza; questa si esprime mediante un prodotto i cui fattori insepa-
rabili sono: la grandezza dei mezzi disponibili e la forza della volontà” che deve
essere unita alla chiara prefigurazione delle poste in gioco, cioè a dire dell’intelli-
genza tattica. “La grandezza dei mezzi disponibili si potrebbe determinare, poiché
consta – per quanto non interamente – di cifre; la forza della volontà si lascia as-
sai meno facilmente determinare, ma soltanto stimare approssimativamente. (von
Clausewitz 1995, p. 20).
Passando dal regno delle astrazioni a quello della realtà, scrive sempre
Clausewitz,
49
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Ognuno giudica l’avversario in base alla fama del talento di lui, all’età e all’espe-
rienza e si orienta in conseguenza. Ognuno getta uno sguardo indagatore sullo spi-
rito e il morale delle truppe sue e del nemico. Tutte queste e consimili operazioni
nel campo spirituale, mostrate dalla esperienza, si ripetono regolarmente e quindi
autorizzano a dar loro il valore di grandezze reali nella loro specie. Certamente
però è l’esperienza che fornisce le necessarie credenziali per questa verità” (von
Clausewitz 1995, pp. 58-59).
Quindi cognizione della realtà, intelligenza e perspicacia che possono dare
il valore dell’esperienza.
Questa guerra è un parossismo, una febbre di quelle che talvolta come epidemie si
diffondono tra le popolazioni, come la flagellazione medioevale, e da cui un gior-
no queste si svegliano, spossate e senza comprendere come questa follia sia stata
possibile – oppure è uno straordinario rivoltare e arare a fondo il terreno europeo,
perché ci restituisca sviluppi e valori, la cui natura oggi neppure siamo in grado di
presagire? (Simmel, 2003)
50
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
Il fuoco cresce, e non basta. Chiede d’esser nutrito, tutto chiede, tutto vuole. Vo-
luto aveva il duce [Garibaldi, ndr] di genti un rogo su la sua roccia, che vi si con-
sumasse la sua spoglia d’uomo, che vi si facesse cenere il triste ingombro; e non
gli fu acceso. Non catasta d’acacia né di lentisco né di mirto ma di maschie anime
egli oggi dimanda, o Italiani. Non altro più vuole. E lo spirito di sacrificio, che è il
suo spirito stesso, che è lo spirito di colui il quale tutto diede e nulla ebbe, domani
griderà sul tumulto del sacro incendio: Tutto ciò che siete, tutto ciò che avete, e voi
datelo alla fiammeggiante Italia! (Montanelli, 2015)
2
Lo studio sui messaggi persuasivi, pur con diverse ottiche, fu inoltre al centro dell’attenzione
di numerosi studiosi del secolo scorso da Carl Hovland a Kurt Lewin, da Paul Lazarsfeld a Robert
Merton, a Leon Festinger.
51
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
L’era dello spazio iniziò con la muraglia cinese e il vallo di Adriano negli antichi impe-
ri, continuò con i fossati, i ponti levatoi e le torri delle città medievali, e culminò nelle
linee Maginot e Sigfrido degli stati moderni, per poi concludersi con il Patto Atlantico e
il muro di Berlino al tempo dei blocchi militari sovranazionali. Durante tutta quell’e-
poca, il territorio è stato la più preziosa delle risorse, il premio più ambito di qualsiasi
lotta per il potere, il segno di distinzione tra vincitori e sconfitti. Si poteva dire chi era
risultato vincitore di una battaglia scoprendo chi restava (vivo) sul campo di battaglia
al termine dello scontro. Ma soprattutto, in tutta quell’epoca il territorio è stato la
principale garanzia di sicurezza: era in termini di ampiezza e profondità del territorio
controllato che si misuravano e affrontavano le questioni di sicurezza. (Bauman, 2003)
Gli eserciti diventano più snelli più agili, più rapidi. Tendono a essere addestrati
all’azione dispersiva, a piccoli gruppi o individualmente, con un sistema che ri-
corda più gli sciami d’api che le colonne in marcia di una volta. Il rapporto tra
equipaggiamento tecnico e le cognizioni umane necessarie per farlo funzionare sta
rapidamente cambiando a favore del primo, e una parte sempre maggiore delle
capacità un tempo affidate alla memoria e all’addestramento dei soldati viene tra-
sferita ai dispositivi elettronici di puntamento, ai quali vengono affidate anche – in
52
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
misura sempre crescente – decisioni operative sia tattiche che strategiche. (…)
I nuovi metodi di azione militare mirano ad escludere possibilmente del tutto il
confronto faccia a faccia con il nemico. (Baumam, 2003).
Il digitale apre così una nuova forma di raccordo tra pubblico e privato a
tutto beneficio del privato, che diviene il vero detentore del potere burocrati-
co. La sfera pubblica si restringe sempre più sotto la pressione delle aziende
del digitale. Gilles Jeannot e Simon Cottin-Marx (La privatisation numérique,
2022) analizzano tali problemi tecnologici seguendo l’analisi della Sociologie
des bureaucraties publiques osservando che, mentre in precedenza l’informatiz-
zazione ha rappresentato un fattore interno di cambiamento delle amministra-
zioni pubbliche, oggi le numérique ha radicalmente modificato la distinzione o
le frontiere pubblico-privato. Tali modifiche sono andate di pari passo con la
diffusione generalizzata degli artefatti elettronici, dall’accesso a sempre nuove
piattaforme, anche illegali o sfuggenti al controllo dello Stato, alle potenzialità
offerta dall’intelligenza artificiale. Non si tratterebbe quindi soltanto di un nuo-
vo ambito applicativo, ma di nuove modalità collegate ai meccanismi monopo-
listici che regolano la gestione delle piattaforme e dei big data:
L’expression privatisation numérique doit être comprise dans un sens large comme
un nouveau chapitre de la privatization des États, telle que formalisée par Béat-
53
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Standards che sono dei veri cavalli di Troia per l’economia e per la gestione
del potere, attraverso le potenzialità associate all’accumulazione e all’incremen-
to dei big-data.
54
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
ancora oggi si sta seduti sopra un’enorme e potenziale arma distruttiva di massa.
Il rischio di una catastrofe che porti all’annientamento dell’umanità è in fondo
reale, ma se ne sottovaluta e trascura la portata, è quasi psicologicamente rimosso
dalle coscienze. Tale sottostima sembra in parte dovuta proprio alla considerazio-
ne della morte e della sua funzione esemplare, oltre che dalla pervasiva insistenza
da parte dei poteri economico-finanziari sul ruolo del “nucleare pulito”, diretto
a risolvere problemi energetici a fini di pace (tema riscoperto nell’ultimo lustro
anche in seguito alle difficoltà di approvvigionamento energetico e in alternativa
alle risorse energetiche fossili: gas, carbone e petrolio).
Tale ultima prospettiva, diffusa in termini di propaganda “tranquillizzante”
nell’opinione pubblica, viene affiancata anche dalla considerazione del minore
impatto delle cosiddette “armi nucleari tattiche”. Si tratta di ordigni nucleari
a bassa intensità, con un potere distruttivo limitato a obiettivi specifici e non
su larga scala, (una centrale elettrica, una diga o la sede di una istituzione dello
Stato). Si tratta di ordigni di piccole dimensioni, facilmente trasportabili e uti-
lizzabili senza l’utilizzo di mezzi aerei, ma direttamente dalle truppe sul campo
con un raggio di azione più limitato delle parallele armi strategiche nucleari4.
In realtà, sebbene il raggio d’azione di tali armi sia inferiore, ciò non toglie che
si tratti pur sempre di ordigni con ricadute radioattive non controllabili o con-
trollabili soltanto in parte e comunque con un grande impatto sulle popolazio-
ni e sui territori. Secondo una stima della IRIAD Review attualmente la Russia
ha 1.900 ordigni tattici nucleati mentre gli USA ne hanno 230.
L’umanità tutta, in buona sostanza, sarebbe seduta su un gigantesco e apo-
calittico fungo atomico senza averne coscienza, come a dire che l’umanità tutta
è impegnata in una guerra continua senza sosta e fatta in aggiunta da altri senza
avvertirne il pericolo. Si tratta peraltro e comunque di una guerra telematica,
in cui la gestione è resa possibile grazie alla possibilità di raccogliere e verificare
dati militari attraverso l’utilizzo di droni telecomandati e della grande rete sa-
tellitare il cui controllo è per la maggior parte di grandi gruppi finanziari privati
che per i loro interesse muovono le leve del potere.
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
avevano già annunciato nuovi modelli di guerra, che in realtà si basava sull’os-
servazione delle realtà del passato e la possibilità di trovarsi di fronte a svariati
modelli di futuri probabili, sviluppatisi in conseguenza dell’evoluzione possibile
delle attività politiche, militari e imprenditoriali. Distinguendo tra war (essenza
della guerra) e warfare (metodi bellici) «si affermano nuove e ineluttabili realtà
della guerra nelle sue forme di unconventional war, irregular war, asymmetric
war, wicked war (guerra scellerata), proxy war (guerra per conto di altri), criminal
war, war of the third kind, non-trinitarian war (ovvero, non più composta dalla
trinità di Clausewitz: Stato, esercito e popolo)» (Mini, in Romeo, 2021).
In realtà si è trattato sempre in buona sostanza di etichette applicate a vari
metodi di belligeranza relativi ai metodi operativi e alle infinite combinazioni
degli strumenti di guerra. Per i cinesi queste combinazioni sono innumerevoli
e indefinite: la “combinazione” non è la semplice miscela o la composizione si-
multanea di vari elementi che rischiano di eliminarsi o neutralizzarsi a vicenda,
ma è «in continua evoluzione e possibile alternanza. Si devono pertanto consi-
derare le potenzialità della combinazione delle organizzazioni (nazionali, inter-
nazionali e sovra-nazionali pubbliche e private); degli ambiti (compresi quelli
apparentemente lontani o avulsi dal terreno di scontro); dei mezzi disponibili;
dei livelli coinvolti (stratificazioni)» (Mini, in Romeo, 2021).
Si parla di conflitti ibridi, ma anche di minacce ibride (hybrid threat), cioè
«dei metodi e delle attività mirate alle vulnerabilità dell’avversario dove la gamma
di metodi e attività è ampia»: la definizione è del Centro Europeo Nato-Ue di
Helsinki per il contrasto alle minacce ibride istituito nel 2017 (Mini, in Romeo,
2021). Il confronto con minacce multilivello e con avversari a n-dimensioni,
definite «hybrid threat», ha rivoluzionato il nostro modo di approcciarci alle
modalità e alle condotte delle guerre. Negli USA per hybrid threat s’intende
«il risultato di combinazioni e dinamiche di capacità convenzionali, irregolari,
terroristiche e criminali» utilizzati da attori statali e non statali con l’obiettivo
di destabilizzare la società, oltre che causare danni diretti e indiretti (Romeo,
2021). Le guerre e le minacce ibride nella loro essenza non lineare, secondo
Giuseppe Romeo, «tenderebbe[ro] a colpire non solo la dimensione fisica
dell’avversario ma, se non soprattutto, le strutture conoscitive. Cioè le convin-
zioni, le stesse percezioni che una nazione o che i singoli individui hanno di sé
nel ricercare una propria collocazione nel mondo reale, misurabile, tangibile,
nel quale soddisfare il loro bisogno di sicurezza» (Romeo, 2021).
Da questi presupposti l’attenzione si pone sulla cyberwarfare, nuova frontie-
ra di un conflitto a basso costo ma ad alto impatto e risultato, utile a inserirsi nei
processi di governance dell’avversario, di cui sfrutta le situazioni di crisi tentan-
do di manipolarne l’opinione pubblica ricorrendo alla costruzione di fake con-
siderate come decisivi “fattori di potenza” nel cosiddetto «News management
strategico». Lo scenario che si presenta riconduce all’idea di “combattente cy-
borg” espresso in una versione bionica, con le facoltà mnemonico-cognitive di
soldati geneticamente modificati in una visione che riduce l’impiego umano
56
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
e costruisce con maggiore forza il soldato che viene impiegato sul campo. In
questo senso si collocano anche le ricerche dell’agenzia statunitense DARPA
(Defense Advanced Research Projects Agency).
In tale contesto si parla sempre più spesso di “algoritmo di guerra”. Il termi-
ne si riferisce a qualsiasi schema o procedimento sistematico che si esprime in co-
dice informatico, che si effettua attraverso un sistema costruito, e che è in grado
di operare in relazione a un conflitto armato. L’intenzione o la preoccupazione
tecnologica fondamentale è la capacità di un sistema costruito, senza ulteriore in-
tervento umano, di aiutare a prendere ed effettuare una “decisione” o “scelta” di
un algoritmo di guerra. Distillati, i due ingredienti principali sono un algoritmo
espresso in codice informatico e un sistema costruito adeguatamente capace5. A
tal fine nella primavera del 2017, il Pentagono ha creato una nuova unità tecno-
logica a disposizione della Difesa, l’Algorithmic Warfare Cross-Functional Team
(AWCFT), specializzata in settori che prevedono lo studio e lo sviluppo di intelli-
genza artificiale e machine learning. Tra i progetti dell’unità tecnologica di difesa
si individua il Project Maven, sviluppato in partenrship con Google, «per consen-
tire al Pentagono di analizzare tutto il materiale video registrato dai droni e di de-
codificarlo selezionando obiettivi ed oggetti ritenuti di interesse, estrapolandoli
da una mole gigantesca di filmati, utilizzando la “computer vision”, un’area di
ricerca che produce algoritmi per l’acquisizione e la comprensione di immagini»
(Lucania, 2018). Il fine è quello di integrare le tecnologie per il machine learning
e l’elaborazione dei big data da parte del Ministero della Difesa.
Si è convinti che «la nuova frontiera della guerra algoritmica sia appena
iniziata e non si è ancora in grado di quantificare quanto, potenzialmente, po-
trà incidere sugli equilibri futuri», secondo l’approccio generale definito nel
Defense Science Board Summer Study on Autonomy pubblicato del giugno
20166. Ma le ripercussioni di questa nuova realtà stanno già rivoluzionando le
regole di condotta e la vision della guerra.
5
Cfr. Program on International Law and Armed Conflict online su https://pilac.law.harvard.edu/
aws/
6
Disponibile all’indirizzo https://www.hsdl.org/?abstract&did=794641/
57
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Vi è infatti una crescente dipendenza dei militari dalla realtà virtuale per addestra-
re i combattenti e nella creazione di cloni elettronici. L’esercito americano ha già
fatto buon uso degli esseri umani virtuali. (…) L’Institute for Creative Technolo-
gies (ICT) della University of Southern California, a Los Angeles, ha utilizzato i
personaggi della realtà virtuale per toccare i combattenti in un modo o nell’altro
prima, durante e dopo gli schieramenti di combattimento. (Uppal, 2021)
58
Gabriele Di Francesco E guerra sia!
Alla luce di queste ultime notazioni resta da chiedersi quali scenari di guer-
ra potrebbero concretizzarsi realisticamente in un futuro non lontanissimo.
Per molti analisti le ultime emergenze belliche farebbero quasi propendere per
9
La chiralità (dal greco χείρ, “mano”) è la proprietà di un oggetto rigido (o di una disposizione
spaziale di punti o atomi) di essere non sovrapponibile alla sua immagine speculare.
10
«Le Pm sono superfici ingegnerizzate capaci di manipolare e controllare contemporaneamente
le onde elettromagnetiche e le informazioni digitali» scrive Marta Musso (2022) «Nel nuovo articolo
intitolato Remotely Mind-controlled Metasurface via Brainwaves, il team di ricerca, guidato da Sha-
obo Qu e da Jiafu Wang dell’Air Force Engineering University e da Cheng-Wei Qiu dell’Università
nazionale di Singapore», ha proposto «un nuovo modello di metasuperficie controllata a distanza
(Rmcm) tramite le onde cerebrali. Partendo dal presupposto che il cervello umano genera onde
cerebrali mentre pensa, i ricercatori hanno teorizzato che la raccolta di queste onde e il loro utilizzo
come segnali di controllo consentirebbe agli esseri umani di controllare le Pm direttamente con la
mente» (Musso, 2022).
