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Capitolo 1 Pe

riassunto capitolo 1 politica economica

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Capitolo 1: I fondamenti

La conoscenza economica non svolge un ruolo secondario rispetto alla volontà politica, bensì la
influenza, costituendo un intreccio che prende il nome di POLITICAL ECONOMY.

Par. 1 – Un’introduzione alla politica economica

In base al grado di influenza della conoscenza economica sulla politica distinguiamo 3 approcci:

A. ECONOMIA POSITIVA  questo approccio osserva dall’alto gli accadimenti e l’economista


cerca di determinare attraverso quali canali le decisioni pubbliche influenzano i
comportamenti privati. Questo approccio tratta la politica economica come un dato
esogeno, di cui si cerca di studiare l’impatto.

B. ECONOMIA NORMATIVA  in questo approccio l’economista cerca di porre in essere


quell’insieme di decisioni pubbliche che sono necessarie a sostenere le finalità dichiarate
(diminuzione della disoccupazione, miglioramento del tenore di vita…); quindi il decisore
pubblico viene considerato come un benevolo pianificatore sociale, affiancato
dall’economista il quale svolgerà un ruolo simile a quello dell’ingegnere. È chiaro che
l’economia normativa si debba affiancare all’economia positiva, in quanto deve conoscere
gli effetti prodotti dalle decisioni pubbliche.
L’approccio normativo molto spesso tende a rinunciare alle soluzioni di first best a favore di
quelle dette di second best. L’equilibrio di first best è quella soluzione che porta ad un ottimo
di Pareto, ovvero a quella situazione in cui non è possibile migliorare il benessere di un
individuo senza peggiorare quella di un altro. Quando vi sono dei vincoli che impediscono di
raggiungere l’equilibrio di first best, allora si adotta una soluzione di second best.
Il problema che si pone davanti al decisore pubblico è quello dell’asimmetria informativa,
ovvero quella disparità informativa che si pone tra il decisore pubblico, colore a cui spetta
applicare la decisione e coloro a cui verrà applicata la decisione.
In sintesi, l’economia normativa si imbatte in difficoltà alle quali l’economia positiva sfugge
per queste 3 ragioni:
- La necessità di definire degli obiettivi di politica pubblica e di comporre i trade-off
tra gli obiettivi alternativi;
- L’incertezza sulla decisione giusta in un mondo in cui non sono possibili che degli
ottimi di second best;
- Le asimmetrie informative.

C. POLITICAL ECONOMY  è un approccio che, come l’economia positiva, osserva dall’alto gli
accadimenti, ma invece di considerare il comportamento dei decisori politici come
esogeno, si occupa di renderne conto allo stesso modo degli altri agenti privati; lo Stato
non è più un deus ex machina, ma viene pilotato dalla politica, cioè da attori razioni anch’essi
con obiettivi specifici.
Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo, l’approccio alla political economy è stata
approfondita dalla ricerca sulle aspettative razionali, condotta da Robert Lucas, seconda la
quale gli agenti privati non si accontentano di reagire alle decisioni pubbliche, ma anche di
prevederle, mettendo così in discussione l’idea seconda la quale lo Stato debba sovrastare
l’economia e dirigerla.
In sintesi, l’economia positiva resta alla base dell’analisi delle decisioni pubbliche, ma essa è
sempre più integrata dalla political economy.
L’economia normativa resta certamente importante ma, cosciente dei propri limiti, è diventata
più modesta: mettere in luce una carenza dei mercati per giustificare un intervento pubblico non è
più sufficiente, occorre anche assicurarsi che esso sarà effettivamente in grado di migliorare la
situazione.
Quanto alla political economy, essa fornisce spiegazioni utili, in particolare al fine di apprendere la
dimensione economica della riforma delle istituzioni nazionali e internazionali.

