App Unti
App Unti
App Unti
Lezione 1
Modalità di svolgimento dell’esame: si partirà dalla presentazione dell’articolo a scelta. Sono articoli di
ricerca, ma ciò che importa alla prof non sono le varie statistiche e test fatti, bensì cosa ci vuole comunicare
l’articolo (quali sono state le ipotesi che hanno mosso i ricercatori per fare l’indagine e a quali risultati sono
arrivati).
È possibile, dal momento che sono articoli scientifici, tenere con noi all’esame una sorta di schema/mappa
concettuale dell’articolo che scegliamo di presentare.
Dopo la presentazione dell’articolo, la prof farà delle domande rispetto alla parte bibliografica. Per quanto
riguarda la parte bibliografica, verranno chieste solo le cose presentate a lezione (in riferimento ai testi da
studiare).
Iniziamo il corso con qualcosa che ci dà una definizione di creatività, che ci fa capire come la psicologia si è
interessata al processo creativo e capire anche la definizione che viene data oggi.
Il primo psicologo a interessarsi al processo creativo ed a parlare di creatività è stato Guilford nel 1950. È
una data significativa, nel 1950 in psicologia c’erano diverse teorie in campo: veniamo dall’era del
comportamentismo (quella corrente psicologica per cui era necessario misurare il comportamento, cioè
quello che andava studiato della persona era il suo comportamento manifesto, nessun processo nella
mente andava presunto perché non si poteva misurare il pensiero), al quale segue poi il cognitivismo
(perché non possiamo presumere che l’essere umano sia riconducibile solamente al fatto del
comportamento. Cosa ne sarebbe es. dell’intelligenza?) per il quale è necessario misurare anche il pensiero
e le variabili che intervengono in esso e cioè i processi cognitivi, l’attenzione, la memoria e soprattutto
l’intelligenza.
Guilford si interroga sulla creatività e si chiede se può essere considerata o meno un sinonimo di
intelligenza e se i test che misurano l’intelligenza misurino anche, di fatto, la creatività.
Guilford dà poi una definizione di che cosa si intende per attitudine, atteggiamento, interesse:
- L’attitudine è la prontezza di una persona ad apprendere determinate cose, l’attitudine che mi definisce
è il fatto che io sia disponibile ad apprendere qualcosa, che io mi mostri disponibile ad apprendere. Questo
può essere determinato sia ereditariamente, sia attraverso le varie esperienze che mi sono capitate, o
dalla combinazione di entrambe.
- Per atteggiamento invece, intendiamo la tendenza ad avere un atteggiamento favorevole (o non) verso
un determinato oggetto. Il primo esempio che viene posto è il fatto che abbiamo imparato ad evitare i
pericoli (es. il fuoco, un burrone, ecc.): l’atteggiamento è quello di mostrarci favorevoli o meno di fronte ad
un oggetto che può creare beneficio per noi o sfavorirci.
- L’interesse è il bisogno che abbiamo di impegnarci in un determinato tipo di attività.
Se dobbiamo pensare alle persone riconosciute dalla società come geni creativi, queste sono poche.
Da dove nasce il genio creativo? Non è ereditario (es. Einstein era un genio, ma i suoi genitori no) e né
dipende dalle condizioni ambientali (es. oggi la competizione si basa sull’innovazione, ma se c’è
quest’urgenza di persone creative perché le occasioni es. scolastiche di produrre geni creativi non
riescono?).
Come riconosciamo nei bambini i tratti di una personalità creativa? Quando li abbiamo scoperti, come
possiamo creare la possibilità perché si sviluppino?
Per rispondere a queste domande, Guilford va a vedere se è stata condotta ricerca scientifica in ambito
psicologico e accademico rispetto alla creatività. Quello che scopre in ambito accademico è che il bisogno e
la richiesta urgente di persone creative non ha trovato riscontro, all’epoca di Guilford pochissimi scritti si
erano interessati di creatività e di immaginazione.
In primo luogo il perché di questa situazione è imputabile al fatto che, per alcune persone, quando si parla
di creatività si parla di intelligenza in termini di alto quoziente intellettivo, ma le variabili misurate con i test
d’intelligenza non sono effettivamente indici di creatività. I test d’intelligenza non sono adeguati a
determinare la creatività. In secondo luogo è problematico il fatto che bisogna dare una definizione di
creatività: visto che non coincide con l’intelligenza e che per Guilford coincide con la personalità creativa,
ma essa è peculiare di poche persone e io non posso fare una misurazione su poche persone, come
determino la definizione di creatività?
Guilford dice: c’è, nella società, una grande urgenza di creatività ma a fronte di questa richiesta sembra non
esserci una risposta in ambito scientifico accademico. Infatti, dalle ricerche che lui ha effettuato, trova che
poche persone si sono interessate all’argomento. Se si guarda alla situazione di indagini scientifiche di quel
momento, si trovano argomentazioni fuorvianti: alcuni hanno cercato di assimilare al costrutto di creatività
quello di intelligenza.
Per Guilford è necessario rivedere la nozione di creatività e quindi non considerarla più appannaggio di
pochi individui, ma considerare la creatività come una linea, un continuum all’interno della quale si
collocano le persone; per cui tutti abbiamo delle abilità creative, ma non tutti le possediamo nella stessa
misura (così come vale per l’intelligenza, tutti la possediamo se pur in diversa misura). Le persone
considerate geni creativi saranno collocate, in questa linea, all’estremo superiore e cioè possiedono
creatività in maggior misura.
Per quanto riguarda i test, Guilford rifiuta l’utilizzo dei test a scelta multipla per misurare la creatività (come
sono invece fatti i test d’intelligenza), perché ritiene che questi vadano a limitare la personalità creativa: se
noi utilizziamo la scelta multipla vuol dire che noi offriamo il prodotto già fatto, limitando la produzione del
creativo. Secondo Guilford per misurare la creatività dobbiamo invece una diversa tipologia di test.
Inoltre per Guilford in quel genere di test (d’intelligenza) vengono coinvolte abilità perlopiù scolastiche,
mentre per la creatività è necessario includerne di differenti.
Guilford mette inoltre in evidenza il fatto che per l’indagine alla creatività e per la sua promozione, un altro
ostacolo riguarda la ricerca di metodi che siano in grado di promuovere lo sviluppo delle personalità
creative. Guilford dà allora uno sguardo al sistema educativo dell’epoca, riscontra che allo studente
vengono richieste nozioni e competenze scolastiche.
Guilford concepisce la personalità e quindi, di fatto, anche la personalità creativa come una composizione
di diversi fattori. È la teoria fattorialista di Guilford.
Le diverse abilità creative possono essere differenti a seconda degli ambiti in cui si manifesta la creatività,
ma quello che cerca Guilford sono abilità primarie che possono essere comuni a tutte le personalità
creative. Una prima abilità che risulta essere coinvolta quando si parla di creatività ha a che fare con la
sensibilità ai problemi per cui il soggetto è più attento nel vedere i problemi anche laddove altri magari non
li vedono; una seconda abilità primaria coinvolta secondo Guilford nella persona creativa è data dalla
fluidità, fattore che determina la quantità di idee prodotte dal soggetto in un determinato periodo di tempo
(più idee vengono prodotte, più è facile che si producano anche idee originali o insolite); una terza abilità
coinvolta è il fattore della flessibilità, che riguarda la capacità del soggetto di cambiare strategia ideativa di
riferimento (guarda la qualità di idee più che la quantità); una quarta abilità coinvolta è la novità,
l’originalità dell’idea; una quinta abilità è la capacità di analisi e di sintesi delle informazioni raccolte; una
sesta abilità riguarda la complessità delle idee, data dalla capacità del soggetto di lavorare
simultaneamente con più idee complesse che contengono al loro interno un maggior numero di
informazioni; l’ultima è la capacità di riorganizzazione (è un’idea della Gestalt).
Lezione 2
Riassunto lezione di ieri: vedi ppt “Nuclei tematici-Guilford”. (Non chiederà quelle cose a lezione)
Cosa serve fare per condurre effettivamente un’indagine in campo psicologico? Quali sono le fasi che è
necessario seguire nel momento in cui dobbiamo condurre un’indagine che riguardi la creatività (e più in
generale anche per gli altri oggetti di indagine dal punto di vista psicologico)?
È necessario definire il campo d’indagine e lo si fa a partire dalla definizione di ciò che vogliamo studiare,
una volta data una definizione dobbiamo fare delle ipotesi (in questo caso si tratta di individuare i fattori
rispetto alle abilità creative) e costruire dei test (prove volte a misurare quello che noi vogliamo studiare). I
test andranno somministrati a delle persone che abbiano delle caratteristiche per cui viene svolto il test;
sarà inoltre necessario che sia sufficientemente grade per poi estendere i risultati ed essere un test
universale e generale.
Abbiamo visto la teoria di Guilford rispetto alla definizione di creatività e cioè quali fattori sono coinvolti nel
processo creativo.
Altri autori si sono interrogati su come nascano le idee creative: come nasce qualcosa che viene ritenuto
creativo? Vediamo alcune teoria passate per arrivare poi a quelle contemporanee (le teorie passate non
sono materiale d’esame).
Secondo diversi autori la creatività, e dunque le idee creative, nascono seguendo un processo simile a
quello dell’evoluzione. È un processo evolutivo: vengono generate diverse idee e solamente quelle che
hanno un fitness con l’ambiente vengono selezionate e successivamente si evolvono fino a diventare
prodotti creativi. Sostanzialmente avviene sempre prima una generazione delle idee e successivamente c’è
un secondo stadio in cui vengono applicati dei criteri per selezionare quelle idee, solo le idee più fruttuose
sopravvivono mentre le altre vengono scartate. Altri, come Weisberg, le idee creative avvengono per un
progressivo aggiustamento delle idee originali (come accade es. nella stesura della tesi e nel suo
progressivo aggiustamento fino al risultato finale, che sarà diverso dall’idea iniziale). Altri ancora, come
Mednick, ritengono che la creatività consista nella capacità di mettere insieme in modo utile idee
usualmente ritenute lontane dalle altre.
