Capitolo 1 Pe
Capitolo 1 Pe
La conoscenza economica non svolge un ruolo secondario rispetto alla volontà politica, bensì la
influenza, costituendo un intreccio che prende il nome di POLITICAL ECONOMY.
In base al grado di influenza della conoscenza economica sulla politica distinguiamo 3 approcci:
C. POLITICAL ECONOMY è un approccio che, come l’economia positiva, osserva dall’alto gli
accadimenti, ma invece di considerare il comportamento dei decisori politici come
esogeno, si occupa di renderne conto allo stesso modo degli altri agenti privati; lo Stato
non è più un deus ex machina, ma viene pilotato dalla politica, cioè da attori razioni anch’essi
con obiettivi specifici.
Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo, l’approccio alla political economy è stata
approfondita dalla ricerca sulle aspettative razionali, condotta da Robert Lucas, seconda la
quale gli agenti privati non si accontentano di reagire alle decisioni pubbliche, ma anche di
prevederle, mettendo così in discussione l’idea seconda la quale lo Stato debba sovrastare
l’economia e dirigerla.
In sintesi, l’economia positiva resta alla base dell’analisi delle decisioni pubbliche, ma essa è
sempre più integrata dalla political economy.
L’economia normativa resta certamente importante ma, cosciente dei propri limiti, è diventata
più modesta: mettere in luce una carenza dei mercati per giustificare un intervento pubblico non è
più sufficiente, occorre anche assicurarsi che esso sarà effettivamente in grado di migliorare la
situazione.
Quanto alla political economy, essa fornisce spiegazioni utili, in particolare al fine di apprendere la
dimensione economica della riforma delle istituzioni nazionali e internazionali.
A) n = p allora sarà possibile realizzare tutti gli obiettivi prefissati, raggiungendo quel valore
prefissato;
B) n < p allora non potranno essere raggiunti simultaneamente tutti gli obiettivi, ma
imporremo dei trade-off tra questi obiettivi, ovvero ricorreremo ad una funzione di perdita
e gli strumenti dovranno assumere dei valori tali da minimizzare questa funzione di perdita.
All’interno di questa funzione di perdita potremmo dare un diverso peso ai vari obiettivi;
C) n > p in questo caso il sistema non è risolvibile.
a. Presenza di monopoli
Quando un’impresa è in posizione di monopolio, dispone di un potere di mercato che gli permette
di aumentare i prezzi, riducendo le quantità offerte. L’intervento pubblico può mirare a ristabilire
le condizioni di concorrenza, però molte volte il regime di monopolio è più efficiente in termini di
organizzazione industriale rispetto a quello della concorrenza, basti pensare che è più efficiente
avere un solo gestore di rete ferroviaria piuttosto che molti (monopolio naturale)
b. Esistenza di esternalità
In presenza di esternalità, il costo privato di una risorsa o il beneficio privato non coincidono con
quelli sociali. L’intento, quindi è quello di trovare dei meccanismi che inducano o stimolino gli
attori privati a considerare gli effetti esterni delle loro azioni.
Gli economisti individuano 3 strumenti: negoziazione fra attori privati, tassazione e sovvenzione e
la pianificazione centralizzata.
c. Esistenza di asimmetrie informative
L’ottimità dell’equilibrio di mercato si basa sull’ipotesi di un’informazione perfetta, ma nella realtà
sappiamo che questo spesso non è possibile, basti pensare alle banche. Queste per evitare che il
tasso di interesse unico conduca a selezionare soltanto debitori a rischio (selezione avversa), è
ottimale per il creditore razionare il credito, il che è globalmente inefficiente.
d. Esistenza di mercati incompleti
L’ottimità dell’equilibrio di mercato si basa sull’esistenza di mercati per un’insieme di transazioni
ad orizzonti più o meno lontani. Se certi mercati sono assenti o carenti, l’equilibrio di mercato non
è più necessariamente ottimale nel senso di Pareto.
Gli studi contemporanei analizzano le politiche di stabilizzazione nel quadro del modello offerta
aggregata/domanda aggregata in base alla quale vi è una relazione tra prezzo del prodotto e
produzione (quantità).