RUOLO PER LA POLITICA ECONOMICA


I principali compiti dei decisori di politica economica possono classificarci in 6 categorie:
A) Definire e applicare le regole del gioco economico  ovvero definire il quadro di regole
entro il quale gli agenti economici possono operare;
B) Tassare e spendere;  imposte e sicurezza sociale, produttività attraverso le spese per le
infrastrutture, ricerca e istruzione, domanda aggregata attraverso il consumo e gli
investimenti pubblici o pressione fiscale
C) Emettere moneta e regolarne l’offerta  definizione e realizzazione della politica
monetaria dipendono dalla banca centrale che è responsabile della fissazione dei tassi di
interesse , del mantenimento del valore della moneta e della disponibilità di liquidità per il
settore bancario, anche in caso di crisi;
D) Produrre beni e servizi  cioè controllare l’offerta dei servizi sanitari e di istruzione, ma
anche i servizi di trasporto o di energia (attraverso il controllo delle imprese);
E) Risolvere i problemi;
F) Negoziare accordi con gli altri paesi  in tema di liberalizzazioni commerciali o di
definizione di regole internazionali. I governi partecipano alle istituzioni regionali e
mondiali (come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale,
l’Organizzazione mondiale del commercio o l’Unione Europea), oppure, a dei forum
informali (come il G7, G8, G20 e vertici regionali) dove si accordano sulle sfide globali, quali
la regolamentazione finanziaria, lo sviluppo, il cambiamento climatico, ecc.
Sicuramente la politica economica ha delle accezioni diverse da un paese all’altro:
 Negli stati uniti le discussioni si incentrano soprattutto sulla fissazione dei tassi di interesse
da parte della FED , sulle reazioni del congresso alle proposte del presidente in materia di
tassazione e bilancio e su un insieme limitato di argomenti, come la sicurezza energetica o
la riforma dell’istruzione.
 Nell’UE , sono le riforme strutturali a occupare l’agenda del dibattito. Nell’Europa orientale,
la politica economica consiste soprattutto nell’introdurre la dinamica del mercato e
privatizzare le imprese dello stato.
 Infine in Argentina, Brasile, Turchia l’unica ossessione è il controllo dell’inflazione e la
prevenzione o la gestione delle crisi finanziarie.

STRUMENTI PER LA POLITICA ECONOMICA


Gli obiettivi della politica economica sono numerosi e spesso contraddittori, ma essa dispone anche
di numerosi strumenti per poterli realizzare. Gli strumenti tradizionali della politica economica sono:

A) LA POLITICA MONETARIA  ovvero la fissazione dei tassi di interesse


B) LA POLITICA DI BILANCIO O FISCALE  ovvero il livello di spesa pubblica e le imposte
E molte volte gli strumenti della politica economica sono ridotti ad una combinazione di queste
due serie di strumenti, ma essa si avvale anche di strumenti microeconomici: regolamentazioni,
struttura dei tributi diretti e indiretti sulle famiglie e sulle imprese, sussidi, trasferimenti della
sicurezza sociale, scelte di spesa e investimento pubblico , o anche scelte nel quadro della
concorrenza.
Infine le istituzioni estendono direttamente la loro azione al funzionamento dei mercati e
influenzano l’efficacia degli strumenti di politica economica.

POLITICA ECONOMICA COME INSIEME DI TRADE OFF


Consideriamo un governo che persegua n obiettivi economici indipendenti e disponga di p
strumenti.
Esiste una particolare funzione, che prende il nome di Funzione di perdita, che contabilizzerà la
differenza tra ciascuna delle variabili osservate e il suo valore obiettivo (target) e la politica
economica, chiaramente, deve scegliere questi p strumenti al fine di minimizzare la funzione di
perdita, vincolata al funzionamento dell’economia.
Quando il numero degli strumenti p è uguale al numero degli obiettivi n, allora sarà possibile
realizzare tutti gli obiettivi prefissati.
Si tratta della REGOLA DI TINBERGEN, secondo la quale il raggiungimento di n obiettivi
indipendenti di politica economica è assoggettato alla disponibilità del governo di un numero
almeno equivalente di strumenti indipendenti; tuttavia, è una regola solo necessaria, perché si
richiede anche una condizione sufficiente, ovvero che gli strumenti della politica economica siano
anche linearmente indipendenti.
Se non viene rispettata questa regola, allora non sarà possibile raggiungere simultaneamente gli
obiettivi. In particolare, se (n = numero degli obiettivi, p = numero degli strumenti):

A) n = p  allora sarà possibile realizzare tutti gli obiettivi prefissati, raggiungendo quel valore
prefissato;
B) n < p  allora non potranno essere raggiunti simultaneamente tutti gli obiettivi, ma
imporremo dei trade-off tra questi obiettivi, ovvero ricorreremo ad una funzione di perdita
e gli strumenti dovranno assumere dei valori tali da minimizzare questa funzione di perdita.
All’interno di questa funzione di perdita potremmo dare un diverso peso ai vari obiettivi;
C) n > p  in questo caso il sistema non è risolvibile.

