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1) Parte Generale

Introduzione a diritto privato

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Parte Generale

Diritto Privato
Alessandro Castro
Alessandro Castro

PARTE GENERALE
IL DIRITTO, LA NORMA, LE FONTI
Il diritto
“Il diritto è un sistema di regole coattive la cui imposizione è assicurata dalla previsione di un sistema di sanzioni che
l’ordinamento predispone e regola”.
Esistono diverse concezioni sui fondamenti e sull’essenza del diritto.
Una prima concezione è quella giusnaturalista, secondo la quale vi è l’esistenza di un diritto
naturale, e la superiorità di questo al diritto positivo. Secondo i giusnaturalisti le leggi positive
dovevano conformarsi alla legge naturale.
A partire dal 1800 la concezione prevalente dei giuristi italiani ed europei è il giuspositivismo il quale
consiste nell’asserzione che il diritto è un artefatto umano, prodotto da autorità legittime e munite
del potere materiale di farlo osservare.
Il diritto è quindi positivo, ovvero posto ed effettivo, solamente se prodotto dal potere costituito.
A questo diritto, che comprende tutte quelle normative obbligatorie e da rispettare, denominate
hard law, vengono affiancate le soft law, ovvero il diritto opzionale, per il quale vi è la libera scelta
di applicazione. Si venne a creare a partire dal 1800 il cosiddetto positivismo di stampo legalistico.

Il diritto è un fenomeno regolativo e prescrittivo. Ovvero un insieme di regole, che:


• Disciplinano i rapporti sociali
• Disciplinano e controllano l’uso della forza

Le regole del diritto, sono le uniche regole, a differenza di quelle sociali, morali, e religiose, che
prevedono una commisurazione delle conseguenze legate alla loro violazione.
Il diritto è l’unico fenomeno regolativo che struttura la norma e ne calibra le conseguenze.
È necessario all’interno di ogni società infatti ubi societas ibi ius, ed è indispensabile per rispettare
il principio del ne cives ad arma ruant.

Il diritto ha la necessità di ricorrere al linguaggio dato il suo carattere fortemente sociale, e ricorre
anche alla scrittura per facilitarne la conoscenza.
Inoltre assume il carattere della certezza, in quanto, le regole devono essere conoscibili, così come
le conseguenze che derivano da comportamenti recalcitranti.

“Sanzione” è un termine di diritto che ha un’ambivalenza di significato: è un termine anfibologico


Ha significato:
1. Atecnico: secondo cui è una conseguenza negativa che il diritto prevede a presidio del
rispetto della sua regola.
2. Tecnico: la sanzione è una misura afflittiva, punitiva che assolve ad una duplice funzione:
• Prevenzione speciale: poiché induce il reo a non commettere più le stesse azioni.
• Prevenzione generale: perché induce chiunque ad evitare di commettere quella
violazione prefigurando una conseguenza.

La norma è un insieme di segni del linguaggio che struttura un discorso prescrittivo, ovvero si avvale
di categorie deontiche.
La norma giuridica è una proposizione prescrittiva, destinata a regolare rapporti sociali, e si
inserisce in un insieme di regole che sono caratterizzate dal connotato della coattività.
Le norme giuridiche non si limitano ad essere volontariamente osservate, ma possono anche essere
imposte. Non tutte le norme giuridiche però ricalcano la struttura del comando.

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Alessandro Castro

Vi sono norme che riconoscono libertà: non pongono comandi ma possibilità, ovvero viene
riconosciuta come possibile una determinata azione, o una sfera di autodeterminazione.
Soprattutto nel diritto privato numerose norme si limitano ad enunciare libertà dei singoli.
Come ad esempio l’art.1332 cc: che è la norma sull’autonomia privata, significa cioè che
l’ordinamento giuridico riconosce che i cittadini sono liberi di regolare i propri rapporti economico-
sociali tramite contratti. Il contratto è lo strumento con il quale il cittadino si fa legislatore di sé
stesso, detta regole a sé medesimo ed alla sua controparte per determinare un fatto della vita.

Le norme possono quindi essere distinte in:


• Precettive
• Organizzative (es. art 1322).

L’insieme degli elementi normativi espressi in modo sistematico che regolano la vita all’interno di
un sistema giuridico viene definito ordinamento giuridico.
Per l’esistenza di un ordinamento giuridico, vengono individuati due requisiti essenziali:
1. L’inerenza di tutti i dati normativi, nonostante questi possano provenire da legislatori diversi.
2. La ricognizione di una struttura organica di tale complesso normativo, che consenta di
stabilire ordinati criteri di coordinazione e subordinazione tra le norme del sistema.

La maggior parte dei concetti giuridici italiani ed Europei attuali, hanno avuto origine nel diritto
romano. È così possibile distinguere due diverse aree geografiche con tradizioni giuridiche diverse.
• Common law -> ove il diritto viene prodotto prevalentemente dai giudici, tradizione
presente nei paesi anglosassoni
• Civil law -> ove il diritto viene prodotto dai legislatori, tradizione presente nell’Europa
Continentale.

Gli emisferi principali dell’ordinamento giuridico sono:


• Il diritto privato
• Il diritto pubblico.
Il diritto privato nasce nell’antichità, ed è già ben noto ai romani, poiché tratta i rapporti personali
o patrimoniali che caratterizzano le comunità, ed ovviamente si è sempre posta l’esigenza di
regolare detti rapporti. Il diritto privato viene definito come il diritto della libertà poiché le sue
regole sono rivolte al regolamento dell’esercizio della libertà individuale.
Non è concepito come un complesso di obblighi, doveri o divieti, questi ultimi sono presenti ma non
sono particolarmente diffusi.