Il concetto di variazioni, di associazione e di applicazione di qualcosa di inusuale al fine di creare qualcosa di
nuovo e originale, di creativo, arriva al culmine con la teoria di Rottenberg: la creatività nascerebbe nel
momento in cui la persona è in grado di creare una sintesi, quindi di associare elementi che sono tra loro
distanti o addirittura opposti. Le persone sono creative quando sono in grado di creare un insieme e di
tenere simultaneamente insieme due unità che sono tra loro opposte. Rottenberg ha condotto una ricerca
su una serie di scrittori in cui ha proposto un test di associazione, in cui ha registrato i punteggi di creatività
tramite questionari in cui le persone dovevano esprimere il parere favorevole o non rispetto a una
determinata affermazione; ciò che ha riscontrato Rottenberg è stato che le persone maggiormente
creative, ovvero quelle che hanno registrato i punteggi più alti in questo test, erano quelle in grado di
elencare la maggior quantità di aggettivi, nomi, sostantivi, tra loro opposti.
Abbiamo infine la teoria di Sternberg, che è un po’ il contro-altare della teoria di Guilford: se per Guilford la
creatività non poteva rientrare all’interno dell’intelligenza, per Stenberg la creatività è uno dei modi in cui
l’intelligenza si manifesta nell’individuo.
Secondo Stenberg la teoria dell’intelligenza si compone di diversi fattori: ci sono le componenti, l’approccio
alle novità e le interazioni con il mondo esterno. Le modalità di azione delle diverse componenti
dell’intelligenza si sviluppano attraverso la creatività: la creatività si ha nel momento in cui si è in grado di
riconoscere i problemi laddove le altre persone non li riconoscono, si ha quando il soggetto è abile a trovare
analogie e somiglianze in due situazioni che solitamente sono distanti tra loro e si ha quando si è in grado di
selezionare gli aspetti importanti di un problema. Per Stenberg inoltre, la creatività si sviluppa secondo uno
stile cognitivo, intellettivo: ci sono diversi stili che contraddistinguono l’individuo (legislativo, che si dà le
regole da sé; esecutivo, tipico delle persone che eseguono le regole; e giudiziario, che analizza ciò che viene
fatto). Il creativo, per sua natura, è per Stenberg quello che segue uno stile legislativo. L’altra componente
dello stile intellettivo è data dalla forma (abbiamo stile monarchico, gerarchico, oligarchico, anarchico), il
creativo è per Stenberg caratterizzato di solito dalla forma anarchica, tendono a non avere obiettivi precisi
ma ad essere piuttosto motivati da un insieme confuso di elementi. Altra caratteristica della persona
creativa è per Stenberg quella di essere introversi e infine la loro inclinazione è di essere progressisti, vanno
oltre a regole e procedure esistenti e guardano al futuro.
Ciò che accomuna gli autori visti oggi è l’idea che la creatività non nasca dal vuoto, bensì dalla capacità di
creazione di associazioni insolite e inusuali, cioè dall’associazione di elementi che solitamente non vengono
associati tra loro. Domani vedremo le teorie contemporanee.
Lezione 3
Oggi vediamo le teorie contemporanee rispetto alla creatività e, in particolare, prenderemo in esame la
teoria di Corazza e l’articolo riguardante il pensare per contrari e quali possano essere i modi per
incoraggiare la creatività (sono i due articoli che appartengono alla parte bibliografica dell’esame).
Siamo nel 2022, abbiamo fatto un salto temporale dagli anni ’50 ad oggi. Vediamo quindi in che modo il
concetto di creatività è cambiato.
Sin dall’inizio, Corazza fa riferimento al fatto che la ricerca in ambito creativo è notevolmente aumentata
perché ci troviamo nella società dell’informazione, nella società dei comfort in cui tutti cercano il prodotto
creativo.
Corazza fa un rapido excursus numerico riguardo all’aumento della ricerca in ambito creativo, facendo
riferimento anche all’appartenenza geografica dei diversi autori, mostrando come la maggioranza della
ricerca in questo ambito si è sviluppata nel mondo occidentale e in particolar modo l’Europa.
Gli ambiti di ricerca sulla creatività spaziano dall’economia, alla sociologia, all’industria, ma principalmente
sono gli psicologi ad interessarsene. Rispetto agli anni ’50 in cui si era agli albori del concetto di creatività e
in cui si somministravano test per selezionare le persone, nel 2022 l’urgenza di creatività nella società
moderna trova riscontro anche in ambito accademico e di ricerca, in cui gli studiosi si sono fatti carico di
questo bisogno e di indagare la creatività a diversi livelli. Ciò non significa che i problemi legati a questo tipo
di ricerca siano svaniti, il primo di questi problemi riguarda proprio la ricerca di una definizione univoca
rispetto al concetto di creatività: alcuni la intendono in un modo, altri in un altro; ciò che però accomuna le
diverse definizioni di creatività è il fatto che generalmente si chiede un prodotto che sia originale ed
efficace. È però necessario definire in maniera chiara ed univoca cosa si intende per “originale ed efficace”,
notiamo inoltre che non è più la persona ad essere creativa ma è l’oggetto, il prodotto che viene
considerato come tale, e di riflesso la persona. Corazza si interroga infatti sul prodotto e sulle caratteristiche
per le quali esso viene definito originale ed efficace.
E le persone che si trovano in uno stato che non produce qualcosa di concreto? Dobbiamo considerarle non
creative?
Corazza critica la definizione che viene utilizzata per definire un prodotto creativo, perché si basa su una
definizione statica di creatività: noi definiamo la creatività sulla base del prodotto finito, concreto. Corazza
propone allora una definizione dinamica di creatività, in cui tiene conto anche dei casi in cui non esiste un
prodotto tangibile. Se ciò che accomuna tutte le definizioni che sono state date di creatività rispetto al
prodotto è che esso deve possedere le caratteristiche dell’originalità e dell’efficienza, allora proviamo a
vedere se la definizione cambia nel momento in cui definiamo il processo come qualcosa che ha del
potenziale, che può essere potenzialmente originale e efficace. Corazza aggiunge il concetto di potenzialità.
Corazza prende cioè in considerazione il processo piuttosto che il prodotto finito, perché così facendo
possiamo analizzare le variabili e le componenti cognitive e affettive che si trovano coinvolte nel
processo di creazione.
Per parlare di creatività e di processo creativo è necessario considerare diversi livelli e questo riguarda
anche la definizione statica di creatività. Significa anzitutto prendere in considerazione il processo creativo a
livello di persona (può essere un processo portato avanti da una singola persona o da un gruppo di
persone), si guarda poi al prodotto (può essere qualcosa di concreto o qualcosa di non ancora finito e che è
in continua evoluzione), si guarda poi al processo e alle componenti cognitive che sono coinvolte nel
momento in cui si tratta di operare per produrre qualcosa che potenzialmente potrebbe essere originale ed
efficace, ed infine l’ambiente (il contesto in cui il soggetto o il gruppo sono inseriti).
Secondo Corazza, quando parliamo di creatività e di processo creativo, intervengono 4 elementi e fasi:
- le spinte motivazionali che danno origine al processo;
- l’informazione, i processi coinvolti nel momento in cui si va a raccogliere le informazioni e ad elaborarle
dal punto di vista cognitivo. Sono le variabili cognitive che si interessano del processamento delle
informazioni, che a loro volta possono derivare dall’ambiente ma possono anche essere informazioni
interne (riceviamo stimoli ambientali e li rielaboriamo internamente);
- la generazione delle idee, che potrebbero potenzialmente generare qualcosa di nuovo ed efficace;
- la valutazione delle idee generate, perché non tutte le idee corrispondono ai requisiti richiesti ed è
necessario selezionare quali possano effettivamente portare a qualcosa di creativo.
Sono stadi interconnessi tra di loro, ma è funzionale distinguerli per studiare il processo.
Corazza, nell’articolo, fa riferimento anche ad un famoso dibattito che era originario anche rispetto alla
teoria di Guilford: il rapporto tra intelligenza e creatività. Considera sia il costrutto dell’intelligenza che
quello della creatività come costrutti dinamici e complessi (intervengono diverse variabili), e distribuisce
questi costrutti all’interno di un continuum spazio-temporale (spazio: ambiente in cui si manifestano il
pensiero e il comportamento; tempo: tempo impiegato a dare una risposta) che si compone di quattro
quadranti divisi in spazio, tempo e nella tipologia di legame che li lega (stabile e duraturo o debole).
- Abbiamo visto che la prima componente del processo creativo è la motivazione: la ricerca che è stata
condotta ha preso in esame sia le spinte motivazionali che il modo in cui gli stati emotivi e le capacità
personali di gestire le emozioni in una situazione stressante intervengono nel momento in cui ci
impegniamo a produrre qualcosa di creato. Il test utilizzato è quello ideato da Guilford, in cui veniva
chiesto di indicare gli usi possibili di un determinato oggetto: le persone sottoposte al test venivano
distinte in diverse condizioni, veniva misurato es. il focus di attenzione attraverso “l’eye tracker” (strumento
che misura i movimenti oculari). Veniva anche fatto un test per capire in che modo le persone avevano la
capacità di gestire le proprie emozioni (l’intelligenza emotiva) in un test auto-compilato.
Nel caso del primo test (quello di Guilford) c’era una risposta automatica: la loro risposta veniva valutata in
automatico rispetto al grado di originalità o meno dell’idea che avevano proposto. In una condizione il
feedback era sempre negativo, ogni risposta che producevano suggeriva che l’idea non fosse originale;
mentre nell’altra condizione, di feedback positivo, l’idea veniva considerata positiva, originale. Lo scopo era
capire in che modo il processo motivazionale, attentivo, misurato attraverso l’eye tracker, portava le
persone a impegnarsi in un determinato compito e in che modo questo si correlava con l’attenzione e con
le competenze delle persone nella gestione dell’intelligenza emotiva.
- Per quanto riguarda invece il processamento delle informazioni, cioè alle modalità con cui vengono
raccolte e quali viene prestata attenzione, si distinguono due tipologie di attenzione: un’attenzione
focalizzata (ho un obiettivo preciso e mi concentro su quello) e un’attenzione defocalizzata (è diretta
anche ad informazioni che non sono rilevanti per la realizzazione del compito). Questo serve a valutare in
che modo l’attenzione delle persone può influire nella gestione della performance creativa.
