1) Parte Generale
1) Parte Generale
Diritto Privato
Alessandro Castro
Alessandro Castro
PARTE GENERALE
IL DIRITTO, LA NORMA, LE FONTI
Il diritto
“Il diritto è un sistema di regole coattive la cui imposizione è assicurata dalla previsione di un sistema di sanzioni che
l’ordinamento predispone e regola”.
Esistono diverse concezioni sui fondamenti e sull’essenza del diritto.
Una prima concezione è quella giusnaturalista, secondo la quale vi è l’esistenza di un diritto
naturale, e la superiorità di questo al diritto positivo. Secondo i giusnaturalisti le leggi positive
dovevano conformarsi alla legge naturale.
A partire dal 1800 la concezione prevalente dei giuristi italiani ed europei è il giuspositivismo il quale
consiste nell’asserzione che il diritto è un artefatto umano, prodotto da autorità legittime e munite
del potere materiale di farlo osservare.
Il diritto è quindi positivo, ovvero posto ed effettivo, solamente se prodotto dal potere costituito.
A questo diritto, che comprende tutte quelle normative obbligatorie e da rispettare, denominate
hard law, vengono affiancate le soft law, ovvero il diritto opzionale, per il quale vi è la libera scelta
di applicazione. Si venne a creare a partire dal 1800 il cosiddetto positivismo di stampo legalistico.
Le regole del diritto, sono le uniche regole, a differenza di quelle sociali, morali, e religiose, che
prevedono una commisurazione delle conseguenze legate alla loro violazione.
Il diritto è l’unico fenomeno regolativo che struttura la norma e ne calibra le conseguenze.
È necessario all’interno di ogni società infatti ubi societas ibi ius, ed è indispensabile per rispettare
il principio del ne cives ad arma ruant.
Il diritto ha la necessità di ricorrere al linguaggio dato il suo carattere fortemente sociale, e ricorre
anche alla scrittura per facilitarne la conoscenza.
Inoltre assume il carattere della certezza, in quanto, le regole devono essere conoscibili, così come
le conseguenze che derivano da comportamenti recalcitranti.
La norma è un insieme di segni del linguaggio che struttura un discorso prescrittivo, ovvero si avvale
di categorie deontiche.
La norma giuridica è una proposizione prescrittiva, destinata a regolare rapporti sociali, e si
inserisce in un insieme di regole che sono caratterizzate dal connotato della coattività.
Le norme giuridiche non si limitano ad essere volontariamente osservate, ma possono anche essere
imposte. Non tutte le norme giuridiche però ricalcano la struttura del comando.
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Vi sono norme che riconoscono libertà: non pongono comandi ma possibilità, ovvero viene
riconosciuta come possibile una determinata azione, o una sfera di autodeterminazione.
Soprattutto nel diritto privato numerose norme si limitano ad enunciare libertà dei singoli.
Come ad esempio l’art.1332 cc: che è la norma sull’autonomia privata, significa cioè che
l’ordinamento giuridico riconosce che i cittadini sono liberi di regolare i propri rapporti economico-
sociali tramite contratti. Il contratto è lo strumento con il quale il cittadino si fa legislatore di sé
stesso, detta regole a sé medesimo ed alla sua controparte per determinare un fatto della vita.
L’insieme degli elementi normativi espressi in modo sistematico che regolano la vita all’interno di
un sistema giuridico viene definito ordinamento giuridico.
Per l’esistenza di un ordinamento giuridico, vengono individuati due requisiti essenziali:
1. L’inerenza di tutti i dati normativi, nonostante questi possano provenire da legislatori diversi.
2. La ricognizione di una struttura organica di tale complesso normativo, che consenta di
stabilire ordinati criteri di coordinazione e subordinazione tra le norme del sistema.
La maggior parte dei concetti giuridici italiani ed Europei attuali, hanno avuto origine nel diritto
romano. È così possibile distinguere due diverse aree geografiche con tradizioni giuridiche diverse.
• Common law -> ove il diritto viene prodotto prevalentemente dai giudici, tradizione
presente nei paesi anglosassoni
• Civil law -> ove il diritto viene prodotto dai legislatori, tradizione presente nell’Europa
Continentale.
Il diritto pubblico è invece di formazione più recente in quanto nasce solamente con la formazione
degli Stati moderni, e quindi con la recente necessità di individuare i pubblici poteri ed organizzare
la struttura e l’articolazione delle pubbliche amministrazioni.
Nonostante la divisione fra i due rami del diritto, nel passato sia stata particolarmente netta, ad oggi
si osserva come molti elementi siano comuni.
Per cercare quindi di definire approssimativamente le differenze fra le due branchie, si ci può riferire
alla tipologia di rapporti presi in considerazioni.
Il diritto privato regola tutti quei rapporti tra soggetti che si pongono su un piano formale di parità.
Mentre il diritto pubblico, regola quei rapporti ove lo Stato agisce in posizione di supremazia e quindi
si manifesta la soggezione al potere pubblico.
Recentemente si parla però, del cosiddetto diritto comune, dato il largo utilizzo di principi e istituti
di diritto pubblico nel diritto privato e viceversa.
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LA NORMA
Le norme sono regole che prevedono un caso della vita e stabiliscono quali poteri o doveri sono
attribuibili ai soggetti coinvolti.
La norma prende in considerazione un caso della vita che prende il nome di fattispecie astratta.
La quale può essere più o meno articolata (unico fatto -> fattispecie semplice, più fatti -> fattispecie complessa).
Il caso concreto ad essa riconducibile prende il nome di fattispecie concreta.
L’attribuzione di poteri o doveri prende il nome di effetto giuridico, ovvero il potere di determinare
conseguenze (efficacia della norma)
Dire che la norma giuridica è caratterizzata da generalità ed astrattezza è riduttivo perché identifica
il diritto di origine solamente statale, mentre il mercato, le relazioni sociali sono intessute di regole
che scaturiscono da fonti di diritto individuali e concrete.
Individuali -> si riferiscono a determinati soggetti. Concreti -> regolano una vicenda specifica
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Secondo il principio di specialità, tanto più una norma è specifica, tanto più questa precede
nell’applicazione quella generale ed astratta.
Esistono infine le norme eccezionali che regolano un particolare caso e sono indirizzate a
determinati soggetti. Queste, vengono solitamente emanate dagli organi che emanano norme
generali ed astratte. Sono di tipo congiunturale, e si applicano nel solo conteso che le ha originate.
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• Legge e atti aventi forza di legge (art. 76 D.lgs., art. 77 Dl) (in seguito alla riforma del titolo V
della Costituzione la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni) (Vi sono materie dove la
competenza legislativa è esclusivamente dello stato. Vi sono altre materie di competenza regionale.
Lo stato individua i principi cardine con una legge quadro che dovranno caratterizzare la regolazione di quella materia, poi
la disciplina di dettaglio compete alle regioni.)
• Regolamenti (es. governativi e ministeriali)
• Atti normativi di autorità amministrative indipendenti (ovvero EP che vigilano in settori del mercato)
• Usi e consuetudini
Ovviamente sono privi di valore gli usi che contrastano le norme di rango superiore (usi contra
legem). Ma esistono anche usi che operano in materie non regolate dalla legge (usi praeter legem).
Per consuetudine si intende una prassi sociale dotata dalla cosiddetta opinio iuris as necessitas,
ovvero il generale convincimento che comportarsi in conformità sia giuridicamente necessario.
La consuetudine è quindi una regola spontaneamente osservata dal corpo sociale per un lasso di
tempo significativo. Nel nostro ordinamento ha un ruolo marginale.
Le disposizioni normative che prevedono le fonti e disciplinano i modi di creazione del diritto
vengono denominate fonti sulla produzione.
Una prima fonte sulla produzione è individuabile nell’art.1 delle Disposizioni sulla legge in generale:
“Sono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) norme corporative; 4) gli usi.”
Le norme corporative sono state abrogate nel 2° dopoguerra in quello che viene ricordato come
processo di defasticizzazione, con cui sono stati eliminati dall’ordinamento tutti i riferimenti alla
legislazione fascista. Le preleggi sono però imprecise poiché precedenti alla Costituzione del ‘48, e
precedenti al sorgere di nuovi centri di produzione del diritto, come l’UE e le autonomie locali.
Le fonti necessitano di essere organizzate in modo gerarchico, poiché, il diritto non viene creato in
modo coordinato e possono venirsi a creare dei contrasti tra le norme, denominati ANTINOMIE.
L’ordinamento giuridico essendo un sistema deve essere ordinato.
In tal senso bisogna individuare i criteri che permettono di risolvere dette antinomie.
Un primo criterio per risolverle è il criterio gerarchico.
Viene stabilita un’organizzazione stratificata, dove al vertice si trova la fonte che ha maggiore forza
attiva e passiva (prima dell’entrata in vigore della costituzione la fonte principale era la legge).
La regola generale è che il diritto che scaturisce da una fonte di rango superiore prevale sul diritto
che scaturisce da una fonte di rango inferiore.
Se la norma che proviene da una fonte di rango superiore è successiva a quella di rango inferiore la
abroga. Diversamente se dovesse essere successiva la norma di rango inferiore si potrà parlare di
illegittimità costituzionale e di inefficacia.
Nel caso in cui sorgano delle antinomie fra norme dello stesso rango gerarchico, allora bisognerà
applicare un altro criterio.
Bisogna innanzitutto verificare se l’antinomia riguarda 2 normative generali.
In quel caso deve essere applicato il criterio temporale secondo il quale la norma temporalmente
successiva modifica o abroga la norma che scaturisce da fonte pari ordinata ma anteriore. (secondo
il principio lex posterior derogat priori)
L’atto normativo più recente dovrebbe essere espressivo di una volontà normativa attuale.