Il diritto pubblico è invece di formazione più recente in quanto nasce solamente con la formazione
degli Stati moderni, e quindi con la recente necessità di individuare i pubblici poteri ed organizzare
la struttura e l’articolazione delle pubbliche amministrazioni.
Nonostante la divisione fra i due rami del diritto, nel passato sia stata particolarmente netta, ad oggi
si osserva come molti elementi siano comuni.
Per cercare quindi di definire approssimativamente le differenze fra le due branchie, si ci può riferire
alla tipologia di rapporti presi in considerazioni.
Il diritto privato regola tutti quei rapporti tra soggetti che si pongono su un piano formale di parità.
Mentre il diritto pubblico, regola quei rapporti ove lo Stato agisce in posizione di supremazia e quindi
si manifesta la soggezione al potere pubblico.
Recentemente si parla però, del cosiddetto diritto comune, dato il largo utilizzo di principi e istituti
di diritto pubblico nel diritto privato e viceversa.

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Alessandro Castro

LA NORMA
Le norme sono regole che prevedono un caso della vita e stabiliscono quali poteri o doveri sono
attribuibili ai soggetti coinvolti.
La norma prende in considerazione un caso della vita che prende il nome di fattispecie astratta.
La quale può essere più o meno articolata (unico fatto -> fattispecie semplice, più fatti -> fattispecie complessa).
Il caso concreto ad essa riconducibile prende il nome di fattispecie concreta.
L’attribuzione di poteri o doveri prende il nome di effetto giuridico, ovvero il potere di determinare
conseguenze (efficacia della norma)

Le norme possono essere:


• Regole -> enunciati normativi, espressi in forma analitica, che adottano una struttura
condizionale, per cui vengono ipotizzati alcuni fatti, il verificarsi dei quali determina alcune
tipologie di effetti.
Nelle regole abbiamo una premessa maggiore, una premessa minore ed una conseguenza;
La premessa maggiore è la fattispecie, cioè l’ipotesi di fatto che la norma prende in
considerazione.
La premessa minore è un caso della vita che rispecchi le caratteristiche dell’ipotesi di fatto.
Ed infine vi è la conseguenza. Questi tre elementi costituiscono la struttura tipica della regola
• Principi -> Non sono regole analitiche ma esprimono una direttiva, senza che sia indicata la
fattispecie specifica e l’effetto a ciò connessa. (ad esempio esprimono valori)
• Clausole generali -> esprimono uno standard per migliorare la determinazione di una
fattispecie o di un effetto giuridico.

La norma, qualunque forma assuma, ha solitamente due caratteristiche:


• Generale -> ha come destinatario una platea indeterminata di soggetti, e non considera mai
il caso singolo.
• Astratta -> è ipotetica, in quanto non considera rapporti concreti.

L’astrattezza e la generalità consentono di governare una serie indefinita di casi, e di assicurare


l’indifferenza del diritto a caratteristiche personali, in modo che si rispetti l’art 3 della Costituzione.
Esistono però anche norme individuali e concrete.
Queste sono norme giuridiche esattamente come le norme generali ed astratte.
Es. L’art 1372 enuncia il principio di vincolatività del contratto secondo cui i contratti hanno forza di
legge tra le parti. La legge, quindi, è una fonte del diritto generale ed astratto, mentre il contratto
è una fonte del diritto individuale e concreto.

Dire che la norma giuridica è caratterizzata da generalità ed astrattezza è riduttivo perché identifica
il diritto di origine solamente statale, mentre il mercato, le relazioni sociali sono intessute di regole
che scaturiscono da fonti di diritto individuali e concrete.
Individuali -> si riferiscono a determinati soggetti. Concreti -> regolano una vicenda specifica

Le norme possono essere distinte in:


• Generali -> disciplinano nella maniera più ampia, una determinata vicenda della vita
• Speciali -> che disciplinano un tipo di aspetto e di profilo specifico di una vicenda della vita.
La distinzione fra norma generale e speciale è però relativa, poiché la norma è generale solamente
se esiste una norma di tipo speciale, diversamente sarà una norma tout court.
Viceversa una norma è speciale se esiste una norma generale.

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Alessandro Castro

Secondo il principio di specialità, tanto più una norma è specifica, tanto più questa precede
nell’applicazione quella generale ed astratta.
Esistono infine le norme eccezionali che regolano un particolare caso e sono indirizzate a
determinati soggetti. Queste, vengono solitamente emanate dagli organi che emanano norme
generali ed astratte. Sono di tipo congiunturale, e si applicano nel solo conteso che le ha originate.

Bisogna effettuare una distinzione fra norma giuridica e disposizione normativa.


L’insieme dei segni linguistici che compongono la norma, prendono il nome di disposizione.
L’utilizzo del linguaggio però, comporta delle criticità, ovvero la difficoltà nell’individuare il corretto
senso della disposizione, ossia la sua interpretazione.
La disposizione è l’enunciato linguistico.
Mentre la norma è il frutto dell’interpretazione, ovvero la prescrizione che si ottiene interpretando
la disposizione. (la norma può essere ricavata solamente da una fonte del diritto).
Norma giuridica -> proposizione prescrittiva tesa ad istituire un ordine nelle relazioni
interpersonali, che si inserisce in un insieme di altre norme chiamate ordinamento giuridico
caratterizzato nella sua unitarietà per il carattere della coattività.

Un’altra caratteristica essenziale della norma è quella dell’obbligatorietà.