- L’altra componente che viene presa in esame nell’articolo di Corazza è quella della generazione delle
idee: in che modo vengono prodotte le idee originali e la quantità delle idee prodotte. In questo caso fa
riferimento anche al punto di vista delle neuroscienze, cercando quale area del cervello viene stimolata e
quali connessioni si attivano nel momento in cui viene chiesto di processare una determinata informazione
e generare delle idee creative.
Quello che è importante sapere è che, nel momento in cui viene richiesto di generare le idee (es. nel test di
Guilford in cui viene chiesto di elencare tutti gli usi possibili di un unico oggetto), è cosa avviene?
Generalmente nell’arco di tempo prestabilito, le prime idee che vengono generate sono idee abituali, di
usi comuni; poi, scorrendo il tempo, si esauriscono gli usci comuni e iniziano a manifestarsi le idee più
originali. Rispetto alla novità degli usi elencati, si ha un aumento di creatività e originalità: se da un lato
diminuisce l’indice di fluidità di produzione e di quantità del numero delle idee, dall’altro parte aumenta
la qualità. Questo effetto viene chiamato di “ordine seriale”.
- Infine l’ultima componente è quella della valutazione delle idee, in questa fase intervengono alcune
componenti. In questo caso ad esempio, sono stati presi in considerazione gli stati emotivi ed il modo in
cui essi influenzano la valutazione delle idee prodotte da altri; per cui es. chi si trova in un clima emotivo
positivo giudica in maniera più positiva anche le idee presentate dagli altri, mentre in uno stato emotivo
negativo giudicherà in maniera più severa e critica quelle stesse idee.
In conclusione, in questo articolo, Corazza e i suoi colleghi ci voglio far capire in che modo studiare la
creatività è un costrutto complesso e che può essere analizzato a diversi livelli. È infatti necessario
prendere in considerazione non solo il prodotto finito, ovvero quello che viene giudicato efficace o
originale, ma anche tutte le altre componenti che possono essere cognitive, affettive, motivazionali, i tratti
di personalità, ecc. che vengono coinvolte nel momento in cui si tratta di studiare il processo creativo e le
sue fasi. Le diverse fasi del processo sono tutte connesse tra di loro e i gli stati che intervengono possono
farlo in più fasi del processo.
Lezione 4
Lezione 5
La volta scorsa abbiamo visto come sia sensata la proposta di pensare di stimolare un pensiero per contrari
legato alla creatività. Ci sono diversi elementi a favore di questa tesi: in primo luogo, dal punto di vista
teorico, ci sono autori che hanno teorizzato l’emergere di un legame tra creatività e un pensare per
opposti. I primi a vedere questo legame sono stati gli psicologi della Gestalt e in particolare Wertheimer e
Dunker, la cui teoria afferma che per risolvere un problema e dunque per pensare in maniera produttiva,
andare oltre gli schemi abitudinari del pensiero, è necessario un processo di riorganizzazione in cui si
deve cambia la disposizione degli elementi.
Per Wertheimer il processo di riorganizzazione implicava due operazioni che sono tra di loro contrapposte,
ossia separare elementi che in origine erano uniti ed unire elementi che in origine erano separati. Per
Dunker, allo stesso modo, il processo di riorganizzazione comportava uno spostamento di funzioni: per
arrivare alla soluzione del problema è necessario identificare l’oggetto critico, che deve assumere una
funzione diversa rispetto a quella che assume abitudinariamente. Per far questo, in alcuni casi, l’oggetto
deve assumere una funzione contraria rispetto a quella originale, Dunker parla infatti di “spostamento di
funzioni”. Rottenberg ha invece messo in evidenza come, andando ad analizzare gli scritti autobiografici di
artisti e sottoponendoli ad un test di associazione di parole, ci sia un legame tra la produzione di parole,
aggettivi o nomi opposti tra di loro e la creatività degli artisti; la loro creatività era stata misurata tramite
self report, oppure tramite punteggi dati dagli educatori e dai familiari.
Ecco che si è vista la sensatezza di pensare ad un possibile legame tra la creatività e il pensare per opposti
da un punto di vista teorico, ma anche sperimentale.
Ci sono diversi studi sperimentali che dimostrano che in diversi processi di pensiero, il pensiero per opposti
funziona.
Altri processi di ragionamento induttivo ci dimostrano che, nel campo della psicologia, un indizio basato
sugli opposti può funzionare per risolvere il compito di scoperta della regola di Wason: in questo test
viene chiesto alle persone, presentando una sequenza di numeri (2-4-6), di scoprire qual è la regola che lo
sperimentatore ha in testa e che governa la produzione di queste triplette di numeri. Per scoprirlo, le
persone devono a loro volta generare delle triplette e ad ognuna di esse viene fornito un feedback rispetto
alla conformità o meno alla regole che ha in testa lo sperimentatore. Una volta che il soggetto si sente
sicuro può enunciare la sua risposta al quesito. Dal punto di vista sperimentale si è visto che fornire un
esempio che contrasta sulla dimensione rilevante della regola, aiuta a scoprire la regola e quindi
aumenta il punteggio di soluzione nel compito della scoperta della regola di Wason.
Nell’indagare l’efficacia del legame tra la creatività e il pensare per opposti, dobbiamo prenderci carico di
alcune questioni da risolvere dal punto di vista metodologico. La prima cosa da guardare sono gli indici da
utilizzare per misurare la performance creativa: come vedere se effettivamente il pensiero per contrari
incoraggia la produzione creativa? Misuriamo la quantità delle idee o la qualità? O entrambe?
Altra questione da tenere presente sono le variabili individuali: è possibile che le competenze e le variabili
cognitive di personalità di ciascuno siano differenti e dunque potrebbe essere che questo le persone che
stanno svolgendo il compito (es. per indole un soggetto può trovarsi in difficoltà nel ragionare/porsi in
contrasto con un altro soggetto e/o le sue idee).
Un’altra variabile da tenere in considerazione è la tipologia del compito, per cui il pensare per contrari
potrebbe infatti funzionare in maniera diversa se il compito è verbale oppure figurale e avere effetti diversi.
Nell’introduzione De Bono fa riferimento al fatto che, in ambito formativo aziendale, ancora si fa fatica a
parlare di creatività o di pensiero creativo: si avverte la necessità di parlarne, ma ci sono alcuni ostacoli
rispetto al prendersi in carico il concetto di creatività. In primo luogo l’ostacolo diventa il concetto stesso
di idea creativa che viene proposta, generalmente si risulta essere un po’ riluttanti nel momento in cui si
trova un’idea nuova rispetto al contesto e che, in un certo senso, risulta essere folle; questo perché l’idea
nuova deve trovare una giustificazione, deve avere un valore e una logica dietro di sé perché se l’idea
deve avere una logica posteriore allora essa è originata da un pensiero logico. Il punto è trovare una
giustificazione all’idea che ho originato. Se l’idea è stata originata dalla logica, dal nostro pensiero, con i
nostri schemi mentali e le nostre percezioni, e genera un’idea giustificata, allora che senso ha usare la
creatività? Se c’è già un pensiero che dà origine a qualcosa di nuovo, perché dovrebbe trovare posto un
processo di pensiero diverso?
Per De Bono se dobbiamo trovare un’idea innovativa e originale, dobbiamo trovarla a partire da una
tipologia di pensiero diverso da quello della logica che noi utilizziamo per conoscere e leggere le diverse
informazioni che acquisiamo dall’ambiente.
Il secondo ostacolo è dato dal fatto che la creatività viene fatta coincidere con una sorta di talento
naturale, dunque perché dovremmo porci il problema di allenare le persone ad essere creative se è
appannaggio solo di alcune persone che hanno questa dote naturale?
Un terzo ostacolo è dato dal fatto che, generalmente, quando si pensa alla creatività si pensa a qualcosa
di irrazionale, di folle, come se bastasse essere un po’ folli e disinibiti per essere creativi.
De Bono è, ad esempio, critico nei confronti del brain storming: ritiene infatti che questo metodo sia un po’
uno sparare alla cieca senza un obiettivo (viene data una parola stimolo e da lì vengono dette tutte le cose
che vengono in mente), come se dicendo tutto ciò che ci viene in mente alla fine troveremo qualcosa di
nuovo. De Bono critica questo metodo: vuol dire che tutte le innovazioni sono nate da uno sparare alla
cieca? La proposta di De Bono è quella di proporre delle tecniche di pensiero che, quotidianamente,
vengano utilizzate in modo che la persona si alleni a utilizzare un pensiero creativo.
De Bono per “creatività” intende cambiare l’abituale modo di percepire l’informazione che deriva
dall’ambiente, cambiare cioè gli abitudinari schemi di pensiero con cui percepiamo la realtà. Quindi
secondo De Bono gli schemi di riferimento che noi abbiamo e che nascono dall’esperienza consistono nelle
abitudini che accumuliamo e che ci permettono di incasellare le diverse informazioni della realtà. Mentre, il
pensiero creativo e in particolare il pensiero laterale, riguarda il trovare modi per scardinare e cambiare
punto di vista, riguarda il cambiare le percezioni che si sono sedimentate nel tempo, trovare qualche
punto di vista inusuale per fare emergere in me nuove idee.
La visione di De Bono in questo libro è che la creatività e il pensiero creativo vengono fatti coincidere con
un pensiero che è in grado di modificare le nostre percezioni e dunque in grado di cambiare punto di vista
nel momento in cui leggiamo la realtà. Secondo De Bono il cervello umano, una volta che si trovano
davanti la realtà, cercano di leggerla secondo dei modelli preesistenti.
Dunque De Bono si interroga inizialmente sulla necessità della creatività.
Gli esempi nell’introduzione trattano diverse situazioni, uno dei quali riguarda una situazione che non può
essere risolta con i metodi tradizionali: lo scenario è quello di un’azienda legata al campo della pesca in cui
viene lavorato il tonno e in cui si è visto che, nel momento della sua lavorazione, rimane sempre uno scarto
che però potrebbe essere ancora venduto. Come fare per ridurre questo spreco di tonno? Secondo De
Bono non si tratta solo di aumentare la produzione, ma di aumentare il numero degli operai: i costi saranno
superiori perché aumento la forza lavoro, ma avrò il recupero di tutti gli sprechi e dunque aumenterà la
produzione dell’azienda, coprendo quei costi.
Quello che vuole dirci con questo esempio è che generalmente la creatività risulta necessaria quando c’è
un problema nuovo da risolvere per il quale non troviamo una via d’uscita tramite i metodi tradizionali.