59
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
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Gabriele Di Francesco E guerra sia!
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Bibliografia
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Immagini di una apocalisse possibile.
Dinamiche della paura nell’immaginario dell’invisibile
di Adolfo Fattori
Abstract
Until a few months ago the relation human/environment was a privileged theme for
fiction and non-fiction imaginary, and had as core risks related to incumbent ecological
catastrophe and/or humanitarian disasters – both seen as late capitalism effects. Today,
meanwhile we are writing, the diffusion of SARS CoV-2 pandemic and the “winds of war”
blowing from East Europe are putting in the background these themes, that now lay be-
hind sanitary emergency. These not are disappeared at all: even the epidemic spreads fi-
nally are an effect of globalization. We can try to look for narrations in recent past based
on molds to which we can look to try ideas in order to make sense to this new emergency.
Reindirizzamento
64
Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
A metà del Novecento, riflettendo sui film di fantascienza del filone cata-
strofista, l’intellettuale americana Susan Sontag scriveva di come
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Harry Harrison (1972), da cui l’anno dopo fu tratto il film 2022 I sopravvissuti
(Fleischer, 1973), e, in tempi più recenti, nel saggio di Jacques Attali Breve sto-
ria del futuro (2007).
Mettendo da parte le previsioni, narrative o parasociologiche, connesse alla
sovrappopolazione, prende forma un calco narrativo che conoscerà varie decli-
nazioni, curvature, arricchimenti: la distruzione atomica potrà scambiarsi con
l’invasione aliena, con la liberazione volontaria o meno di un virus letale – ma-
gari costruito in laboratorio – e con uno spettro di conseguenze cha andranno
dalla distruzione dell’ambiente, alla nascita di mutanti mostruosi, alla riduzio-
ne alla completa barbarie dei sopravvissuti.
Queste varianti saranno così frequentate da dare vita a numerosissimi ro-
manzi, film, racconti, serie tv, fumetti, fra i quali emergeranno anche grandi e
piccoli capolavori, difficili da elencare, ma che sono rimasti fertili fino ai giorni
nostri.
Innesca queste narrazioni la sensazione profonda e informe di una minaccia
immateriale, impercepibile, che si incarna nelle figure degli alieni, delle radia-
zioni atomiche, dei batteri e dei virus: mostri invisibili, spettri, che infestano,
infettano, contaminano; contro i quali non c’è difesa preventiva. Anche in que-
sto ritroviamo un calco: quello delle reazioni al sacro più ancestrale e primitivo,
indomabile e inconoscibile – invisibile. In queste visioni il mondo ne è infesta-
to. Ci si potrebbe costruire una intera Hauntology, ispirandosi alle intuizioni di
Mark Fisher (2019).
Nella narrativa “dedicata” ci si può provare a difendere, ma solo quando
si manifestano apertamente o nelle loro conseguenze. A meno che la vita asso-
ciata non sia ormai polverizzata, i pilastri della civiltà non siano già sbriciolati,
portando via con sé gli ancoraggi e le certezze della vita quotidiana. Esploran-
do romanzi e pellicole potremmo costruire un itinerario composto di tappe
precise, che mantenendosi sulla direttrice principale, occhieggiano all’una o
all’altra variante. Ma in tutte, ritroveremmo lo stesso topos: la paura dell’im-
barbarimento o dell’estinzione come effetto dell’attacco da parte di un agente
impercepibile se non nei suoi disastrosi effetti.
La mezzanotte dell’Umanità
66
Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
Alcune opere sono dei veri e propri classici, idealtipici addirittura, nel loro
svolgere in modo originale temi di genere, sviluppandoli separatamente o ibri-
dandoli fra loro.
A dire il vero, tutte queste narrazioni hanno almeno un precedente illustre,
Il colore venuto dallo spazio, di Howard Phillips Lovecraft (1927): in una vallata
del New England si è abbattuto un asteroide proveniente dallo spazio esterno,
che ha rilasciato un qualcosa (radiazioni ignote? microorganismi sconosciuti?)
che ha trasformato la zona in una “landa desolata” provocando strane trasfor-
mazioni e distruggendo piante, animali, esseri umani.
Il racconto di Lovecraft è un prototipo, ed è un’incursione, seppur con toni
inquietanti e weird, del maggiore scrittore horror del Novecento nella fanta-
scienza in senso stretto.
D’altra parte, lo stesso Lovecraft sosteneva che la sua mitologia immagi-
naria e le sue trame erano basate su una premessa materialistica inderogabile:
tutto ciò che rientra nella sfera del soprannaturale e del sacro appartiene sem-
plicemente a universi e spazi talmente estranei e alieni a noi da non riuscire ad
inscriverli nell’universo del “naturale”, del “razionale” (Harman, 2012; Fisher,
2018). Per cui, anche il “colore venuto dallo spazio” non è qualcosa di trascen-
dente, ma un agente dannoso per la vita sulla Terra, senza scopo e senza volontà
– qualcosa di irriducibilmente alieno. E che sia organico o inorganico, non ha
importanza: contano gli effetti che produce raggiungendo il nostro pianeta.
In ogni caso, qui troviamo fusi in un unico tratto tutti gli elementi che nutri-
ranno l’immaginazione apocalittica, e che in seguito si separeranno: l’infezione
e/o la contaminazione da un lato, la minaccia naturale e/o soprannaturale da
un altro, la minaccia di invasione dallo spazio esterno da un altro ancora. Suc-
cederà di nuovo – forse – solo in una occasione ulteriore, in La notte dei morti
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
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Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
… curiosa atmosfera delle località balneari del Mediterraneo non ha ancora trova-
to i suoi cantori. Le potremmo considerare come un’unica città lineare, lunga circa
5.000 chilometri da Gibilterra alla spiaggia di Glyfada a nord di Atene e larga poco
meno di 300 metri. Nei tre mesi estivi è la città più grande del mondo, abitata da
almeno cinquanta milioni di persone, o addirittura il doppio (Ballard, 1991, corsivo
mio).
Di fronte alle apocalissi planetarie immaginate nei romanzi del “ciclo degli
elementi” questa considerazione sembra al ribasso, ma non è altro che il rifles-
so concreto, nella realtà quotidiana, delle paure degli anni Sessanta proiettate
sul futuro, e reinterpretate dalla fantascienza: le catastrofi totali immaginate
si riflettono, ad esempio, nella cementificazione selvaggia, nella distruzione
dell’ambiente naturale. Apocalissi “a bassa intensità”, negli anni Settanta anco-
ra “locali”, anticipo di quelle a cui, secondo alcuni, assistiamo oggi.
Si tratta di un circolo vizioso, addirittura banale: il mercato ferisce l’am-
biente per creare beni e servizi, di cui gli individui fruiscono, complici, di fatto,
dei progressivi danni all’ambiente. Come scrive Mark Fisher in Realismo capi-
talista,
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Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
La società dell’angoscia
Nell’epoca del dissolvimento delle tradizioni religiose e della fine delle grandi narra-
zioni moderne, sono le immagini della scienza a re-incantare le platee mondiali allo
spettacolo della verità.
(Pier Luca Marzo, 2018)
Fatto sta che, almeno in Occidente, percepiamo, e non da oggi, una di-
mensione di crisi – “soggettiva e intersoggettiva” (Berger e Luckmann, 2010),
che riguarda il senso che diamo al mondo – che sicuramente ha radici reali, se
pensiamo ai riflessi devastanti sul mercato del lavoro, sull’organizzazione della
produzione, sui redditi e sui consumi, sulla vita quotidiana nel suo complesso
della crisi economica del 2008, che possiamo considerare, insieme all’accelera-
zione dei processi di individualizzazione, il nucleo profondo dell’attuale forza
che forme di “angoscia escatologica” (Camorrino, 2018b) hanno nello scenario
sociale attuale. Siamo immersi in un penetrante senso di disagio, esplorato oltre
che da Peter Berger e Thomas Luckmann anche da Anthony Giddens (1999)
da Ulrich Beck (2013), da Alain Ehrenberg in due testi successivi (1999; id.
2010), giusto per citare gli studiosi più autorevoli.
Combinando e intrecciando fra loro le argomentazioni dei vari autori citati,
potremmo inferire che l’intensità del mutamento sociale di questi ultimi de-
cenni ha innescato la tendenza a sentirsi in una situazione continua di rischio
incombente (Beck, 2013), in cui gli ancoraggi sociali a cui si lega la sicurezza
ontologica (Giddens, 1999) vacillano, si allarga l’incidenza del disagio indivi-
duale (Ehrenberg, 1999), mentre è cresciuta progressivamente la sfiducia e la
diffidenza nei confronti dei “saperi esperti” (Giddens, 1999) e si rafforza la
tendenza alla riemersione di modalità di attribuzione di senso alla realtà model-
late su forme antiche, legate alle società arcaiche, largamente basate su forme
di pensiero magico. Il risultato è l’immanenza di una condizione di angoscia
escatologica e – in ultimo – di forme di neo-religiosità (Camorrino, 2018b). È
un’epoca di neo-millenarismo, in cui per un lungo periodo le istituzioni politi-
che, civili, scientifiche sembravano aver perso gran parte della loro autorevo-
lezza e credibilità, in misura diversa, con modalità di verse, ma – di fatto – in
tutto l’Occidente, in favore di un atteggiamento di chiusura, risentimento, dif-
fidenza, rancore, degli individui nei confronti del mondo sociale, relazionale,
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
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Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
Dobbiamo occuparci del mondo in cui ognuno di noi porta avanti l’impresa di vivere,
in cui ognuno di noi deve trovare il suo orientamento e venire a patti con le cose e
con gli individui.
(Alfred Schütz, 2013)
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
singole persone, anche se filtrato dal web. Ma abbiamo la nostra “cassetta degli
attrezzi” di praticanti delle scienze storico-sociali, e ciò che possiamo sentire
come un rischio – essere troppo dentro le cose – può diventare un vantaggio, se
ci sforziamo di pensare sociologicamente, conservando la giusta distanza, e os-
servando anche noi stessi e lo svolgersi delle nostre biografie dentro il flusso del
processo storico. Possiamo ricordare Alfred Schütz, ebreo austriaco, che scri-
veva le parole riportate più sopra in pieno 1942, o Max Weber, che nel 1918,
mentre finiva la Prima guerra mondiale e si scatenava la “spagnola”, scriveva
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Adolfo Fattori Immagini di un’apocalisse possibile
Bibliografia
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76
Dalla fantascienza alla realtà: simulazioni, droni e super-soldati
per le guerre del futuro
di Gloria Puppi
Abstract
Tomorrow’s wars will be increasingly technological, much more similar to those imag-
ined in speculative fiction exercises. Armed drones controlled by the mind of soldiers or
governed by an AI capable of taking deadly decisions, bio-hybrid weapons and super sol-
diers, genetically manipulated to decrease the feeling of tiredness, hunger, cold and resist
radiation and chemical attacks. This paper will explore the latest technological innovations
and try to compare them with the existing filmography.
1
Qui la parola demone non si riferisce all’iconografia cristiana ma bensì è il termine tecnico con
cui vengono chiamati i programmi che girano in background.
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
2
https://defense.improbable.io/
78
Gloria Puppi Dalla fantascienza alla realtà
3
https://red6ar.com/
4
https://www.episci.com/
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
La guerra nel 2050 raramente sarà corpo a corpo. La maggior parte delle
volte si combatterà a distanza, attraverso l’uso di interfacce uomo-macchina,
realtà aumentata e intelligenza artificiale; ma non per questo sarà indolore.
Lo dimostrano due casi di droni altamente efficienti che hanno superato
ogni tentativo passato di speculative fiction. Se infatti nell’industria dell’intrat-
tenimento i droni autonomi e tascabili sono citati fin dagli anni Settanta-Ottan-
ta, dalla saga di Star Wars (1977) a Blade Runner (1982), dalla recente serie tv
Clone Wars (2008-2022) a una particolare puntata delle serie tv Elementary
(2012-2019) in cui una vespa telecomandata è stata in grado di spiare e av-
velenare una persona rilasciando agenti patogeni, abbiamo dovuto attendere
fino a oggi per vederli realmente utilizzabili in ambito bellico. Non anco-
ra miniaturizzati come in Elementary, anche se vi sono tutti i segnali (non
proprio) deboli per ipotizzare questo scenario. Un ulteriore cortometraggio
degno di nota è Slaughterbots, diretto da Stewart Sugg nel 2017, in cui si rac-
conta uno scenario del prossimo futuro in cui sciami di micro-droni econo-
mici usano l’intelligenza artificiale e il riconoscimento facciale per assassinare
oppositori politici in base a criteri pre-programmati. Il video è stato pubbli-
cato su YouTube5 dal Future of Life Institute e da Stuart Russell, professore
di informatica a Berkeley, il 12 novembre 2017 (Ting, 2017). È diventato ra-
pidamente virale, ottenendo oltre due milioni di visualizzazioni, tanto da es-
sere proiettato alla riunione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi
convenzionali del novembre 2017, a Ginevra. Un sequel, Slaughterbots – if
human: kill (2021)6, ha presentato ulteriori ipotetici scenari di attacchi contro
5
https://www.youtube.com/watch?v=HipTO_7mUOw
6
https://www.youtube.com/watch?v=9rDo1QxI260&ab_channel=FutureofLifeInstitute
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Gloria Puppi Dalla fantascienza alla realtà
Una singola ape, così come una formica non è cosciente di essere parte di una
comunità complessa eppure seguendo regole semplici e scambiando informazioni
con gli altri insetti, il sistema complesso esibisce comportamenti collettivi partico-
larmente complicati. Per esempio, nel caso delle api, le modalità con cui un alveare
composto da migliaia di insetti si sposta da una posizione all’altra si basano su una
struttura leadership distribuita attraverso la quale pochi individui riescono a in-
fluenzare l’intera comunità e che potremmo replicare nei sistemi tecnologici e negli
stormi di droni in modo che anche questi sistemi complessi tecnologici riescano
ad auto-organizzarsi così come accade in quelli esistenti in natura come lo sciame
di api. (in Lerose, 2022)
I piccoli droni della ricerca di Zhou sono stati testati in quattro situazioni
differenti: volo in gruppo attraverso una foresta di bambù, volo in un ambiente
81
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
affollato, valutazione dell’evitamento con gli altri droni e anche la capacità del-
lo sciame di seguire la guida di una persona qualora la visione di questa fosse
offuscata. Prima di vederli operativi nel mondo reale, occorreranno ulteriori
esperimenti in ambienti ultra-dinamici come ad esempio le città, dove i droni
sono costantemente sotto pressione per evitare persone, veicoli e altri ostaco-
li. La loro ricerca, tuttavia, seppur di grande interesse in ambito militare, ha
un focus più tecnologico-sociale come il soccorso in caso di catastrofe (in alta
montagna o durante situazioni di crisi ambientali), assistenza in studi biologici
oppure in ambito spaziale.
Un altro esempio di drone ancora poco (per fortuna) utilizzato nella guerra
attuale, ma pronto per una guerra futura è Lanius dell’azienda israeliana Elbit
System7. L’azienda opera principalmente nei settori della difesa e della sicurez-
za interna, sviluppando e fornendo un ampio portafoglio di sistemi e prodotti
aerei, terrestri e navali per la difesa, la sicurezza nazionale e le applicazioni
commerciali. Dal report rilasciato dalla stessa azienda8 si parla di Lanius come
di un agile quadricottero con capacità di esplorazione, mappatura e classifica-
zione dei bersagli basate sull’intelligenza artificiale con un sofisticato algoritmo
e sensori visivi multipli per un real time video di alta qualità. La sua particola-
rità è che, se preventivamente programmato, è in grado di esplodere contro il
bersaglio o quando richiesto. I suoi punti di forza, se vogliamo chiamarli così,
sono il peso di 1,25 kg grazie al telaio in carbonio, la capacità di trasporto di
carico letale o non letale fino a 150 grammi, e il basso consumo di energia. Per
fortuna il suo volo ha una durata massima di sette minuti: quindi non potrebbe
coprire lunghe distanze, e non è ancora in grado di agire da solo, in quanto gli
occorre sempre un input umano per finalizzare la sua missione.