Nella teoria giuridica passata, vi era la convinzione che si potesse parlare di norma giuridica,
solamente per quelle norme accompagnate dal carattere della coercibilità.
Nella realtà contemporanea questa visione è però stata smentita, infatti le soft law o le regole
sancite dall’Onu, costituiscono diritto, ma non dispongo del carattere delle coattività.
Non tutte le norme giuridiche hanno il carattere della coattività, ma sono tali in quanto si inseriscono
ad un sistema di regole quale l’ordinamento giuridico, il quale fa ricorso all’uso della forza per
imporre le regole ad i destinatari recalcitranti
Se il legislatore pone in vigore una disposizione normativa che deve essere sempre osservata, poiché
tutela interessi generali che non ammettono violazione, si ci trova davanti ad una norma imperativa.
L’insieme delle norme imperative costituisce il cosiddetto ordine pubblico.

LE FONTI DEL DIRITTO


Diritto oggettivo -> complesso delle regole che scaturiscono da atti normativi di origine statale o
sovranazionale.
Con il termine fonti del diritto, si ci riferisce a quegli atti e fatti che sono idonei a produrre diritto.
In sistemi positivistici come il nostro, lo stesso diritto riconosce quegli atti e fatti idonei a produrlo,
e specifica gli organi che hanno il potere di normare.

Fonti del diritto in generale


Il sistema giuridico italiano, è fondato su una Costituzione scritta, sovraordinata alla legge, la quale
ha la massima forza passiva, in quanto non è possibile abrogarla e può essere modificata solamente
mediante processo di revisione aggravato.
La costituzione esprime i valori fondamentali dell’ordinamento, e in merito al diritto privato
riconosce ad esempio valori come i diritti inviolabili, la rilevanza delle formazioni sociali e
l’uguaglianza di fronte alla legge. Inoltre regola ed organizza il funzionamento dello Stato, istituendo
i poteri ed attribuendo loro le relative competenze.
Le norme costituzionali sono immediatamente precettive, vincolano il legislatore ed infine
condizionano la corretta interpretazione del diritto oggettivo.
Vi è poi un sistema gerarchico di fonti che si collocano al di sotto della costituzione e sono le
seguenti:

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Alessandro Castro

• Legge e atti aventi forza di legge (art. 76 D.lgs., art. 77 Dl) (in seguito alla riforma del titolo V
della Costituzione la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni) (Vi sono materie dove la
competenza legislativa è esclusivamente dello stato. Vi sono altre materie di competenza regionale.
Lo stato individua i principi cardine con una legge quadro che dovranno caratterizzare la regolazione di quella materia, poi
la disciplina di dettaglio compete alle regioni.)
• Regolamenti (es. governativi e ministeriali)
• Atti normativi di autorità amministrative indipendenti (ovvero EP che vigilano in settori del mercato)
• Usi e consuetudini
Ovviamente sono privi di valore gli usi che contrastano le norme di rango superiore (usi contra
legem). Ma esistono anche usi che operano in materie non regolate dalla legge (usi praeter legem).
Per consuetudine si intende una prassi sociale dotata dalla cosiddetta opinio iuris as necessitas,
ovvero il generale convincimento che comportarsi in conformità sia giuridicamente necessario.
La consuetudine è quindi una regola spontaneamente osservata dal corpo sociale per un lasso di
tempo significativo. Nel nostro ordinamento ha un ruolo marginale.

Le disposizioni normative che prevedono le fonti e disciplinano i modi di creazione del diritto
vengono denominate fonti sulla produzione.
Una prima fonte sulla produzione è individuabile nell’art.1 delle Disposizioni sulla legge in generale:
“Sono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) norme corporative; 4) gli usi.”
Le norme corporative sono state abrogate nel 2° dopoguerra in quello che viene ricordato come
processo di defasticizzazione, con cui sono stati eliminati dall’ordinamento tutti i riferimenti alla
legislazione fascista. Le preleggi sono però imprecise poiché precedenti alla Costituzione del ‘48, e
precedenti al sorgere di nuovi centri di produzione del diritto, come l’UE e le autonomie locali.

Le fonti necessitano di essere organizzate in modo gerarchico, poiché, il diritto non viene creato in
modo coordinato e possono venirsi a creare dei contrasti tra le norme, denominati ANTINOMIE.
L’ordinamento giuridico essendo un sistema deve essere ordinato.
In tal senso bisogna individuare i criteri che permettono di risolvere dette antinomie.
Un primo criterio per risolverle è il criterio gerarchico.
Viene stabilita un’organizzazione stratificata, dove al vertice si trova la fonte che ha maggiore forza
attiva e passiva (prima dell’entrata in vigore della costituzione la fonte principale era la legge).
La regola generale è che il diritto che scaturisce da una fonte di rango superiore prevale sul diritto
che scaturisce da una fonte di rango inferiore.
Se la norma che proviene da una fonte di rango superiore è successiva a quella di rango inferiore la
abroga. Diversamente se dovesse essere successiva la norma di rango inferiore si potrà parlare di
illegittimità costituzionale e di inefficacia.

Nel caso in cui sorgano delle antinomie fra norme dello stesso rango gerarchico, allora bisognerà
applicare un altro criterio.
Bisogna innanzitutto verificare se l’antinomia riguarda 2 normative generali.
In quel caso deve essere applicato il criterio temporale secondo il quale la norma temporalmente
successiva modifica o abroga la norma che scaturisce da fonte pari ordinata ma anteriore. (secondo
il principio lex posterior derogat priori)
L’atto normativo più recente dovrebbe essere espressivo di una volontà normativa attuale.
Il criterio temporale determina quale norma deve prevalere definitivamente.