Il criterio temporale determina quale norma deve prevalere definitivamente.
Nel caso in cui, vi sia un’antinomia fra due norme, una generale e l’altra speciale deve essere
applicato il criterio di specialità.
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Il criterio di specialità, è un criterio di convivenza secondo il quale la norma speciale non abroga la
norma generale, ma va applicata preferenzialmente, per cui la deroga senza modificarla o abrogarla.
Secondo il principio lex specialis derogat generali.
L’Italia, fa parte dell’Unione Europea sin dalla sua formazione, questa costituisce, un’unione di stati
che ha istituito un ordinamento sovranazionale, così detto in quanto si sovrappone agli ordinamenti
giuridici nazionali.
Successivamente al trattato di Lisbona, la struttura normativa dell’UE è così formata:
• Trattato sull’unione europea (TUE)
• Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE)
• Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)
Tutte le disposizioni normative, emanate dall’UE, in base ai trattati concorrono a formare il diritto
europeo derivato. Gli atti normativi UE possono così essere distinti:
• Regolamenti -> norme generali e self-executive che entrano direttamente a far parte
dell’ordinamento nazionale.
• Direttive -> non sono atti direttamente esecutivi, ma devono essere rispettate dai singoli
stati mediante atti interni, per raggiungere il risultato prefissato. Salvo che anche queste
siano self-executive
• Decisione -> atto obbligatorio che si rivolge a determinati soggetti
• Raccomandazioni e pareri-> non hanno natura vincolante.
Per evitare di scalfire eccessivamente la sovranità degli Stati membri l’Ue, ha limitato l’emanazione
di regolamenti, i quali causano l’uniformazione dei diritti di tutti gli stati membri, rendendo il diritto
comune e medesimo all’interno dell’eurozona.
Sono invece più utilizzate le direttive, in quanto consento di armonizzare il diritto e perseguire un
obiettivo comune.
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I giudici comunitari sono tenuti ad applicare il diritto comunitario e in caso dei dubbi circa il
significato da attribuire ad una disposizione, possono sospendere il processo e rimettere gli atti alla
corta di giustizia, affinché questa fornisca l’interpretazione più conforme al diritto UE.
Ma, le norme UE sono da considerarsi norme italiane? E le relative fonti UE, sono da considerarsi
fonti nell’ordinamento nazionale?
Il codice civile ha mantenuto la sua centralità fino agli anni sessanta, successivamente si è resa
necessaria, la produzione di leggi speciali per ampliare e modificare la disciplina giuridica di specifici
settori. Questo ha causato una perdita di unità del sistema, e la creazione dei Testi Unici che hanno
preso il nome di codici di settori (del consumo, degli appalti, delle assicurazioni).
Questo fenomeno viene denominato decodificazione.
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Le fonti del diritto privato non si esauriscono però solamente al Codice Civile, ed alla legislazione
speciale, infatti, vediamo come un ruolo importante viene assunto dai diritti umani, che
successivamente alle tragiche esperienze belliche del 20° secolo, sono stati definiti come diritti
fondamentali della persona umana. Essi vengono definiti fondamentali poiché:
• Essenziali -> inseparabili dalla persona
• Universali -> appartengono a qualsiasi persona umana
• Supremi -> superiori a qualsiasi altro eventuale potere contrapposto.
I diritti fondamentali vengono menzionati dalla nostra Costituzione, ma vengono riconosciuti anche
a livello globale e comunitario.
A livello globale possiamo riferirci alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
A livello comunitario, hanno particolare rilevanza:
• Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE -> CDFUE, che risale al 2000, e secondo l’art.6 del TUE
ha lo stesso valore giuridico dei trattati
• Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero la CEDU che risale al 1950 ed è stata ratificata
dall’Italia nel 1955, e sono riconosciute come fonte di norme interposte che integrano il
parametro costituzionale, ma restano di rango subordinato.
Successivamente a queste innovazioni comunitarie, sono state molto frequenti correzioni della
legislazione interna, ed adeguamenti nell’attività di interpretazione. (vedi Scordino)
I diritti fondamentali, nonostante siano stati concepiti per avere sola efficacia verticale, hanno
acquisito notevole efficacia sul piano orizzontale dove godono di efficacia indiretta.
L’AUTONOMIA PRIVATA
L’autonomia dei privati può essere definita come:
• Autonomia privata negoziale: la quale ricopre l’intera gamma degli atti di esercizio, ovvero
dei negozi giuridici.
• Autonomia privata contrattuale: la quale è una specificazione della prima, e si realizza
soltanto per il tramite del contratto, che il codice civile definisce come “accordo di due o più
parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale” art.1321
I rapporti tra autonomia privata e ordinamento giuridico, sono variati nel tempo a seconda del
periodo storico.
Nel periodo liberale infatti, gli atti di autonomia privata sono assoggettati a pochi limiti negativi (per
lo più di ordine pubblico), i quali però causavano nullità assoluta dell’atto.
Attraverso il progresso economico, le rivoluzioni industriali, e l’ascesa dei regimi totalitari,
l’individuo viene declassato e viene reso mero compartecipe tenuto a contribuire al benessere
collettivo.
In questo periodo si moltiplicano i limiti positivi agli atti di autonomia privata, quali ad esempio gli
obblighi legali che impongono finalità di ordine generale all’agire dei singoli.
Vi è inoltre l’assorbimento dello Stato di diverse attività economiche, che solitamente spettavano
all’autonomia privata, per il perseguimento dello sviluppo dell’economia nazionale.
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Con l’avvento dell’UE ciò non è più possibile e vengono scoraggiati fortemente gli aiuti pubblici alle
imprese, ed inoltre sorgono nuovi limiti all’autonomia privata, rivolti alla regolazione del mercato
sulla base della tutela della concorrenza e alla protezione dei consumatori.
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ART 12 preleggi:
Nell’applicare la legge si deve attribuire ad essa il senso del significato proprio delle parole, secondo
la connessione di esse e l’intento del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una
precisa disposizione si ha riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, se il
caso è ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento.
L’articolo si riferisce all’interpretazione giudiziale, ovvero l’interpretazione compiuta dal giudice.
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Per questa motivazione l’attività ermeneutica deve prendere in considerazione sì il carattere storico,
ovvero la occasio legis, ma anche il carattere evolutivo.
In conclusione, l’interprete deve tener conto delle disposizioni contenute dalla Costituzione e da
altre fonti comunitarie, per rendere l’interpretazione costituzionalmente orientate, ed orientata a
normativa comunitaria.
L’ANALOGIA
Nessun legislatore è in grado di prevedere tutti i possibili casi della vita e tutte le pieghe che i casi
sociali possono assumere, pertanto esistono dei casi della vita sprovvisti di un’apposita regolazione.
Si riscontrano quindi delle lacune dell’ordinamento giuridico.
La lacuna però non deve e non può impedire al diritto oggettivo di fornire un’adeguata risposta, il
giudice non può ricorrere al non liquet.
Il giudice deve comunque decidere sulla controversia e adottando un’altra tipologia di
interpretazione: l’analogia. L’analogia è disciplinata dall’art.12 delle preleggi:
Analogia Iuris -> si applica nel caso in cui non esista nemmeno un testo normativo a cui fare
riferimento, quindi nel momento in cui non vi sono i presupposti per applicare l’analogia legis,
bisogna applicare l’analogia iuris.
In questo caso bisogna tener conto dei principi giuridici generali dello stato.
Ma il principio a differenza della regola, non dà una descrizione puntuale ed analitica dei fatti a
cui può essere applicato, e non descrive nemmeno in maniera analitica le conseguenze ad esso
collegate. Questo non ha finalità di dettare una disciplina minuta ma enuncia un valore senza.
Decidendo esclusivamente sulla base di principi, il margine di discrezionalità del giudice aumenta a
dismisura, rendendo la sua attività autenticamente creativa.
L’interprete è però vincolato ad attribuire al principio il significato che la comunità nella sua
complessità e nella determinata fase storica gli attribuisce.
Nelle preleggi, specie nell’art.14 sono individuati i limiti all’attività di estensione analogica:
le norme di carattere eccezionale e le norme penali incriminatrici non possono essere effetto di
estensione analogica.
Poiché le norme eccezionali sono congiunturali e non possono esplicare effetti oltre la vicenda
concreta che l’ha originata.
Mentre le norme penali incriminatrici sono assoggettate al principio di stretta legalità, ovvero vi è
una riserva di legge assoluta che impone l’obbligo di non poterle estendere analogicamente, in
quanto i reati sono assoggettati al principio di tipicità rigida.
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Art.25 della Costituzione secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Per fatto intendiamo qualsiasi evento naturale che l’ordinamento giuridico prende in
considerazione come elemento condizionante della norma, ed al quale sono collegate delle
conseguenze. (es. nascita-morte dell’individuo, scioglimento vincoli coniugali e successioni mortis causa)
Negozio giuridico -> comportamento umano, i cui effetti sono stabiliti dagli autori dello stesso
negozio. Può essere unilaterale come il testamento o bilaterale come ad esempio il contratto.
Atti, fatti e negozi giuridici sono le vicende che possono determinare la nascita, la modifica o
l’estinzione di una situazione giuridica soggettiva.
L’art.2046 sancisce però l’imputabilità del fatto dannoso ai soli soggetti che hanno capacità
d’intendere e di volere nel momento in cui abbiano commesso il fatto, salvo che lo stato di
incapacità derivi da sua colpa. Inoltre all’art.2050 viene individuata la responsabilità per l’esercizio
di attività pericolose, qualora l’autore dell’atto non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad
evitare il danno.