Cambiare le istituzioni: le riforme strutturali


Le proposte di riforme strutturali rappresentano dei tentativi di modificare le combinazioni di
politica economica cambiando le varie istituzioni ad essi proposte (istituzioni del mercato del
lavoro, condizioni della concorrenza sui mercati dei beni, sicurezza sociale, le pensioni o la sanità e
l’istruzione) al fine di modificare i trade-off a cui molto spesso un governo fa fronte. Per esempio,
negli anni Ottanta e Novanta, in Europa vi furono paesi che conseguivano un livello di produttività
oraria piuttosto elevato, ma con una gran parte della popolazione esclusa dall’occupazione;
mentre, altri paesi raggiungevano un livello di occupazione elevato, ma con una bassa produttività.
L’intenzione dei governi era di migliorare sia il livello di occupazione sia la produttività del lavoro
(= PIL prodotto da ogni occupato), ma questo era impossibile data la relazione inversa tra i due
obiettivi. La soluzione migliore consisterebbe dunque nel modificare il trade-off
occupazione/produttività, che richiede provvedimenti di altro genere e, in particolare, un impegno
significativo nei campi dell’istruzione e dell’innovazione, che permetta di elevare il livello
complessivo della produttività economica. In sostanza, la riforma strutturale mira a sostituire le
istituzioni in modo da migliorare i termini del trade-off tra gli obiettivi. Per una valutazione delle
politiche strutturali occorre fare riferimento ad una funzione obiettivo (o funzione di perdita)
intertemporale. In effetti, le riforme strutturali hanno spesso un effetto negativo nel breve
periodo, ma positivo nel lungo periodo (Quadro 1.5).

Par. 2 – Le motivazioni dell’intervento pubblico


Le tre funzioni della politica economica
Si distinguono tre funzioni essenziali della politica economica: (tripartzione di Musgrave & Musgrave (1989))
A. L’allocazione delle risorse: vi rientrano politiche dirette a fornire beni pubblici, come
investimenti in ricerca e sviluppo, istruzione, protezione dell’ambiente. Tendono di
accrescere il più possibile l’output raggiungibile, ossia l’output potenziale.
B. Stabilizzazione macroeconomica: affronta gli shock che allontanano l’economia
dall’equilibrio (politiche monetarie e di bilancio). Si propongono di minimizzare lo scarto tra
output effettivo e potenziale. (output gap)
C. Redistribuzione fra agenti o fra regioni: modifica della distribuzione dei redditi (politiche
tributarie, di tipo progressivo e sussidi sociali).

L’intervento pubblico ha come giustificazione il raggiungimento del primo teorema


dell’economia del benessere: muovendo da un equilibrio di concorrenza perfetta non si può
migliorare il benessere di un agente economico senza ridurre quello di un altro.
Tale acquisizione è allo stesso tempo:
 Assoluta, perché nega che l’intervento pubblico possa migliorare le sorti degli uni senza
danneggiare quelle degli altri;
 Limitata, perché non dice nulla sulla redistribuzione del reddito e della ricchezza fra gli
agenti e perché le condizioni di validità sono abbastanza rigide.

ALLOCAZIONE (modificare l’equilibrio del mercato nel lungo periodo)


Si tratta essenzialmente di rimediare ai cosiddetti fallimenti del mercato. I motivi di intervento
pubblico più frequenti sono:

a. Presenza di monopoli
Quando un’impresa è in posizione di monopolio, dispone di un potere di mercato che gli permette
di aumentare i prezzi, riducendo le quantità offerte. L’intervento pubblico può mirare a ristabilire
le condizioni di concorrenza, però molte volte il regime di monopolio è più efficiente in termini di
organizzazione industriale rispetto a quello della concorrenza, basti pensare che è più efficiente
avere un solo gestore di rete ferroviaria piuttosto che molti (monopolio naturale)
b. Esistenza di esternalità
In presenza di esternalità, il costo privato di una risorsa o il beneficio privato non coincidono con
quelli sociali. L’intento, quindi è quello di trovare dei meccanismi che inducano o stimolino gli
attori privati a considerare gli effetti esterni delle loro azioni.
Gli economisti individuano 3 strumenti: negoziazione fra attori privati, tassazione e sovvenzione e
la pianificazione centralizzata.
c. Esistenza di asimmetrie informative
L’ottimità dell’equilibrio di mercato si basa sull’ipotesi di un’informazione perfetta, ma nella realtà
sappiamo che questo spesso non è possibile, basti pensare alle banche. Queste per evitare che il
tasso di interesse unico conduca a selezionare soltanto debitori a rischio (selezione avversa), è
ottimale per il creditore razionare il credito, il che è globalmente inefficiente.
d. Esistenza di mercati incompleti
L’ottimità dell’equilibrio di mercato si basa sull’esistenza di mercati per un’insieme di transazioni
ad orizzonti più o meno lontani. Se certi mercati sono assenti o carenti, l’equilibrio di mercato non
è più necessariamente ottimale nel senso di Pareto.

STABILIZZAZIONE (minimizzare deviazioni nel breve periodo rispetto all’equilibrio)


In merito alla stabilizzazione, Keynes (anni 30) forniva all’intervento pubblico 2 motivazioni:
 L’instabilità dei comportamenti privati (animal spirit) è suscettibile ad un’alternanza di
estremi, dall’ottimismo al pessimismo più completi;
 Le rigidità nominali dei salari e dei prezzi impediscono a questi ultimi di equilibrare i
mercati.
Quindi agli occhi di Keynes la combinazione di questi due elementi giustificava il ricorso a politiche
di bilancio e monetarie dette anticicliche concepite per limitare le fluttuazioni cicliche e
scongiurare le depressioni.

Gli studi contemporanei analizzano le politiche di stabilizzazione nel quadro del modello offerta
aggregata/domanda aggregata in base alla quale vi è una relazione tra prezzo del prodotto e
produzione (quantità).

L’offerta aggregata nel breve periodo è crescente perché ad un aumento del prezzo si riduce il
salario reale e rende la produzione più redditizia. Nel lungo periodo la disoccupazione si trova al
suo livello di equilibrio e quindi l’offerta si adegua.
La domanda aggregata, invece, dipende negativamente dal prezzo, poiché un aumento di
quest’ultimo riduce il consumo e quindi la produttività.

In questo contesto quindi abbiamo due distinzioni:


 Variazioni della domanda o dell’offerta in relazioni a cambiamenti del prezzo: spostamento
lungo la curva dell’offerta o della domanda
 Variazioni risultanti da perturbazioni esogene (shock): spostamento delle curve stesse

a. Uno shock da offerta è una modificazione esogena della relazione fra prodotto potenziale e
prezzo (accrescimento del prezzo del petrolio)
b. Uno shock da domanda è una modificazione esogena della relazione fra domanda e prezzo
(contrazione del consumo, ovvero perdita di ricchezza delle famiglie)
c. Uno shock da domanda positivo sposta la curva di domanda aggregata verso destra, con
un punto di equilibrio dove produzione e prezzo sono più elevati.
d. Uno shock da offerta positivo, sposta la curva di offerta verso destra con la conseguenza
di una produzione più alta ma un prezzo più basso.

Nel lungo periodo il ragionamento è lo stesso salvo che per lo shock da domanda si traduce
integralmente nei prezzi, e per uno shock da offerta il risultato è equivalente a quello di
breve periodo.
RIASSUMENDO
Funzione che affronta gli shock esogeni che allontanano l’economia dall’equilibrio (con stabilità dei prezzi e
pieno impiego dei fattori di produzione) minimizzando così le deviazioni nel breve periodo rispetto
all’equilibrio.
Gli studi di ispirazione Keynesiani analizzano le politiche di stabilizzazione all’interno del quadro del modello
offerta aggregata/domanda aggregata, secondo il quale vi è:
- Da un lato, una relazione crescente tra produzione e prezzo del prodotto (offerta aggregata) 
perché, in presenza di rigidità nominali, il salario reale diminuisce rendendo la produzione più
redditizia e nel lungo periodo, la disoccupazione si trova al suo livello di equilibrio e l’offerta si
adegua.
- Dall’altro lato, vi è una relazione negativa tra domanda e prezzo del prodotto (domanda aggregata)
 poiché un aumento del prezzo riduce il consumo.