Un altro esempio portato da De Bono riguarda una situazione in cui, anche se non ci sono problemi da
risolvere, nasce un’idea nuova che può portarci dei vantaggi o dei benefici. L’esempio riguarda una
compagnia di assicurazioni sulla vita che prevedeva, al momento della morte dell’intestatario della polizza,
fossero gli eredi a ricevere l’indennità di questa assicurazione. In questo caso non c’è necessità di trovare
un’idea diversa da quella che si attua già nella pratica, ma l’idea che è venuta al fondatore della compagnia
è quella di riversare una parte di indennità dell’assicurazione nel momento in cui l’intestatario è ancora in
vita, così che possa trarne beneficio per il 70% sin da subito. Quello che è innovativo è dare una quota di
questa assicurazione quando il soggetto è in vita e comunque ha a che fare con un male incurabile o ha
bisogno di cure, offrendo un beneficio al soggetto.
Altra situazione in cui può essere funzionale utilizzare la creatività è nei casi di miglioramento: situazioni
in cui non è necessario risolvere un problema ma si tratta di trovare di modi per fare meglio rispetto al
solito, di migliorare lo svolgimento di una determinata mansione.
O ancora la creatività risulta necessaria nella gestione conservativa: si tratta di situazioni in cui la classe
conservativa dirigenziale di una determinata azienda, se è competitiva e continua ad accumulare guadagni
nel proprio campo, generalmente non tende a modificare le cose. Secondo De Bono questa visione è
superata, perché nel momento in cui gli altri competitor risultano essere più competitivi del solito,
mantenere le cose come stanno non è più sufficiente. De Bono parla in particolare del fatto di superare il
concetto di competizione, perché in questo caso vuol dire concorrere insieme in una stessa gara, a favore di
un altro concetto: la surpetizione. Con surpretizione De Bono vuole indicare il superare gli altri facendo
gara a sé stesso, cioè distaccando gli altri. Si tratta di proporre qualcosa da soli, di creare qualcosa di
valore. Viene fatto l’esempio di un auto.
Ci sono altre situazioni in cui è necessaria la creatività nella pratica, non riguarda solo l’ambito aziendale
ma anzi risulta funzionale anche quando bisogna creare un’ipotesi e cioè quando cerchiamo di dare una
spiegazione rispetto a ciò che sta capitando. Creare un’ipotesi è per De Bono un’arma a doppio taglio,
perché nel cercare di dare una spiegazione è possibile che io vada in cerca di prove a sostegno della mia tesi
e che veda quel risultato solo nell’ottica della mia ipotesi. Ecco perché è necessaria la creatività: si tratta di
cambiare punto di vista e prendere in considerazione anche ipotesi alternative.
Inoltre risulta necessaria la creatività anche quando l’azienda sta ricercando l’andamento dell’azienda
rispetto al mercato nel presente, ma per De Bono è possibile anticipare le possibilità future: per poter
superare gli altri e creare qualcosa che effettivamente mi distacca dagli altri e dalla mia posizione attuale,
devo anticipare le tendenze future. Come si fa? Secondo De Bono, se utilizziamo un pensiero creativo e
utilizziamo sistematicamente l’abilità di cambiare il nostro punto di vista, è possibile anticipare scenari
alternativi futuri (sempre con la consapevolezza che si tratta di qualcosa di ipotetico).
L’altra cosa per cui è necessaria la creatività è il possedere delle informazioni, anche questa un’arma a
doppio taglio: maggiori informazioni possiedo in un determinato ambito vuol dire anche che l’informazione
che io ricevo è già inserita dentro determinati schemi mentali. Nella raccolta di informazioni invece si
tratta di trovare metodi alternativi per raccogliere le informazioni che ci servono, metodi che magari ci
facciano risparmiare tempo.
Per far sì che venga compreso il perché è necessario utilizzare la creatività e allenare il pensiero creativo,
dobbiamo anzitutto comprendere cos’è la creatività. Per creatività s’intende un modo alternativo di
vedere le cose, di cambiare il modo abituale con cui percepiamo la realtà.
Dobbiamo anzitutto raccogliere e modificare tutte le concezioni sbagliate rispetto alla creatività. In primo
luogo il fatto che la creatività sia frutto di un talento naturale: se lo fosse, non avrebbe senso l’esistenza di
tecniche che allenano le persone ad essere creative. È chiaro che ci siano persone più o meno dotate di
abilità creative, ma tutti le possediamo. L’altra errata concezione riguarda l’idea che la creatività sia
propria dei ribelli perché si tratta di pensare fuori dagli schemi. Se effettivamente l’impegno delle aziende è
quello di allenare le persone ad essere creativo e questo è un obiettivo, anche le persone che di solito solo
ligie alle regole del gioco e non si ribellano, se l’obiettivo è quello di intraprendere una performance
creativa, allora anche le persone più conservatrici si adatteranno alle regole aziendali sulla creatività. Altra
concezione sbagliata è la distinzione totale dei due emisferi: ci sono compiti e funzioni che effettivamente
appartengono a uno dei due emisferi (per le persone destrimane l’emisfero volto al linguaggio, alla
matematica, al simbolico, è l’emisfero sinistro; mentre l’emisfero destro è legato a immaginazione,
creatività, ecc. Per i mancini è in contrario), ma se noi accettiamo che la definizione di creatività è quella di
cambiare la percezione e la lettura della realtà, allora non possiamo affermare che essa sia unicamente
prerogativa di un emisfero. Altra concezione errata è il considerare la creatività come sinonimo di arte:
non è prerogativa di ogni artista essere sempre creativo, es. il fatto che ogni artista ha il suo proprio stile a
cui si attiene. Altro aspetto fuorviante della creatività è quello per cui si ritiene di essere completamente
liberi da ogni vincolo, disinibiti: uno spazio allargato senza vincoli non produce necessariamente un’idea
creativa.
Un’altra concezione errata legata alla creatività riguarda l’intuizione, in questo caso De Bono fa
riferimento al fatto che ci possano essere due significati dell’intuizione: intuizione come perspicacia, es.
quando dobbiamo comprendere una battuta umoristica, e intuizione di quando ci sentiamo
particolarmente confidenti in un determinati ambito (es. quando diciamo che a pelle sentiamo come
andrà una cosa senza darne una spiegazione ragionevole). Ma la creatività non può essere unicamente
frutto dell’intuizione o di un’illuminazione, perché altrimenti non potrei andare ad allenarla. Secondo De
Bono c’è una parte legata all’intuizione, ma c’è una grossa parte legata al lavorio mentale consapevole.
Altra errata concezione è che le idee creative nascano casualmente, è vero che ci sono stati casi in cui si è
arrivati alla scoperta di qualcosa casualmente (es. Fleming con la penicillina), ma non possiamo pensare che
si arrivi a qualcosa di creativo unicamente per casi fortuiti. In questo caso bisogna infatti distinguere tra
una creatività a piccoli passi (tipica dei progressivi miglioramenti al fine di arrivare ad un’idea) e una
creatività a grandi salti (quando c’è un cambiamento radicale di schema di riferimento).
La creatività nasce in gruppo o in un singolo individuo? In entrambi, basti vedere come accade nel
brainstorming e com’è accaduto invece per Fleming.
L’ultimo rapporto che prende in considerazione De Bono è quello tra intelligenza e creatività: non è detto
che la persona più intelligente, l’abile pensatore allenato con la logica, sia anche il più creativo.
Lezione 6
Abbiamo iniziato a parlare di creatività e dei motivi per cui, secondo De Bono, si è parlato ancora poco della
creatività e delle tecniche per allenare il pensiero creativo.
Abbiamo visto la necessità pratica della creatività e le sue errate concezioni. Ora vediamo le fonti della
creatività:
- la creatività può nascere dall’innocenza, è la classica creatività dei bambini. A volte è necessario cambiare
il punto di vista liberandoci dalle informazioni e dai metodi tradizionali, perché avere molteplici
informazioni e leggere la realtà secondo schemi già precostituiti derivanti dal nostro bagaglio di esperienza
può portare a rimanere dentro il nostro tradizionale modo di fare le cose. Secondo De Bono dobbiamo
guardare il mondo con l’innocenza dei bambini. È possibile applicare questo principio nel momento in cui ci
troviamo di fronte ad un problema di cui nono conosciamo né il modo in cui è stato impostato, né la sua
soluzione, né i concetti adottati. In questo modo, guardando al problema ex novo, è possibile arrivare ad
una soluzione originale.
Dare una rappresentazione alternativa del problema significa liberarci dai vincoli (es. schemi dati dalle
nostre esperienze passate) per suggerire un’impostazione originale, significa affrontare i problemi senza
pregiudizi. De Bono suggerisce di guardare all’esterno del solo ambito del problema per cercare nuove idee
- la creatività può nascere dall’esperienza, una creatività a basso rischio che sfrutta i successi passati.
Si compone di tre livelli: è anzitutto un’operazione di abbellimento, di rendere nuova un’idea che ha
funzionato in passato ma aggiungendo qualche modifica; il secondo campo di applicazione è l’imitazione, la
clonazione e il rifacimento dei prodotti (es. il film Rocky ha avuto successo, perché non fare anche il 2 e il 3?
Sfrutto il successo del primo film); e infine è un’operazione di scomponimento e ricomposizione (ho un
risultato nuovo ma con elementi combinati diversamente rispetto a un precedente successo).
- la creatività può nascere dalla motivazione, dobbiamo essere motivati, disposti a dedicare qualche ora
settimanale per cercare un modo di migliorare e di fare le cose. La motivazione è la spina dorsale del
processo, si tratta di cercare alternative, di sperimentare e di affaccendarsi per trovare nuove idee.
- la creatività può nascere dal giudizio finalizzato, è la creatività del fotografo. De Bono per spiegarsi fa due
esempi: un pittore e un fotografo: quando il pittore deve creare la sua opera, ha davanti una tavolozza
bianca e dei colori per rappresentare la scena che ha in mente; mentre al fotografo la scena si presenta già
davanti. Entrambi i lavori possono essere creativi, per De Bono può esserci fonte di creatività nel momento
in cui cogliamo il potenziale creativo di una determinata idea, che magari potrebbe nascere da altri. Infatti
la creatività del giudizio finalizzato non origina idee nuove, ma ne riconosce il valore potenziale, riesce a
cogliere un’idea e attuarla. È la capacità di apprezzare il valore di un’idea.