Gli atti si dicono ricettizi quando sono unilaterali e producono effetti soltanto nel momento in cui il
destinatario ne perviene a conoscenza
Sono non ricettizi gli atti destinati ad incertam personam, e questi producono effetti nel momento
in cui sono resi pubblici.
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• La causa
• L’oggetto
• La forma, se prescritta dalla legge a pena di nullità
La volontà e la libertà sono considerate il fulcro dell’autonomia privata.
La presenza della libertà garantisce l’autodeterminazione dei privati e dei loro rapporti.
L’atto non voluto dal suo autore è annullabile come stabilito dall’art. 1425
La causa è indispensabile, infatti la sua mancanza o la sua illiceità determina la nullità del negozio.
Questa viene identificata con la funzione economico-sociale o economico-individuale dell’atto.
Si distingue dal motivo, ossia dalle ragioni dell’agire individuale.
In riferimento al profilo causale possiamo distinguere i negozi in:
• Negozi tra vivi e negozi per causa di morte
• Negozi a titolo oneroso e negozi a titolo gratuito
• Negozi a contenuto patrimoniale e non (danno luogo a spostamenti di ricchezza)
• Negozi casuali ed astratti
• Negozi di accertamento
Il motivo invece è solitamente irrilevante per l’ordinamento, a meno che non penetri negli elementi
accidentali (condizione, termine e modo) e ne determini la nullità.
L’oggetto è definito come il bene o il comportamento assunto dal negozio giuridico a materia
dell’operazione di scambio che costituisce il contenuto del dispositivo.
Per legge i requisiti dell’oggetto sono:
• Possibilità
• Liceità
• Determinatezza o determinabilità anche ad opera di un terzo
In ultima analisi vi sono i negozi rappresentativi.
Questi sono posti in essere da un soggetto munito di poteri di rappresentanza anche detto
rappresentante.
Il rappresentante compie l’atto in nome e per conto di un altro soggetto detto rappresentato.
Il modello classico della rappresentanza volontaria è dato dalla procura, ovvero un negozio
unilaterale di conferimento dei poteri.
Gli effetti della norma possono consistere anche nel riconoscimento a favore del destinatario di
rimedi. I rimedi sono strumenti di protezione e dispositivi normativi, finalizzati a tutelare gli interessi
di chi sia legittimato ad invocarli.
Sono strumenti finalizzati a reagire alla violazione di un interesse protetto, o alla mancata attuazione
di una situazione giuridica, qualora questa richieda la cooperazione di un terzo.
La norma può racchiudere tra i propri effetti anche delle qualificazioni, ossia l’individuazione di
determinati tipi di comportamenti, che possono determinare l’invalidità di un atto o l’inefficacia.
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Vi sono anche norme giuridiche di carattere definitorio che non mirano a produrre conseguenze in
termini di attribuzione di situazioni attive o passive o strumenti di tutela, ma invece mirano a
selezionare alcuni comportamenti collegando ad essi una serie di regole giuridiche.
Es. art. 810: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
L’ ordinamento giuridico mette a disposizione mezzi ed organi per dirimere le controversie.
L’insieme di questi organi forma il potere giurisdizionale.
Il sistema giurisdizionale può essere in prima approssimazione suddiviso in:
• Sistema giurisdizionale civile
• Sistema giurisdizionale penale
Per quanto riguarda il giudizio civile, chi ritiene di essere stato leso in una situazione giuridica
soggettiva può incardinare un giudizio tramite l’azione e per questo prenderà il nome di attore.
Questo soggetto intraprenderà l’azione nei confronti di una controparte che verrà denominato
convenuto, in quanto chiamato in giudizio, il quale può difendersi attraverso l’eccezione. Il
convenuto può a sua volta formulare una sua richiesta ed in quel caso si parla di azione
riconvenzionale.
Il giudizio vede contrapporsi attore e convenuto dinanzi al giudice, soggetto terzo, il quale decide
relativamente alla controversia sulla base di alcuni principi:
• Principio della domanda -> il giudice deve accogliere o respingere le domande a lui poste, e
deve limitarsi ad esse. Salvo materie nelle quali il legislatore riconosce il potere d’ufficio del
giudice, ossia dove esso ha la libertà di pronunciarsi anche se le parti non abbiano sollevato
la questione.
• Principio del contraddittorio -> l’attore ed il convenuto devono avere la possibilità di
presentare le loro richieste ed argomentarle.
Il giudice decide iuxta alligata et probata partium, ovvero deve decidere in base a ciò che le parti
hanno allegato e provato.
Art 2697 cc -> “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento.
Chi eccepisce inefficacia di tali fatti, ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i
fatti su cui l’eccezione si fonda.”
Sulle parti pende l’onere della prova, ovvero l’onere di provare in giudizio i fatti a fondamento
dell’azione e dell’eccezione.
Il giudice deve accogliere la domanda solo se sufficientemente provata da parte dell’attore,
viceversa il convenuto deve provare la sua eccezione.
L’attore ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda, ovvero i fatti da cui scaturiscono
i diritti che vuole fare valere.
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Il convenuto di contro deve provare i fatti modificativi o estintivi, ovvero provare che i fatti posti a
fondamento della domanda dell’attore sono venuti meno o sono stati modificati.
Se un attore non dovesse essere in grado di provare i fatti costitutivi, il giudice deve respingere la
sua domanda. Viceversa se il convenuto solleva eccezioni che non è in grado i fatti su cui questa si
fonda, non verranno accolte e verrà soddisfatta la domanda dell’attore.
Inoltre vige il principio di riferibilità della prova, in base al quale l’onere viene ripartito tenuto conto,
della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle
rispettive sfere di azione.
Art.2698 Sono nulli i patti con cui è invertito o modificato l’onere della prova se si tratta di diritti di
cui le parti non possono disporre o quando l’inversione o modificazione rende a una delle parti
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto
I VARI TIPI DI PROVA NEL PROCESSO CIVILE
Le prove sono regolate dal legislatore, nel Codice civile e nel Codice di procedura civile.
Per prova intendiamo lo strumento, considerato idoneo a dimostrare la fondatezza dei fatti che
attore o convenuto pongono alla base del loro atto giudiziario.
Le prove sono forme di attestazione e dimostrazione tramite le quali chi agisce o si difende deve
dimostra l’esistenza dei fatti che egli pone alla base della propria azione e della propria eccezione.
La prova è lo strumento grazie al quale il giudice trae informazioni utili ai fini della ricostruzione dei
fatti di causa e quindi emette la propria decisione nel modo più consapevole possibile.
Innanzitutto vi sono le prove documentali, dette anche precostituite in quanto precedono il
processo. Queste si suddividono in
• Atto pubblico: regolato dagli articoli 2699 e seguenti del Codice civile.
• Scrittura privata: regolata dagli articoli 2702 e seguenti del Codice civile.
L’atto pubblico è un documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale. (art.2700)
L’atto pubblico documenta la verità storica dei fatti.
Si può contestare l’esistenza dei fatti attestati dall’atto pubblico esperendo la querela di falso, la
quale implica l’incriminazione del pubblico ufficiale.
L’atto pubblico è da considerarsi come prova legale, e gode di pubblica fede infatti il giudice deve
dare per accertati i fatti a cui l’atto pubblico si riferisce. A meno che questo non si riveli falso.
La scrittura privata, si pone sulla stessa stregua dell’atto pubblico, soltanto quando colui contro il
quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione.
Si presenta però una criticità riguarda la data degli atti.
Infatti l’atto pubblico ha certamente una data ben precisa.
Mentre per quanto riguarda la scrittura privata, questa acquista data, a partire dal momento della
registrazione o a partire dal momento in cui si verifichi un evento che stabilisca l’anteriorità della
formazione del documento. Art.2704 (argomento approfondito in altro documento)
Altra prova documentale sono le scritture contabili a cui è tenuto l’imprenditore art.2709.
Vi sono poi le riproduzioni meccaniche, fotografiche o informatiche art.2712.
Ultima prova documentale sono le copie degli atti art.2714
Inoltre abbiamo le prove semplici (testimonianze, presunzioni, confessioni)
La prova testimoniale, regolata dagli articoli 2721 e seguenti.
I fatti o gli atti possono essere attestati tramite dichiarazioni di conoscenza che provengono da
soggetti terzi, che si presentano come osservatori oggettivi.
Costoro riferiscono al giudice la loro conoscenza personale.
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È testimone colui il quale viene chiamato in giudizio da una delle due parti per confermare la
versione dei fatti che l’attore o il convenuto pongono alla base delle loro domande.
Esistono dei limiti per ammettere la prova testimoniale:
Il Codice pone un limite di valore della causa pari alla somma di 2,58 euro.
Quindi fino a 2,58 euro, la parte può chiamare liberamente in giudizio il testimone, mentre quando
il valore della causa è superiore, la parte deve chiedere l’ammissione al giudice.
Vi sono delle eccezioni al divieto della prova testimoniali nei casi in cui sussista un principio di prova
per iscritto, o il contraente sia stato impossibilitato a procurarsi una prova scritta, o il contraente
abbia perduto senza sua colpa il documento che gli forniva la prova scritta.
Vi sono ambiti dove la prova testimoniale non è mai ammessa come quelli contrattuali, poiché il
legislatore vuole dare prevalenza alle prove documentali.
Non si possono provare per testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento,
contestuali o anteriori.
Se si ammettesse questa prova si degraderebbe l’efficacia probatoria del documento.
È ammessa invece prova testimoniale di patti successivi che siano modificativi o estintivi del
contratto, ogni qualvolta sia verosimile che questi patti siano effettivamente avvenuti.
Vi sono poi le presunzioni che sono regolate dagli articoli 2727 e seguenti. La presunzione è un
mezzo di prova critica, ovvero un mezzo di prova non diretto.