La Teoria dei “real business cycles” è una classe di nuovi modelli macroeconomici classici
in cui le fluttuazioni del ciclo economico possono essere spiegate da shock reali. A
differenza di altre teorie principali del ciclo economico, questa teoria vede le fluttuazioni
del ciclo economico come una risposta efficiente ai cambiamenti esogeni nell’ambiente
economico. I cicli economici sono quindi reali, in quanto non rappresentano un fallimento
dei mercati, ma piuttosto riflettono il funzionamento più efficiente possibile dell’economia
data la struttura dell’economia.

LA REDISTRIBUZIONE FRA AGENTI O FRA REGIONI


Miglioramenti di equità ad efficienza (tre casi):
• 1. Costante: trasferimenti a somma fissa -no impatto su incentivi economici agenti (es.
libero scambio internazionale con redistribuzione tra i fattori produzione).
• 2. Decrescente (trade-off a la Okun (1975)): imposte e sussidi ad aliquota -impatto
negativo su incentivi (es. imposte e riduzione offerta fattori di produzione).
• 3. Crescente (trade-on): accesso istruzione/sanità meno abbienti -miglioramenti di
produttività del lavoro- «redistribuzione efficiente».

Nel primo caso, le preoccupazioni relative all’equità sono completamente indipendenti dalla
ricerca dell’efficienza. E’ ciò che accade quando il governo detiene i mezzi per modificare la
distribuzione dei redditi grazie ai trasferimenti a somma fissa, che non modificano gli incentivi
economici.
In pratica però non è sempre possibile realizzare dei trasferimenti a somma fissa. L’azione più
concreta che si può compiere è tassare i redditi, i profitti o il consumo e ridistribuire le entrate
grazie a programmi di assistenza mirati o a trasferimenti condizionati ai redditi. Ma queste
imposte e sussidi sono distorsivi perché modificano gli incentivi economici e l’equilibrio di
mercato. Da ciò risulta che non è più possibile separare le condizioni di equità da quelle di
efficienza. E’ la ragione per la quale la redistribuzione dei redditi richiede spesso un trade-off tra
equità ed efficienza: più il reddito è ridistribuito maggiore sarà la perdita di efficienza perché sia le
imposte sia i sussidi riducono soprattutto l’offerta dei fattori di produzione .

Tuttavia avviene in ogni caso dal momento che la redistribuzione a volte può migliorare l’efficienza
economica. Le politiche pubbliche concepite per garantire l’accesso dei meno abbienti
all’istruzione e alla salute, per esempio, sfociano spesso in guadagni di efficienza legati al
miglioramento della produttività del lavoro.

Par. 3 – La valutazione delle politiche


Per valutare le scelte di politica economica e per confrontarle con altre alternative bisogna stabilire
dei criteri precisi e plausibili.
L’obiettivo più generale che si può affidare alla politica economica è quello della soddisfazione delle
famiglie residenti, detta anche utilità, la quale racchiude sia il consumo di beni e servizi che il tempo
libero o la qualità dell’ambiente. Per un consumatore i si può scrivere:

Dove:
Cikt = consumo da parte del consumatore i del bene k al tempo t
Nit = quantità di lavoro fornita dal consumatore i al tempo t
it= vettore di variabili rappresentative delle condizioni di lavoro
it= vettore di variabili rappresentative della qualità dell’ambiente

Tuttavia, l’utilità istantanea è un criterio molto riduttivo, perché:


- Non vi sarebbe alcun motivo di investire (perché l’investimento accresce la quantità di beni
per il consumo futuro, riducendo quella presente)
- Non preserverebbe l’ambiente per l’avvenire.

Occorre adottare un contesto intertemporale e dotarsi di un tasso di sconto  al fine raggiungere le


utilità nel tempo:

L’utilità intertemporale Ui del consumatore i è il valore attuale al tasso  delle sue utilità future,
dove Et rappresenta la speranza matematica (o valore atteso) alla data t.

Lo stesso approccio può essere utilizzato per valutare il costo, in termini di benessere, di politiche
che non riescono a mantenere l’economia in equilibrio nel lungo periodo. Tutto dipende infatti dalla
scelta di , ovvero:
- Se il tasso di sconto è alto  si sta dando più peso al consumo immediato
- Se il tasso di sconto è basso  si sta dando più peso al consumo futuro

La funzione di utilità intertemporale resta tuttavia quella di un individuo o famiglia particolare o


di un unico individuo rappresentativo. Il passo successivo sarà quello di aggregare le utilità di
individui eterogenei (disuguaglianze individuali).