Nel caso in cui, vi sia un’antinomia fra due norme, una generale e l’altra speciale deve essere
applicato il criterio di specialità.

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Alessandro Castro

Il criterio di specialità, è un criterio di convivenza secondo il quale la norma speciale non abroga la
norma generale, ma va applicata preferenzialmente, per cui la deroga senza modificarla o abrogarla.
Secondo il principio lex specialis derogat generali.

L’Italia, fa parte dell’Unione Europea sin dalla sua formazione, questa costituisce, un’unione di stati
che ha istituito un ordinamento sovranazionale, così detto in quanto si sovrappone agli ordinamenti
giuridici nazionali.
Successivamente al trattato di Lisbona, la struttura normativa dell’UE è così formata:
• Trattato sull’unione europea (TUE)
• Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE)
• Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)

Le norme che scaturiscono dai trattati formano il diritto europeo originario.


Gli stessi trattati contengono le norme riguardanti le fonti sulla produzione, attraverso queste viene
riconosciuto all’UE il potere normativo negli ambiti di sua competenza così come definito nell’
art.288 del TFUE (individua gli atti normativi UE, elencati qua sotto)

Tutte le disposizioni normative, emanate dall’UE, in base ai trattati concorrono a formare il diritto
europeo derivato. Gli atti normativi UE possono così essere distinti:
• Regolamenti -> norme generali e self-executive che entrano direttamente a far parte
dell’ordinamento nazionale.
• Direttive -> non sono atti direttamente esecutivi, ma devono essere rispettate dai singoli
stati mediante atti interni, per raggiungere il risultato prefissato. Salvo che anche queste
siano self-executive
• Decisione -> atto obbligatorio che si rivolge a determinati soggetti
• Raccomandazioni e pareri-> non hanno natura vincolante.
Per evitare di scalfire eccessivamente la sovranità degli Stati membri l’Ue, ha limitato l’emanazione
di regolamenti, i quali causano l’uniformazione dei diritti di tutti gli stati membri, rendendo il diritto
comune e medesimo all’interno dell’eurozona.
Sono invece più utilizzate le direttive, in quanto consento di armonizzare il diritto e perseguire un
obiettivo comune.

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto alle direttive che:


• Siano sufficientemente precise nei loro contenuti;
• Siano incondizionate, cioè che non presuppongano scelte politiche specifiche del legislatore
nazionale
Il carattere di diretta applicazione, ovvero sono self-executive nei rapporti verticali.
Il cittadino può invocare il contenuto della direttiva nei confronti dello Stato anche se quest’ultimo
non l’ha ancora recepita.
La direttiva, invece, non è direttamente esecutiva nei rapporti orizzontali.
Se lo stato nazionale è in ritardo nel recepimento delle direttive, il cittadino italiano potrà agire in
giudizio nei confronti dello Stato pretendendo che il giudice applichi il contenuto della direttiva.
Questo serve a favorire il processo di armonizzazione europea ed a far prevalere il diritto dell’Unione
sui diritti nazionali.
L’UE inoltre è dotata di una Corte di Giustizia, che assicura la nomofilachia del diritto ovvero la sua
interpretazione uniforme.
La corte è regolata dagli artt. 251 e ss., ed ha funzioni individuate nell’art. 267 del TFUE.

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Alessandro Castro

I giudici comunitari sono tenuti ad applicare il diritto comunitario e in caso dei dubbi circa il
significato da attribuire ad una disposizione, possono sospendere il processo e rimettere gli atti alla
corta di giustizia, affinché questa fornisca l’interpretazione più conforme al diritto UE.

Ma, le norme UE sono da considerarsi norme italiane? E le relative fonti UE, sono da considerarsi
fonti nell’ordinamento nazionale?

Il diritto UE è destinato sicuramente a produrre effetti negli ordinamenti nazionali


Ma l’organizzazione è priva di una struttura autoritativa che possa far rispettare l’applicazione del
diritto, quindi l’obbligatorietà della norma.
Dunque si avvale della struttura autoritativa, in particolar modo giurisdizionale degli stati membri.
Quindi i giudici italiani sono tenuti ad applicare il diritto comunitario, e vengono considerati come
giudici del diritto UE.
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE 170/1984 GRANITAL
Vedi documento

In caso di disposizione nazionale suscettibile di diverse interpretazioni, il giudice deve privilegiare


l’interpretazione che si collega al meglio con il diritto UE. (interpretazione orientata-
comunitariamente).

LE FONTI DEL DIRITTO PRIVATO


La fonte specifica principale del diritto privato è il Codice Civile.
La prima forma di codice civile si è avuta in Europa nel 1804 con il Code Civil francese dell’era
Napoleonica. Detto codice è ancora in vigore, nonostante una corposa riforma del 2016 in materia
di contratti e obbligazioni.
Nel 1811 venne emanato il Codice civile Universale Austriaco, e anch’esso è tutt’ora vigente.
In Germania nel 1900 venne adottato il BGB, anche questo riformato nel 2002.
L’esigenza di un codice civile unitario in Italia, si avvertì nel 1861, e quindi nel 1865 fu promulgato
un codice civile estremamente simile a quello francese, da cui però erano separate le norme di
materia commerciale.
L’attuale Codice Civile italiano è stato emanato con il Regio decreto del n.262 del 16 Marzo 1942,
quindi in pieno positivismo legalistico.
Nonostante sia frutto del regime fascista, questo non ha perso validità, poiché il diritto ha
dimostrato impermeabilità agli ideali del regime.
Gli unici riferimenti del codice civile al regime fascista, sono quelli delle norme corporative, le quali
però sono state espunte successivamente alla caduta della dittatura.
A differenza del precedente codice, detto Pisanelli, del 1865, questo ha unificato le norme di diritto
privato, del lavoro e commerciale, che prima risiedevano in apposite codificazioni.
Al codice sono premesse le Disposizioni sulla legge in generale chiamate preleggi.
Il codice è composto da 6 libri i quali si articolano a loro volta in titoli.
I titoli più corposi si suddividono a loro volta in capi. All’interno di ciascun, libro, titolo o capo, vi
sono i vari articoli. Il codice si articola in 2969 articoli ai quali si affiancano disposizioni di attuazione.