Si suddividono in legali, ovvero previste dalla legge e semplici.
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad
un fatto ignorato.
La presunzione è una prova che si ottiene tramite ragionamento o tramite la dimostrazione di un
fatto diverso da quello da provare, il quale però è strettamente collegato al fatto rilevante per la
causa che viene considerato idoneo a darne prova.
Le presunzioni possono essere relative o assolute.
Quelle relative sono presunzioni che ammettono prova contraria, che quindi possono essere
confutate, iuris tantum.
Quelle assolute non ammettono prova contraria e vengono chiamate iuris et de iure.
Le presunzioni semplici non sono previste dalla legge, e possono provare il fatto solo se sono più di
una e se si caratterizzano per la gravità, la precisione e la concordanza.
Altro mezzo di prova è la confessione, regolata dagli articoli 2730 e seguenti (leggere dal codice).
La confessione è la classica dichiarazione di scienza con la quale un soggetto attesta come i fatti si
siano realmente svolti. Colui il quale fornisce questa dichiarazione deve essere, ovviamente, uno dei
due soggetti del giudizio.
Chi confessa, conferma la ricostruzione dei fatti che controparte ha posto a base della sua domanda.
La confessione è un atto di disposizione quindi chi confessa deve poter disporre del diritto.
Confessando, la parte rinunzia a difendersi in giudizio.
L’ultimo mezzo di prova previsto dal Codice civile è il giuramento, regolato dagli articoli 2736.
Il giuramento può essere di due tipi: un giuramento decisorio, dal quale dipende la sorte della causa
e un giuramento suppletorio che ha soltanto valenza probatoria.
Esaminiamo il giuramento decisorio, che può essere spiegato con un esempio:
L’attore agisce nei confronti del convenuto, ma non è in grado di provare i fatti che stanno alla base
della sua domanda. Allora, può deferire giuramento, di invitando controparte a giurare che i fatti si
siano verificati questa sostiene. Se controparte giura, vince la causa. Tuttavia, se egli ha giurato il
falso, si espone a procedimento penale.
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Alessandro Castro
Chi ha ricevuto giuramento, lo può però deferire a sua volta: quindi il soggetto che assume l’iniziativa
del giuramento, prima di tutto, deve essere pronto a giurare poiché, nel caso in cui gli venga rigirato
il giuramento, questo è obbligato.
Ovviamente, questo è un mezzo di prova estremo al quale si ricorre solo se non si ha nessun altro
strumento di prova da adoperare.
Il processo di cognizione è la fase di accertamento dello stato di diritto, ove si verifica la fondatezza
delle pretese di attore e convenuto. Il giudizio di cognizione serve a dirimere controversie.
La tutela di cognizione può terminare con 3 species di sentenze:
• Sentenza di mero accertamento
• Sentenza di condanna
• Provvedimento di natura costitutiva
La sentenza di mero accertamento accerta una determinata realtà giuridica. Sono tali, ad esempio,
i provvedimenti che respingono la domanda proposta dall'attore.
Da distinguersi con la tutela di accertamento che invece è l’azione attraverso la quale si chiede
l’accertamento di un proprio diritto (accertamento positivo) o l’accertamento dell’inesistenza di un
diritto altrui (accertamento negativo).
La sentenza di condanna -> Contiene un quid pluris rispetto alla sentenza di mero accertamento.
Infatti il giudice ordina al convenuto di consegnare un determinato bene mobile o immobile, o lo
obbliga a fare o non fare qualcosa.
L’azione di condanna è strumentale ad ottenere un accertamento dell’esistenza del diritto
controverso e a far sì che il giudice dichiari l’avvenuta lesione dello stesso. Ne conseguirà la
possibilità per l’attore di agire in via esecutiva per ottenere piena soddisfazione del suo diritto, se il
convenuto-condannato non collaborerà spontaneamente.
Infine vi è il provvedimento di natura costitutiva che attua senza necessità di un passaggio ulteriore
come l’esecuzione forzata, il diritto fatto valere in giudizio dall’attore.
La sentenza costitutiva pone a capo effetti innovativi rispetto alla situazione giuridica preesistente.
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Alessandro Castro
Non si possono acquisire o presentare nuovi mezzi di prova, il giudice di cassazione si limita a
verificare se il giudice, la cui sentenza è stata impugnata, abbia applicato correttamente il diritto.
Laddove lo abbia applicato correttamente verifica se è stato motivato in modo corretto ed
esaustivo.
In caso il giudice di cassazione riscontri un’errata applicazione di legge, o un’insufficiente o
controversa motivazione, la Corte casserà la sentenza, invalidandola e rimettendo gli atti al giudice
di 2 grado. I 3 gradi di giudizio non sono sempre necessari.
Le sentenze sono impugnabili entro 30gg per quanto riguarda la sentenza di 1° grado ed entro 60gg
per quanto riguarda la sentenza d’appello.
Si può anche saltare il secondo grado e impugnare la sentenza di 1 in cassazione. (ricorso per saltum).
Il giudizio di cassazione è sottoposto ad un vaglio preventivo finalizzato a ridurre il carico della Corte.
Se la sentenza è stata emessa ma non impugnata, oppure impugnata e dichiarata definitiva dalla
corte di cassazione, quella sentenza acquisisce efficacia di giudicata.
Ovvero è stata giudicata in modo ultimo e definitivo.
Il bis in idem è vietato dal nostro ordinamento, salvo caso eccezionali e straordinari che portano alla
revoca della sentenza (giudice abbia dolosamente danneggiato una parte, sopravvengono elementi di prova decisivi).
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Alessandro Castro
L’ESECUZIONE INDIRETTA
L’esecuzione indiretta, a differenza di quella diretta, non fa a meno del comportamento
dell’obbligato. Anzi l’ordinamento si ancora ad esso per la realizzazione dell’interesse del creditore.
La legge appronta una misura coercitiva, prevendendo conseguenze negative, per l’obbligato che
non adempie.
Il giudice, con un provvedimento pecuniario di applicazione generale, stabilisce la comminatoria,
che induce l’obbligato ad adempiere senza indugio. Il quale può adempiere anche con riserva
d’impugnazione.
La comminatoria è una penale giudiziaria inserita come clausola, in una sentenza pronunciata dal
giudice, con la quale si stabilisce il pagamento di una somma in caso d'inadempienza delle
disposizioni contenute nella sentenza emessa, o di un'ulteriore violazione della legge.
ALTRE GIURISDIZIONI
Vi sono poi altri tipi giurisdizione definiti speciali.
Giurisdizione amministrativa, la quale si articola in:
• TAR 1° grado
• Consiglio di stato 2° grado (svolge funzione nomofilattica)
Vi è poi la giurisdizione costituzionale, esercitata dalla Corte Costituzionale
Nel nostro apparato giurisdizionale la corte costituzionale ha un ruolo determinante.
Ha come compito quello di dirimere i conflitti tra poteri dello stato e deve verificare che l’attività
normativa sia svolta in termini di legittimità.
Il provvedimento normativo infatti non deve essere solamente valido, quindi approvato dall’organo
che ne è legittimato, e nei modi previsti.
È anche necessario che il provvedimento sia legittimo ossia non violi alcun principio costituzionale,
o noi sia sbilanciato negativamente nei confronti di alcuni principi.
(Procedimento incidentale: Il giudice a quo deve verificare la non manifestata infondatezza, e la rilevanza della legge
violata relativamente al giudizio in corso. La corte costituzionale può accogliere o rigettare la questione.
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Alessandro Castro
La corte è quindi un tribunale che non sana conflitti tra cittadini ma verifica se l’attività normativa è stata effettuata nel
rispetto dei principi, valori e prerogative costituzionali.)
Si è soliti affermare che le situazioni soggettive rappresentano gli effetti di una fattispecie
sostanziale, mentre i rimedi si collocano sul versante della tutela.
Per cui la situazione soggettiva indica gli strumenti che ha a disposizione il titolare per realizzare il
proprio interesse, quindi è la prospettiva degli effetti che la norma generale ed astratta prevede.
Mentre il rimedio, conferisce poteri e facoltà volti ad organizzare una reazione in caso di
impedimento alla realizzazione dell’interesse medesimo.
IL DIRITTO SOGGETTIVO
La situazione giuridica soggettiva attiva di maggiore portata è il diritto soggettivo.
Tramite essa l’ordinamento realizza la forma più ampia di giuridificazione di un interesse
attribuendo al suo titolare un insieme di poteri giuridici e di facoltà.
Il diritto soggettivo è una categoria molto controversa della scienza giuridica, infatti si sono
susseguite diverse definizioni, dovute dai mutamenti delle concezioni del rapporto tra individuo ed
ordinamento.
Profilo storico
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Alessandro Castro
Per questi motivi uno dei giuristi più importanti dell’800, Rudolf Von Jhering, contrappone alla
nozione di diritto soggettivo come signoria della volontà, la nozione del diritto soggettivo come:
“interesse protetto”.
Assume centralità la nozione di interesse, ovvero l’aspirazione del soggetto ad acquisire un bene o
una qualunque utilità. La definizione proposta da Jhering è del tutto oggettiva, abbandona la
categoria della volontà e pone al di fuori della definizione l’individuo.
Il difetto di questa definizione è però che non dice attraverso cosa avviene questa protezione:
Jhering dà la definizione essenziale di diritto soggettivo, ma non va oltre.
Alla fine dell'Ottocento August Thon, uno dei più grandi studiosi di diritto soggettivo, lo definisce
come “la protezione dell'interesse individuale da parte dell'ordinamento giuridico”.