- la creatività può nascere a caso, da avvenimenti fortuiti, errori e pazzia, per cui in un certo momento si
verifica qualcosa che non poteva essere previsto, il pensiero prende una direzione diversa e si scopre
qualcosa di nuovo (es. penicillina). Gli sbagli e le anomalie possono far scattare idee nuove e intuizioni.
- la creatività può nascere dallo stile, ovvero una fonte apparente di creatività. È la creazione di prodotti
nuovi che sono tali perché rispecchiano i nuovi canoni stilistici.
- la creatività può nascere dalla liberazione dalle remore e dalle inibizioni tradizionali, dall’apprezzamento
dei nuovi valori
- la creatività può nascere dal pensiero laterale, sono le tecniche di allenamento volte ad allenare il
pensiero creativo, l’uso sistematico di tecniche per generare nuove idee creative.
Lezione 7
Pensiero laterale
Con l’espressione pensiero laterale si intende la capacità di risolvere problemi con metodi non ortodossi
o apparentemente illogici (illogici se noi pensiamo che il pensiero tradizionale deriva dalla logica).
Il pensiero laterale inoltre, a differenza del pensiero tradizionale (pensiero verticale) che si sviluppa in
modo sequenziale, si sposta «di traverso» alla ricerca di nuove percezioni, nuovi modi di affrontare le
questioni (non segue una successione logica di stadi).
La distinzione tra pensiero laterale e pensiero verticale secondo De Bono è che il pensiero verticale è il
pensiero tipico della logica, (porta l’esempio dello scavare una buca: il pensiero verticale inizia lo scavo
dall’alto fino ad arrivare ad una buca profonda, mentre il pensiero laterale non scaverebbe la buca nello
stesso punto in cui era stata iniziata ma si sposterebbe lateralmente, cerca strade alternative). La
caratteristica del pensiero verticale è che il punto in cui ci si trova è derivato logicamente dallo stadio
precedente, fino all’affermazione finale. Secondo De Bono il pensiero laterale invece esplora alternative
possibili di soluzione, punti di vista differenti che non sono derivati l’uno dall’altro ma sono indipendenti.
De Bono distingue tra mondo fisico e mondo fenomenico, nel quale le cose possono essere diverse da come
è la costruzione dello stimolo fisico. Quindi secondo De Bono è il caso di agire sulla percezione, sul modo in
cui noi percepiamo i concetti e la realtà. E quindi cambiare punto di vista, cambiare modo di percepire la
realtà per creare concetti differenti.
Un’altra differenza secondo De Bono deriva dal fatto che generalmente, nel pensiero verticale, siamo
abituati ad una sorta di verità: ci interessiamo a ciò che è, ammettiamo l’esistenza quindi delle
affermazioni che ne derivano perché miriamo a qualcosa di stabile e vero. Mentre invece nel pensiero
verticale, dice De Bono, si tratta di esplorare alternative che sono possibili. Il pensiero laterale si
interessa alle possibilità, a ciò che potrebbe essere. In questo senso parla di logica sfumata del pensiero
laterale, in quanto non esistono confini netti tra verità ed errore.
Dunque il fine ultimo del pensiero laterale è quello di modificare i concetti e le percezioni. La modifica dei
concetti e dei punti di vista, risulta essere la base della creatività.
Percezione ed elaborazione
Per De Bono se dobbiamo essere creativi e dunque modificare il nostro punto di vista, non dobbiamo agire
solamente sull’elaborazione delle informazioni, perché nel momento in cui lo facciamo, le informazioni
sono già pre-codificate e cioè derivano già da un processo precedente che è il processo percettivo (es.
siamo in cucina e abbiamo tutti gli ingredienti disponibili per preparare una cena. Il processo
dell’elaborazione consiste nel prendere questi ingredienti, combinarli insieme e farne dei piatti. Il processo
di percezione però arriva a monte: sta nella selezione dei prodotti ai supermercato). Il materiale della
percezione è quello precedente all’elaborazione.
Prima di tutto abbiamo la percezione degli stimoli tramite i nostri organi sensoriali, poi avviene il
processo di elaborazione delle informazioni. Per agire creativamente e fare in modo di modificare i nostri
concetti e i nostri punti di vista, dobbiamo agire sul processo percettivo, ovvero quel processo tramite il
quale produciamo i materiali che vengono poi elaborati.
La creatività per De Bono si manifesta nella fase percettiva del pensiero, dove si formano i nostri concetti.
C’è infatti uno stretto legame tra pensiero laterale e pensiero percettivo, perché è proprio dove si
formano le esperienze che dobbiamo agire per vedere se ci sono diverse alternative e diversi modi di
percepire le cose.
La percezione non ci mostra la realtà così com’è, generalmente noi la percepiamo attraverso schemi
costruiti nel corso di una sequenza temporale particolare di esperienze. La mente umana cioè, forma le
proprie percezioni a seconda del modo particolare in cui si sceglie di osservare il mondo.
Secondo De Bono il modo in cui percepiamo la realtà determina la nostra azione e la nostra scelta, che
risulta essere coerente con i nostri limiti percettivi.
De Bono prosegue poi facendo due paragoni. Introduce il concetto di logica acquea (percezione) e logica
rocciosa (elaborazione):
- la logica della percezione è acquea perché sfumata, in cui possono compenetrarsi diverse possibilità
(allo stesso modo le nostre percezioni dipendono dai nostri stati affettivi, dalle nostre emozioni. La
percezione per De Bono cambia dal contesto). La percezione dunque si costruisce a strati, ma non sono
strati separati tra di loro: è calzante il paragone con l’acqua perché se in un vaso con dell’acqua ne
aggiungiamo dell’altra, si compenetrano, non le distinguiamo. I vari strati finiscono così per formare
un’unica percezione totale. Mira ad una realtà che è in continuo divenire, in continuo movimento;
- la logica dell’elaborazione è invece una logica rocciosa, in cui si mira ad una realtà stabile (se ad una
roccia ne sovrapponiamo un’altra non si compenetrano, stanno una sopra l’altra). Attraverso le parole,
quindi attraverso la logica dell’elaborazione da una realtà stabile, si descrive una situazione attuale che non
può essere mutata (le parole non ne cambiano il significato).
Pertanto, per De Bono, è necessario rendersi conto della fluidità delle percezioni e della possibile di
averne di multiple. E poi, alla fine del pensiero creativo, dobbiamo ritornare al mondo della logica
rocciosa per presentare idee solide, fattibili e di provata validità.
Il progetto e l’analisi
Un passo ulteriore rispetto al processo creativo riguarda due processi che sono tra loro non solo in
antitesi, ma che si compenetrano: il progetto e l’analisi.
Secondo De Bono molta attenzione è stata dedicata al processo di analisi, perché è quello che di solito ci
permette di scomporre eventuali situazioni complesse e ricondurre gli elementi di cui si compongono le
varie situazioni in elementi accessibili. Per De Bono è pero necessario concentrarsi anche sul processo del
suo progetto: dobbiamo progettare un’azione per arrivare a qualcosa di finalizzato. Non è detto che
l’analisi e lo scomponimento delle situazioni complesse ci porti alla risoluzione dei problemi, es. ci sono
problemi in cui non è possibile eliminare la causa. Questi progetti non possono essere risolti con l’analisi
ma con un progetto sul modo di procedere.
La progettazione deve ricorrere anche alla creatività per proporre concetti possibili e modificarne le
situazioni esistenti.
Con progetto si intendono tutte quelle situazioni in cui combiniamo un tutto unico degli elementi per
ottenere un certo risultato.
Come l’azione, il progetto è sempre finalizzato (ci proponiamo di realizzare qualcosa).
Per De Bono è quindi necessario bilanciare questi due strumenti, l’analisi e il progetto: è vero che si tratta
di scomporre le situazioni complesse in elementi semplici, ma possiamo anche assemblarli in forma non
additiva bensì in modo diverso per creare un concetto nuovo.
Nel progetto, dal momento che si tratta di creare un nuovo modo di procedere, dobbiamo prendere in
considerazione il fatto che si possano scoprire delle relazioni che possono essere possibili, mentre
nell’analisi si cerca di arrivare ad una relazione che già c’è (andiamo ad analizzare le diverse relazioni che
intercorrono tra le diverse parti).
Ci sono diversi metodi di progettazione, il primo dei quali è il determinare in partenza le diverse
specifiche per poi dare forma ad un nuovo concetto/prodotto che le rispetti. Un secondo metodo
consiste nello sviluppare nuovi concetti creativi e originali e poi vedere come dare loro forma in modo da
adattarli alle specifiche (è il processo inverso).
De Bono passa a considerare quali sono le applicazioni pratiche del pensiero creativo: dove può trovare
un fondamento? Dove può applicarsi?
Dal momento che si tratta di cambiare il modo tradizionale di pensare e agire, una prima azione di questo
processo creativo può essere un’azione di miglioramento. E cioè: noi decidiamo di cambiare qualcosa
perché crediamo di fare meglio le cose rispetto a come facevamo prima.
De Bono definisce anzitutto cosa si intenda per miglioramento: può essere un miglioramento strategico
del metodo di lavoro in termini di riduzione di tempi, più economica, più agevole; può essere un
miglioramento che riduca meno inquinamento, meno errori, meno quantità di energia, ecc.; può essere
migliore rispetto al lavoro più efficiente e con meno sprechi, come più semplice, ecc. Può dunque essere un
miglioramento qualitativo e/o quantitativo per il lavoratore. Vediamo il metodo tradizionale come avente
dei difetti e vogliamo migliorarlo.
Quindi per De Bono è necessario un miglioramento continuo della qualità totale, una predisposizione a
migliorare e correggere tutti gli aspetti di ciò che stiamo facendo. Anche e soprattutto quando non ci
sono particolari problemi è possibile ricorrere al pensiero creativo, è la capacità di esaminare un metodo
e pensare che esista la possibilità di migliorarne l’esecuzione.
Un’altra applicazione del pensiero creativo è la soluzione dei problemi, per cui nel momento in cui i
metodi tradizionali non funzionano è possibile trovare una diversa alternativa.