Se il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichia-
rato nel “Web Summit” di Lisbona nel 2018 che: «La prospettiva di macchine
con la discrezione e il potere di togliere la vita umana è moralmente ripugnan-
te» (Gutierres, 2018), l’ex generale americano Stanley McChrystal ha affermato
che l’intelligenza artificiale arriverà inevitabilmente molto presto a prendere
decisioni letali sul campo di battaglia (Zahn e Serwer, 2021), nonostante l’av-
viso di Zachary Kallenborn, analista e consulente per la Sicurezza Nazionale
americana, che sostiene che «gli sciami di droni non riescono ancora a distin-
guere tra obiettivi militari e civili», oltre che ignorare le convenzioni di guerra.
Non può non insinuarsi nella mente lo scenario distopico in cui una mac-
china diventi indipendente dal volere umano e possa attaccare, in maniera in-
discriminata, sia civili che militari. E se un drone decidesse di “disertare” o
disubbidire ai comandi umani, cosa accadrebbe? E se gli ordini ricevuti fossero
in contrasto con gli statement con cui è stato programmato? Un caso di risolu-
zione di un problema di quest’ultimo tipo ci viene suggerito, anche in questo
7
https://elbitsystems.com/about-us-introduction/
8
https://elbitsystems.com/media/LegionX_LANIUS-4-Web.pdf
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Gloria Puppi Dalla fantascienza alla realtà
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
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Filmografia
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Future use of Lethal Autonomous Weapons (LAWs)
by criminal Non-State Actors, and its possible effects on governance,
national security and democracy.
A futures studies analysis for the case of drug cartels in Mexico in 2050
Abstract*
The use of Lethal Autonomous Weapons (LAWs) by criminal groups in the future is a
real possibility. In countries with weak institutional environments, like México, conditions
seem very prone for criminal Non-State Actors (NSAs) like drug cartels (DCs) to have
access to and operate these weapons in the future. They have the money, organization and
access to knowledge to acquire them and be willing to operate them. Current signals and
trends show that this danger is real, since drug cartels have already used drones armed with
explosives, in scattered attacks on police forces since 2020, in territories like the state of
Michoacán. This situation represents a significant challenge for the Mexican state and its
institutional armed and security forces. What would be the possible effects of drug cartels
gaining access in 2050 -or sooner- to LAWs? How would their possession by these crimi-
nal groups affect governance, institutional order, national security and even democracy in
Mexico?
Using futures & foresight methodologies such as horizon scanning and scenario plan-
ning, this paper presents some probable and plausible scenarios of using LAWs by drug
cartels, and its possible consequences for governance, national security, and democracy in
México.
The objective of this paper is that the depicted futures scenarios for 2050 can become
a small contribution to analyzing, devising and implementing anticipatory measures in the
present, that may be useful for the Mexican government and its armed and security forces
to prevent, and hopefully avoid, this menace.
“The potential benefits of artificial intelligence are huge, so are the dangers”.
(Dave Waters)
In recent times in different regions of the world, drone technology has been
used by criminal Non-State Actors (NSAs). For example, the Houthi rebels in
Yemen have used armed drones, and ISIS in Iraq and Boko Haram in Nigeria
have used drones with explosives (Hanner & Garcia, 2019). In Mexico, news
* I want to thank futurist Kendra Jones for her invaluable help with comments and the style
revision of this paper. Any mistakes of course, are only of my own.
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
reports since 2020 described different attacks directed at police officers in the
state of Michoacán, carried out with drones containing C-4 type explosives
(El Universal, 2020), allegedly perpetrated by members of the “Cartel Jalisco
Nueva Generación” (CJNG). One year later, in April 2021, the use of similar
devices by this criminal group was reported again in that same Mexican state
(Gutiérrez, 2021). Although these devices do not operate with Artificial Intelli-
gence (AI) technology, they are worrying because they indicate a new modality
used by criminal groups to attack state forces: the use of remote-controlled
technology. More advanced devices with semi-autonomous and autonomous
AI technology are available in the international market for whoever has the
financial means to obtain them. Potential buyers include governments, security
forces, national military forces, and NSAs from around the world, including
criminal groups like drug cartels (DCs).
This situation is particularly worrying for developing countries with weak
institutional environments, such as Mexico. Mexican DCs have financial
wealth, organizational capacity, ubiquity, and logistics, and that represents
a major challenge for the national government, the armed forces, and police
institutions. Some political analysts even suggest that DCs hold total control
over some territories of the country (Ferri, 2021). DCs already have access to
high-powered weapons and technology, and given their wealth and corrupting
power, there is no reason to think that they will not be able to access LAWs and
other AI devices in the future, with unknown negative effects on the country’s
governance, institutional order and national security.
What would be the potential effects in the future if DCs gain access to
LAWs? What would this mean regarding governance and national security in
Mexico? These are some of the questions addressed in this work. Using futures
& foresight techniques like horizon scanning and scenario planning, some
plausible futures scenarios are depicted as a speculative exercise to imagine
what could be the potential effects of a situation like this in the long term (year
2050), and above all, how can the negative effects and consequences of DCs
getting access to LAWs to be anticipated and avoided.
Hypothesis: In Mexico, criminal Non-State Actors (NSAs) like DCs will
have access to technology developments such as LAWs in the future, augment-
ing the power of these criminal groups and increasing their negative influence
over governance, stability, and national security of the country.
Methodology. The structure of this work is as follows:
- Analysis and discussion.
- Horizon Scanning.
- Location of Drivers of change and critical uncertainties employing a STEEP
analysis.
- Generation of Scenarios using the 2x2 Matrix Method.
- Narrative of Scenarios. Year 2050.
- Conclusions.
90
Mauricio Hernandez Ramirez Future use of Lethal Autonomous Weapons
On October 27, 2019, the city of Culiacán, , the capital of the Mexican state
of Sinaloa with about 800,000 inhabitants, was besieged by groups of armed
people. National T.V. networks and several videos on social media showed how
these armed groups quickly put the city upside down: buses set on fire in the
streets as barricades; convoys of vehicles with people on the top of them car-
rying heavy weapons, including rocket and grenade launchers (De Córdoba,
2019; Luhnow et al., 2019); shootings in various areas of the city, and so on. It
was later revealed that these armed groups allegedly belonged to the Sinaloa
Cartel, one of the largest DCs in Mexico and the world1. This event revealed
the power that DCs have achieved in Mexico, with increasingly open, recur-
rent, and violent armed activities, and with firepower probably superior to that
of the State forces.
According to some versions, DCs seek to establish their control over “zones
of impunity” throughout the country (Manwaring, 2009), rivaling the Mexican
state through the establishment of “semi-autonomous political enclaves”, au-
1
Something similar occured again at the beginning of January 2023.
91
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
thentic “free micro-states” within the state itself where these criminal groups
do something close to the concept of “govern”. In the Weberian sense of the
“state monopoly over the legitimate use of physical force over a given territory”
(Weber, 1946), the Mexican state is already facing problems, since DCs appar-
ently have already established some of these zones of impunity in territories like
the state of Michoacán.
In addition, Mexican DCs exert enormous financial power. Ríos (2008) re-
fers to the fact that most reliable estimates consider annual profits for Mexican
DCs in a range between 3.2 and 9.9 billion dollars, figures consistent with those
reported by O’Grady (2019), who estimates annual profits of 10 billion U.S.
dollars, coming solely from their operations in the United States of America.
Financial power of DCs is relevant because it guarantees availability of assets,
including high-power weapons with advanced technology that rival and may
even be superior to those possessed by Mexican armed forces. Military ana-
lysts have pointed out that future combatants in the world, both NSAs and
state forces, are already investing today in autonomous AI systems (White Jr.,
2017) and could do so in similar devices: facial recognition and automatic lo-
cation systems; drone swarms; Autonomous Unmanned Vehicles (UAV); exo-
skeletons; remotely operated tanks and humanoid robots (Braun et al., 2018;
Brundage et al., 2018; Keenan, 2014; Swofford, 2019; White Jr., 2017).
Are these conditions likely to incentive Mexican DCs to acquire LAWs?
The next part of the work will present some answers to this question.
Horizon Scanning
Horizon Scanning can be used to explore new or unexpected issues but also
persistent problems, trends and weak signals that are occurring in the present
and could anticipate the occurrence of certain specific situations in the future
(van Rij, 2010). Horizon scanning may include desk research, focus groups,
and expert surveys or questionnaires (Édes, 2020).
Two horizon scanning techniques were used for this work:
1) A questionnaire aimed at professional and academic experts in specific
areas of knowledge related to the topic of research.
2) A record of signals searched and registered from documentary sources
such as newspapers, specialized journals and magazines, websites, social me-
dia, etc., in a period from December 2019 to June 2021.
92
Mauricio Hernandez Ramirez Future use of Lethal Autonomous Weapons
curity and Organized Crime/Drug Trafficking. Given the subject matter of the
questions and the research, and to safeguard the integrity of the experts, the
questionnaire was answered anonymously. The experts’ professional activities
and fields can be found in Appendix 2.
The following findings stand out from this exercise:
1) Out of 11 experts, 5 of them were experts in Artificial Intelligence (1 of
them also said he was expert in Public Security and Safe Software Develop-
ment). The others were: 1 expert in Homeland Security; 1 in Organized crime
and Drug Trafficking; 2 in Public Security; 1 in Human Security, Assistance
to Victims and Humanitarian Disarmament; and 1 more in Cybersecurity and
Cyber Defense.
2) 45.5% of the experts stated that in their knowledge, there were no spe-
cific AI technologies being currently used by DCs in Mexico or abroad; 36.4%
said they did not know, and 18.2% said CDs already use them already, consist-
ing of:
“Almost unbreakable communication encryption technologies, intelligent tel-
ecommunications networks (calls and messages that notify pilots or captains when
it is safe to move cargo), ultra-light aircraft, data science to avoid detection”, and
“Irrigation systems with drones for illegal plantations. Facial recognition systems”.
3) Regarding awareness of the current access to LAWs or any other type
of AI weaponry by DCs, 90.9% of experts said they did not know, and 9.1%
considered they do not have them yet.
4) Experts were asked if they believe that Mexican DCs will have access to
AI technology weaponry at some point in the next ten years. It was an open
question, and all eleven experts unanimously answered “yes”: at some point
the cartels will possess this technology. They mentioned several reasons for this:
“Yes. AI technology is expanding rapidly and is not exclusive.”
“Yes. The accelerated advance of ICTs allows people belonging to organ-
ized crime to have access to this type of equipment in, for example, the deep
web or other black markets.”
“Yes, due to its ability to finance and import weapons from foreign coun-
tries.”
“Yes, I think that perhaps they already have or will have access to weapons
with AI technology (whether or not they use it in their operations, is another
question). It is very easy to buy weapons, especially for these types of organi-
zations. I think they value technology, and they always try to be one step ahead
of the authorities.”
“Yes, drug cartels are highly adaptable to the innovation process, and this
will be more affordable.”
“Yes, many times they are more advanced, and they have entire strategy
teams to maintain their businesses.”
“If these weapons were developed, it would be possible that they will be in
the hands of illegal groups or non-state armed groups in a short time.”
93
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Unfortunately, among all security institutions you mention, there are stratosphe-
rically different capacities. At the federal level I can trust that, with regard to the
functions it performs, the Navy must be at the forefront in this regard, by virtue
of the training of its members, many of whom studied abroad, mainly in the Uni-
ted States. As far as the National Guard is concerned, I highly doubt it, since it
is an institution in process of transition and consolidation. The Army has certain
sections in which intelligence is generated, so it is likely that they already foreseen
the AI issue.
Both the Navy and the Army have their respective educational cen-
ters (CESNAV and Colegio de la Defensa), whose academic programs are similar
to foreign programs in which they necessarily study these subjects, an issue that
for them constitutes an advantage. It will be necessary to analyze the efforts of the
CNI (National Intelligence Center) in this regard. At the state and municipal level,
efforts are scarce, if not null.
7) When asked if the Mexican government has an agenda for the develop-
ment of AI technology to combat organized crime, 54.5% of the experts said
“no”, 36.4% said they did not know, and only 9.1% answered “yes”.
8) Another question was how necessary they consider that the Mexican gov-
ernment (at the federal, state, and municipal level) designs a strategy to prevent
the possible use in the future of autonomous weapons with AI technology by
DCs. 72.7% of them answered it is “very necessary” or “somewhat necessary”.
9) Significantly, 90.9% of the interviewed experts considered that possible
use of weapons with AI technology by DCs, would represent a risk for govern-
ance and institutions in Mexico.
94
Mauricio Hernandez Ramirez Future use of Lethal Autonomous Weapons
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Futuri 18 guerra e pace nel 2050
The foresight technique used for the creation of scenarios for 2050, is known
as the 2x2 Matrix, whose creation was formalized in the 1990s by the consulting
firm Global Business Network (Rhydderch, 2017). Following this methodology,
drivers of change generated in the previous section were weighted, locating them
in a plane in which two axes were drawn, one horizontal and one vertical, based
on their greater or lesser degree of uncertainty and impact that they are expected
to have in the future if they occur. The results are illustrated in Figure 2:
96
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“Contained Threat”
The Mexican government assumed the task of allocating financial and hu-
man resources for the creation of a comprehensive Artificial Intelligence agen-
da from the year 2023, and since then it has developed a complete program that
included the creation of a special Committee with the mission of designing a
long-term strategic plan, to prevent the use of artificial intelligence weaponry
by DCs and establishing measures to prevent and counter this threat.
Personnel from state and municipal police bodies, the Navy, the Army and
the National Guard, participated in the creation of the strategy, in addition
to organizations such as the National Council for Science and Technology
(CONACYT) and a consortium of public and private universities of the whole
country.
The Strategic Plan for opportunities and threats posed by the use of Artificial
Intelligence in Mexico, 2050 (“The Plan”) was first published in 2025, and since
then a specific governmental program has been allocated with budget resourc-
es each year to carry out the strategic actions contained therein. Thanks to that
program, the Mexican State was not only able to timely anticipate the eventual
acquisition and use of LAWs by DCs, but also established national and interna-
tional cooperation mechanisms with foreign governments and agencies, which
together have contained this threat, at least until now in the middle of 2050.
As part of “The Plan”, the Mexican government acquired the necessary
technology, training and operating capabilities to combat DCs more effectively
and efficiently. As a result of this, since 2026 there has been a drastic decrease
in the levels of violence in the country caused by drug trafficking actions, and
it has been possible to recover of some territories that were de facto controlled
by these criminal groups before that year.
The Mexican government continues the application of “The Plan”, which
registered its third update in 2042. Thanks to this, Mexico stays at the forefront
of Latin America as one of the most advanced nations in terms of the use and
operation of AI, particularly for purposes of security and the fight against or-
ganized crime. Mexico continues to advise several countries on this matter, and
the country is a mandatory worldwide reference on the matter.
The Mexican government and its institutions have not lowered their guard
regarding the monitoring of the activities that DCs may be carrying out to ac-
quire and operate LAWs and other similar devices. The threat remains latent,
but thanks to “The Plan” and the coordination among various security and
military agencies in the country, as well as with international agencies and or-
ganizations, for the moment the threat seems controlled. But at any moment
the situation could change, so they know they can’t let their guard down.
101
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
derived from the use of AI and established a task force with enough budget and
human resources, to take charge of this agenda. The task force was made up of
personnel from municipal and state governments; police, SEDENA, SEMAR
and the National Guard. These agenda and task force were very important to
ensure that the Mexican State had the necessary preparation to anticipate the
threat of the use of LAWs by DCs, and to be able to get ahead of them.