Questa è esattamente la prospettiva di Jhering capovolta: Jhering guarda al diritto soggettivo dal
punto di vista dell'individuo, mentre Thon guarda al diritto soggettivo dal punto di vista
dell'ordinamento.
Definizione attuale
Ad oggi il diritto soggettivo è definito come il conferimento al privato di una sfera di libertà di
azione, ossia l’AGERE LICERE, al cui interno il titolare può perseguire, FACULTAS AGENDI, la
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Alessandro Castro
Il diritto soggettivo, prescinde dal fatto che il titolare lo eserciti. L’effettivo compimento non è
oggetto del diritto soggettivo ma rientra in una fase successiva, ossia quella della sua attuazione.
Riconoscendo il diritto soggettivo l’ordinamento crea una preordinazione dell’interesse del
titolare rispetto ad eventuali interessi di terzi che dovessero contrapporsi al suo.
Un articolo del codice civile dove sono espressi esplicitamente i poteri e le facoltà del titolare è:
L’art.832: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento”
Un’altra grande classificazione dei diritti soggettivi è quella tra diritti assoluti e diritti relativi.
Secondo una vecchia concezione, sono diritti soggettivi assoluti quei diritti che attribuiscono al
titolare poteri e facoltà che egli può esplicare nei confronti di chiunque, ovvero di qualunque altro
consociato. Per cui si riteneva che i diritti assoluti avessero “efficacia erga omnes”.
All’interno della categoria dei diritti assoluti, distinguiamo due sottoinsiemi:
• Diritti reali, che sono assoggettati ad un principio di stretta tipicità e legalità infatti si dice
che essi sono un numeros clausus.
• Diritti della personalità, che hanno ad oggetto singoli profili della personalità umana, sono
quindi diritti introflessi. L’ordinamento tramite i diritti della personalità eleva i livelli di
protezione.
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Alessandro Castro
Sono diritti soggettivi relativi, quei diritti che nascono da una relazione, e secondo una vecchia
concezione sono diritti che accordano al titolare poteri e facoltà, non nei confronti di chiunque, ma
nei confronti di uno o più soggetti determinati. Quindi si dice abbiano “efficacia inter partes”
I diritti relativi istituiscono un rapporto: il titolare del diritto relativo ha la pretesa che un altro
soggetto determinato compia una determinata prestazione, dal compimento della quale deriva la
realizzazione dell’interesse.
Questo rapporto è particolarmente importante poiché è “condicio sine qua non” della realizzazione
dell’interesse del titolare del diritto relativo.
Il diritto relativo per eccellenza è il diritto di credito.
La distinzione fra queste due classificazioni dei diritti soggettivi non può essere però affidata
all’efficacia erga omnes degli uni ed inter partes degli altri.
Il sistema di diritto privato conosce 2 tipi di responsabilità:
• La responsabilità contrattuale
• La responsabilità extra-contrattuale.
La responsabilità contrattuale è il meccanismo di traslazione del costo del danno, che si verifica
all’interno di un rapporto obbligatorio. (Artt.1218 e ss.)
La responsabilità extracontrattuale definita dall’ art. 2043 e ss è il dispositivo di trasferimento del
danno che si verifica, quando il danno si produce all’esterno di un rapporto pre-esistente. Quindi
nel caso in cui danneggiante e danneggiato nella vicenda in cui si è manifestato il danno, non sono
legati da un preventivo rapporto.
Secondo la concezione classica dei giuristi italiani, la responsabilità extracontrattuale è il luogo nel
quale si può richiedere il risarcimento dei danni dei soli diritti assoluti in quanto non presuppongono
un preesistente rapporto
Ma la responsabilità extra-contrattuale potrebbe scattare anche quando ad essere violato sia un
diritto di credito, ossia un diritto relativo.
Ovviamente il danneggiante deve essere estraneo al diritto di credito, diversamente si parlerebbe
di responsabilità contrattuale.
Se si giunge ad affermare che un diritto relativo può essere tutelato quando è violato da terzi,
allora non è vero che i diritti assoluti sono quelli efficaci erga omnes e quelli relativi sono quelli
inter-partes.
Perché anche questi godrebbero di una tutela verso l’esterno, e quindi risulterebbero erga omnes.
La prima forma di riconoscimento della tutela aquiliana del diritto di credito si ebbe con una
celeberrima sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 1971.
Caso: l’incidente stradale che ha comportato la morte del calciatore del Torino Meroni.
Meroni, era debitore nei confronti della società calcistica poiché legato da un rapporto contrattuale.
Il Torino, infatti, pretendeva una prestazione lavorativa dal calciatore, contro il pagamento di un
corrispettivo monetario.
Tecnicamente, l’uccisione di Meroni ha leso irrimediabilmente il diritto di credito del Torino Calcio.
Il Torino, così, agì in giudizio nei confronti dell’investitore per lesione del proprio diritto di credito.
Questa rappresento una novità, poiché fino ad allora si era affermato che un creditore potesse
agire soltanto nei confronti della controparte e non nei confronti di terzi.
La corte di cassazione aveva precedentemente negata la tutela aquiliana del diritto di credito,
invocando il carattere inter-partes, in una sentenza del 1954, relativamente alla tragedia di Superga.
Nel ‘71 invece la cassazione ammette che il credito possa essere risarcito quando viene violato da
un terzo ponendo però delle condizioni.
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Alessandro Castro
Infatti è necessario che l’intervento del terzo che violi il diritto di credito, impedisca al debitore di
soddisfare il creditore. Quest’intervento deve essere tale da rendere definitiva ed irreparabile la
realizzazione dell’interesse del creditore.
Il terzo viola il diritto solo se il suo intervento comporta una vanificazione del diritto stesso. Nel caso
Meroni, la Corte di Cassazione afferma in astratto la risarcibilità aquiliana del diritto di credito. Ma
nel singolo caso concreto, ritiene che non vi siano le condizioni per condannare l’investitore di
Meroni al risarcimento del danno nei confronti del Torino.
Poiché il Torino avrebbe potuto procurarsi sul mercato un’altra prestazione analoga.
Viste le alternative di mercato, l’interesse del creditore non è stato irreparabilmente e
definitivamente leso e quindi non è ammissibile il risarcimento del diritto di credito.
Effettuate queste considerazioni bisogna collocare la distinzione fra diritti assoluti e relativi in un
altro versante.
Infatti i diritti assoluti sono diritti di autorealizzazione, per cui l’interesse del titolare viene
realizzato senza la necessaria mediazione di un terzo. Il titolare può realizzare il proprio interesse
autonomamente.
Vi sono però diritti assoluti di tipo relazionale come i diritti reali minori di godimento.
Quando il diritto assoluto presuppone un rapporto, questo serve per costituire il diritto, ma
successivamente non è necessario per realizzare l’interesse del titolare.
Pertanto il diritto assume caratteristiche relazionali, esclusivamente riguardo la fase genetica.
Nei diritti relativi, invece, non esiste un tale potere di autorealizzazione dell’interesse.
Infatti il titolare del diritto relativo può realizzare il proprio interesse solo tramite la condotta della
sua controparte.
Nel diritto relativo, i poteri e le facoltà si proiettano sulla controparte del rapporto, la cui
cooperazione è necessaria per realizzare l’interesse del titolare.
I diritti relativi sono diritti di cooperazione.
Per quanto concerne la tutela, la tutela dei diritti assoluti è una tutela in forma specifica nei confronti
di chiunque.
Il titolare del diritto assoluto, laddove questo venga violato, può pretendere verso chiunque la
cessazione della condotta e il ripristino delle condizioni in presenza delle quali il titolare può
autorealizzare il proprio interesse.
Il titolare del diritto relativo ha anch’egli tutela in forma specifica, ma solo nei confronti della
controparte.
Nei confronti dei terzi che abbiano violato il suo diritto, il creditore è tutelato soltanto sul piano
economico, in quanto potrà ottenere una somma di denaro pari al valore di quel bene, quindi il
risarcimento dei danni.
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Alessandro Castro
Raramente l’ordinamento giuridico specifica l’interesse umano che il diritto soggettivo è teso a
realizzare. In molti casi il diritto soggettivo consente di realizzare una pluralità di interessi difficili da
specificare. Diventa quindi una questione interpretativa stabilire l’interesse sotteso al diritto
soggettivo.
Pertanto risulta più corretto sostenere che si ha abuso del diritto quando l’atto di esercizio sia
caratterizzato da modalità inutilmente gravose per la controparte o per terzi.
Si ha abuso del diritto, ogni qualvolta il titolare del diritto soggettivo potrebbe realizzare il proprio
interesse con modalità meno limitative della libertà o dei diritti altrui, ma invece sceglie una
modalità che si rileva più costosa, in termini di limitazioni, per i terzi.
Sono le modalità di esercizio troppo pregiudizievoli che ci consentono di stabilire se l’atto di
esercizio è un abuso.
L’esercizio abusivo rientra nel contenuto del diritto soggettivo, è un atto lecito, ma non è un atto
legittimo. Esistono delle forme di esercizio alternative e meno gravose per terzi che consentirebbero
in pari misura di ottenere il soddisfacimento del proprio interesse.
Nel nostro ordinamento non esiste una disposizione normativa che enuncia la figura del divieto
dell’abuso del diritto, ma vi sono norme che sono espressione di questa regola.
Es. art 833: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere
o recare molestia ad altri.”
Per cui si rivela abusivo quell’atto di esercizio della proprietà che si rivela scarsamente utile per il
titolare, ma che ha come scopo quello di molestare l’esercizio di un altrui diritto.
Altro es. art 1438: “La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del
contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti”
Quindi la minaccia di far valere un proprio diritto se diretta a conseguire vantaggi ingiusti può essere
causa di nullità del contratto.