Nella risoluzione del problema il primo passo è la definizione del problema stesso e delle possibili
alternative, alcune di massima e altre più specifiche. Ci sono anche problemi che siamo noi stessi a porci, ci
fissiamo dei compiti: è il pensiero realizzante, ovvero quando ci siamo posti il compito e sappiamo dove
vogliamo arrivare. Ciò che non conosciamo sono i mezzi, ecco che dobbiamo utilizzare il pensiero creativo
per costruire delle strategie e raggiungere l’obiettivo.
Valore e opportunità
Un’altra modalità di applicazione del pensiero creativo è quello di utilizzarlo come mezzo per creare
valore o progettare delle opportunità. È la necessità di passare dal concetto di competizione a quello di
surpetizione e di creare valori esclusivi a cui tutti gli altri ancora non sono arrivati: secondo De Bono, per
creare valori integrati proposti dal concetto di surpetizione, è necessario utilizzare un processo creativo
affinché possa realizzarsi il concetto di surpetizione (= fare gara a sé stante, distaccando tutti gli avversari).
Per progettare nuove opportunità è necessario pensare in maniera creativa.
Il futuro
Un altro metodo di applicazione è il futuro. Per progettare il futuro dobbiamo fare ricorso al pensiero
creativo, dobbiamo pensare alle possibili alternative che potrebbero presentarsi in futuro ed essere
quindi preparati alle conseguenze delle nostre azioni (non sappiamo se accadranno, ma dobbiamo essere
flessibilmente preparati al futuro).
Il pensiero creativo ci dà un’idea di come sarà il futuro in cui dovremo operare (es. quando ho scelto di
iscrivermi a filosofia avevo formulato delle strategie per il futuro).
La motivazione
Lezione 8
Oggi vediamo le tecniche che De Bono propone per allenare il pensiero laterale.
Uno metodi che De Bono propone per allenare il pensiero a trovare metodi alternativi rispetto al
tradizionale, è quello dei sei cappelli per pensare.
I sei cappelli per pensare sono differenti modalità di pensiero: attraverso questo metodo invita le persone
ad utilizzare diverse modalità di pensiero, diverse strategie per vedere le cose diversamente. De Bono
identifica i 6 cappelli per pensare con colori differenti:
- il primo cappello che presenta è il cappello bianco, riconducibile per De Bono alla carta bianca ovvero a
qualcosa di neutrale. Quando ci troviamo di fronte ad un foglio bianco generalmente non sappiamo
cos’abbiamo davanti bensì usiamo la carta per trasmetter dati e informazioni. Quindi, al pari della carta
bianca, quando noi utilizziamo il cappello bianco dobbiamo assumere un atteggiamento neutrale.
Dobbiamo raccogliere le informazioni che abbiamo a disposizione per quella determinata situazione.
Esempi di domande che possiamo porci di fronte al cappello bianco sono es.: che tipo di informazioni
abbiamo? Quali mancano? Come possiamo procurarci le mancanti? Quali sarebbero utili in questa
situazione? È un atteggiamento di assoluta neutralità e presa in atto delle informazioni.
- il cappello rosso invece fa riferimento alla possibilità di esporre pubblicamente le proprie emozioni,
intuizioni e sensazioni che possono derivare dal fatto di essere molto esperti in un determinato ambito. È
il caso delle intuizioni basate sulle emozioni (il “sesto senso”): sento che questa cosa andrà in un
determinato modo ma non riesco a spiegare razionalmente il perché.
- il cappello nero è quello della razionalità, del giudice che indossa la toga nera. In questo caso entra in
campo la ragionevolezza, il fatto che dobbiamo dare un giudizio critico rispetto alle idee che ci vengono in
mente, per evitare di commettere sbagli. È il cappello del rigore.
- il cappello giallo è indice di ottimismo, del sole, della luce. Si tratta in questo caso di vagliare tutti gli
elementi positivi di un’idea nuova e alternativa, annoverarne tutti i possibili vantaggi.
- il cappello verde, tipico della creatività e del pensiero laterale. Lo indossano le persone che tipicamente
propongono una visione alternativa alle idee tradizionali.
- il cappello blu è un giudice che controlla il processo di pensiero, una sorta di meta-pensiero. È quello che
si esprime quando esplicitiamo determinati passaggi a voce (es. quando diciamo “stavo ragionando a voce
alta”). È un vedersi pensare, un vedere se il pensiero sta procedendo nel verso giusto; un vedere se il
processo creativo sta arrivando a compimento e scegliere l’azione giusta da intraprendere per dirottare il
processo creativo.
Dunque con il cappello verde indaghiamo le possibili idee alternative, con il cappello giallo ne valutiamo i
vantaggi e con quello nero gli svantaggi. Con il cappello rosso invece, valutiamo se quest’idea, a
sentimento, può essere funzionale. Con il cappello bianco raccogliamo tutte le possibili informazioni che
ci servono per sviluppare un’idea nuova.
I sei cappelli sono diverse modalità di pensiero.
Quali sono i vantaggi di questo metodo? Secondo De Bono, quando si tratta di discutere in ambito
organizzativo, troviamo generalmente due o più fazioni di pensiero e ognuna di esse cerca di far valere la
propria posizione mettendone in luce i vantaggi e cercando di screditare l’altra evidenziandone gli
svantaggi. Questo è per De Bono uno spreco di tempo che non porta a nulla, è un dibattito sterile in cui
ognuno continuerà a difendere la propria posizione. Mentre, utilizzando il metodo dei sei cappelli da
indossare e cioè utilizzando diversi stili di pensiero, si riescono ad intrattenere discussioni più produttive
riuscendo a vedere i vantaggi anche dell’altra fazione e apprezzandone le idee.
Questo metodo risulta, per De Bono, essere più efficace nel momento in cui viene interpretato come
gioco. È uno sperimentare modalità nuove di pensare a seconda del cappello che viene indossato,
acquisendo un po’ alla volta una propensione a sperimentare altre modalità di pensiero.
Esiste una sequenza per indossare i vari cappelli? No, però chiaramente es. il cappello nero è preferibile
indossarlo alla fine e non all’inizio, e il cappello rosso in seguito per mitigare le critiche e rilanciare con
un’altra idea.
Pausa creativa
Un altro metodo che presenta De Bono è quello della pausa creativa: si tratta di arrestare il flusso
tradizionale del pensiero e di fare una pausa per concentrarsi su ciò che si ritiene più opportuno. È
apparentemente semplice, ma richiede in realtà lo sforzo di non seguire i propri pensieri per intravedere
e concentrarsi su qualcosa che non si è visto prima.
Anziché ricompensare i risultati creativi è più ragionevole premiare lo sforzo e l’impegno creativo, perché
non si può pretendere che una persona abbia sempre un’idea creativa, ma si può pretendere che ci sia
uno sforzo creativo. Se c’è l’impegno prima o poi arriveranno anche i risultati, nel frattempo avere una
ricompensa incentiva ulteriormente ad impegnarsi i questo processo.
Serve una notevole disciplina mentale per interrompere il flusso uniforme dei nostri pensieri con una
pausa creativa, deve infatti esserci una qualche motivazione perché la pausa creativa è un processo
intenzionale.
Lo scopo della pausa creativa è prestare attenzione a qualcosa e fissarselo bene in mente. Con l’aumento
delle nostre capacità di pensare creativamente anche con una breve pausa si scoprono sistemi migliori di
operare. La pausa non dovrebbe essere lunga. È sufficiente fermarsi a riflettere e lasciare vagare la mente
in libertà per un breve lasso di tempo e poi riprendere il corso dei propri pensieri.
La pausa creativa è un’abitudine mentale pro-attiva: una breve pausa nel corso dei nostri pensieri «Voglio
osservare questo aspetto»; «Voglio prestare attenzione a quello». È un metodo per sviluppare
un’attitudine creativa in un’abitudine, è un investimento in creatività e nello sviluppo di capacità
creative. E perciò anche se non produce un’idea creativa nuova, ha comunque valore in sé.
La focalizzazione
Altro metodo è la focalizzazione. È simile alla pausa creativa, ma a differenza di essa che è una disponibilità
della persona ad impegnarsi ad arrestare il flusso dei propri pensieri e lasciar vagare la propria mente, la
focalizzazione prevede che la persona liberamente scelga di impegnarsi a concentrarsi su un punto che
nessun altro aveva preso in considerazione. Se nella pausa creativa non abbiamo un focus preciso di
attenzione, nella focalizzazione l’obiettivo su cui concentrarsi è definito e preciso.
Ci fermiamo su quel determinato punto perché es. riteniamo che debba essere migliorato. La focalizzazione
può prendere in esame un ambito ampio ma anche una serie di piccole operazioni. Non ci sono limiti sui
punti su cui focalizzarci.
Ci sono diversi modi di procedere della focalizzazione: si può prendere semplicemente nota del problema
su cui si è fissata l’attenzione per esaminarlo in futuro e preparazione di un elenco di tutti i possibili punti
su cui focalizzarsi come applicazione del pensiero creativo. Si può fare un tentativo preliminare di
generare alcune alternative e idee. Se vengono alla mente idee interessanti si può approfondirne l’esame
più seriamente. O ancora impegnarsi seriamente per generare idee concentrando il focus su un’area ben
definita.
Lezione 9
Sfida creativa
Nella sfida creativa dobbiamo trovare la risposta al perché facciamo le cose in un determinato modo, ciò
permette di mettere in luce quali sono le ragioni di fondo e scoprire se a fondamento ci sia una negligenza:
es. l’unica ragione per cui si fa ancora così è perché nessuno si è interessato alla procedura per migliorarla.
O ancora per adeguamento alla tradizione e ai legami “perché si fa così e basta”.
Un altro motivo è la presenza di una sorta di continuità dovuta alla successione temporale: l’esperienza
passata ha cristallizzato determinate procedure e questo ha mantenuto lo stesso metodo di fare le cose.
Dunque secondo De Bono, il proporre una sfida creativa permette al pensatore di liberare la mente da
eventuali vincoli che impediscono di vedere altri metodi alternativi.
Perché dobbiamo cambiare il metodo tradizione se quello funziona? Perché se certi concetti valevano un
tempo, ora potrebbero non avere più il loro valore e questo può dipendere da diversi elementi
cambiamenti di tipo tecnologico, ambientale, ecc.