However, and as trends indicated from years ago, DCs gained access to
LAWs and other high-tech weapons practically from that same year 2023. At
first they did not know how to operate them and spent a great amount of re-
sources and time in finding how to achieve it; but first through the kidnapping
and extortion of scientists and experts who taught them how to operate them,
and then through the hiring of foreign expert operators and the development
of their own scientific and technological capabilities that allowed them to have
their own “expertise” since around the year 2024, DCs achieved equality of cir-
cumstances with the forces of the Mexican government in terms of firepower,
strategy, logistics and organization.
The foregoing translated into the beginning of a large-scale war between
the Government forces and the DCs, which continues to this day and seems
to have no end, with both parties making extensive use of LAWs and other
AI devices. This has generated many victims, unfortunately among the civilian
population, as well.
Given the situation of generalized violence in the country that intensified
with the use of LAWs, at least since 2024 a large wave of Mexican citizens
began to move illegally to the United States, Canada, Central and South Amer-
ica and even some European countries like Spain, seeking to escape from the
situation of authentic violence and large-scale war in Mexico. By 2050, it is
estimated that more than 1,000,000 Mexican nationals have fled the country in
the period 2024-2050, due to the long situation of violence.
Governance in the country is under constant questioning and national se-
curity is at high risk, given the outstanding strength of DCs and the fact that it
seems to have infiltrated the institutional bodies of the Mexican government at
all levels. However, having anticipated the acquisition and operation of LAWs
by DCs was an important issue to be able to develop the elements necessary
to avoid a major disaster, and to maintain institutionalism in the country until
now; although literally, “with pins”.
Conclusions
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103
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
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105
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Appendix
Given the specific topic of this research, the identity of experts who answered the
questionnaire is preserved. Only their occupation is mentioned, and in some cases the
organization to which they provide their services. Out of the 11 experts who answered
the questionnaire, 5 considered themselves experts in Artificial Intelligence (1 of them
also said they were experts in Public Security and Secure Software Development); 1 in
Homeland Security; 1 in drug trafficking and organized crime; 2 in Public Security; 1 in
Human Security, Assistance to Victims and Humanitarian Disarmament; and 1 more in
Cybersecurity and Cyberdefense.
- Researcher and Director of a Graduate Program at the Centro de Investigación y Do-
cencia Económicas A.C. (CIDE, a public university and academic research center).
- An expert with a master’s degree in National Security, from a University in Israel.
- Expert in Cybersecurity and Computer Crimes.
- Academic Researcher, member of a Security Studies Center at the Instituto Tecnológi-
co Autónomo de México (ITAM, a private university and academic research center).
- Representative in Mexico of an international victim assistance and humanitarian disar-
mament organization.
- Expert in Artificial Intelligence (AI) and Assistant Professor at a University in the
United States of America.
- Expert in AI, Public Safety and Secure Software Development. Employee of a private
software development company.
- Expert in Artificial Intelligence, Director of a bachelor’s degree Program at a private
University in Mexico.
- Expert in Artificial Intelligence. Member of the Mexican Society of Artificial Intelli-
gence (SMIA). Professor and Academic Researcher at a private university in Mexico.
- Expert in Public Security issues, professor at a Mexican Public University.
- Expert in Artificial Intelligence, collaborator in a private advisory company of Tech-
nology in Latin America.
106
Tre scenari di guerra e pace per la metà del secolo
di Donato Speroni
James Lovelock è morto il 26 luglio del 2022, nel giorno in cui compiva 103
anni. Lo scienziato è noto soprattutto per la sua teoria su Gaia, nella quale vede
la Terra come un superorganismo che deve tutelare un proprio equilibrio. A 99
anni, però, Lovelock ha scritto un altro libro, nel quale annuncia l’avvento di
una nuova era geologica, il Novacene, che sostituirà l’Antropocene, cioè l’età
nella quale l’uomo, nel bene e nel male, è diventato l’assoluto regolatore del
Pianeta (Lovelock, 2020).
Caratteristica del Novacene è il dominio delle macchine, che risolvono
problemi insolubili per l’Uomo e semmai manterranno in vita l’Homo sapiens
come pet, animale da compagnia. Non è molto diversa la diagnosi della Singo-
larità di Raymond Kurzweil, capo tecnologo di Google e futurista, il quale da
tempo ha annunciato che entro il 2045 saranno le macchine a operare le scelte
che l’uomo non è più in grado di fare (Kurzweil, 2008). A seguito dell’avvento
dei computer quantistici, molti esperti prevedono che “l’età della singolarità”
potrebbe essere anche più vicina.
Gli interrogativi che ne conseguono riguardano la natura stessa della perso-
na umana: in quale misura rimarrà come noi la conosciamo e se invece accetterà
una progressiva trasformazione in cyborg, attraverso innesti uomo-macchina
che potenziano le sue capacità ma ne cambiano il carattere. Chip nel cervello
con possibilità di attingere a internet e memorizzare rapidamente, forme di
comunicazione telepatica, droghe per ridurre la necessità di sonno potrebbero
configurare, come già prevedeva Joel Garreau (2007), un conflitto tra i “po-
tenziati” che accettano queste modifiche e i “naturali” che non possono o non
voglio accedervi.
I più recenti studi sulla intelligenza artificiale (AI) confermano queste pre-
visioni. I percorsi mentali dell’intelligenza artificiale sono diversi da quelli uma-
ni, talvolta inspiegabili. Come si racconta in un recente libro alla cui stesura
ha partecipato anche Henry A. Kissinger, nel 2017 il computer AlphaZero,
prodotto da Google DeepMind, ha battuto Stockfish, campione assoluto fino
a quel momento nel gioco degli scacchi. La novità è che AlphaZero si è distac-
cato dagli input basati sull’esperienza umana e ha attuato strategie di gioco
totalmente nuove. Prima i computer vincevano gli umani solo per la loro mag-
giore capacità di prevedere in anticipo le possibili mosse, ma in sostanza ne
imitavano le strategie. AlphaZero gioca in modo diverso, magari sacrificando
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
1
https://ucdp.uu.se/
108
Donato Speroni Tre scenari di guerra e pace
La popolazione mondiale
109
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Nel 2022 l’Earth overshoot day è stato fissato al 28 luglio. Il calcolo ci dice
che dopo 209 giorni, l’umanità ha consumato tutte le risorse prodotte nell’anno
dal Pianeta. Stiamo cioè consumando 1,7 pianeti all’anno, ma in realtà i limiti
nazionali sono molto variabili: l’Earth overshoot day degli Stati Uniti è il 13
marzo, quello dell’Italia il 15 maggio, solo Ecuador, Indonesia e Giamaica ar-
rivano a dicembre.
2
https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/
110
Donato Speroni Tre scenari di guerra e pace
Catastrofe o degrado?
111
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
Un percorso sostenibile
112
Donato Speroni Tre scenari di guerra e pace
113
Futuri 18 guerra e pace nel 2050
114
Donato Speroni Tre scenari di guerra e pace
combinarsi nel corso dei prossimi decenni. Sarebbero comunque una risposta
al degrado o agli scenari peggiori, ma in realtà solo il primo, e cioè una presa di
coscienza dei cambiamenti necessari da parte dell’opinione pubblica mondiale,
per quanto difficile è l’unico pienamente auspicabile.
Se questi sbocchi non si verificheranno, il futuro sarà segnato da guerre e
violenze. Con molte incognite, come abbiamo cercato di spiegare: chi deciderà
i conflitti, con quali criteri verranno gestiti e anche chi li combatterà.
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115
Into the Global Monetary System: Past Developments and Future Scenarios
by Oleksandr Sharov
Abstract
Money as an “idea”, as a category of Political Economy, has played a huge role in the
historical processes of Globalization. It was Monetary Globalization, namely the spread
of the cash nexus from the Kingdom of Lydia throughout the Middle East, the Mediterra-
nean, India and China, Europe, Africa and, finally, the Americas, that created a single Net-
work of Economic Relations comparable to the spread of language and writing, actually
making inter-human communication possible. On the other hand, Globalization itself has
also affected the Nature of Money and its functions, ultimately putting on the agenda the
emergence of Global Money. Generally speaking, Future Global Money as an element of
the World Economic Order is directly dependent on where and how the process of Glo-
balization will return in the coming years after a period – the current one – often portrayed
as “de-globalization”. And from how – peacefully or through military means – such a turn
will be made. Thus, the issue of the future of the Global Monetary System is divided into
two components: 1) what will be global money by its essence (actually, Global Money) and
2) in what specific form it will operate (Global Currency). In this article, after analysing
those scholarlarly accounts that foster a return to form of “gold standars”, we will focus on
(i) the latest developments of money exhancges, and (ii) the issue of Global Money. Past
and present developments are fundamental stesps in order to understand possible future
scenario of the Monetary System.
The first attempt to return to the gold standard took place almost immedi-
ately after the end of the First World War of 1914-18 in the form of General
Agreements of the Genoa Conference of 1922. The second attempt was made,
respectively, after the Second World War – this time, its ideologues intended
to restore the limited form of the gold standard (in the form of the so-called
“gold-dollar” standard): that is, only for one currency (“dollar as good as gold”)
and only for the official monetary authorities). This very principle was the basis
of the Bretton Woods monetary system.
A well-known American economist, Charles Kindleberger (1910-2003;
professor at the Massachusetts Institute of Technology with extensive prac-
Futuri 18 scenari
tical experience in the BIS, the Fed and the State Department), compared
the need to use common money with the need to choose a common language
for communication between people of different nationalities. Of course, one
can use the services of a translator (intermediary), but in international scale,
translation (conversion) will be too burdensome (Kindleberger, 1967). In this
context, Kindleberger compared the French position of returning to the gold
standard to an attempt to return to the general use of Latin – which, of course,
is pleasing to those who love Ancient Rome and the Middle Ages but will mean
swimming against the tide of history.
So, no one had agreed on anything. For instance, just on August 15, 1971,
the US President Richard Nixon had announced on TV his decision to stop
exchanging dollars for gold altogether, even for central banks. The “golden
window” slammed shut. And, the gold-dollar standard was actually over. Yet
it should be noted that not everyone agreed with it at once, even in the United
States itself. Ronald Reagan, for example, while still a presidential candidate
included a clause on a return to the gold standard in his election program. In
fact, after the victory Regan created a special Commission on Gold which care-
fully studied this issue and issued a verdict: a return to the gold standard (in
any form) is not both possible and necessary.
The problem seems to have been finally solved. As a result, for two decades,
talking about the remonetization of gold was almost an issue of “bad manners”.
No wonder Anil K. Kashyap, a professor at the University of Chicago, cited
the gold standard as an ‘insane idea’: “I don’t know any reputable economist
who thinks it’s a wise idea, but it has great political appeal” (Freeland, The
New York Times, 2013). However, projects to return to gold money continue
to appear from time to time and are not always due to economic reasons. In
the New Millennium, the first scientifically sound idea of the gold currency was
expressed at the International Conference on Stable and Just Global Monetary
System (proceedings of the International Conference on Stable and Just Glob-
al Monetary System, 2002), where it was presented in several reports. Among
these, in particular: Gold Dinar, paper currency and monetary stability: an Islam-
ic view, by Mahmood M. Sanusi; The Architecture of the Gold Dinar economy:
an academic perspective, by Umar Ibrahim Vadillo; and Euro and Gold Dinar:
a comparative study of currency unions, by Muhammad Anwar. In this frame-
work, the Malaysian Prime Minister Mahathir Mohammad (known for his crit-
icism of the current global financial system) liked the idea, and soon (in 2006)
gold dinars were put into circulation in Kelantan Province. And yet, the term
“put into circulation” does not accurately reflect the functions performed by
gold coins: they were kept in a bank (in a bank account or simply in storage),
used to pay for “zakat” (i.e., form of religious almsgiving), or (by agreement
of both parties) to pay for real estate. That is, in principle, as gold coins and
ingots are used in other countries as a means of investment. If we do not pay
attention to the special religious function, the “Gold Dinars” are no different
118
Oleksandr Sharov Into the Global Monetary System
119
Futuri 18 scenari
It is a pity only when politicians whose decisions the future of many people
depends on spend time on adapting a “paraffin lamp” instead of adjusting elec-
tricity.
120
Oleksandr Sharov Into the Global Monetary System
the existence of derivatives provides some opportunities which tend to reduce the
demand for cash balances. At the same time, the growing use of these instruments
121
Futuri 18 scenari
may increase money demand, making it difficult to assess the net impact. However,
neither theoretical reasoning nor available empirical evidence strongly support the
view that any single combination of the impacts analysed above should lead to a
significant change in the demand for narrowly defined money (Bank for Interna-
tional Settlements, 1994).
At about the same time, a group of American scholars also studied the ef-
fects of derivatives on the regulatory function of central banks and concluded
that “derivatives have no negative impact on central-bank control over mone-
tary aggregates. Nonetheless, to the extent that derivatives act to complete mar-
kets and provide information through more explicit prices, they may make it
more difficult for a central bank to surprise the public” (Hentschel and Smith,
1996).
They assumed that if commercial banks regularly used derivative markets
to hedge their risks on interest rates, foreign exchange rates and commodity
prices, then the desired level of excess reserves in the banking system would
be lower than it could be without the derivatives market. Thus, with the in-
crease in the use of derivatives, voluntary excess reserves will decrease, and in
turn will provide banks with more opportunity for credit issuance – i.e. will
increase the Money Multiplier. But the purpose of central banks, under such
conditions, is to ensure that commercial banks’ access to derivative transac-
tions reduces the volatility of the Monetary Multiplier (since the Central Bank’s
ability to conduct its own Monetary Policy is limited mainly by the volatility of
the multiplier, not its level). Such a reduction would increase effective control
over the money supply by the central bank. In other words, the experts’ con-
clusions were evasive, but generally reassuring (as we also see in the case of
cryptocurrencies), which was reflected in the IMF statistics, which suggested
including financial derivatives in the broader definition of money (M3), but did
not recommend doing so, believing that “their high degree of price variability
precludes the inclusion of most types of financial derivatives in broad money”
(IMF, 2000). However, later on the International Monetary Fund seems to have
made up its mind and is already clearly insisting that “financial derivatives…
are excluded from broad money” (IMF, 2016). However, according to O. Bierg,
money is never just money because it is characterized by a certain ontological
uncertainty, and any monetary system is characterized by the interaction and
transformation of various forms of money. So, in modern conditions, financial
markets act as repositories for the circulation of Post-Credit Money issued by
certain international banks (Bjerg, 2014).
Finally, it should be noted that cryptoassets are also increasingly being
treated as a kind of virtual securities and from this point of view, the option of
securitized money takes on a new form.
122
Oleksandr Sharov Into the Global Monetary System
By the time we are writing, the World Monetary System continues to change
with unprecedented pace. As Benjamin S. Cohen noted, there are fewer and
fewer monetary imaginary landscapes accurately represented by the outdated
myth of One Nation/One Money. Today, monetary geography is better under-
stood in functionality than in material terms – that is, in currency spaces based
on flows (flow-based) rather than tied to a specific place (Cohen, 1998). This
suggests that the Monetary system of Post-Modern Globalization may be based
on a completely different principle than Monetary Sovereignty. That is, it may
not only not grow into “Super-Sovereignty”, but be based on the Network prin-
ciple in general, when the concept of Sovereign State completely disappears
and is replaced by Self-sovereign identity (SSI) – i.e. digital identifiers that are
managed in a decentralized way. This technology allows users to independently
manage their digital IDs, regardless of third-party vendors for storage and cen-
tralized data management. It opens up completely new opportunities for the
transfer of Property Rights in the broadest sense. In other words, these are new
opportunities for members of the Network Structure to create and transfer Money
without any intermediaries.