L’offerta aggregata nel breve periodo è crescente perché ad un aumento del prezzo si riduce il
salario reale e rende la produzione più redditizia. Nel lungo periodo la disoccupazione si trova al
suo livello di equilibrio e quindi l’offerta si adegua.
La domanda aggregata, invece, dipende negativamente dal prezzo, poiché un aumento di
quest’ultimo riduce il consumo e quindi la produttività.
a. Uno shock da offerta è una modificazione esogena della relazione fra prodotto potenziale e
prezzo (accrescimento del prezzo del petrolio)
b. Uno shock da domanda è una modificazione esogena della relazione fra domanda e prezzo
(contrazione del consumo, ovvero perdita di ricchezza delle famiglie)
c. Uno shock da domanda positivo sposta la curva di domanda aggregata verso destra, con
un punto di equilibrio dove produzione e prezzo sono più elevati.
d. Uno shock da offerta positivo, sposta la curva di offerta verso destra con la conseguenza
di una produzione più alta ma un prezzo più basso.
Nel lungo periodo il ragionamento è lo stesso salvo che per lo shock da domanda si traduce
integralmente nei prezzi, e per uno shock da offerta il risultato è equivalente a quello di
breve periodo.
RIASSUMENDO
Funzione che affronta gli shock esogeni che allontanano l’economia dall’equilibrio (con stabilità dei prezzi e
pieno impiego dei fattori di produzione) minimizzando così le deviazioni nel breve periodo rispetto
all’equilibrio.
Gli studi di ispirazione Keynesiani analizzano le politiche di stabilizzazione all’interno del quadro del modello
offerta aggregata/domanda aggregata, secondo il quale vi è:
- Da un lato, una relazione crescente tra produzione e prezzo del prodotto (offerta aggregata)
perché, in presenza di rigidità nominali, il salario reale diminuisce rendendo la produzione più
redditizia e nel lungo periodo, la disoccupazione si trova al suo livello di equilibrio e l’offerta si
adegua.
- Dall’altro lato, vi è una relazione negativa tra domanda e prezzo del prodotto (domanda aggregata)
poiché un aumento del prezzo riduce il consumo.
La Teoria dei “real business cycles” è una classe di nuovi modelli macroeconomici classici
in cui le fluttuazioni del ciclo economico possono essere spiegate da shock reali. A
differenza di altre teorie principali del ciclo economico, questa teoria vede le fluttuazioni
del ciclo economico come una risposta efficiente ai cambiamenti esogeni nell’ambiente
economico. I cicli economici sono quindi reali, in quanto non rappresentano un fallimento
dei mercati, ma piuttosto riflettono il funzionamento più efficiente possibile dell’economia
data la struttura dell’economia.
Nel primo caso, le preoccupazioni relative all’equità sono completamente indipendenti dalla
ricerca dell’efficienza. E’ ciò che accade quando il governo detiene i mezzi per modificare la
distribuzione dei redditi grazie ai trasferimenti a somma fissa, che non modificano gli incentivi
economici.
In pratica però non è sempre possibile realizzare dei trasferimenti a somma fissa. L’azione più
concreta che si può compiere è tassare i redditi, i profitti o il consumo e ridistribuire le entrate
grazie a programmi di assistenza mirati o a trasferimenti condizionati ai redditi. Ma queste
imposte e sussidi sono distorsivi perché modificano gli incentivi economici e l’equilibrio di
mercato. Da ciò risulta che non è più possibile separare le condizioni di equità da quelle di
efficienza. E’ la ragione per la quale la redistribuzione dei redditi richiede spesso un trade-off tra
equità ed efficienza: più il reddito è ridistribuito maggiore sarà la perdita di efficienza perché sia le
imposte sia i sussidi riducono soprattutto l’offerta dei fattori di produzione .
Tuttavia avviene in ogni caso dal momento che la redistribuzione a volte può migliorare l’efficienza
economica. Le politiche pubbliche concepite per garantire l’accesso dei meno abbienti
all’istruzione e alla salute, per esempio, sfociano spesso in guadagni di efficienza legati al
miglioramento della produttività del lavoro.