Ma non si tratta solo di mettere in dubbio il concetto di fondo, si può andare ad intaccare anche solo il
modo di procedere, l’idea.
Possiamo cioè sfidare il concetto sottostante per proporne uno nuovo, o il modo di procedere e cioè
quegli schemi mentali di riferimento che ci limitano. Questo vale anche per i singoli fattori che vincolano
le nostre scelte (es. della scelta del vestito di laurea, escludiamo il pigiama, il bikini, ecc. per alcuni fattori
che delimitano le nostre scelte) e per i presupposti di fondo che vincolano la nostra azione.
Altro vincolo che abbiamo sono i vincoli stessi, che delimitano il nostro pensiero e la nostra azione. Così
anche per i fattori essenziali (es. la sicurezza è un fattore essenziale per il viaggio in aereo, per cui la
soluzione deve soddisfare quel vincolo). L’opposto dei fattori imprescindibili sono i fattori da evitare.
Tutti questi sono per De Bono fattori da sfidare, quelli che vincolano il nostro pensiero.
* Dopo la pausa ha spiegato come vuole che prepariamo l’articolo a scelta per l’esame e la parte
bibliografica, circa min 50
Una volta sfidati i metodi tradizionali di fare le cose e dunque una volta che ci siamo focalizzati su un
determinato ambito o abbiamo deciso di arrestare il flusso dei nostri pensieri, lo scopo ultimo è quello di
andare alla ricerca di metodi alternativi di procedere.
Fondamentalmente, per De Bono, la creatività coincide con la ricerca di alternative: si tratta di uscire
dagli abituali schemi di pensiero. Il fatto di cercare alternative però, risulta qualcosa di poco usuale nel
nostro modo di pensare perché generalmente andiamo alla ricerca di alternative quando ci troviamo di
fronte ad un problema da risolvere, non quando le cose vanno bene così come sono. In realtà, secondo De
Bono, dobbiamo farlo anche in assenza di difetti. Come possiamo fare per ricercarle? Ci sono delle
alternative che sono già disponibili (es. quando al ristorante e apriamo il menù), alle quali possiamo
comunque aggiungere qualcosa (es. chiedo un piatto proposto ma con l’aggiunta di qualcosa) e quindi
creare una nuova alternativa tramite il metodo dell’analisi. In altri casi non abbiamo alternative così
disponibili (es. lo scout in mezzo al bosco che deve accendere un fuoco) e quindi siamo noi a doverci
impegnare creativamente tramite il metodo della progettazione, dobbiamo cioè ideare noi stessi
l’alternativa.
La ricerca delle alternative deve partire da un punto fisso, il punto di riferimento che delimita il campo
entro il quale cercare le alternative.
Quali possono essere i punti fissi? Il primo punto fisso è lo scopo (es. cerco un metodo per velocizzare la
lavorazione del vino), il secondo l’appartenenza ad un gruppo (voglio mangiare un frutto ma ho solo la
mela, ne vorrei uno diverso. Andrò a cercare l’alternativa sempre tra la frutta e non es. nel gruppo delle
carni). Un punto fisso può essere stabilito anche per affinità (vado a cercare qualcosa che somiglia
all’oggetto che mi serve), o ancora un punto fisso può essere un concetto.
Lezione 10
Siamo arrivati a vedere quali sono le tecniche che De Bono propone per allenare il pensiero laterale.
Si tratta di un uso sistematico, un allenamento. Ciò significa che in questo caso le tecniche, nel momento
della formazione, vengono utilizzate in maniera consapevole.
Quando parliamo di pensiero laterale facciamo riferimento alla ricerca di alternative e di legami nuovi
dove di solito non li troviamo. Nel farlo possiamo servirci di diversi metodi, uno di questi è la sfida e il
non dare per scontato che il metodo che utilizziamo normalmente per compiere una procedura sia il
migliore. Non dobbiamo accontentarci ma dobbiamo cercare un metodo diverso.
Una proposta di De Bono è quella di usare la sfida creativa: individuare le ragioni di fondo che sostengono
una metodologia e sfidarne i fattori sottostanti. Sfidare i metodi significa poi cercarne degli altri
alternativi. Come lo facciamo? Dove le cerchiamo? Dobbiamo individuare un punto fisso dal quale partire.
De Bono distingue tra concetti e idee, dove il concetto è qualcosa di generale e sottostante all’idea, che è
invece l’atto pratico del concetto. Tutti i punti fissi sono concetti. Partendo da un’idea arriviamo al
concetto da cui essa trae origine e poi cerchiamo altri modi per realizzare questo concetto. L’idea è la
descrizione del modo pratico di fare qualcosa.
Ventaglio di concetti
Un ventaglio di concetti è una tecnica per raggiungere uno scopo a cui mira il nostro pensiero e che si
trova all’estremità del ventaglio.
Abbiamo inizialmente delle cose molto specifiche che sono i metodi di applicazione ovvero le idee; a livello
intermedio abbiamo dei concetti; al lato estremo abbiamo i concetti generali, che includono lo scopo finale
della nostra azione.
Come funziona il ventaglio:
- possiamo partire da un’idea e arrivare a un concetto che diventa il punto fisso per altre idee;
- possiamo partire da un concetto, generare un concetto più ampio e questo diventa il punto fisso per
concetti alternativi; ciascuno dei quali diventa a propria volta un punto fisso per altre idee.
- possiamo partire dallo scopo e procedere a ritroso, arrivando ai concetti generali e alle direzioni che ci
portano all’obiettivo.
Ciascun concetto generale o direzione può diventare il punto fisso per trovare concetti alternativi e
descrive un modo per raggiungere una delle direzioni. Ciascun concetto diventa inoltre a sua volta un
punto fisso per il livello successivo e per ciascun concetto cerchiamo, ora, metodi alternativi per la sua
realizzazione pratica.
Abbiamo distinto diversi livelli di astrazione: abbiamo un’astrazione generale che è definita dallo scopo,
abbiamo poi concetti a livello di astrazione intermedia e infine le idee che sono il livello più pratico.
Possiamo generare diversi concetti che hanno livelli di astrazione differenti: possiamo generare alternative
pratiche o livelli di astrazione intermedi.
De Bono, nel momento in cui dobbiamo cercare delle alternative rispetto al punto fisso, dobbiamo avere
uno scopo, un punto di riferimento che può essere generale o specifico. Abbiamo:
- direzioni, i concetti più generali che danno indicazioni di massima;
- concetti, ovvero i metodi generali di fare qualcosa;
- idee, i modi pratici specifici per realizzare un concetto.
Per costruire un ventaglio di concetti si può partire dallo scopo e poi procedere a ritroso passando dalle
direzioni ai concetti per arrivare alla fine a elencare tutte le idee alternative.
Se ci viene invece in mente un’idea (o anche un concetto) possiamo risalire a monte domandovi come
quell’idea possa essere di aiuto. A cosa mi serve quell’idea?
Se mi viene in mente una direzione (o un concetto) posso scendere a valle domandandomi in che modo si
possa realizzare questa soluzione.
Da qualunque punto si parta si riuscirà sempre a costruire gradualmente un ventaglio di concetti.
Qual è lo scopo del ventaglio di concetti? Il ventaglio di concetti ha lo scopo di fornire una metodologia
per generare idee alternative mediante una successione di punti fissi e può anche fornire nuovi punti su
cui concentrare l’attenzione.
Il ventaglio di concetti è un modo di procedere a rovescio partendo dall’obiettivo per individuare strade
alternative per raggiungere quell’obiettivo.
Quando cerchiamo alternative vogliamo scoprire idee utili e che abbiamo un preciso valore, mentre nel
caso delle alternative provocatorie, generalmente andiamo a proporre un’alternativa sotto forma di una
provocazione ma senza avere in testa quale possa essere la sua utilità (es. quando beviamo un succo
d’arancia siamo noi l’attore, per essere una provocazione è: il succo d’arancia beve noi. È una provocazione
perché razionalmente sembra una follia, mentre si tratta di accogliere la provocazione e indagare sulle
possibili conseguenze).
I concetti
La capacità di formulare concetti astratti è alla base della facoltà raziocinante dell’uomo. Abbiamo visto
che ne esistono diversi livelli.
In qualsiasi cosa noi facciamo, in qualsiasi attività intraprendiamo, è implicito un concetto.
Esistono concetti generali che si possono includere nel concetto di qualsiasi prodotto o servizio ed
esistono concetti determinati che definiscono esattamente l’aspetto singolare che caratterizza una data
situazione. È sufficiente elaborare diverse versioni dei possibili concetti e poi scegliere quella che si ritiene
maggiormente utile.
Allora come possiamo creare un concetto?
- Concetti relativi allo scopo: si tratta di formulare lo scopo in termini concettuali generici. Cosa cerchiamo
di fare? Qual è lo scopo dell’attività o dell’operazione in esame?
- Concetti relativi al meccanismo: cerchiamo di scoprire quale meccanismo si utilizza o ci si propone di
utilizzare per raggiungere un determinato scopo.
- Concetti relativi al valore: perché questo è utile? Quale valore fornisce? Dov’è il valore?
L’utilità di un concetto è determinata dall’uso che se ne può fare per generare idee o modificare il
concetto stesso.
La provocazione
De Bono parla di alternative provocatorie, ovvero quelle che ci permettono di uscire fuori dai limiti della
ragionevolezza.
La provocazione intenzionale è per De Bono un metodo sistematico che provoca una discontinuità e ci
costringe ad uscire dai limiti della ragionevolezza. Ha il compito di far uscire il pensiero dai limiti tracciati,
già percorsi. È così che le nuove idee nascono per errori, sbagli, incidenti: in questo senso la provocazione
ci fa fare un cammino laterale.
È il modo di pensare che adottiamo quando dobbiamo capire una battuta umoristica: non dobbiamo
fermarci all’interpretazione letterale delle parole, perché altrimenti non la comprendiamo. Dobbiamo
andare oltre e coglierne il significato altro.
Quando facciamo un’affermazione e questa è supportata dalle affermazioni precedenti (es. percorso di
tesi), allora la sua giustificazione deriva da un processo sequenziale. Diversamente, nel caso della
provocazione questo non accade: non è sostanziata da ragioni precedenti. Quando parliamo di validità del
risultato di una provocazione, essa non può mai essere giustificata dal cammino che abbiamo percorso.