Se il creditore, facendo leva sulla propria posizione di vantaggio, cerca di condizionare il
comportamento del debitore, allora si verifica l’ipotesi dell’art. 1438.
Pertanto, pur mancando una disposizione espressa che sancisca il divieto di abuso del diritto,
questo rappresenta un principio inespresso.
(OT I principi possono essere sia espliciti che impliciti. Sono impliciti quei principi ricavabili per
generalizzazione, ossia quando una serie di norme sembrano ispirate dalla medesima ratio).
A livello comunitario invece, l’art 54 della CDFUE applica il divieto dell’abuso del diritto ai casi in cui
il compimento di atti o l’esercizio di attività metta a repentaglio gli altrui diritti o libertà.
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Alessandro Castro
Esempio -> art. 874: Viene riconosciuto al proprietario del terreno confinante con quello in cui è
stato eretto il muro di confine, il diritto di acquistare la comproprietà del muro edificato, purché sia
disponibile ad acquistare la proprietà per tutta l’estensione del muro pagando la metà del valore
del muro e la metà del suolo sul cui è stato edificato il muro.
Altro esempio -> art. 1331: Tramite l’opzione una parte si impegna con l’altra a non revocare la
propria dichiarazione
Il destinatario dell’opzione, detto opzionario, è libero di accettare o meno.
L’opzionante, avendo rinunciato alla possibilità di revocare la proposta si è posto in una posizione
di mera soggezione, non può quindi in nessun caso opporsi all’opzionario.
Esempio 3. (sempre nell’ambito di contratto) Diritto di recesso, è il diritto che conferisce, a uno dei
contraenti, il potere unilaterale di determinare lo scioglimento del contratto.
LA POTESTÀ
La potestà consiste in un ufficio privato nel quale vengono conferiti poteri e facoltà preordinati a
realizzare o proteggere un interesse altrui.
Nella potestà, a differenza di quanto avviene nel diritto soggettivo, il titolare dell’ufficio è il titolare
di poteri che ha il dovere di esercitare. È dunque una situazione di potere-dovere. I poteri e le facoltà
non sono oggetto di un libero esercizio ma devono essere obbligatoriamente esercitati.
Esempio -> potestà dei genitori nei confronti dei figli (ex patria potestà)
La famiglia era concepita come una formazione sociale, ossia un corpo intermedio tra l’individuo e
lo Stato, organizzata in senso gerarchico, in cui il marito era individuato come capofamiglia, ossia
dotato di supremazia che si poteva tradurre nello ius corrigendi della moglie.
La costituzione all’art 29 riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ed
individua il principio di uguaglianza al suo interno.
Il D.lgs. 254/2013 ha ribattezzato la potestà genitoriale in responsabilità genitoriale.
Il legislatore ha scelto di sostituire il termine potestà, poiché invocava l’idea di potere nei confronti
dei figli e quindi di una sovra ordinazione dei genitori.
Il termine responsabilità è stato scelto per enfatizzare la funzionalizzazione dei poteri riconosciuti ai
genitori nei confronti dei figli minori all’interesse dei figli stessi.
Ai sensi dell’art.315 bis Il genitore è tenuto a mantenere, educare, istruire, assistere moralmente il
figlio rispettando le sue capacità e le sue inclinazioni naturali. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia
e mantenere rapporti significativi con i parenti, e ove questo abbia compiuto anni 12 o abbia
sufficiente capacità di discernimento deve essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e contribuire al mantenimento della famiglia.
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Alessandro Castro
Ai sensi dell’art.316 entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale la quale viene esercitata
di comune accordo.
In caso di contrasto su questioni rilevante ciascun genitore può ricorrere al giudice indicando i
provvedimenti che ritiene idonei. Il giudice decide sentendo i genitori ed il figlio qualora abbia
compiuto anni 12 o sia capace di discernimento. Se il contrasto dovesse permanere il giudice
attribuisce potere di decisione al genitore da lui ritenuto più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Il genitore che riconosce il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se non la esercita
sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita.
INTERESSE LEGITTIMO
L’interesse legittimo designa l’aspirazione dell’individuo a una modificazione della propria sfera
giuridica o alla sua conservazione, condizionata da un intervento provvedimentale della PA, che
potrebbe fisiologicamente condurre alla delusione dell’interesse individuale.
Rappresenta la posizione soggettiva che ha il cittadino rispetto all’operato della pubblica
amministrazione.
Si ha l’interesse legittimo ogni qualvolta un cittadino aspira a mantenere intatta o ampliare la
propria sfera giuridica e ogni qualvolta questi due risultati entrino in collisione con il perseguimento
di interessi generali, da parte delle PA.
Esempio: ius edificandi.
Pretensivo: Perseguimento di un ampliamento della sfera giuridica del titolare per il quale è
necessario un provvedimento favorevole della P.A. di natura autorizzatoria o concessoria.
È quindi l’aspirazione del cittadino all’incremento della propria sfera giuridica che però deve essere
preventivamente vagliata la pubblica amministrazione.
Esempio: Autorizzazione al porto d’armi da fuoco.
Oppositivo: Perseguimento della conservazione della propria sfera giuridica cui un provvedimento
amministrativo sfavorevole intende imporre una qualche limitazione o riduzione.
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Alessandro Castro
Aspirazione del cittadino a mantenere integra la propria sfera giuridica ogni qualvolta la pubblica
amministrazione avvii un procedimento volto a modificarla, per perseguire un interesse generale.
Esempio: interesse del privato che si oppone al decreto di esproprio del proprio bene.
INTERESSE COLLETTIVO
È un interesse individuale di natura seriale, ossia un interesse che ciascun soggetto nutre con
caratteristiche analoghe se non identiche ad altri soggetti posti nelle medesime condizioni.
È un interesse che accomuna una pluralità di individui che si trovano nella stessa condizione.
Si può affermare che designa un’esigenza sovra-individuale che è identificabile con una categoria
umana o un gruppo sociale definito.
L’ordinamento giuridico attribuisce rilevanza agli interessi collettivi consentendo forme di tutela
aggregata come le azioni popolari. (class-action)
Dette sono strumenti processuali grazie ai quali una pluralità di soggetti con interessi omogenei
giuridicamente rilevanti, piuttosto che agire individualmente si aggregano, e propongono un’unica
azione in giudizio per ottenere un risultato utile per tutti.
INTERESSE DIFFUSO
Consiste in un’esigenza individuale su larga scala, ossia un interesse di natura seriale, omogeneo
per una pluralità indefinita di soggetti. Il suo riconoscimento è però in forma minima.
La tutela di questi interessi viene garantita dall’ente esponenziale, ovvero dallo Stato.
Consiste dunque in un interesse appartenete a una pluralità di individui la cui individuazione è meno
netta dell’interesse collettivo.
La principale differenza tra interessi diffusi e collettivi la si osserva sul versante della tutela.
Il carattere indeterminato dei portatori dell’interesse diffuso rende necessario affidare allo Stato la
sua cura e la legittimazione ad agire per la sua salvaguardia.
L’interesse collettivo è riferibile ad un gruppo sufficientemente definito, e ciò consente al legislatore
di conferire la legittimazione ad agire agli enti rappresentativi del gruppo sociale interessato.
IL DOVERE
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L’ambito proprio del dovere è prevalentemente quello del diritto pubblico, ma sono presenti anche
nel diritto privato. Secondo una concezione giuridica, vennero interpretati come diritti relazionali
anche i diritti assoluti. I diritti assoluti vennero concepiti come estremo di un rapporto, all’altro capo
del quale venivano individuati tutti i consociati. Si configurava così il dovere generale di astensione
che per lungo tempo, è stato ritenuto fronteggiare il diritto assoluto.
Dovere di alterum laedere, neminen laedere, cioè un dovere che aveva come oggetto quello di
astenersi da qualunque interferenza che potesse impedire, al titolare del diritto assoluto, di
realizzare il proprio interesse.
Questa rappresentazione del diritto assoluto è però una forzatura, poiché significherebbe
rappresentare tutte le situazioni di diritto come un reticolo infinito di rapporti.
Il diritto assoluto è collocato al di fuori di un rapporto giuridico.
Il dovere generale di astensione, è una figura astratta perché è eccessivamente generico sia per
quanto riguarda i destinatari sia per quanto concerne i contenuti.
Se il dovere non specifica in maniera sufficientemente dettagliata ciò che il destinatario del dovere
deve o non deve fare, esso non è un in grado di determinare la condotta del consociato.
Il dovere deve essere una condotta sufficientemente specifica che è in grado di orientare la condotta
dei consociati nei confronti della comunità.
L’OBBLIGO
Condotta necessitata e di contenuto specifico, per la realizzazione di interessi, la cui finalizzazione
è posta a vantaggio di uno o più soggetti determinati.
Vi è la determinatezza dei destinatari della condotta imposta, tanto dei soggetti a vantaggio dei
quali la condotta si ripercuote.
L’obbligo instaura la relazione intersoggettiva che prende il nome di rapporto giuridico e si traduce
nella correlazione tra situazione attiva e situazione passiva.
Il caso più significativo di obbligo, è il debito. Questo, grava sul debitore ed è a vantaggio del
creditore. Il credito e il debito istituiscono un rapporto di obbligazione (o rapporto obbligatorio).
All’obbligo si contrappone sempre un diritto soggettivo relativo.
L’ONERE
Condotta necessitata che il soggetto è tenuto deve a in essere nel proprio interesse.
Esempio.
Nella vendita l’acquirente è protetto nel caso in cui il bene sia viziato.
Per potersi avvalere della garanzia il compratore deve denunciare il vizio entro 8gg dalla scoperta. Questo è
un onere perché il compratore denuncia i vizi al venditore per ottenere un vantaggio per sé, ovvero ottenere
una garanzia legata alla denuncia del vizio.