Il criterio di Pareto permette di comparare solo una minima frazione delle situazioni possibili, e
quindi ci porta a eliminare tutte quelle situazioni a partire dalle quali è possibile migliorare
simultaneamente le utilità dei due individui.

Per effettuare questa scelta occorre darsi una funzione di benessere sociale dove si prendono in
considerazione i soli indici che rappresentano gli individui o le famiglie che formano la società. Le
funzioni più correnti sono la funzione benthamiana e rawlsiana.

Supponiamo che lo spazio di livelli possibili di utilità sia descritto da una curva che collega le utilità
di due individui: U1 e U2.
Il criterio di Pareto porta ad eliminare tutte le soluzioni comprese tra A e C e tutte quelle comprese
tra F ed E, ma non permette di stabilire quale sia la migliore soluzione tra E e C.
Per effettuare questa scelta, allora si prende una funzione di benessere sociale del tipo (U1, U2,
…, Um) dove gli indici da 1 ad m rappresentano gli individui o le famiglie che rappresentano la
società, grazie alla quale è possibile comparare, e distinguiamo 2 funzioni in particolare:
A) Funzione benthamiana   = U1 + U2 + … + Um
la quale considera soltanto l’utilità totale, data dalla somma delle singole utilità, portando a
scegliere D come soluzione ottimale (anche se la distribuzione del reddito è nettamente
inegualitaria).
B) Funzione rawlsiana   = Min (U1, U2, …, Um)
la quale considera come soluzione ottimale quella in cui si prende in considerazione l’utilità
massima dell’individuo che è meno favorito.

ALLOCAZIONE, STABILIZZAZIONE, REDISTRIBUZIONE


In pratica, la valutazione degli effetti delle politiche economiche richiede strumenti economici
diversi per le questioni di allocazione, stabilizzazione e redistribuzione. Tali funzioni sono
correttamente utilizzate per la valutazione di politiche di allocazione, ma in forma più semplificata,
poiché non tiene conto del trade-off intertemporale né delle disuguaglianze individuali.

Allocazione
Le analisi di equilibrio parziale: considerano un settore di attività soltanto trascurando le
interdipendenze tra settori. Ovviamente tale semplificazione resta accettabile fino a quando il
settore studiato è di dimensioni limitate in confronto all’economia nel suo insieme.
Di fatti, è necessario ricorrere ad un’analisi di equilibrio generale, in cui si fa ricorso a dei metodi
computazionali di equilibrio generale (Computable general equilibrium o CGE). Grazie al
perfezionamento dei modelli computazionali di equilibrio generale si sono sviluppate tali
valutazioni utili per la valutazione delle politiche commerciali o delle riforme strutturali come la
liberalizzazione dei prezzi, le riforme fiscali, le riforme delle pensioni o la riduzione delle
sovvenzioni e dei sussidi a beneficio di certi settori. In tali studi però permane il difetto di basarsi
su numerose ipotesi tecniche sul funzionamento dei diversi mercati. In particolare si suppone che i
mercati funzionino in regime di concorrenza perfetta.

Stabilizzazione
La funzione utilizzata per l’analisi delle politiche di stabilizzazione dunque viene raramente
derivata da vere funzioni di benessere.
I macroeconomisti postulano il più delle volte una funzione di perdita macroeconomica:
l’obiettivo delle autorità è quello di minimizzare la funzione di perdita. Si tratta di una
rappresentazione che offre una buona approssimazione della realtà.

L’analisi delle politiche di stabilizzazione consiste per lo più nel comparare diverse politiche
concepite per reagire a uno stato di shock, ovvero in risposta ad eventi esogeni come un calo della
crescita mondiale o una variazione nel morale degli investitori.
Redistribuzione
Le funzioni di benessere sociale non sono quasi mai utilizzate nella decisione pratica. Le discussioni
sugli effetti di redistribuzione delle politiche economiche si basano su indicatori empirici di calcolo
delle disuguaglianze, come gli scarti di reddito fra decili di popolazione, la curva di Lorenz e
l’indice di concentrazione di Gini.