La validità dell’affermazione è ex-post, cioè ne giudichiamo la validità e utilità in base alle conseguenze.
Lezione 11
Oggi vediamo come, per De Bono, prima di vedere come si fa ad attuare una provocazione, è necessario
avere gli strumenti per servircene.
La premessa che fa De Bono è che, generalmente, nel momento in cui ci viene presentata un’idea essa non
rimane la medesima e inutilizzata; la nostra capacità è quella di spingerci oltre, di agire sull’idea che ci viene
presentata. Il modo tradizionale di funzionare del cervello è quello di fare in modo, ogni volta che si
presente una situazione, di vedere ci sono corrispondenze rispetto ai modelli che noi abbiamo già
immagazzinato in noi stessi. Questo atteggiamento ci permette anzitutto di attivare una sorta di giudizio
delle idee, nel senso che ci permette di riconoscere tra i vari modelli qual è quello più adeguato
all’informazione in arrivo. E successivamente, se l’esperienza o informazione si discosta dal modello che
abbiamo in mente, il passo è quello di cogliere le incongruenze rispetto ad esso. Ecco in che senso giudizio:
se l’idea/informazione nuova si adatta ai modelli preesistenti la accettiamo, altrimenti non è detto che ciò
avvenga.
La tecnica del movimento richiede di sospendere questa capacità di giudizio, altrimenti non riusciremmo
ad usare la provocazione; la provocazione è di per sé stessa un’affermazione che non si adatta ai modelli
ragionevoli in cui immagazziniamo le cose. Inoltre la provocazione non ha una validità con premesse a
sostegno, ma si ha nelle conseguenze che provoca: lo scopo della provocazione è quello di creare un
nuovo concetto, un metodo alternativo per svolgere le cose. Quindi generalmente l’atto della
provocazione è così: faccio questa affermazione senza alcuno scopo, vediamo cosa succede dopo che l’ho
fatta. Per essere in grado di coglierla dobbiamo sospendere il giudizio.
Dunque il movimento è una tecnica di allenamento del pensiero laterale che ci permette di capire dove
possiamo arrivare partendo dall’idea che noi abbiamo generato e accettato tramite la provocazione. Il
movimento ha lo scopo di progredire da una provocazione fino a portarci ad un’idea e un concetto utile,
che può essere nuovo e valido. Quindi si tratta di prendere l’affermazione e vedere a quali conseguenze
può portare.
Per quanto riguarda il movimento, ci possono essere due atteggiamenti:
- l’atteggiamento mentale generale, per cui generalmente tendiamo a progredire a partire da una
provocazione e vedere quali sono le conseguenze nel momento in cui l’abbiamo accettata. È una
disposizione che si acquisisce nel tempo,
- non viene in maniera automatica: l’altro atteggiamento è dato dalle tecniche per acquisirla.
Le tecniche sistematiche sono 5 e consentono alla mente di muoversi liberamente partendo da una
provocazione o da un’affermazione:
1) Estrarre un principio = si prende la provocazione e si cerca di estrarne il principio, che può essere
principio vero e proprio, concetto, caratteristica, aspetto. Mettersi al lavoro con ciò che avete derivato e
cercate di costruire un’idea utilizzabile partendo da questo principio.
2) Focus sulle differenze = si confronta la provocazione con l’idea attuale o con il metodo utilizzato; si
elencano dettagliatamente i punti di divergenza che vengono poi esplorati per vedere se possono portare a
una nuova idea interessante; focus sulle differenze.
3) Attimo per attimo = immaginiamo di esplorare le conseguenze di una provocazione con l’aiuto della
fantasia, cercando di visualizzare cosa accadrebbe «attimo per attimo». Non ci interessa il risultato finale,
ma ciò che accade attimo per attimo.
4) Aspetti postivi = cercare i vantaggi e gli aspetti positivi di una provocazione.
5) Circostanze = quali sono le circostanze nel cui ambito questa provocazione sarebbe valida
Non devo scegliere una tecnica e scartare le altre, possono usarne molteplici, in base alla provocazione che
ho davanti.
Nel momento in cui adottiamo la tecnica del movimento e dunque andiamo a visualizzare le conseguenze
di una provocazione, ci sono degli elementi da tenere in considerazione per evitare errori o luoghi
comuni. Questi sono:
- Aspetti negativi = con il focus sulle differenze o con la tecnica attimo per attimo possiamo scoprire alcuni
aspetti sicuramente negativi. Occorre osservare gli aspetti negativi e impegnarsi a fondo per superarli e,
prendendo lo spunto da essi, arrivare a un’idea valida.
- Idee vecchie = il movimento ci può portare a idee vecchie e quando questo accade occorre impegnarsi a
fondo per cercare altre strade.
- Punti interessanti = il movimento può portare a scoprire un punto interessante (= che offra possibilità di
sviluppo nel momento in cui accettiamo la provocazione).
- Differenze = vale la pena di esplorare una differenza per vedere se conduce a qualcosa di valido.
- Validità = se scoprite un appunto valido o un preciso vantaggio abbiatene cura e tenetelo prezioso.
In un percorso iniziale di utilizzo a queste tecniche si può far ricorso: non è detto che nasca naturalmente
l’atteggiamento di voler vedere l’idea progredire. Ci si può comunque allenare.
De Bono mette in guardia sui pericoli di questo metodo: quando visualizziamo le conseguenze di una
determinata provocazione, non vediamo solo gli aspetti positivi ma anche quelli negativi e si presenta
quindi il rischio di dare più peso a questi ultimi (è un atteggiamento mentale: l’ignoto fa paura a tutti) e
ricorrere ai vecchi metodi. Altro aspetto negativo da tenere in considerazione è che quando applichiamo
determinate tecniche di movimento, queste potrebbero condurci ad un’idea che è già nota e se qualcosa
già esiste non può essere creativo.
Un pericolo da evitare invece è il girare a vuoto: talvolta il movimento fa solo girare a vuoto, il pensiero ci
riporta sempre a idee stabilite e già percorse.
Predisporre le provocazioni
Vediamo ora come nasce una provocazione, ovvero quell’affermazione che ci permette di fare
osservazioni che ci discostano dalla normalità.
Per De Bono una provocazione verbale può essere intesa come stimolo per la mente: è uno stimolo che ci
permette di deviare dai nostri schemi tradizionali.
Per indicare la provocazione De Bono usa la sigla PO: provocazione operativa.
Le provocazioni nascono:
- involontariamente;
- volontariamente, frutto di atti deliberati e formali.
La provocazione può essere tale non solo per chi la opera, ma possiamo interpretare una determinata
affermazione prodotta da altri come provocazione, anche se in origine la persona in questione non aveva
quell’intenzione. Se la provocazione risulta essere illogica facciamo fatica ad accettarla, tradizionalmente
tendiamo a non accettare qualcosa che non ha un presupposto logico che la sostanzia. Ma l’invito di De
Bono è di essere pronti a trattare qualsiasi idea come una provocazione.
Come si fa a fare un’affermazione provocatoria?
Il primo metodo per De Bono è quello degli atti deliberati: invita le persone a creare qualcosa di originale in
modo volontario.
- Il primo metodo è quella fuga: prendere atto che nelle diverse situazioni ci sono determinate cose che
diamo per scontato, a cui non facciamo caso. Si tratta di individuare quegli elementi che solitamente
diamo per scontati. Il metodo della fuga serve a riesaminare e sconvolgere determinate procedure.
- il secondo metodo è quello della pietra di guado: chi predispone una provocazione deve sentirsi
provocato dalla sua stessa provocazione. Si realizza con più tecniche: con l’inversione, ovvero osservando
il modo normale in cui si fa qualcosa e poi invertire la rotta e procedere nella direzione opposta (es. a
colazione bevo succo d’arancia il succo d’arancia beve me); con l’esagerazione, cioè suggerendo una
misura che si situa molto al di fuori di un intervallo normale (esagerando la situazione fino al suo estremo);
con la distorsione, cioè modificando i normali ordinamenti delle sequenze di avvenimenti o delle relazioni
normali tra le parti; infine con la pia illusione, ovvero a volte la generazione può nascere facendo ricorso
alla fantasia per cui immaginiamo qualcosa di molto difficile da realizzare. De Bono invita a fare uso di
quest’ultimo strumento: se i metodi precedenti fanno riferimento a qualcosa che già esiste, perché si tratta
di invertire o distorcere eventuali rapporti, con il metodo della pia illusione si tratta di cercare qualcosa di
nuovo e fare ricorso alla propria fantasia. Quanto più è fantasiosa, tanto più efficace sarà la provocazione.
L’entrata casuale
Si tratta di Collegare una parola che non ha assolutamente alcun rapporto con l’oggetto del focus creativo
che abbiamo scelto. Quando utilizziamo le tecniche presentate in precedenza formuliamo una
provocazione di cui poi ci serviamo per discostarci dalla direzione principale e aumentare la nostra
probabilità di immetterci su un nuovo sentiero, mentre con l’entrata casuale si tratta di modificare il
tradizionale punto di partenza.
Noi non possiamo scegliere in maniera casuale il punto di accesso, perché significherebbe sceglierlo in
linea con quanto già pensiamo. Perché vi sia provocazione dobbiamo ricorrere ad un sistema casuale.
Possiamo farlo seguendo diversi metodi: compilando un elenco di 60 parole fatte a caso e indicare un
numero che poi corrisponderà ad una parola; usando un dizionario e indicando un numero che poi
corrisponderà ad una parola; utilizzando di una sfera contenente molte parole; chiudendo gli occhi e
puntando il dito a caso su una pagina di un giornale o di un libro.
Quali sono le situazioni in cui è necessaria l’entrata casuale? Quando dobbiamo cambiare il punto di
partenza per operare una provocazione?
- Stagnazione, quando abbiamo la sensazione di aver esaurito completamente le nostre riserve di idee.
- Quando siamo una tabula rasa (campo aperto), non sappiamo da che parte cominciare e siamo privi di
idee.
- Quando abbiamo bisogno di idee ulteriori, quando abbiamo già un certo numero di idee, ma abbiamo la
sensazione che possa esserci un’impostazione diversa alla quale non abbiamo ancora pensato.
- In una situazione di blocco = quando si è in una situazione di blocco da non cui non si trova il modo per
uscirne.