Il codice civile ha mantenuto la sua centralità fino agli anni sessanta, successivamente si è resa
necessaria, la produzione di leggi speciali per ampliare e modificare la disciplina giuridica di specifici
settori. Questo ha causato una perdita di unità del sistema, e la creazione dei Testi Unici che hanno
preso il nome di codici di settori (del consumo, degli appalti, delle assicurazioni).
Questo fenomeno viene denominato decodificazione.

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Alessandro Castro

Le fonti del diritto privato non si esauriscono però solamente al Codice Civile, ed alla legislazione
speciale, infatti, vediamo come un ruolo importante viene assunto dai diritti umani, che
successivamente alle tragiche esperienze belliche del 20° secolo, sono stati definiti come diritti
fondamentali della persona umana. Essi vengono definiti fondamentali poiché:
• Essenziali -> inseparabili dalla persona
• Universali -> appartengono a qualsiasi persona umana
• Supremi -> superiori a qualsiasi altro eventuale potere contrapposto.

I diritti fondamentali vengono menzionati dalla nostra Costituzione, ma vengono riconosciuti anche
a livello globale e comunitario.
A livello globale possiamo riferirci alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
A livello comunitario, hanno particolare rilevanza:
• Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE -> CDFUE, che risale al 2000, e secondo l’art.6 del TUE
ha lo stesso valore giuridico dei trattati
• Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero la CEDU che risale al 1950 ed è stata ratificata
dall’Italia nel 1955, e sono riconosciute come fonte di norme interposte che integrano il
parametro costituzionale, ma restano di rango subordinato.
Successivamente a queste innovazioni comunitarie, sono state molto frequenti correzioni della
legislazione interna, ed adeguamenti nell’attività di interpretazione. (vedi Scordino)

I diritti fondamentali, nonostante siano stati concepiti per avere sola efficacia verticale, hanno
acquisito notevole efficacia sul piano orizzontale dove godono di efficacia indiretta.

L’AUTONOMIA PRIVATA
L’autonomia dei privati può essere definita come:
• Autonomia privata negoziale: la quale ricopre l’intera gamma degli atti di esercizio, ovvero
dei negozi giuridici.
• Autonomia privata contrattuale: la quale è una specificazione della prima, e si realizza
soltanto per il tramite del contratto, che il codice civile definisce come “accordo di due o più
parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale” art.1321

Vi è poi l’autonomia collettiva, che è un ulteriore forma di esplicazione dell’autonomia privata da


parte di gruppi organizzati che stipulano negozi normativi vincolanti.

I rapporti tra autonomia privata e ordinamento giuridico, sono variati nel tempo a seconda del
periodo storico.
Nel periodo liberale infatti, gli atti di autonomia privata sono assoggettati a pochi limiti negativi (per
lo più di ordine pubblico), i quali però causavano nullità assoluta dell’atto.
Attraverso il progresso economico, le rivoluzioni industriali, e l’ascesa dei regimi totalitari,
l’individuo viene declassato e viene reso mero compartecipe tenuto a contribuire al benessere
collettivo.
In questo periodo si moltiplicano i limiti positivi agli atti di autonomia privata, quali ad esempio gli
obblighi legali che impongono finalità di ordine generale all’agire dei singoli.
Vi è inoltre l’assorbimento dello Stato di diverse attività economiche, che solitamente spettavano
all’autonomia privata, per il perseguimento dello sviluppo dell’economia nazionale.

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Alessandro Castro

Con l’avvento dell’UE ciò non è più possibile e vengono scoraggiati fortemente gli aiuti pubblici alle
imprese, ed inoltre sorgono nuovi limiti all’autonomia privata, rivolti alla regolazione del mercato
sulla base della tutela della concorrenza e alla protezione dei consumatori.

L’autonomia privata è espressione di diverse libertà:


• Libertà di compiere o meno l’atto, e scegliere l’interlocutore nei negozi bilaterali
Soppressa quando l’autore è obbligato dalla legge, come per esempio gli obblighi legali a contrarre
ed è soppressa quando si fonda su una scelta della stessa autonomia privata.
Esempio un contratto preliminare con cui le parti si impongono la stipula di un contratto definitivo.
• Libertà di compierlo personalmente o tramite è un rappresentante
Soppressa in caso dei cosiddetti atti personalissimi quali il testamento e i negozi di diritto di famiglia.
• Libertà di determinarne il contenuto
Sottoposta a diversi limiti di varia natura (art.1322 le parti possono determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge)
Non vi è una vera e propria libertà di non attenersi ai tipi aventi una disciplina di legale in quanto
numerosi atti sono caratterizzati dal principio di tipicità.
• Libertà di inserire elementi accidentali
La libertà di inserire contenuti accidentali è attribuita ai singoli.
Il codice civile disciplina 3 figure: condizione, termine e modo.
La condizione consiste in un avvenimento futuro e incerto dal quale si fa dipendere l’efficacia del
negozio. (inizio o fine efficacia).
Il termine limita l’efficacia del negozio nel tempo.
Il modo consiste in un onere o peso imposto al beneficiario di un atto gratuito.
Gli atti legittimi come ad esempio il matrimonio non tollerano l’inserimento di una di queste 3 figure,
pena la nullità dell’intero negozio o l’inefficacia della clausola.
• Libertà di scegliere la forma
Incontra dei limiti, per quegli atti in cui la forma costituisce un elemento essenziale, ed in caso di
forma diversa la legge prevede la nullità dell’atto. (secondo il principio forma ad substantiam)
La legge, o la volontà delle parti, prescrivono l’adozione della forma scritta ai fini della prova di fatti
giuridici (forma ad probationem) che diversamente potrebbe essere fornita solo mediante
confessione o giuramento di testimoni in caso di perdita incolpevole del documento

