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Alda Merini

vita e opere e poetica

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ALDA MERINI

(1931-2009)
13 DICEMBRE 2021
UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’
TREVISO
RELATRICE: DOTT.SSA LAURA TIBERI
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
Figlia di un impiegato assicurativo
affettuoso ma rigoroso e di una
casalinga severa e distante, la giovane
Alda mostrò subito un'innata
inclinazione per la poesia, che fu
presto sedata sul nascere dalla sua
famiglia (perché «con la poesia non si
mangia»). Nonostante il carattere
stravagante, fu sempre un'ottima
alunna. Avrebbe voluto studiare, ma i
genitori ritenevano che il destino di
una donna fosse quello di moglie e
madre e infatti, ad appena ventidue
anni, la futura poetessa si legò in
matrimonio a Ettore Carniti, operaio e
sindacalista milanese, oltre che futuro
padre delle sue quattro figlie.
Alda Merini (1931-2009) è una delle poetesse italiane contemporanee più amate e tutti conosciamo
almeno un aspetto della sua vita tormentata, cioè il suo ricovero decennale in manicomio. Ella infatti
fu ricoverata in ospedale psichiatrico per ben tre volte: la prima all’età di sedici anni, la seconda dal
1964 al 1972 nell’istituto Paolo Pini di Milano, e la terza a Taranto nel 1986. Se si vuole quindi
comprendere appieno la statura morale e la forza di quella che fu, oltre che una grande artista, una
straordinaria donna, non si può prescindere dalla comprensione del contesto in cui avvenne la sua
esperienza di internamento in manicomio. Nella sua eccellente produzione letteraria Alda Merini
racconta di quando l’indicibile tormento dell’ospedale psichiatrico toccò a lei. La poetessa
sperimentò, sulla propria pelle, orribili torture: fu legata mani e piedi al letto come punizione per la
propria insonnia, subì elettroshock senza anestesia per aver risposto male a un’infermiera, visse
l’umiliazione, lei che era tanto pudica, di doversi spogliare davanti a tutti per essere lavata con
l’acqua fredda. Questo trattamento, degno di un lager, ella lo affrontò con coraggio e soprattutto
senza mai rinunciare alla speranza di essere felice, tanto che nel manicomio trovò anche l’amore: un
paziente chiamato Pierre, che però in seguito fu trasferito in un altro istituto proprio a causa della
sua passione per la poetessa.
All’uscita dal manicomio, Alda Merini seppe trasformare l’orrore in poesia, dando voce al dolore di
tanti uomini e donne la cui sofferenza non verrà dimenticata grazie ai suoi stupendi versi. Questo è
il merito di un’artista che ha sperimentato tutto della vita: il dolore, la miseria e la perdita, ma anche
l’amore e infine il riconoscimento per una produzione letteraria indimenticabile.
Il manicomio era saturo di fortissimi odori. Molta
gente orinava e defecava per terra. Dappertutto
era il finimondo. Gente che si strappava i capelli,
gente che si lacerava le vesti o cantava sconce
canzoni. Noi sole, io e la 2., sedevamo su di una
pancaccia bassa, con le mani in grembo, gli
occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura
di diventare come quelle là.
La Z. era una bonacciona. L'avevano messa lì
dentro perché era stata ragazza madre e
volevano disfarsene, ma non aveva nulla di folle,
era quieta, e a volte persino serena. Solo quando Alda Merini viene rinchiusa,
pensava al suo piccolo si metteva a piangere e contro la sua volontà, nel 1961
piangeva in silenzio certa che nessuno l'avrebbe nell'Ospedale Psichiatrico
compresa. Ma io la comprendevo bene. Sapevo “Paolo Pini” di Milano. Nel 1962
che l'essere madre in un posto come quello inizia un difficile periodo di
diventa una cosa atroce. Perciò cercavo di silenzio e di isolamento che
distrarla. dura fino al 1972, con alcuni
sporadici ritorni a casa, tra la
__Alda Merini__da "Diario di una diversa" sua famiglia.
FOTO DI GIUSY CALIA
tratta dalla serie dedicata
alla poetessa tra il 2000 e
2003

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