In questo caso quindi il comportamento dovuto è nell’interesse di sé stesso.
LA SOGGEZIONE
La soggezione rappresenta una situazione passiva correlata all’attribuzione di un diritto
potestativo. La condotta necessitata non consiste in una realizzazione ma consiste in un pati, ossia
nel tollerare la modificazione della propria sfera giuridica come conseguenza dell’esercizio del
potere altrui.
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Alessandro Castro
Il legatario, risponde nei limiti dell’eredità soltanto fino all’ammontare del valore dei diritti.
Il legato non può mai essere dannoso.
Si acquista automaticamente senza accettazione, ma può anche essere rifiutato.
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Il coniuge che non ha un reddito o non ha un reddito che gli permetta di condurre uno stile di vita
analogo a quello che conduceva con costanza prima della separazione, ha diritto ad un
mantenimento, a meno che la separazione non sia a questa parte imputabile.
Sorge poi il problema dell’affidamento della prole. Se i coniugi si accordano verrà determinata la
costituzione di situazioni giuridiche.
L’ESTINZIONE DEI DIRITTI SOGGETTIVI
L’estinzione di un diritto soggettivo, oltre a usucapione, prescrizione e decadenza può avere luogo
per diverse cause:
• Piena realizzazione dell’interesse per il quale il diritto viene attribuito
• Impossibilità della prestazione come nel caso dell’impossibilità sopravvenuta per causa non
imputabile al debitore.
• Confusione in capo allo stesso soggetto della qualità di debitore e di creditore.
• Rinunzia abdicativa, che implica la dismissione del diritto senza l’altrui acquisto
• Rinunzia traslativa, che ha natura contrattuale e determina l’altrui acquisto
La rinunzia è ammessa solamente per quanto riguarda i diritti disponibili.
Sono irrinunciabili i diritti della personalità, le potestà ed i diritti patrimoniali volti al
soddisfacimento dei bisogni essenziali della persona.
LA PUBBLICITA’
La pubblicità è un indice esterno dell’esistenza giuridica di un fatto, di un atto o di un negozio, e più
in generale di una modificazione della sfera giuridica di un soggetto o della condizione giuridica di
un bene.
La pubblicità è un istituto finalizzato a rendere noto a terzi una vicenda giuridicamente rilevante
tramite il ricorso a mezzi di conoscenza pubblica.
NOTA Possiamo distinguere la pubblicità in:
• Pubblicità legale, sopra descritta
• Pubblicità di fatto, la quale consente di far presumere ai terzi la corrispondenza tra stato di
fatto e stato di diritto esercitando un potere di fatto, sebbene questo non sia stato reso noto
nelle forme di legge (es. possesso beni mobili).
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OT-> In altri casi il legislatore ricorre a metodi differenti per risolvere i conflitti di attribuzione.
Hanno funzione di pubblicità dichiarativa anche il possesso in buona fede e la detenzione.
Nel caso di conflitti di attribuzione che hanno ad oggetto la proprietà di beni mobili, a prevalere è
chi per primo abbia acquisito il possesso del bene in buona fede. Ovvero ignaro del fatto che quel
bene fosse stato oggetto di trasferimenti nei confronti di un terzo.
Nel caso di diritti personali di godimento, prevale chi per primo ha ottenuto la detenzione del bene,
quindi chi ha fisicamente verso di sé il bene.
LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE (manuale)
Con tutela delle situazioni giuridiche soggettive attive, intendiamo l’attitudine dell’ordinamento a
mobilitarsi a favore del titolare del diritto quando la realizzazione di un interesse protetto è frustrata
da comportamenti non cooperativi o aggressivi degli altri consociati.
Oltre alla tutela giurisdizionale, ossia quella garantita dallo Stato tramite la predisposizione di
organi, esistono altre tipologie di tutela.
Possiamo parlare di tutela stragiudiziale, ossia meccanismi di protezione destinati ad essere attivati
al di fuori del processo. E di mezzi di autotutela, ossia poteri che consentono al privato di cautelarsi
personalmente contro il rischio di un pregiudizio.
Nell’ambito dei mezzi di autotutela, hanno notevole importanza le tre fattispecie di risoluzione
automatica:
• Diffida ad adempiere, art. 1454
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L’arbitrato è l’istituto tipico della giustizia privata, e viene utilizzato per ovviare ai tempi della
giustizia ordinaria, ma comporta elevati costi.
È una forma di risoluzione delle controversie alternativa al giudizio dell’autorità giudiziaria, che
poggia su un contratto oppure su una clausola, che prende il nome di clausola compromissoria. Gli
arbitri sono pagati dalle stesse parti in giudizio.
Le due parti nominano gli arbitri di parte e poi congiuntamente nominano un soggetto terzo, ovvero
il presidente del collegio arbitrale.
L’arbitrato può essere rituale, quando gli arbitri decidono secondo diritto.
Oppure irrituale, quando il lodo non acquista efficacia di cosa giudicata.
Il giudizio del collegio arbitrale viene chiamato lodo, e questo ha la stessa efficacia della sentenza,
qualora ottenga l’exequatur da parte del giudice, il quale deve attestare che non vi siano decisioni
contrarie all’ordine pubblico.
La mediazione può essere:
• Volontaria a fini conciliativi. In questo caso le parti, assistite da un mediatore professionista
tentano di raggiungere un accordo per la risoluzione della controversia
• Obbligatoria, prevista espressamente per alcune materie quali ad es. il condominio. Il suo
esperimento costituisce una condizione di procedibilità nell’eventuale giudizio di merito.
• Delegata. Quando avviene su ordine del giudice dopo averne valutato l’opportunità
L’accordo raggiunto in sede di mediazione acquista l’efficacia di titolo esecutivo se contiene
l’attestazione degli avvocati delle parti, altrimenti per acquisire tale efficacia va sottoposto
all’omologazione del giudice ordinario.
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Alessandro Castro
Ogni danno produce un costo economico, e grazie al risarcimento questo costo viene traslato
dalla sfera giuridica del danneggiato alla sfera giuridica di colui a cui il danno è imputato.
• Tutela invalidatoria -> si avvale dei rimedi invalidatori, ovvero strumenti che permettono di
privare di effetti di tutti quegli atti che dovessero rivelarsi affetti da vizi.
(Rimedio di nullità ed annullamento).
È comune sia ai diritti assoluti che ai diritti relativi la tutela risarcitoria, il cui scopo è quello di
ristorare la parte lesa del pregiudizio economico derivante dalla condotta illecita di un terzo.
La tutela risarcitoria segue regole diverse a seconda che si tratti di responsabilità contrattuale o
extracontrattuale.
Il danneggiato in talune circostanze può scegliere tra disciplina della responsabilità contrattuale e
disciplina extracontrattuale. Questa vicenda prende il nome di concorso di responsabilità, data
l’alternativa sul piano sostanziale.
LA PRESCRIZIONE E LA DECADENZA
Le situazioni giuridiche soggettive una volta acquistate possono essere esercitate, ma dato che
rappresentano una posizione di potenzialità, non è certo il loro esercizio.
Quando una situazione giuridica soggettiva istituisce un rapporto, questo non si può protrarre
indefinitamente nel tempo, poiché la controparte deve tenersi in condizioni di poter subire una
limitazione della propria sfera giuridica, o deve essere pronta a porre in essere un determinato
comportamento.
Ad esempio a fronte di un diritto di credito, il cui titolare non pretende, il debitore deve tenersi
pronto ad adempiere laddove il creditore faccia richiesta.
L’ordinamento ha così introdotto l’istituto della prescrizione e della decadenza che regolano
l’influenza del tempo nell’esercizio delle situazioni giuridiche soggettive.
LA PRESCRIZIONE
La prescrizione è un istituto giuridico regolato dagli art. 2934 e ss.
La finalità della prescrizione è di tipo pubblicistico, infatti è volta a tutelare la certezza dei rapporti
giuridici, e trova la sua causa nell’inerzia del titolare del diritto protratta per un periodo di tempo
determinato dalla legge.
Art 2934: Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge, denominato termine prescrizionale.
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Alessandro Castro
Per calcolare il termine, è fondamentale risalire al dies a quo, ossia il giorno a partire dal quale il
termine inizia a decorrere.
Ai sensi dell’art.2935 la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto
valere.
Il dies a quo del termine prescrizionale è il giorno in cui il diritto non soltanto è entrato nella sfera
giuridica del titolare, ma si sono verificate oggettivamente tutte le condizioni in presenza delle quali
quel diritto possa essere esercitato. Se il titolare non sappia di essere tale, ciò non è rilevante ai fini
del computo del termine prescrizionale.
Poiché la prescrizione, ha la finalità di eleminare le incertezze. E se dovesse essere presa in
considerazione la consapevolezza del titolare del diritto, si presenterebbero troppe criticità
nell’individuare realmente il dies a quo.
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Alessandro Castro
Di fatti tutte le norme relative alla prescrizione non ammettono diversa disciplina e sono imperative.
All’interno di un contratto le parti non possono prevedere regole differenti relative alla prescrizione
ai sensi dell’art.2936, ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione è nullo.
Art.2939 può essere fatta valere dai creditori e da chiunque ne abbia interesse, anche qualora la
parte non la faccia valere, o vi ha rinunziato.
Ai sensi dell’art 2940, non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in
adempimento di un debito prescritto.
In una ipotesi di indebito oggettivo, ossia in caso spostamento di ricchezza privo di giustificazioni,
un soggetto compie una determinata operazione poiché pensa di esserne tenuto.
Se poi dovesse appurare che la prestazione non era dovuta, il solvens può agire in restituzione nei
confronti del ricevente della prestazione (accipients).