LA NORMA GIURIDICA: INTEPRETAZIONE, ANALOGIA, EFFICACIA


E CONSEGUENZE
L’INTERPRETAZIONE
Per applicare le disposizioni di legge è necessario ricavarne il preciso significato ossia, la norma.
Per ricavare dalle disposizioni le norme, si svolge l’attività di interpretazione.
La disposizione, avvalendosi del linguaggio, comporta vaghezze ed ambiguità, visto che raramente
è idonea ad esprimere un solo significato, ma l’interprete deve attribuirgli unico significato.
La sua attività, non è però libera e creativa, infatti esistono norme che guidano l’interpretazione.
Questa non può essere vera o falsa, in quanto il diritto si caratterizza come dover essere, quindi
l’interpretazione può essere corretta o meno.
È corretta l’interpretazione che ha a suo sostegno i migliori argomenti interpretativi, e che è
ottenuta seguendo un corretto procedimento, conforme al modo in cui la legge prescrive di
interpretare. Le norme riguardo l’interpretazione nell’ordinamento italiano risiedono nelle preleggi.

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Alessandro Castro

ART 12 preleggi:
Nell’applicare la legge si deve attribuire ad essa il senso del significato proprio delle parole, secondo
la connessione di esse e l’intento del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una
precisa disposizione si ha riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, se il
caso è ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento.
L’articolo si riferisce all’interpretazione giudiziale, ovvero l’interpretazione compiuta dal giudice.

L’attività ermeneutica può essere svolta da diverse tipologie di soggetti:


• Innanzitutto è interprete chiunque per confermare il proprio comportamento al diritto si
interroga sul senso delle disposizioni
• Interpretazione dottrinale -> fornita dai teorici del diritto
• Interpretazione giurisprudenziale -> effettuata dai giudici
• Interpretazione della pubblica amministrazione -> nell’adottare provvedimenti
• Interpretazione legale ed autentica -> fornita dal legislatore per fissare il corretto significato
della norma. La sua interpretazione è vincolante per tutti, ed ha effetto retroattivo, salvo i
rapporti giuridici esauriti.
Purtroppo però il legislatore ha spesso abusato di tale potere ermeneutico, cambiando
radicalmente l’interpretazione delle disposizioni. Questo abuso è stato censurato sia dalla
Corte costituzionale che dalla CEDU, le quali hanno stabilito che le leggi di interpretazione
sono retroattive solo se sussisteva contrasto interpretativo.

L’art.12 delle preleggi prevede innanzitutto 3 canoni interpretativi:


• Interpretazione letterale -> l’interprete deve rintracciare il valore semantico di ciascun
termine. Non può quindi attribuire un significato che fa forza al significato letterale delle
parole.
• Interpretazione logico-sintattica -> Bisogna tenere conto della struttura del periodo e delle
connessioni sintattiche.
• Interpretazione teleologica -> bisogna interrogarsi sul fine che la norma persegue.

L’interpretazione letterale fornisce sicuramente diversi significati, ma ne esclude molti altri.


Stesso risultato per la successiva interpretazione che tiene conto dei collegamenti sintattici tra i vari
segni del linguaggio.
Bisogna infine definire la norma ponendosi come interrogativo la ratio legis, la quale non coincide
necessariamente con quella del legislatore storico.
Infatti la disposizione normativa, una volta approvata, si distacca dal legislatore ed ha vita propria.

Per potere completare il procedimento interpretativo l’interprete deve attenersi al cosiddetto


criterio sistematico, ovvero deve tener conto delle altre disposizioni che regolano la stessa materia,
e dei principi che governano la materia in questione.
Questo poiché il diritto non nasce sistematicamente ordinato, ma deve essere reso ordinato e
coerente in fase di interpretazione sottoponendo i singoli enunciati normativi ad un’interpretazione
sistematica.
Essendo il diritto una scienza sociale, quindi fortemente influenzata dai mutamenti sociali e culturali,
esso è oggetto di continue variazioni.
Vi sono disposizioni normative, che seppur non hanno presentato dal 1942, modificazioni letterali,
sono state oggetto di numerosi mutamenti interpretativi, per riuscire ad adattare meglio e più
congenialmente le norme alle esigenze sociali.

10
Alessandro Castro

Per questa motivazione l’attività ermeneutica deve prendere in considerazione sì il carattere storico,
ovvero la occasio legis, ma anche il carattere evolutivo.
In conclusione, l’interprete deve tener conto delle disposizioni contenute dalla Costituzione e da
altre fonti comunitarie, per rendere l’interpretazione costituzionalmente orientate, ed orientata a
normativa comunitaria.