Dove:
Cikt = consumo da parte del consumatore i del bene k al tempo t
Nit = quantità di lavoro fornita dal consumatore i al tempo t
it= vettore di variabili rappresentative delle condizioni di lavoro
it= vettore di variabili rappresentative della qualità dell’ambiente
L’utilità intertemporale Ui del consumatore i è il valore attuale al tasso delle sue utilità future,
dove Et rappresenta la speranza matematica (o valore atteso) alla data t.
Lo stesso approccio può essere utilizzato per valutare il costo, in termini di benessere, di politiche
che non riescono a mantenere l’economia in equilibrio nel lungo periodo. Tutto dipende infatti dalla
scelta di , ovvero:
- Se il tasso di sconto è alto si sta dando più peso al consumo immediato
- Se il tasso di sconto è basso si sta dando più peso al consumo futuro
Il criterio di Pareto permette di comparare solo una minima frazione delle situazioni possibili, e
quindi ci porta a eliminare tutte quelle situazioni a partire dalle quali è possibile migliorare
simultaneamente le utilità dei due individui.
Per effettuare questa scelta occorre darsi una funzione di benessere sociale dove si prendono in
considerazione i soli indici che rappresentano gli individui o le famiglie che formano la società. Le
funzioni più correnti sono la funzione benthamiana e rawlsiana.
Supponiamo che lo spazio di livelli possibili di utilità sia descritto da una curva che collega le utilità
di due individui: U1 e U2.
Il criterio di Pareto porta ad eliminare tutte le soluzioni comprese tra A e C e tutte quelle comprese
tra F ed E, ma non permette di stabilire quale sia la migliore soluzione tra E e C.
Per effettuare questa scelta, allora si prende una funzione di benessere sociale del tipo (U1, U2,
…, Um) dove gli indici da 1 ad m rappresentano gli individui o le famiglie che rappresentano la
società, grazie alla quale è possibile comparare, e distinguiamo 2 funzioni in particolare:
A) Funzione benthamiana = U1 + U2 + … + Um
la quale considera soltanto l’utilità totale, data dalla somma delle singole utilità, portando a
scegliere D come soluzione ottimale (anche se la distribuzione del reddito è nettamente
inegualitaria).
B) Funzione rawlsiana = Min (U1, U2, …, Um)
la quale considera come soluzione ottimale quella in cui si prende in considerazione l’utilità
massima dell’individuo che è meno favorito.
Allocazione
Le analisi di equilibrio parziale: considerano un settore di attività soltanto trascurando le
interdipendenze tra settori. Ovviamente tale semplificazione resta accettabile fino a quando il
settore studiato è di dimensioni limitate in confronto all’economia nel suo insieme.
Di fatti, è necessario ricorrere ad un’analisi di equilibrio generale, in cui si fa ricorso a dei metodi
computazionali di equilibrio generale (Computable general equilibrium o CGE). Grazie al
perfezionamento dei modelli computazionali di equilibrio generale si sono sviluppate tali
valutazioni utili per la valutazione delle politiche commerciali o delle riforme strutturali come la
liberalizzazione dei prezzi, le riforme fiscali, le riforme delle pensioni o la riduzione delle
sovvenzioni e dei sussidi a beneficio di certi settori. In tali studi però permane il difetto di basarsi
su numerose ipotesi tecniche sul funzionamento dei diversi mercati. In particolare si suppone che i
mercati funzionino in regime di concorrenza perfetta.
Stabilizzazione
La funzione utilizzata per l’analisi delle politiche di stabilizzazione dunque viene raramente
derivata da vere funzioni di benessere.
I macroeconomisti postulano il più delle volte una funzione di perdita macroeconomica:
l’obiettivo delle autorità è quello di minimizzare la funzione di perdita. Si tratta di una
rappresentazione che offre una buona approssimazione della realtà.
L’analisi delle politiche di stabilizzazione consiste per lo più nel comparare diverse politiche
concepite per reagire a uno stato di shock, ovvero in risposta ad eventi esogeni come un calo della
crescita mondiale o una variazione nel morale degli investitori.
Redistribuzione
Le funzioni di benessere sociale non sono quasi mai utilizzate nella decisione pratica. Le discussioni
sugli effetti di redistribuzione delle politiche economiche si basano su indicatori empirici di calcolo
delle disuguaglianze, come gli scarti di reddito fra decili di popolazione, la curva di Lorenz e
l’indice di concentrazione di Gini.