It turns out that a New Society of the Blockchain Technology is a Society
without information asymmetry and confidence. Thus, the Developers of Bit-
coin believed that the presence of an intermediary in the e-commerce system is
not only economically inefficient due to significant transaction costs, but also
unnecessary, because the problem of fraud is still not solved. Therefore, it was
concluded that an Electronic Payment system is needed, used to be based not
on trust in the Issuer of Money and the Monetary Regulator, but on clear cryp-
tographic proof of the authenticity of transactions. Blockchain experts argue
that large amounts of Data are very difficult to structure on their own and, even
more so, to operate on, but there are companies that know how to do it and
thus, monopolize Information; there are also Governments that collect and
consolidate Information about different actors, undermining all the founda-
tions of Confidentiality and Monopolies. We can say that the use of cryptocur-
rencies has been an attempt to circumvent the current and fundamental shortcom-
ings of State institutions and Financial Markets (Monopoly), which looks like an
Open Opposition to these Institutions.
One of the motives for the introduction of such a Means of Payment as Bit-
coin is direct, anonymous trade, in which the Parties have every opportunity to
directly settle via the Internet all the basic components of the agreement in the
shortest possible time. Thus, theoretically, Bitcoin settlements will have max-
imum Liquidity. However, a high-ranking Bundesbank official (K.-D. Thiele)
argues that “virtual currencies, meanwhile, which are transferred much like
goods, are a fabrication. That is not to consign them straight to the category
of ‘fraud’. Yet they have no intrinsic value, just an exchange value. You can’t
123
Futuri 18 scenari
consume or use them, only exchange them” (Thiele, 2017). But the actual Con-
sumer Value of Money (which determines their Value) is their Suitability for
Exchange (the ability to be a Monopoly Commodity Equivalent). That is, their
Exchange Value is their Consumer Value, which is a hidden “Golden veil” in the
functioning of Commodity Money but is clearly visible in the system of Credit
Money. Thus, the lack of Intrinsic Value can hardly be considered a serious argu-
ment against converting virtual Digital Money into Real and even Global Money.
Another thing is that their existing modern forms have real shortcomings that
hinder this process. These shortcomings have been repeatedly pointed out by
experts: the principle of its Issue (its creation), which is not related to the real
needs of the Economy; speculative Exchange Rate volatility; uncertainty of the
Issuer, and hence lack of responsibility for the issued funds; dependence on the
availability of electronic information network (in particular, the Internet), etc.
Paradoxically, the new form of Money does not seem to be based on trust
in the Issuer (as Credit or Fiat Money do), but on distrust of traditional Issuers
such as Governments and Central banks. In other words, it is based on “Neg-
ative Trust”, a kind of illogical, unfounded belief that because, according to
“crypto-optimists”, the official Monetary Authority has lost all trust, any alter-
native to official Money is better and more reliable.
The main problem with the Future of Money is that Money itself is becom-
ing technology. This is the technology of payments, as well as a Store of Val-
ue. Money provides a less reliable payment system than new technologies. But
Digital Currencies also have many disadvantages due to the way the Financial
System is regulated. However, these problems do not arise due to the imper-
fection of technology, but due to the System of Regulation and restrictions on
Monetary Technology. It is as if we have reached the “end of history” as soon
as we talk about developing ways to create Money and put it into Circulation.
Because few Governments tend to imagine Monetary Systems different from
the current ones, Monetary Issues are quickly reduced to pragmatic realism,
in which the existing order is given the right to determine the conditions of its
own support, and politicians are willing to reduce themselves to simple admin-
istrators working for assistance to the system under these conditions (Bjerg,
2014). A Special Report by the European Chapter of the Club of Rome (a
non-governmental organization affiliated with the well-known Club of Rome),
points to the existence of certain problems that fall out of the Mainstream
economy (a kind of collective blind spot), which include: i) the hegemony of the
idea of a single central currency; ii) a monopoly on the national currency cre-
ated by banks’ debt – i.e. Credit Money, and iii) the existence of central banks
as Performer of the Monetary Monopoly. These three “blind spots” explain
why there is such a strong and lasting resistance to revising the paradigm of a
single, monopolistically created currency (Lietaer, Arnsperger and Goerner,
2012). However, over time, the above-mentioned shortcomings can be elimi-
nated in new modifications of the Digital Currency, and Network Actors will
124
Oleksandr Sharov Into the Global Monetary System
significantly displace the Traditional Actors of the Global Economy – that is,
the State and even Multinational Corporations and Banks. And then the time
will come for Global Digital Money.
Concluding, the probability of these Options – in our opinion – will be de-
termined by the course of Economic Globalization: a significant setback (due
to, for example, Natural or Social Catastrophe on a Global Scale), in principle,
may lead to the need to return to Commodity Money (gold). But if we remain
optimistic about the possibility of Apocalyptic Developments, we must recog-
nize the inevitability of Credit Money (considering their qualitative develop-
ment). Instead, we intend to emphasize the relativity of such “No Alternative”
situation, given the Medium-Term (within one to three decades) nature of such
a Monetary status quo. Outside this period (and with the slowdown in Globali-
zation) there will be irreversible processes of Digitalization of the Monetary
Area, which will change the Essence of Money, leading to a new form of Mon-
ey: Information Money.
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126
La crisi dell’immaginazione storica.
Trasformazioni climatiche, memorie sovversive e futuri alternativi
di Andrea Apollonio
Abstract
“L’intera storia umana, nella misura in cui è la manifestazione del pensiero, è stata
forse soltanto l’effetto di una specie di crisi, di una spinta aberrante, paragonabile a
una di quelle brusche variazioni che si possono osservare in natura e che scompaiono
altrettanto stranamente di come sono nate? Vi sono state specie instabili, e certe
mostruosità quanto a dimensione, potenza, complicazione, le quali non sono durate.
Chi può dire se tutta la nostra cultura non è in realtà un’ipertrofia, una deviazione,
un insostenibile sviluppo, che un centinaio o due di secoli sono riusciti a produrre ed
esaurire?” Questa è senza dubbio una teoria piuttosto esagerata, che esprimo qui uni-
camente per farvi provare, in maniera forse un po’ grossolana, tutta la preoccupazione
che possiamo avere riguardo al destino dell’intelletto. Ma è troppo facile cercare di
giustificare i propri timori.
(Valéry, 1994)
La grande accelerazione
Vorrei subito esprimere l’idea attorno alla quale ruotano questo articolo e
le riflessioni degli autori che interpello: le trasformazioni climatiche accelerate
imprimono pressioni importanti sul nostro modo di fare esperienza dei tempi
storici e di agire in essi.
Prima di sviluppare questa idea, vanno fatte alcune premesse relative al
rapporto tra cambiamenti climatici e l’idea di crisi. Tali trasformazioni, infatti,
sono incubatrici di crisi molteplici: crisi planetaria in senso lato, se si conside-
ra che le previsioni più negative riconoscono in questi processi un’alterazione
delle condizioni base per la sussistenza della vita sulla terra; crisi dell’ideologia
Futuri 18 scenari
128
Andrea Apollonio La crisi dell’immaginazione storica
approfonditamente dal sociologo e filosofo Hartmut Rosa come regime del tempo proprio della mo-
dernità e della tarda modernità. Più precisamente, l’autore sostiene che essa sia la qualità precipua,
pervasiva e “totalitaria” dei ritmi sociali nella modernità occidentale. Tale qualità si traduce in una
profonda riconfigurazione delle convenzioni sociali legate al tempo e produce forme di alienazione
temporali, spaziali, ma anche relative alla percezione di sé e degli altri; essa corrompe le vite indivi-
duali allontanandole da un ideale di “vita buona” (cfr. Rosa, 2015).
3
Sono diversi i passaggi degli essais quasi politiques, anche precedenti alla conferenza del 1935,
nei quali il poeta allude a questa capacità immaginifica e progettuale distintiva degli esseri umani:
«L’uomo è quell’animale separato, quello strano essere vivente che si è opposto a tutti gli altri, che si
innalza al di sopra di tutti gli altri grazie ai suoi…sogni, grazie all’intensità, alla concatenazione, alla
diversità dei suoi sogni! Grazie ai loro straordinari effetti che modificano addirittura la sua natura e
non solo la sua natura, ma anche la natura stessa che lo circonda e che egli cerca instancabilmente di
sottomettere ai suoi sogni.» (Valéry 1994, p. 41)
129
Futuri 18 scenari
(…) possiamo constatare in tutti i campi un disordine di cui non è possibile im-
maginare la fine. (…) Questo stato che chiamavo “caotico”, è l’effetto combinato
delle opere e del lavoro accumulato dagli uomini. Esso dà l’avvio sicuramente ad
un certo futuro, ma ad un futuro per noi impossibile da immaginare; ed è questa,
fra le altre novità, una delle novità più grandi. Partendo da ciò che sappiamo, non
possiamo più dedurre una qualsiasi immagine del futuro alla quale possiamo con-
ferire la minima credibilità. (Valéry 1994, pp. 103-104)
130
Andrea Apollonio La crisi dell’immaginazione storica
Non guardiamo più il passato come un figlio guarda il proprio padre, dal quale
può imparare qualcosa, ma lo guardiamo come un uomo adulto guarda un bambi-
no… (Valéry 1994, p. 104)
La nostra particolare novità consiste nel carattere inedito dei problemi stessi e
non nella loro soluzione; negli enunciati e non nelle risposte. Da questo deriva la
sensazione generale di impotenza e di incoerenza che domina nelle nostre menti,
che le doma, e le mette in uno stato di ansia al quale non possiamo abituarci e del
quale non possiamo prevedere la fine. Da un lato, abbiamo il passato che non è né
abolito né dimenticato, un passato dal quale non possiamo trarre quasi nulla che ci
orienti nel presente e ci permetta di immaginare il futuro. Dall’altro lato, abbiamo
un futuro privo di qualsiasi figura. (Valéry 1994, p. 108)
L’immagine che Valéry propone per descrivere la sua esperienza dei tempi
storici – sua e dei suoi contemporanei – è straordinariamente efficace. Questa
immagine mi sembra racconti molto anche del nostro rapporto (di noi occi-
dentali contemporanei) con le transizioni epocali che osserviamo. Il passato
non offre alcuna risorsa per interpretare un fenomeno sostanzialmente inedito
(l’alterazione quasi irrimediabile delle condizioni base per la sussistenza della
vita sulla Terra) e il futuro, di fronte a questa catastrofe definitiva, pare inim-
maginabile, privo di qualsiasi figura.
La grande accelerazione indotta da queste trasformazioni imprime riverberi
sul nostro regime di storicità. Si tratta di un concetto formulato da François
Hartog che designa il tipo di legame che una società intrattiene con il passato,
il presente e il futuro; in senso lato, la modalità di coscienza di sé di una comu-
nità umana in rapporto ai tempi storici (Hartog, 2007). Nei termini di Reinhart
Koselleck, invece, potremmo definire il regime di storicità come la specifica
configurazione sociale del rapporto tra esperienze passate e orizzonte delle at-
tese (Koselleck, 2007). Pur trattandosi di un concetto da usare con cautela,
considerato il livello di generalizzazione, e pur ammettendo la compresenza e
la sovrapposizione sincronica di più regimi, esso rimane uno strumento concet-
131
Futuri 18 scenari
4
Tale dinamica, secondo l’autore, caratterizza il XX secolo e obbliga i soggetti e le collettività
a vivere una condizione di un presente che subito si fa storia, di contemplazione malinconica del
passato e di attesa ansiosa del futuro (Di Pasquale, 2018)
132
Andrea Apollonio La crisi dell’immaginazione storica
È forse il passaggio critico i cui prodromi sono colti da Paul Valéry quando
scrive i suoi primi essais quasi politiques, in particolare “La crise de l’esprit”,
due lettere pubblicate nel 1919:
L’Europa diventerà forse quello che è in realtà, e cioè un piccolo capo del conti-
nente asiatico? Oppure l’Europa rimarrà quello che appare, e cioè la parte prezio-
sa dell’universo terrestre, la perla della sfera, il cervello di un vasto corpo? (Valéry
1994, p. 35, seconda lettera).
133
Futuri 18 scenari
5
La nozione di “immagine del mondo” (Weltbild) è parte del lessico weberiano ed è definita
da Dimitri D’Andrea come segue: «The notion of world image indicates the tendentially coherent
assemblage of beliefs relating to the world as a totality of experience that performs the fundamental
function of practical orientation. [...] The world image is an internally articulated construction in
which local images (of nature, humanity, society and history) coexist in a tendentially but not neces-
sarily coherent way. What is more, the trajectory of modernity can be read in the light of the dissonant
coexistence between different components in the image of the world» (D’Andrea, 2021).
134
Andrea Apollonio La crisi dell’immaginazione storica
Se non è più possibile recuperare l’esperienza del tempo degli antichi, della
storia come magistra vitae, perché guardiamo il passato come un adulto guarda
un bambino; se non è più possibile adottare il futurismo moderno e la fede cieca
(e ottusa) nel progresso; ma se il presentismo sterile che domina le nostre menti
ci impedisce di immaginare futuri possibili; forse la strada da seguire sta nel
giocare creativamente con le dimensioni di passato, presente e futuro, cercan-
do di recuperare una disposizione che, se proprio deve essere così orientata al
presente per essere accessibile a noi contemporanei, che sia almeno generativa.
È importante chiedersi quale idea di futuro fallisca di fronte a questa crisi epo-
cale. Ma una seconda domanda, altrettanto urgente, apre spazi di riflessione im-
mensi e costruttivi: l’erosione dell’egemonia culturale di una certa immagine del
mondo – quindi di un paradigma antropologico, sociale, politico ed economico
– può aprire la strada al riscatto di cosmologie e futuri alternativi? Questa stessa
domanda ci costringe a adottare una disposizione diversa rispetto all’esperienza
che viviamo. In questa prospettiva, non tutto va ricostruito. Un enorme serbatoio
di possibilità, ad esempio, giace nelle aspirazioni incompiute e nelle memorie di fu-
turi alternativi immaginati in passato e attende di essere riscoperto, anche in modo
critico (Jedlowski, 2017). Il ricordo, in questo senso, può svolgere una funzione
contrappresentistica, ovvero può evidenziare le criticità del presente e motivare
l’agire sovversivo (Assmann, 1997). In altre parole, ricordare può essere un modo
di dissociarsi dai fatti come sono (Marcuse, in Assmann, 1997). Queste riflessioni ci
aiutano a comprendere il corso storico come un intreccio di potenzialità, a eman-
ciparci da visioni eccessivamente rigide e teleologiche. In questo senso va intesa la
riflessione di Aleida Assmann sul rapporto tra storia e memoria collettiva: la prima,
a differenza della seconda, è una riserva latente di possibilità che tende ad accoglie-
re anche il diverso, il sorpassato, le aspirazioni incompiute, quegli elementi che non
intrattengono un rapporto vitale con il presente. Ma la seconda deve intrattenere
un rapporto attivo con la prima; deve poter attingere alla storia come serbatoio
generativo di possibilità, di cammini alternativi (Assmann, 2002).
Se la modernità ha accentuato il dislivello tra esperienza e aspettativa, reci-
dendo il legame tra la seconda e la prima attraverso l’idea di progresso, oggi, di
fronte alla crisi dell’egemonia di questa “immagine del mondo” e al pervasivo
presentismo sterile che ne consegue bisogna sforzarsi di leggere il passato come
un “non ancora” e non come un “non più” (Jedlowski, 2017), nonché di rico-
noscere e recuperare la dimensione salvifica delle “crisi”, delle “catastrofi”, delle
“apocalissi”. Questa accelerazione è un fatto inequivocabile, ma la sua tragicità
135
Futuri 18 scenari
cataclismica lo è solo in parte e gli esiti possono essere molteplici a seconda delle
risposte sociali, politiche, culturali. Il mutamento, anche così radicale, totale e
perturbante come quello innescato dalla crisi climatica e ambientale, contiene
potenzialità generative e può concorrere a riabilitare cosmologie e ontologie “al-
tre”, alternative al “naturalismo moderno”, storicamente contingente e limitato
(Descola, 2021), modi di vita alternativi (De Castro, 2019; Van Aken, 2020); so-
prattutto, altre temporalità. È in questo senso che può essere interpretato il mo-
nito latouriano: «Gaia è una potenza di storicizzazione. (…) è il solo mezzo per
far tremare nuovamente di incertezza i moderni (…) esigendo quindi che inizino
finalmente a tenere in seria considerazione il presente» (Latour, 2020).