VALUTAZIONE EX POST E SPERIMENTAZIONE


Quale che sia il criterio adottato, la valutazione di una politica a partire da un modello dipende da
un ragionamento ex ante, poiché mette a confronto la situazione attuale con la simulazione di
quella che verrebbe a risultare dalla politica studiata. Anche realizzando una versione ex post (=
raffrontare la situazione derivante dalla politica studiata con una simulazione di quella che si
sarebbe prodotta in assenza di questa politica), la valutazione si baserebbe sull’utilizzazione di
parametri stimati o calibrati in anticipo per il modello corrispondente. Quindi non vi è differenza
alcuna tra le versioni ex ante e quelle ex post di una valutazione basata su un modello. La
valutazione ex ante è inadeguata nel momento in cui la riforma in esame presenta un carattere
strutturale e si suppone modifichi i comportamenti in modalità che non sono la semplice replica di
esperienze passate (= oggetto della critica di Lucas). È dunque importante condurre autentiche
valutazioni ex post.

GLI EFFETTI SECONDARI


Gli effetti delle funzioni di allocazione, stabilizzazione e redistribuzione si producono
contemporaneamente in 2 o 3 di questi ambiti. Accade spesso che una politica sia adottata in
ragione dei suoi effetti in un ambito ma abbia effetti perversi o negativi in un altro.
L’apertura degli scambi internazionali viene in generale perseguita per i suoi effetti allocativi ma il più delle
volte produce anche effetti sulla distribuzione del reddito.
Di converso, una politica adottata per un certo motivo può avere degli effetti positivi in un altro
ambito.
Una politica redistributiva volta a migliorare la remunerazione netta del lavoro poco qualificato può
accrescere l’offerta di lavoro e dunque il prodotto potenziale (redistribuzione efficiente)
QUADRO 1.1 – “IL TRADE-OFF” FRA OBIETTIVI 
QUADRO 1.2 – OFFERTA, DOMANDA E “OUTPUT GAP” 
QUADRO 1.3 – ARGOMENTI MICROECONOMICI PER L’INTERVENTO PUBBLICO
I teoremi dell’economia del benessere considerano inutile l’intervento dello Stato, ma lo fanno su
ipotesi che molto spesso, nella pratica, vengono violate. Vediamo quali.
La concorrenza non è perfetta
Nella concorrenza perfetta, la massimizzazione del profitto la si ha nel momento in cui si eguaglia
Prezzo e Costo Marginale, ma basta anche una sola impresa in posizione di dominanza per poter
sfalsare questa condizione, perché l’impresa in posizione dominante eguaglierà il Costo Marginale
al Ricavo Marginale. Lo Stato potrebbe intervenire per ristabilire la condizione di concorrenza (P =
MC), ma non sempre questo è possibile, perché esiste il cosiddetto monopolio naturale, cioè a volte
è più efficiente avere una sola impresa di un prodotto o servizio piuttosto che più di uno, purché gli
vengano imposte regole di concorrenza per evitare che aumenti la sua rendita a danno dei
consumatori;
Le attività economiche comportano effetti esterni
Questi effetti esterni sono dette “Esternalità”. In presenza di esternalità, il costo privato di una
risorsa o il beneficio privato di una produzione non coincidono con il loro costo o beneficio sociale:
l’impresa che utilizza un procedimento o una materia prima dannosi per l’ambiente, ma il cui costo
di produzione non tiene conto dei danni che la sua utilizzazione genera, è portata a farne un uso
eccessivo.
Gli economisti individuano 3 tipi di strumenti: la negoziazione fra gli attori privati, la tassazione e la
sovvenzione, che permettono di allineare il costo sociale e il costo privato (seguendo il principio del
“chi inquina paga”);
L’informazione è imperfetta
All’interno di un contratto, vi è sempre un individuo che possiede un set maggiore di informazioni
rilevanti rispetto ad altri parti contrattuali, che sfrutta per massimizzare il rendimento di quel
contratto, pertanto, l’equilibrio non è più necessariamente Pareto-ottimale;
I mercati sono incompleti
Per alcuni beni il mercato può essere carente o assente.

QUADRO 1.5 – RIFORME STRUTTURALI E “TRADE-OFF” INTERTEMPORALE


QUADRO 1.6 – LA MISURA DELLA DISUGUAGLIANZA

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