L’ANALOGIA
Nessun legislatore è in grado di prevedere tutti i possibili casi della vita e tutte le pieghe che i casi
sociali possono assumere, pertanto esistono dei casi della vita sprovvisti di un’apposita regolazione.
Si riscontrano quindi delle lacune dell’ordinamento giuridico.
La lacuna però non deve e non può impedire al diritto oggettivo di fornire un’adeguata risposta, il
giudice non può ricorrere al non liquet.
Il giudice deve comunque decidere sulla controversia e adottando un’altra tipologia di
interpretazione: l’analogia. L’analogia è disciplinata dall’art.12 delle preleggi:

L’analogia può essere di due tipologie:


• Analogia legis
• Analogia iuris.
Analogia legis -> presuppone che il giudice ricavi la regola di decisione da un testo normativo che
disciplina un caso della vita analogo e assonante al caso in questione.
Il giudice deve riscontrare una similitudine tra la controversia posta alla sua attenzione ed il testo
normativo che disciplina un fatto differente, ma che presenta problemi ed esigenze di tutela affini
ai problemi concreti del singolo caso.
L’analogia va oltre le linee dell’interpretazione, infatti l’attività di estensione analogica è un’attività
autenticamente creativa della regola, poiché il giudice è chiamato a regolare una vicenda tramite
analogia, crea autenticamente diritto, vista l’assenza di un testo normativo.

Analogia Iuris -> si applica nel caso in cui non esista nemmeno un testo normativo a cui fare
riferimento, quindi nel momento in cui non vi sono i presupposti per applicare l’analogia legis,
bisogna applicare l’analogia iuris.
In questo caso bisogna tener conto dei principi giuridici generali dello stato.
Ma il principio a differenza della regola, non dà una descrizione puntuale ed analitica dei fatti a
cui può essere applicato, e non descrive nemmeno in maniera analitica le conseguenze ad esso
collegate. Questo non ha finalità di dettare una disciplina minuta ma enuncia un valore senza.
Decidendo esclusivamente sulla base di principi, il margine di discrezionalità del giudice aumenta a
dismisura, rendendo la sua attività autenticamente creativa.
L’interprete è però vincolato ad attribuire al principio il significato che la comunità nella sua
complessità e nella determinata fase storica gli attribuisce.

Nelle preleggi, specie nell’art.14 sono individuati i limiti all’attività di estensione analogica:
le norme di carattere eccezionale e le norme penali incriminatrici non possono essere effetto di
estensione analogica.
Poiché le norme eccezionali sono congiunturali e non possono esplicare effetti oltre la vicenda
concreta che l’ha originata.
Mentre le norme penali incriminatrici sono assoggettate al principio di stretta legalità, ovvero vi è
una riserva di legge assoluta che impone l’obbligo di non poterle estendere analogicamente, in
quanto i reati sono assoggettati al principio di tipicità rigida.

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Alessandro Castro

Art.25 della Costituzione secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

L’EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICHE


Per effetto della norma giuridica intendiamo la conseguenza che si lega al verificarsi di un
presupposto. I presupposti possono essere distinti in: fatti, atti e negozi giuridici.

Per fatto intendiamo qualsiasi evento naturale che l’ordinamento giuridico prende in
considerazione come elemento condizionante della norma, ed al quale sono collegate delle
conseguenze. (es. nascita-morte dell’individuo, scioglimento vincoli coniugali e successioni mortis causa)

Atto giuridico -> comportamento umano preso in considerazione dall’ordinamento giuridico in


quanto fattore produttivo di effetti giuridici.

Negozio giuridico -> comportamento umano, i cui effetti sono stabiliti dagli autori dello stesso
negozio. Può essere unilaterale come il testamento o bilaterale come ad esempio il contratto.

Atti, fatti e negozi giuridici sono le vicende che possono determinare la nascita, la modifica o
l’estinzione di una situazione giuridica soggettiva.

GLI ATTI GIRUDICI (integrazione manuale)


Gli atti giuridici possono essere oggetto di numerose classificazioni.
Innanzitutto possiamo distinguere gli atti leciti e gli atti illeciti.
Gli atti illeciti, vengono denominati dall’art.2043 fatti illeciti, hanno l’effetto giuridico di far sorgere
a carico dell’autore l’obbligazione di risarcire il danno causato ad un terzo.

L’art.2046 sancisce però l’imputabilità del fatto dannoso ai soli soggetti che hanno capacità
d’intendere e di volere nel momento in cui abbiano commesso il fatto, salvo che lo stato di
incapacità derivi da sua colpa. Inoltre all’art.2050 viene individuata la responsabilità per l’esercizio
di attività pericolose, qualora l’autore dell’atto non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad
evitare il danno.

Vi sono poi gli atti leciti che si distinguono in:


• Atti reali
• Atti dovuti -> come ad esempio l’adempimento dell’obbligazione
• Dichiarazioni di scienza
• Dichiarazioni di volontà -> atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici.

Gli atti si dicono ricettizi quando sono unilaterali e producono effetti soltanto nel momento in cui il
destinatario ne perviene a conoscenza
Sono non ricettizi gli atti destinati ad incertam personam, e questi producono effetti nel momento
in cui sono resi pubblici.