In sintesi: un’altra disposizione, maggiormente generativa, può aiutarci a uscire
dall’impasse di pensiero nella quale siamo condannati a sostare fino alla “fine del
mondo”. Una disposizione che intenda il corso storico come fascio di possibilità
e di diramazioni possibili; che consideri il passato non come un “non più”, ma un
“non ancora”, terra di progetti incompiuti, indecisioni da riattualizzare; e il futuro
come terra da esplorare (Jedlowski, 2017). Ritengo che sia un dovere intellettuale,
oggi, quello di mettere in discussione la “semantica dei tempi storici” che mi pare
attanagliare gran parte dei discorsi e delle prese di posizione sulle trasformazioni
climatiche accelerate in un orizzonte chiuso, nel quale le vie percorribili paiono
fondamentalmente due: l’accettazione della condanna cataclismica e il diniego
dell’accelerazione. Nel primo caso, un futuro senza di noi, indesiderabile e inaccet-
tabile; nel secondo, un futuro nostro ma illusorio; un futuro impossibile.
Il lettore si starà chiedendo, a questo punto, a quale pubblico siano rivolte
queste ingiunzioni tanto perentorie quanto piuttosto generiche. Non mi illudo
che questa impostazione possa risolvere la gravità della crisi ambientale in atto
e aiutare a moderare e mitigare direttamente le tendenze disastrose che si ma-
nifestano; né che si possano sostituire regimi di storicità e semantiche collettive
senza incappare in resistenze e ostacoli. Tuttavia, credo che sia proprio questo
l’obiettivo culturale del lavoro intellettuale; esso può concorrere a revitalizzare
il nostro presentismo sterile. Come narriamo questi cambiamenti? Quali mes-
saggi lanciamo nella sfera pubblica? Quali narrazioni scientifiche, artistiche e
culturali circolano nella sfera pubblica rispetto a queste trasformazioni? Come
raccontiamo e diamo senso a questa esperienza perturbante? Forse, un simile
sforzo autocritico può aiutarci a risolvere la “crisi dell’immaginazione storica”,
ovvero la crisi della capacità dei singoli e delle comunità politiche di collocarsi
nel corso storico e concepire futuri altri, di immaginarsi diversi e di realizzarsi
collettivamente attraverso l’assunzione di responsabilità e di nuove prassi di
vita. Per parafrasare la proposta concettuale di Appadurai, si tratta di raffor-
zare la “capacità di aspirare”, che è una capacità culturale, in questo caso non
degli indigenti economici, ma di interi gruppi sociali “poveri” di risorse sim-
boliche e sfondi di significato che possano offrire interpretazioni generative ai
fatti che viviamo. Se si considera valida la riflessione di Appadurai; se le aspira-
zioni fanno parte di idee etiche e metafisiche più ampie che derivano da norme
136
Andrea Apollonio La crisi dell’immaginazione storica
culturali più vaste; allora è su questo sfondo che gli sforzi delle energie culturali
della società vanno indirizzati; al fine di sostenere quello che Viveiros de Ca-
stro e Deborah Danowski definiscono il «gigantesco lavoro dell’immaginazione
contemporanea per produrre un pensiero e una mitologia adeguata al nostro
tempo» (de Castro e Danowski, 2017). Il dubbio che dovrà turbare le menti e
motivare le energie intellettuali, culturali e artistiche della società, quindi, è il
seguente: sapremo immaginarci diversi? Sapremo costituire un nuovo popolo?
Questo articolo è stato presentato il 10 settembre 2022 al Convegno della fondazione Era-
nos 2022: Earth Symbols: The Inhospitable Planet and the Thought of a New Habitability
(Ascona, Svizzera)
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137
Futuri 18 scenari
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138
Grande accelerazione e scomparsa del futuro.
Tempo, comunicazioni, progresso e velocità tra la fine dell’Ottocento
e i primi decenni del Novecento
Abstract
In one of his works, Marc Augé asked What happened to the future? (2009). It seems
to have disappeared from the horizon. But, to better understand future, it may be useful
to reflect on how it was imagined and represented in the past. Between the end of the 19th
and the beginning of the 20th century, the development of railroads and media quickly
transformed the world. Here we recall the links between transportation, media and the
idea of progress, as key elements to frame the concept of future.
Introduzione
In una sua opera di qualche anno fa, Marc Augé si chiedeva, significativa-
mente: Che fine ha fatto il futuro? (2009). Questo, nell’epoca odierna, sembra
quasi essere scomparso dall’orizzonte. Sono le tinte fosche, quelle della pande-
mia, della crisi climatica, della guerra, a dominare questi anni, con il contral-
tare di uno sviluppo tecnologico sempre più dirompente ma, a tratti, incom-
prensibile: la modernità è tramontata e il sentimento prevalente sembra essere la
nostalgia del passato, la «Retrotopia», individuata da Zygmunt Bauman (2017),
che ristagna in un eterno e ipertrofico presente (Bauman, 2002; Hartog, 2007).
A una sempre crescente potenza degli strumenti tecnici a disposizione dell’u-
manità corrisponde, paradossalmente, una sempre minor percezione di poter
influire sul proprio comune destino (Augé, 2009). A ciò si aggiunga l’emergere
di una narrazione, in fondo senza tempo e sempre viva in ogni tempo, di tempo
in tempo, interna a tutte le dialettiche generazionali (per cui vecchio è da buttar
via e giovane è bello) entrata a far parte a cavallo del nuovo secolo (che è anche
nuovo millennio), nel linguaggio prevalente: anche complice, probabilmente, la
riduzione dello spazio-tempo indotto dall’affermarsi massivo nelle nostre vite
delle tecnologie informatiche. Narrazione non di minoranza che in tempi recenti
è assurta anche a narrazione politica (di maggioranza), mediata da una recen-
tissima (in termini di storia economica e industriale) metafora metalmeccanica.
Eppure, in fondo, come è stato recentemente affermato: non c’è «nulla di più
vecchio di una gioventù emergente, ma è anche vero il contrario» (Sicca, 2022).
Non può non destare interesse, per le (cono)scienze sociali, questa trasfor-
Futuri 18 scenari
mazione, che si rivela come uno dei più macroscopici cambiamenti in termini
di percezione e senso della prospettiva (Sicca, 2019) che si sia verificato, perlo-
meno a partire da quella fase storica contraddistinta dai processi di moderniz-
zazione industriale
Ma, prima ancora di darsi le risposte giuste, è necessario affinare le proprie
domande: e per questo può essere utile guardarsi alle spalle. Per capire meglio
chi sia la vittima di questa sparizione, cosa sia (stato?) il futuro, può essere utile
provare a capire come questo veniva immaginato, rappresentato e desidera-
to nel passato. Questo nostro sguardo, per il quale indosseremo gli occhiali
dell’approccio fenomenologico-costruttivista (Berger e Luckmann, 1969; Czar-
niawska, 2020), si rivolgerà verso la fase storica che inizia negli ultimi anni del
XIX e prosegue per la prima parte del XX secolo: anni in cui si è passati da una
fase crescente di sviluppo – con l’apice nella Belle époque – alla drammatica in-
dustrializzazione della distruzione a cavallo tra le due guerre, con una fase pre-
paratoria prima della Grande guerra e una successiva che precede la Seconda
guerra mondiale, fino alla drammatica esperienza della corsa alle armi nucleari
che pensavamo interrotta e che di fatto gli eventi di questi primi decenni del
nuovo millennio restituiscono come irrisolta, dentro e fuori l’Europa, in tutta
la loro durezza e materialità.
Un contesto, dunque, quello di oggi e di domani, che ha un momento cru-
ciale nel recente passato del primo ventennio del Novecento nel quale «tempo
e mezzi di comunicazione diventano elementi fondamentali per la comprensio-
ne» (Sicca, 2019). È su di essi che ci concentreremo in questo lavoro, cercando,
con una inevitabilmente sintetica carrellata, di far emergere alcuni elementi
che, rispetto al futuro, siano maggiormente indicativi. Non è nostra intenzione,
in questa sede, procedere a una disamina accurata di tutti i diversi modi di
concepire, immaginare o raccontare il futuro che si sono sviluppati anche solo
nel Novecento: sarebbe impossibile. Ciò che ci proponiamo di fare è invece di
individuare alcuni elementi cardine: nello specifico, andremo a tratteggiare,
partendo dal processo di sincronizzazione del tempo, come lo sviluppo dei
trasporti, assieme a quello del cinema, la velocità e l’idea di progresso abbiano
catalizzato, tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, la percezione che
si aveva del futuro nella società occidentale.
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Lorenzo Fattori e Luigi Maria Sicca Grande accelerazione e scomparsa del futuro
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Futuri 18 scenari
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Lorenzo Fattori e Luigi Maria Sicca Grande accelerazione e scomparsa del futuro
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Futuri 18 scenari
l’ottobre del 1940, e il cui motto fu «Building the World of Tomorrow». Tra i
protagonisti di questa mostra vi fu, nuovamente, un treno: si trattava del primo
veicolo ad alta velocità a trazione elettrica, l’elettrotreno italiano tipo «200» che
(anche per la volontà propagandistica del regime al potere in quegli anni) aveva
conseguito svariati record, tra cui quello mondiale di velocità del 1939 ottenuto
raggiungendo i 203 km/h.
È infatti il richiamo della velocità l’altro tassello della tensione e
dell’immaginario orientati al futuro, elemento che si lega allo sviluppo tecno-
logico e all’estetica per formare un complesso reticolo di significati, una vera
e propria «ideologia del progresso attraverso lo sviluppo della velocità dei tra-
sporti» (Virilio, 2005). Ma l’idea di velocità, come quella di progresso, non
è certo meramente tecnologica o storicamente connotata. Quindi il «futuro»
stesso non è relegabile alla sola prova di realtà. È invece questione d’ogni tem-
po, proprio in relazione a quella dialettica tra percezione del cambiamento e
senso della prospettiva di cui si diceva; probabilmente e almeno in parte punta
dell’iceberg di quella tensione, che è anche biologica, ormonale e di orizzonte
di vita materiale, prima ancora che di orizzonte esistenziale, che lega inesora-
bilmente le generazioni, padri e figli, parricidi e infanticidi: nodo gordiano di
certo impossibile da spezzare con semplicismi rottamatori.
Il mito della velocità è il nome di una mostra, tenutasi al Palazzo delle Espo-
sizioni di Roma dal febbraio al maggio del 2008, durante la quale sono stati
esposti assieme diversi prodotti del design, dell’arte e dell’industria italiani: dal-
le automobili ai quadri, agli oggetti di consumo e ad altro. Tutti questi prodotti
sono legati dal tratto comune di condividere un legame con il concetto, appun-
to, di velocità. Nell’introduzione al catalogo della mostra i curatori, Eugenio
Martera e Patrizia Pietrogrande, sottolineano il nesso tra velocità e modernità
(2008), due costrutti che sembrano imbevuti l’uno dell’altro. Nel titolo di que-
sta mostra sembra di trovare un’eco delle parole di Paul Adam, scrittore fran-
cese, che, a inizio Novecento, usò un’espressione simile: egli scrisse di un vero
e proprio “culto della velocità” (1907).
La ricerca di una velocità sempre crescente iniziò già nell’Ottocento, con
una corsa allo sviluppo di macchine sempre più potenti e rapide. Tra queste, fu
ancora una volta innanzitutto il trasporto ferroviario a mostrare le rivalità più
aspre, tra compagnie ferroviarie rivali e finanche, nel caso europeo, tra Stati
confinanti (Wolmar, 2011).
Qualcosa di analogo lo racconta nuovamente Stephen Kern, facendo rife-
rimento alla competizione tra le compagnie di navigazione transatlantica: la
corsa alla conquista del Nastro Azzurro, il trofeo assegnato all’imbarcazione
capace di attraversare più velocemente l’Atlantico, vide nel 1897 la vittorio-
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Lorenzo Fattori e Luigi Maria Sicca Grande accelerazione e scomparsa del futuro
sa sfida della Germania alla compagnia inglese Cunard, che ne era detentrice
(Kern, 1988). A quel punto, sottolinea Kern, era in gioco il prestigio nazionale
dell’Inghilterra, il cui governo sovvenzionò la costruzione di una nave in gra-
do di riprendersi il titolo, innescando una nuova competizione tra le diverse
compagnie inglesi che, qualche anno dopo, ebbe un ruolo determinante nell’af-
fondamento del Titanic: andare veloce può avere un prezzo altissimo. Tale era
però l’attrazione per la velocità che «il pubblico richiedeva velocità maggiore
ogni anno e rifiutava di frequentare le linee più lente» (Kern, 1988). Anche
Italo Calvino ha messo in evidenza il legame velocità-progresso, in un passag-
gio delle sue Lezioni americane: «Il secolo della motorizzazione ha imposto la
velocità come un valore misurabile, i cui records segnano la storia del progresso
delle macchine e degli uomini» (2022).
La velocità, tra il tardo Ottocento e i primi del Novecento, esercitava dun-
que un fascino crescente, che non solo non lasciava indifferente il pubblico
generico, ma riguardava anche intellettuali e artisti. Tra questi si collocavano
i membri della celebre corrente del Futurismo: a loro si deve l’istituzione del
più eloquente collegamento tra la velocità e il futuro, a partire dal nome che
scelsero e da quanto rappresentarono nel proprio Manifesto di Fondazione del
Futurismo (Marinetti, 2015). Questo, scritto da Filippo Tommaso Marinetti e
pubblicato inizialmente a Parigi, su Le Figaro, nel 1909, richiamava e mescola-
va suggestioni sia della ferrovia (dalla locomotiva alle gallerie), sia di un nuovo
mezzo di trasporto, che presto si sarebbe affermato come uno dei più rappre-
sentativi del Novecento: l’automobile. In altri testi del futurismo sono proprio
l’automobile e l’aeroplano a prevalere sul viaggio in treno: questi nuovi veicoli,
più rapidi e direttamente governabili dal singolo individuo, catalizzavano con
più forza le suggestioni della velocità e del movimento che costituiscono il sog-
getto centrale dell’estetica futurista (Ceserani, 2002).
Indipendentemente dal tipo di prodotto artistico, che sia un quadro, una
lirica o altro, l’arte futurista è pervasa di immagini di mezzi di trasporto, treni,
aerei e automobili, che rappresentano movimento, potenza e soprattutto velo-
cità; e se ciò, inizialmente, destò sorpresa e scandalo, in breve tempo mostrò di
saper intercettare le percezioni e il gusto del pubblico dell’epoca. La presenza
del mezzo di trasporto nell’arte di quegli anni, in breve tempo, si espanse ben
oltre i confini italiani e delle avanguardie artistiche, diventando un fenome-
no che coinvolse artisti e autori francesi, inglesi e statunitensi. Secondo Eric
Hobsbawm, lo sviluppo delle avanguardie artistiche nel periodo precedente la
Prima guerra mondiale fu uno spartiacque profondo per l’arte stessa (2005);
e questo fenomeno, peraltro, anticipò «di parecchi anni l’effettivo crollo della
società borghese liberale», che segna l’inizio del «Secolo breve» (Hobsbawm,
1997).