Il solvens ha il diritto di domandare all’accipients la restituzione della propria prestazione.
Ma questa norma non si applica se chi ha effettuato la prestazione è un debitore, che ha
spontaneamente effettuato la prestazione, nonostante il diritto di credito fosse prescritto.
Infatti:
• Lo spontaneo adempimento può costituire una rinuncia alla prescrizione.
• Il debitore ha effettuato una prestazione che non era più giuridicamente tenuto ad
effettuare, ma che rimane moralmente dovuta.
Quindi è come se il debitore ponesse in essere l’obbligazione naturale.
Si ha obbligazione naturale ogni qual volta un soggetto effettua una prestazione, in quanto tenutovi
da obblighi di natura morale o di natura sociale.
La prestazione dovuta moralmente o socialmente non può essere pretesa in diritto.
Esempio. Debito da gioco.
Chi ha contratto debiti da gioco è tenuto socialmente ad onorare il proprio debito, ma non è
un’obbligazione civile. Ma se l’obbligato naturale dovesse spontaneamente effettuare quella
prestazione allora si ha la soluti retensio.
Per cui il debitore naturale non ha strumenti per recuperare la prestazione effettuata.
LA SOSPENSIONE E L’INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE
La prescrizione è un istituto giuridico che poggia sul decorso del tempo.
La prescrizione si verifica quando è compiuto l’ultimo giorno del termine ai sensi dell’Art. 2962.
Ai sensi dell’art.2963 i termini vanno computati secondo il calendario comune.
Non deve essere computato il giorno iniziale. Se il termine scade in un giorno festivo, vi è la proroga
di diritto al seguente giorno non festivo. Se il termine è fissato in mesi, la prescrizione si verifica nel
mese di scadenza e nel giorno corrispondente al mese iniziale. Se manca tale giorno, il termine si
compie all’ultimo giorno del mese.
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LA SOSPENSIONE
La sospensione può essere legata a rapporti (art.2941) oppure legata a condizioni del titolare
(art.2942).
Sospensione tra le parti, art.2941
La prescrizione rimane sospesa:
• Tra coniugi
• Tra chi esercita la responsabilità genitoriale e le persone che vi sono sottoposte
• Tra il tutore e il minore, o tra tutore e l’interdetto
• Tra curatore e minore emancipato, o tra curatore ed inabilitato
• Tra erede e l’eredità accettata con beneficio di inventario
• Tra persone i cui beni sono sottoposti all’amministrazione altrui, e quelle da cui
l’amministrazione è esercitata
• Tra persone giuridiche ed amministratori, fintantoché essi sono in carica.
• Tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, fin alla
scoperta del dolo.
Sospensione per la condizione del titolare, art. 2942:
La prescrizione per situazioni di contesto resta sospesa:
• Contro minori non emancipati e gli interdetti, fintantoché essi non hanno rappresentate
legale e per i 6 mesi successivi alla nomina di questo, o per i 6 mesi successivi alla cessazione
dell’incapacità
• In tempo di guerra contro militari o appartenenti a forze armate dello Stato, o contro coloro
che si trovano al seguito delle forze per ragioni di servizio.
(Il codice è stato concepito in tempi di guerra e quindi una possibilità del genere era più che
plausibile.)
L’INTERRUZIONE
Sono cause di interruzione tutte quelle che determinano l’azzeramento dei termini prescrizionali.
Affinché gli atti di esercizio del diritto determinino l’interruzione questi devono essere atti formali.
Ovvero devono essere stati consacrati in un documento che dia certezza del fatto che il diritto sia
stato esercitato.
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Gli effetti dell’interruzione sono determinati dall’art. 2945, e consistono nell’azzeramento del
termine prescrizionale.
Pertanto inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Se l’interruzione avviene in seguito ad un giudizio, questa ricomincia a decorrere nel momento in
cui la sentenza passa in giudicato, mentre se il processo si estingue, il periodo di prescrizione
comincia alla data dell’atto interruttivo. Nel caso di arbitrato la prescrizione comincia a decorrere
appena il lodo non è più impugnabile, o passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione.
LE PRESCRIZIONI BREVI
Il nostro codice prevede dall’art. 2947 all’art.2953 le cosiddette prescrizioni brevi.
Ovvero quei diritti il cui termine di prescrizione è inferiore alla durata ordinaria di anni 10.
2947 comma 1 -> risarcimento del danno extra-contrattuale -> 5 anni
2947 comma 2 -> risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli -> 2 anni
2948 -> 5 anni
2951 -> diritti derivanti dal contratto di spedizione o dal contratto di trasporto -> 1 anno
2952 -> diritti derivanti in materia di assicurazione -> 1 anno dalla scadenza
LE PRESCRIZIONI PRESUNTIVE
Le prescrizioni presuntive, costituiscono delle presunzioni relative rafforzate, in ordine alla
circostanza che il pagamento richiesto oltre il termine di legge sia ritenuto come effettuato dal
debitore.
Il decorso del termine non decreta l’estinzione del diritto di credito, ma decreta che passato quel
lasso di tempo bisogna ritenere che il creditore sia stato soddisfatto e quindi che il suo diritto sia
stato estinto. Questo poiché trattandosi di crediti il cui adempimento non è documentato, o se
documentato non è di regola conservato dal debitore allora è necessario porre un limite temporale
superato il quale, si deve ritenere che vi sia stato adempimento.
Il creditore può al massimo provare in giudizio che il debitore non abbia mai adempiuto.
Art.2954 -> si prescrivono in 6 mesi il diritto di albergatori ed osti per l’alloggio ed il vitto che
somministrano.
Art.2955 -> “Si prescrive in un anno il diritto:
1) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni che impartiscono a mesi o a giorni o a ore;
6) dei farmacisti, per il prezzo dei medicinali”
Art.2956 -> si prescrive in tre anni il diritto di (leggere dal codice)
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In questo caso, l’eccezione di prescrizione deve essere rigettata perché colui che afferma che il
diritto non è mai sorto, che è invalido etc., non può nello stesso tempo affermare (vi sarebbe infatti
una contraddizione in termini) che si è estinto per non esercizio.
Art.2960: Il creditore contro cui è stata opposta la prescrizione presuntiva, può deferire giuramento
al debitore, chiedendogli di giurare che il debito sia stato o meno adempiuto. Se il debitore giura il
falso, al creditore non resterà altro rimedio che un’eventuale azione di falso in sede penale e, solo
dopo l’accertamento del falso, l’azione di risarcimento danni in sede civile.
Il giuramento potrebbe inoltre essere deferito al coniuge superstite, agli eredi o ai loro rappresentati
legali per dichiarare se hanno notizia dell’estinzione del debito.
LA DECADENZA
La decadenza è un istituto giuridico in forza del quale, decorso un determinato periodo di tempo,
non può più essere esercitata una pretesa volta alla modificazione o all’annullamento di uno stato
o di un rapporto giuridico.
Mentre la prescrizione attiene alla durata del diritto e del rapporto, la decadenza attiene alla durata
degli adempimenti necessari per poter esercitare un diritto.
La decadenza si colloca in un’ottica temporale precedente alla prescrizione.
La decadenza non è causa di estinzione del diritto è una causa che preclude l’esercizio di un diritto.
In caso di decadenza il diritto rimane esistente ma il titolare non può più esercitarlo.
La decadenza, non prevede gli istituti della sospensione e dell’interruzione.
La si può unicamente impedire, compiendo l’atto che la legge o le parti hanno posto come
preliminare all’esercizio del diritto.
Ponendo un termine di decadenza vi è l’obiettivo di imporre al titolare il compimento di un’attività
propedeutica all’esercizio del diritto.
Si tratta di diritti il cui esercizio è condizionato dal compimento di attività prodromiche.
Fin tanto che quest’atto preliminare non è posto in essere il diritto non può essere esercitato e se
non può essere esercitato non scatta neanche il termine prescrizionale.
Il quale quindi, non può che essere successivo al decorso della decadenza.
La decadenza può essere legale, quando è prevista dal legislatore, oppure convenzionale, quando
è stabilita dalle parti mediante contratto
Art.2964, quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine, sotto pena di decadenza non si
applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione.
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Ai sensi dell’art.2967, nei casi in cui è impedita la decadenza il diritto resta soggetto alle regole della
prescrizione.
Art.2968: Le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza e non possono
rinunziarvi se questa è di natura legale
Infine ai sensi dell’art.2969 la decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, a meno che
non si tratti di materia sottratta alla disponibilità delle parti e quindi il giudice deve rilevare le cause
di improponibilità di azione.
Sarà onere della parte eccepire la decadenza dal diritto, che non potrà essere rilevata d’ufficio.
Esempio
Contratto di compravendita
Viene riconosciuta al compratore una garanzia per l’eventualità che il bene risulti affetto da vizi che
erano occulti.
Art 1495 il compratore prima di poter domandare la risoluzione del contratto o la diminuzione del
prezzo deve denunciare i vizi nei confronti del venditore entro 8 giorni dalla scoperta (termine
decadenziale previsto dalla legge).
Il termine decadenziale è finalizzato ad imporre al compratore di denunciare.
L’atto di denuncia non fa esercitare la garanzia.
È un atto prodromico che precede la possibilità di esercitare la garanzia.
Il compratore ha già diritto alla garanzia ma non la può invocare se non denuncia i vizi entro 8 giorni.
Se il titolare decade il diritto non può essere esercitato.
Chi decade da un diritto, resta titolare di un diritto che però non può essere esercitato, poiché
l’esercizio era subordinato al compimento di un’attività preliminare che non è stata posta in
essere. Il soggetto resta titolare del diritto ma non se ne può avvalere.
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