La corsa verso il futuro, l’accelerazione sociale e il sempre più spinto pro-
gresso tecnologico-industriale della società tardo ottocentesca e della prima
parte del Novecento ebbero infatti anche, come corollari inseparabili, le due
145
Futuri 18 scenari
Conclusioni
La fase più che trentennale che intercorre tra il 1914 e il 1945, cioè tra
l’inizio della Prima e il termine della Seconda guerra mondiale, rappresenta
un’unica lunga stagione di guerre, tensioni internazionali e crisi. E però all’in-
terno – cronologicamente parlando – di questa stagione si collocano alcune
delle più rilevanti (per le riflessioni che qui abbiamo condotto) trasformazioni,
destinate a lasciare il segno fino – perlomeno – alla fine della modernità, e oltre:
è infatti nel primo ventennio del Novecento che si affermano gli studi di Albert
Einstein, fondamentali innanzitutto per la nostra concettualizzazione di tempo,
spazio, moto e velocità: «Con Einstein, il moto è relativo […]. Quindi, per due
osservatori in moto relativo, le descrizioni spaziotemporali degli eventi sono
diverse, ma la velocità della luce è la stessa, le distanze spaziali sono diverse
(contrazione delle lunghezze), gli intervalli temporali sono diversi (dilatazione
dei tempi), le velocità minori di quella della luce sono diverse)» (Sicca, 2019).
E poi, la percezione, che acquista nuovo significato alla luce della scoperta,
da parte di Sigmund Freud, di un luogo conflittuale interno all’essere umano,
l’inconscio.
Così, nonostante le drammatiche vicende delle guerre mondiali, altri modi
di immaginare, rappresentare e desiderare il futuro sarebbero emersi, alimen-
tati dalle trasformazioni nella comprensione di tempo e spazio, dalla scoperta
dell’inconscio e dell’indeterminazione, per poi anch’essi attraversare nuove
crisi. L’idea di un progresso inarrestabile, nella seconda metà del Novecento,
non era definitivamente tramontata: nel periodo successivo alla fine del secon-
do conflitto mondiale, caratterizzato dal boom economico e dal baby boom
demografico, si ripresentò l’ipotesi di uno sviluppo progressivo, peraltro, sta-
volta, esteso a livello mondiale. Non si trattava però, in questo caso, della pre-
figurazione di un singolo futuro, ma di una differenziazione, nelle confliggenti
prospettive del libero mercato, del socialismo reale, e della liberazione dalla
dominazione coloniale per tanti territori fuori dai due blocchi, fin quasi alla
contemporaneità.
Non possiamo, in questa sede, andare oltre. Non era nostra intenzione –
l’abbiamo scritto sin dall’inizio – né nelle nostre possibilità rispondere alla do-
manda che pone Augé, con la quale abbiamo aperto questo testo: «che fine ha
fatto il futuro?». Ma confidiamo di aver individuato qualche elemento – tra
tempo, comunicazioni, progresso e velocità – utile a mettere a punto un iden-
tikit dello scomparso. A nostro avviso, tuttavia, «le risposte a questioni così
rilevanti risiedono nell’impalpabile intreccio che tiene insieme scienza, cultura
e organizzazione e nel ruolo della tecnologia, che trasforma i mezzi di comu-
146
Lorenzo Fattori e Luigi Maria Sicca Grande accelerazione e scomparsa del futuro
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148
VIP: Voyeurismo in Panopticon. Il dominio in Squid Game
di Marica Castaldi
Abstract
What can the Squid Game series teach us both for the present and for the future? A
dystopian imagery that is not far from our lives. It suggests a “Weltanschauung” (world view)
that is not impossible to imagine. A logic of domination, voyeurism and surveillance. A world
where economic capital is worth more than life itself. A society where all needs, even the
strangest, can be immediately filled. Anyone who does not survive this logic disappears...
Squid Game makes us reflect on a future in which even surveillance becomes exclusive.
Giochi che segnano il passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Uomini che, non
avendo indipendenza economica, sono ancora considerati dalla società dei bambini.
Sembrerebbero banali gare di resistenza, giochi televisivi con un compenso in
denaro, chi arriva alla fine vince tutto. Ma in Squid Game chi non arriva alla fine
del gioco, chi non vince, perde tutto: perde la sua vita. Il giocatore che non passa
il livello decede, non esiste più. Scompare dalla sua vita senza nessuna spiega-
zione. Rimane, però, immagazzinato negli archivi degli organizzatori dei giochi,
schedato, profilato e memorizzato, creando così una nuova società nascosta.
Squid Game ha destato scalpore proprio a causa di questa disumanizzazione
dei giocatori. Privati della propria identità, divengono dei numeri. Sono sche-
dati, analizzati e anche “quotati” dagli spettatori di questo atroce gioco. Una
serie che lascia con il fiato sospeso e con molti dubbi. Avere un capitale econo-
mico è più importante che avere una vita? Oltre ai giocatori ci sono coloro che
dispongono del capitale, e oltre ad avere una vita possono permettersi anche la
soddisfazione di determinati vizi o bisogni particolari. Tra questi quello di as-
sistere a questi giochi crudeli dal vivo. Questi uomini privilegiati scommettono
sui giocatori, puntano denaro, fanno stime su chi sarà il vincitore dell’ultimo
gioco, “il gioco del calamaro”: un gioco per bambini di tradizione coreana. Una
serie che, come cercherò di analizzare in questo articolo, sembra narrare una
“società iper-soddisfacente” e con una logica “cannibale”. Una società che for-
se lascia ripensare anche al futuro: un futuro dove ogni bisogno è sempre più
“pret à porter”, ma soprattutto un futuro dove quei giocatori potremmo essere
noi. Sorvegliati e profilati sempre di più. Cercherò di traslare Squid Game nella
società contemporanea.
Alla fine proverò ad analizzare possibili scenari futuri che la serie ci propone.
150
Marica Castaldi VIP: Voyeurismo in Panopticon
Se il gioco è “fare come se”, perché nel caso di Squid Game può essere così
crudele?
Riprendiamo i VIP: nella serie sono uomini aristocratici, ricchi, politici.
Sono gli aggregati di interessi politici che il sociologo Max Weber in una famo-
sa conferenza del 1919 definisce «monopolio della violenza legittima» (Weber,
1997)1. Nessuna definizione sembra più calzante nel definire i VIP di Squid
Game.
Violenza legittima perché nel “Gioco del Calamaro” essa è autorizzata, re-
golarizzata; sei personaggi invitati ad assistere a giochi mortali dal vivo. A que-
sti dobbiamo aggiungere il presentatore, “homo ludens” per eccellenza nella
serie tv: l’anziano che decide di vivere il gioco stesso. Sette VIP che potrebbero
essere la rappresentazione dei sette vizi capitali. Lussuria, mostrata molto bene
nelle loro maschere e nella location d’arrivo. La gola, intesa come abuso ecces-
sivo di tutte le bellezze terrene: il vino, le esperienze carnali. L’ira e la superbia,
nel voler vincere le scommesse su chi riuscirà a portare a casa il montepremi.
L’avaro, invece, presta molta attenzione nel puntare su chi vincerà. L’invidia,
insita in ciascuno di loro. Sette VIP travestiti da animali: dall’orso, al gufo, al
leone… Animali forti, considerati superiori.
Il Front Man apre le danze, e dà il via agli spettacoli. I giochi sono pro-
gettati per soddisfare i loro desideri, i loro “gusti difficili”, come li ha definiti
uno dei VIP. Gusti che normalmente potrebbero sembrare bizzarri. Potrem-
mo definirli propensioni devianti, ovvero, con una definizione più statistica,
“tutto ciò che varia rispetto alla media”; o anche “tutto ciò che diverge dalla
norma sociale”. Esattamente su questo bisognerebbe focalizzare l’attenzione:
fenomeni di questo tipo non li ritroviamo solo in serie tv o film, si sono, sono
presenti in società, seppur nascosti. Sono fenomeni che hanno una storia lun-
ga e che non possono non esser stati incentivati dalle nuove tecnologie. Se
viviamo in una “società uberizzata”2, non è più semplice poter soddisfare i
nostri bisogni? I VIP potrebbero essere utilizzati come metafora per descrivere
una “società iper-soddisfacente”? Società dove tutto può essere esaurito attra-
verso un click. Un mondo dove tutti sono “sbirciatori”, e controllori.
Con il termine “Voyeurismo in Panopticon” intendo indicare la possibilità
che abbiamo di poter sbirciare gli altri, senza essere visti; il nuovo modo di
poter fare esperienza nel mondo, non sempre palesato. Un modo che segue le
orme dell’antichità e che si plasma con le tecnologie di oggi. Se per “Voyeuri-
smo in Panopticon” intendiamo l’osservare senza essere visti, dobbiamo tener
conto di eventuali problematiche. Come la serie stessa mostra, non sempre è
facile nascondere l’anonimato. Non è così difficile poter togliere una maschera,
o farla togliere ad altri. Sono questi possibili errori in una macchina quasi per-
1
“Herrschaft”, il dominio, inteso come il potere di tipo coercitivo della sfera politica.
2
“Uberizzazione” sta a indicare il modello economico ripreso dalla piattaforma Uber, dove
l’individuo fa esperienza con il mondo da solo, eliminando gli intermediari. Sempre più da solo ed in
maniera immediata può soddisfare i propri bisogni.
151
Futuri 18 scenari
fetta come il sistema orwelliano del “Big Brother” che confluiscono verso un
“Sesto Potere” (Bauman, 2015). Questa facoltà supera i tre poteri delineati da
Montesquieu e va oltre quelli esercitati dalla stampa e la televisione, divenendo
un potere nelle mani di tutti.
Le tossine più nocive del capitalismo egoista sono quelle che sistematicamente
incoraggiano l’idea che la ricchezza materiale sia la chiave per la realizzazione per-
sonale, che i ricchi sono i vincenti e che per puntare in alto non serve altro che
lavorare sodo, indifferentemente dal retroterra familiare, etnico o sociale di prove-
nienza. Se poi non riesci, l’unico da biasimare sei tu. (James, 2009).
Una vita che vede come unica via di scampo una morte alterativa, rendendo
eroi, secondo quest’ottica, i VIP e gli organizzatori del gioco.
152
Marica Castaldi VIP: Voyeurismo in Panopticon
Oltre alla spettacolarità diffusa descritta da Debord, si apre una dimensione simu-
lativa, il virtuale, questo contrassegnato da un dileguarsi della realtà. È il feticismo
della merce informatica, dello spettatore simulativo che sul piano ideologico, ten-
de a stabilizzare la presa dell’economia dell’immaginario. (Stanziale, 2008).
153
Futuri 18 scenari
Grazie al web, gli streaming di video sulla morte sono sempre più diffusi.
I VIP di Squid Game non sono altro che voyeur che con i loro enormi schermi
assistono alla spettacolarizzazione della morte. I VIP fanno trapelare quanto
sia ancora più emozionante vedere lo spettacolo dal vivo, quanto il processo di
catarsi, godendosi lo spettacolo reale, possa essere migliore. Ma… gli spettatori
di Squid Game che ruolo hanno? Anche i fruitori della serie si impersonano nel
voyeur. D’altronde il film non è creato proprio per guardare la storia di qual-
cun’altro? Tutti i consumatori, insieme ai VIP, hanno preso visione dei giochi.
Da voyeur, ma con una consapevolezza diversa, la finzione. «E senza dubbio il
nostro tempo… preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappre-
sentazione alla realtà, l’apparenza all’essere» (Feuerbach, 2008).
Lo spettacolo riesce proprio perché, come afferma Debord «l’alienazione
va a vantaggio dell’oggetto contemplato… L’esteriorità dello spettacolo, in rap-
porto all’uomo agente, si manifesta nel fatto che i suoi gesti non sono più i suoi,
ma di un altro che glieli rappresenta» (Debord, 2008).
I VIP e i fruitori della serie si identificano nei giocatori, provano le stesse
emozioni, cercano di riflettere sulla soluzione del gioco insieme a loro. La grati-
ficazione risiede proprio nell’alienazione concreta. Quando il giocatore muore
il voyeur non decede, e ritrova in questo processo una gratificazione: ciò porta
lo spettatore a rivivere questi crudi momenti con lo scopo di ridare sicurezza
a sé stesso, proprio come le favole e le fiabe per i bambini3. Nei racconti per
bambini le fate o animali sanno di essere ascoltati e guardati? Le storie sono già
scritte, siamo noi che le leggiamo e le ascoltiamo frementi di conoscere come
finiranno, in attesa del colpo di scena.
Osservazione panottica
3
La fiaba è caratterizzata da luoghi e personaggi magici. La favola si svolge in luoghi reali, i
protagonisti sono animali che incarnano vizi e virtù umane.
154
Marica Castaldi VIP: Voyeurismo in Panopticon
con il voyeurismo, il vedere senza che gli altri sappiano che li stiamo vedendo.
Un tipo di voyeurismo panottico che ritroviamo anche nella vita di tutti i giorni.
Tutti siamo voyeur in panopticon: tutti noi siamo controllori, alla stregua della
guardia nel carcere di Bentham, per esempio controllando il profilo social di
un altro, e quasi sempre senza lasciare tracce. I VIP di Squid Game potrebbero
essere la metafora di “un mondo del controllo velato”, un mondo dove tutti noi,
comodamente seduti sul nostro divano, possiamo guardare senza farci scoprire,
in cui lo smartphone diventa un vero e proprio Panopticon digitale? Ma se si
analizza attentamente il Panopticon nella serie, si possono notare delle “falle”
generate dal binomio “vedere-essere visti”. L’anonimato dei VIP, e delle guardie
nel gioco, è garantito dalle maschere. Queste, però, non sono difficili da togliere.
L’anonimato è un problema, nel gioco come nella vita reale.
Nella serie, l’oblio viene minato dal poliziotto coreano: un personaggio che crea
problemi nel Panopticon, che dà vita al passaggio dal “sistema panottico rigido” al
“sistema post-panottico”. Squid Game mostra quindi come l’efficacia del Panopti-
con sembra essersi esaurita, dando vita a un nuovo sistema: il sistema “post-panot-
tico”. Quel sistema in cui, secondo Zygmunt Bauman, non è più vero che c’è un
unico controllore, ma siamo tutti controllori. Ed è proprio il mondo in cui viviamo,
in cui «siamo controllori, siamo controllati e facilitiamo il nostro controllo» (Bau-
man e Lyon, 2015). I VIP vengono scoperti dal poliziotto, il quale documenta tutto
ciò che accade attraverso il suo smartphone. Anche noi, allo stesso modo, abbiamo
la possibilità di mostrare a tutti cosa si cela all’interno del Panopticon.
I VIP nella serie vengono dipinti come uomini crudeli, aristocratici “a sangue
freddo” che trovano piacere nel guardare spettacoli di morte: dei “Voyeur in
Panopticon” che hanno nelle loro mani “il monopolio della violenza legittima”.
Definito cosa significa voyeur, analizzato il concetto di Panopticon, possiamo
affermare che i vizi di questi VIP non sono del tutto fuori dal comune. Non
sono dei casi isolati. Non sono propriamente persone devianti. Questi uomini
potrebbero essere la messa in luce di una società che ama osservare, sorvegliare e
controllare. I nuovi dispositivi ci offrono la possibilità di poter soddisfare imme-
diatamente bisogni più disparati, tra cui quelli del controllo e dell’osservazione.
Una logica di soddisfacimento dei bisogni che comincia a nascere con la storia
dell’industria, con le grandi esposizioni, con il cinema definito “il sogno ad occhi
aperti”, la radio, la televisione, il telefono. Una logica industriale che subisce una
trasformazione dal one best way (un unico modo migliore) al one better fit (un
migliore adattamento). Un mutamento che ha investito ognuno di noi.
I VIP descritti nella serie non sono altro che figli del just in time: la nostra
società ha come componenti individui che si riconoscono nell’idea di un mi-
gliore adattamento, utile per soddisfare le proprie esigenze. Sia i giocatori che
155
Futuri 18 scenari
i VIP si trovano in quel panopticon perché hanno dei vizi, hanno dei bisogni. I
giocatori hanno problemi economici, hanno bisogno di soldi. Decidono di par-
tecipare a un gioco che promette un montepremi immediato; avrebbero potuto
trovare un’alternativa più onesta, anche se più faticosa; travolti dall’idea del
lavoro come senso di realizzazione, il lavoro per loro non sarà solo un mezzo
ma diventerà il bisogno primario (cfr. Marx, 2004).
I VIP, invece, hanno l’esigenza di soddisfare i loro bisogni voyeuristici. Per-
sone totalmente adattate nella logica capitalistica che hanno come unico scopo
riuscire, con tutti i mezzi a loro disposizione, a soddisfare immediatamente tut-
ti i loro interessi. Metafora dei bisogni come propulsore della vita dell’uomo.
Oggi potremmo definire la “piramide dei bisogni” di Abraham Maslow (2010)4
del 1954 come tendente sempre più verso l’alto, all’infinito.
Squid Game rende lampante l’idea di una società con una “logica cannibale”
(cfr. Bruckner, 2001), dove l’insaziabilità è all’ordine del giorno. Tutti quotidia-
namente soddisfiamo una miriade di bisogni: alcuni considerati devianti, altri
perlopiù comuni. Non è difficile poter andare sul web o penetrare nel deep web
e cercare video di morte, video pornografici e altro ancora. Viviamo nell’epoca
della “sorveglianza liquida”: una liquidità presente nella vita quotidiana e soprat-
tutto nella sfera dei consumi. Volume, varietà e velocità formano lo spazio dei
big data, una congerie di informazioni che si riordina con il fine di profilarci e
di guidare le nostre scelte ed i nostri acquisti. Una liquidità che permette a tutti
di essere dei voyeur, e dei dati che ci “obbligano” a essere dei voyeur. Possiamo
esserlo anche senza lasciare tracce, sebbene sappiamo che “la maschera non è
difficile da togliere”. Siamo dei controllori perché «anche scorrere la home dei
social network è osservare e controllare» (Lyon, 2020): addomesticamento della
sorveglianza”, come scrive David Lyon. Siamo dei “Voyeur in post-Panopticon”.
Ognuno di noi, in un determinato contesto o situazione, può essere un VIP.
4
Bisogni: fisiologici, di sicurezza, appartenenza, stima, autorealizzazione.
156
Marica Castaldi VIP: Voyeurismo in Panopticon
Squid Game è una serie distopica che denuncia queste disuguaglianze. De-
nuncia il “realismo capitalista” e descrive duramente la società, in particolare
quella sudcoreana. E se la serie non fosse distopica? Se le disuguaglianze ve-
nissero rappresentate senza questa ferrea rigidità, ma liquidità? Ritornerebbe
qui tutta l’analisi fatta precedentemente. Un voyeurismo in post-panopticon
all’interno del quale giocatori e VIP sono l’uno il voyeur dell’altro. Attraverso
i social network, panopticon liquido, tutti possono osservare la vita altrui. Una
logica che, alla stregua della rigidità panottica, suscita emozioni e sentimenti
partoriti dal sistema capitalistico egoista: invidia, avarizia, gola… tutti vizi che
inizialmente ho accostato ai VIP.
Se ora volessi riscrivere la serie in modo più realistico e attuale, descriverei una
società composta da una moltitudine di individui. Questi “flaneur” curiosi, non
tanto dei nuovi magazzini e delle vetrine, ma della vita altrui, con la schiena gobba
e il collo inclinato verso il basso mentre scorrono la home dei loro social network,
intenti nello sbirciare la vita degli altri e tenere tutto sotto controllo, sono al tempo
stesso abbagliati dall’illusione della meritocrazia. Con l’ingordigia delle ricchezze
altrui e la voglia di soddisfare i propri bisogni siamo catapultati in uno Squid Game
ogni giorno, dove i ricchi mostrano che sono ricchi e i poveri cercano di tutto per
diventare ricchi. Questo Squid Game avviene sotto gli occhi di tutti.
Romanzi, film, serie televisive, il più delle volte sono degli “anticipatori” o
“previsori” di scenari futuri. Cosa può farci immaginare per il futuro la serie
Squid Game? Cercherò di dare una mia possibile interpretazione basandomi su
quanto messo in scena nella serie, analizzando l’immersione che ogni episodio
ha nella contemporaneità, come ho cercato di fare nei paragrafi precedenti. Mi
focalizzerò su un episodio in particolare, il quinto. Il poliziotto coreano, che
mina la rigidità del panopticon e dà vita al cosiddetto post-panopticon, riesce a
scovare la stanza degli archivi. Ogni giocatore era stato profilato e schedato. È
proprio l’archivio il nodo fondante per un’eventuale analisi verso il futuro: uno
schedario che non solo raccoglie i dati delle 456 persone che ci hanno accom-
pagnato nella visione della serie, ma si scopre essere molto più ricco.
Il gioco è stato riproposto per più anni: una volta eliminati dal gioco, i
partecipanti scompaiono dalla vita reale senza una spiegazione, ma rimangono,
paradossalmente, schedati e profilati all’interno dell’organizzazione dello Squid
Game. La sorveglianza in questione viene definita “ban-ottica”, un termine che
fa riferimento all’utilizzo dei dati che hanno lo scopo di “bannare”, eliminare de-
terminati soggetti, gruppi, territori (Bigo, 2006). La sorveglianza ban-ottica è un
concetto di recentissima definizione, di cui Squid Game ci mostra egregiamente
una sua esemplificazione. Una vigilanza volta a coprire scandali, interessi, corru-
zione. Questo, come si evince dalla serie, è possibile grazie soprattutto alla coper-
157
Futuri 18 scenari
Bibliografia
Filmografia
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Crash test
di Flavio Torba
Tende la mano verso il bicchiere che gli porgo. Lo aiuto a bere. Un po’ d’ac-
qua gli cola da un lato della bocca quando poggia la testa sul cuscino.
Però, quando venni a sapere che avrei fatto da apripista a te, non mi di-
spiacque.
Farò fuori un paio di trogloditi per il mio amichetto d’infanzia, mi dissi,
così lui poi potrà venire e studiare con calma e scrivere il suo libro.
Ma il mio interesse primario era non arrivare troppo vicino a quei falcetti,
non so se mi spiego.»
«Il programma prevedeva una scarpinata di circa tre ore sotto il sole spieta-
to, dal bunker del paleoscopio fino al villaggio di caprai che sarebbe diventato
Mogadiscio.
L’Uebi Scebeli però non si vedeva. Me lo sarei dovuto trovare a nord, a cir-
ca un chilometro di distanza, ma al suo posto c’era solo un avvallamento secco.
L’acqua del fiume sembrava prosciugata da parecchio tempo.
La faccenda puzzava, ma mi misi in cammino. Le informazioni delle teste
d’uovo della ConVon e dei loro amici geologi potevano essere sbagliate.
Me lo ripetevo come un mantra.
Hanno sbagliato. Che cazzoni. Si sono sbagliati.
Prima di accorgermi della loro presenza, camminai nell’ombra delle torri
per almeno trenta secondi, stordito dal calore disumano, atroce anche per un
mercenario che sulle guerre civili subsahariane ci ha prosperato.»
Sono qui accanto a lui, ma i suoi occhi non mi vedono, persi nella memoria.
«Quelle torri. Quella specie di alveare. Devi vederle prima o poi, quelle
torri. Enormi strutture, bianche come colonne di un tempio greco senza tetto.
Ecco, una città-tempio piena di oracoli muti e iperconnessi.
Ho avuto modo di guardarla bene, negli anni, tanto bene da scolpirmi ogni
geometria nelle retine. Se la si guarda al tramonto, col sole che cala dietro di
essa, sembra che allunghi dita nere verso di te. E allora le colonne sembrano di
carbone incandescente, non marmo.
Si erano sbagliati, quei cazzoni della ConVon.
La luce mi friggeva la testa, ero svuotato di qualsiasi energia. Mi feci pren-
dere da suggestioni lovecraftiane di civiltà dimenticate e avanzatissime, ma pre-
ferii usare il rasoio di Occam. Se davanti agli occhi ho qualcosa di inconcepibile
per il passato, allora non sono nel passato.
Così si spiegava anche il fiume asciutto.
Feci l’unica cosa sensata da fare. Da buon bruto, me ne sbattei della virtù e
della conoscenza.»
160
Flavio Torba Crash Test
161
Futuri 18 narrazioni
«Ogni giorno che vissi lì, tranne forse i primi, era scandito da una routine
precisa. Sveglia, colazione ed esplorazione.
A ogni mia sortita rubacchiavo un paio dei loro flaconi di alimentazione.
Non avevo una poltrona tutta mia per assimilarli, così la prima volta ne forzai
uno facendo leva in uno stipetto.
Ne mangiai il contenuto con le mani. Aveva un buon sapore. Vischioso,
forse troppo zuccherino, ma tutto sommato accettabile.
Nessuno si è mai lamentato. Magari fossero stati così anche i miei veri vicini
di casa.
Quando entravo in un loculo mi prendevo sempre del tempo per contem-
plarli. Li vedo anche adesso. Guardo questo corpo deforme, distorto secondo
le necessità del suo tempo, e non vorrei mai essere come lui, qualunque cosa
stia vedendo o sperimentando in questo momento.
Scheletri ricoperti di pelle, arti atrofizzati e muscoli che hanno dimenticato
la fatica e l’esercizio. Tutti comodi in queste poltrone-nido.
Non ho mai capito cosa fosse in realtà quel complesso di colonne. Di certo
non un centro produttivo, almeno per come lo definiamo noi, con fabbriche,
miniere e via dicendo.
L’attività svolta da quegli esseri – umani, certo – forse rimarrà insondabile
per un bel po’ di tempo, anche per la ConVon.
Due occhi, due orecchie, una bocca. Eppure quell’innesto nella nuca me li
fa sentire più alieni di qualsiasi cosa abbia visto al cinema, forse perché sono –
saranno – reali.
E niente infezioni o grumi di pus. Nessuna cicatrice da operazione chirurgi-
ca. La mia impressione è che quell’orifizio sarà il frutto di modificazioni geneti-
che ad hoc, fatte per legare quegli esseri a qualsiasi cosa ci sia all’altro estremo
della connessione. Un adattamento come il corpo scheletrico e il cranio gonfio.
Come gli intestini che si scaricano in appositi e comodi alloggiamenti delle
poltrone. Come gli esofagi che accolgono i sondini di alimentazione delle pol-
trone. Forse anche la loro lingua sarà atrofizzata.»
162
Flavio Torba Crash Test
Questo corpo, che prima era una macchina da guerra e ora è solo miseria
condensata, si drizza a sedere e mi artiglia la camicia prima che me ne possa
rendere conto.
163
Futuri 18 narrazioni
«Le hai mai viste tu le larve? Almeno in foto? Bene, allora sai di cosa parlo.
Si trovano – o si troveranno, per meglio dire – ai livelli inferiori delle torri,
sottoterra. Una volta capito come funzionava il sistema di glifi dell’ascensore,
mi fu facile salire e scendere a mio piacimento.
Chiunque fosse venuto a cercarmi là sotto sarebbe stato quantomeno di-
stratto dallo spettacolo, dandomi un po’ di vantaggio. Questo è quello che pen-
savo.
Se i miei vicini di poltrona erano l’orrore, allora quel sotterraneo era un
gabinetto di follia. Senza braccia, gambe, occhi. Sono sicuro che se la biologia
umana non avesse dei limiti insormontabili, avrebbero costruito le larve solo
con la testa. Una razza inferiore equipaggiata del minimo indispensabile.
Non c’era giorno in cui non mi chiedessi a cosa servissero quegli umanoidi
addormentati in cilindri di vetro pieni di acqua. Acqua? Una soluzione di qual-
che tipo, probabilmente.
Forse mi avvicinai al vero significato di quel girone infernale verso il mio
terzo anno di permanenza. Quegli esseri – umani, me lo dimentico sempre –
sono perennemente collegati a qualcosa, a fare qualcosa dentro un sistema in
cui per trent’anni cercai di entrare anch’io. E sono contento di non aver mai
trovato la soluzione. Ma se quel qualcosa funziona come il nostro internet, allo-
ra c’è bisogno di qualcos’altro in cui contenere dati, informazioni.
Ecco: server di carne. Server mutilati che non possono gridare, destinati
unicamente a conservare dati nel proprio cervello a uso e consumo dei propri
simili dei piani superiori, quelli ancora con braccia e gambe.
Vivere in mezzo a quelle bare di vetro e a quegli esseri contribuì ad aumen-
tare le mie manie di persecuzione.
Mi capitava di svegliarmi per qualcosa di più impalpabile di un rumore.
Sensazioni. Immaginavo l’arrivo di elementi estranei.»
Mi scuote.
164
Flavio Torba Crash Test
Mi lascia andare. Si rilassa, con il torace rimasto orfano del lenzuolo. Non
me la sento di coprirlo.
«Trent’anni. E per voi sarà passato solo... quanto? Dopo quanto ti sei accor-
to che il tuo apripista, il tuo vecchio compagno di giochi, non era tornato dalla
sua ultima missione?
Come hanno giustificato la tua proiezione nel futuro in avanti di trent’anni
rispetto all’obiettivo? Ancora con l’inquinamento temporale?
Non fa niente. Avrebbero comunque trovato un modo per farmi stare zitto,
se non fossi stato già un cadavere ambulante. Col polonio, magari.
Devi aver montato un bel casino per riuscire a convincere quelli della Con-
Von. Avrebbero potuto lasciare lì anche te. Si sarebbero volentieri liberati di un
altro piantagrane se il progetto ormai non fosse stato quasi pronto per l’avvio.»
Indica con un dito contratto il giornale sul comodino, quello che gli porto
regolarmente. Ogni volta gli stessi editoriali, gli stessi titoloni in prima pagina.
La stessa carta, lo stesso inchiostro.
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Futuri 18 narrazioni
e si fanno sentire nel Medioevo. Padroni inquisitori che assillano via videoter-
minale giovani di generazioni non ancora nate.
Quelli della ConVon possono mandarmi tutti gli inviti che vogliono.
Io non sono un eroe. Una volta ero un soldato, per soldi. Ora sono un ma-
nichino.
E poi, non ce la farei neanche con una sedia a rotelle.»
Gli occhi che hanno spento decine di vite da dietro un mirino si chiudono.
Lo accontento. Sono quasi alla porta, sollevato, già libero, quando mi ri-
chiama per l’ultimo consiglio:
«Butta l’orologio.»
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Autorə
Mara Di Berardo è co-chair del nodo italiano del Millennium Project, per il quale
è responsabile della comunicazione. È altresì Communication officer del Foresi-
ght Europe Network dal 2021 e membro di Futura Network di ASviS-Alleanza
Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. Ha ricoperto incarichi presso l’Istituto per
le Applicazioni del Calcolo e l’Istituto Nanoscienze del Consiglio Nazionale delle
Ricerche.
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decenni ha servito come diplomatico sia all’estero che presso il Ministero degli
Esteri, come responsabile delle relazioni con le organizzazioni finanziarie interna-
zionali.
Flavio Torba non esiste, ma ciò non gli impedisce di contemplare l’orrore. Ha pub-
blicato racconti su antologie e litblog (Verde, L’Ircocervo, Malgrado Le Mosche, la
nuova carne). Alcuni suoi racconti lunghi sono stati pubblicati nelle collane di De-
los Digital. Link portfolio e social: linktr.ee/flaviotorba
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FUTURI n. 18
Rivista italiana di futures studies
Anno IX / Dicembre 2022
Semestrale
ISSN 2284-0923
www.futurimagazine.it
Direttore:
Roberto Paura
Comitato editoriale:
Adriano Cozzolino
Alessandro Mazzi
Carmen Papaleo
Daniela Porpiglia
Luigi Somma
Comitato scientifico:
Carolina Facioni (coordinatrice)
Antonio Camorrino
Riccardo Campa
Fabio Corbisiero
Piero Dominici
Adolfo Fattori
Gabriele Giacomini
Jennifer Gidley
Vincenza Pellegrino
Roberto Poli
Elisabetta Ruspini
Erik Stengler
Oleksandr Sharov
Donato Speroni
Giuseppe Zollo
Cover:
Fabio Caiazzo