I NEGOZI GIURIDICI (integrazione manuale)


Il negozio giuridico è un atto di auto-regolazione dei propri interessi.
Il negozio giuridico per antonomasia è rappresentato dal contratto.
Gli elementi essenziali del negozio giuridico si evincono dall’art.1325:
• L’accordo tra le parti (dunque la volontà)

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Alessandro Castro

• La causa
• L’oggetto
• La forma, se prescritta dalla legge a pena di nullità
La volontà e la libertà sono considerate il fulcro dell’autonomia privata.
La presenza della libertà garantisce l’autodeterminazione dei privati e dei loro rapporti.
L’atto non voluto dal suo autore è annullabile come stabilito dall’art. 1425
La causa è indispensabile, infatti la sua mancanza o la sua illiceità determina la nullità del negozio.
Questa viene identificata con la funzione economico-sociale o economico-individuale dell’atto.
Si distingue dal motivo, ossia dalle ragioni dell’agire individuale.
In riferimento al profilo causale possiamo distinguere i negozi in:
• Negozi tra vivi e negozi per causa di morte
• Negozi a titolo oneroso e negozi a titolo gratuito
• Negozi a contenuto patrimoniale e non (danno luogo a spostamenti di ricchezza)
• Negozi casuali ed astratti
• Negozi di accertamento
Il motivo invece è solitamente irrilevante per l’ordinamento, a meno che non penetri negli elementi
accidentali (condizione, termine e modo) e ne determini la nullità.
L’oggetto è definito come il bene o il comportamento assunto dal negozio giuridico a materia
dell’operazione di scambio che costituisce il contenuto del dispositivo.
Per legge i requisiti dell’oggetto sono:
• Possibilità
• Liceità
• Determinatezza o determinabilità anche ad opera di un terzo
In ultima analisi vi sono i negozi rappresentativi.
Questi sono posti in essere da un soggetto munito di poteri di rappresentanza anche detto
rappresentante.
Il rappresentante compie l’atto in nome e per conto di un altro soggetto detto rappresentato.
Il modello classico della rappresentanza volontaria è dato dalla procura, ovvero un negozio
unilaterale di conferimento dei poteri.

LE CONSEGUENZE DELLA NORMA


Per conseguenze della norma, intendiamo le modifiche della realtà circostante, materiale o
giuridica che la norma intenda determinare. La norma può prevedere le situazioni giuridiche
soggettive, che possono essere attive, ossia il riconoscimento destinatario della regola di taluni
facoltà o poteri. Oppure passive, ovvero l’attribuzione e l’imposizione di comportamenti necessitati.

Gli effetti della norma possono consistere anche nel riconoscimento a favore del destinatario di
rimedi. I rimedi sono strumenti di protezione e dispositivi normativi, finalizzati a tutelare gli interessi
di chi sia legittimato ad invocarli.
Sono strumenti finalizzati a reagire alla violazione di un interesse protetto, o alla mancata attuazione
di una situazione giuridica, qualora questa richieda la cooperazione di un terzo.
La norma può racchiudere tra i propri effetti anche delle qualificazioni, ossia l’individuazione di
determinati tipi di comportamenti, che possono determinare l’invalidità di un atto o l’inefficacia.

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Alessandro Castro

Vi sono anche norme giuridiche di carattere definitorio che non mirano a produrre conseguenze in
termini di attribuzione di situazioni attive o passive o strumenti di tutela, ma invece mirano a
selezionare alcuni comportamenti collegando ad essi una serie di regole giuridiche.
Es. art. 810: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”

LA TUTELA GIURISDIZIONALE
L’ ordinamento giuridico mette a disposizione mezzi ed organi per dirimere le controversie.
L’insieme di questi organi forma il potere giurisdizionale.
Il sistema giurisdizionale può essere in prima approssimazione suddiviso in:
• Sistema giurisdizionale civile
• Sistema giurisdizionale penale

Nel sistema giurisdizionale civile l’azione è di parte.


Per azione intendiamo il comportamento con il quale un soggetto introduce un giudizio,
rivolgendosi all’autorità giurisdizionale competente. (queste vengono suddivise per territorio e competenza)
Mentre nel sistema giurisdizionale penale, l’azione è pubblica e viene effettuata dal PM, qualora
esso abbia notitia criminis. Al PM spetta portare avanti l’accusa qualora l’indagato sia rinviato a
giudizio.

Per quanto riguarda il giudizio civile, chi ritiene di essere stato leso in una situazione giuridica
soggettiva può incardinare un giudizio tramite l’azione e per questo prenderà il nome di attore.
Questo soggetto intraprenderà l’azione nei confronti di una controparte che verrà denominato
convenuto, in quanto chiamato in giudizio, il quale può difendersi attraverso l’eccezione. Il
convenuto può a sua volta formulare una sua richiesta ed in quel caso si parla di azione
riconvenzionale.

Il giudizio vede contrapporsi attore e convenuto dinanzi al giudice, soggetto terzo, il quale decide
relativamente alla controversia sulla base di alcuni principi:
• Principio della domanda -> il giudice deve accogliere o respingere le domande a lui poste, e
deve limitarsi ad esse. Salvo materie nelle quali il legislatore riconosce il potere d’ufficio del
giudice, ossia dove esso ha la libertà di pronunciarsi anche se le parti non abbiano sollevato
la questione.
• Principio del contraddittorio -> l’attore ed il convenuto devono avere la possibilità di
presentare le loro richieste ed argomentarle.

Il giudice decide iuxta alligata et probata partium, ovvero deve decidere in base a ciò che le parti
hanno allegato e provato.
Art 2697 cc -> “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento.
Chi eccepisce inefficacia di tali fatti, ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i
fatti su cui l’eccezione si fonda.”
Sulle parti pende l’onere della prova, ovvero l’onere di provare in giudizio i fatti a fondamento
dell’azione e dell’eccezione.
Il giudice deve accogliere la domanda solo se sufficientemente provata da parte dell’attore,
viceversa il convenuto deve provare la sua eccezione.
L’attore ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda, ovvero i fatti da cui scaturiscono
i diritti che vuole fare valere.

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Alessandro Castro

Il convenuto di contro deve provare i fatti modificativi o estintivi, ovvero provare che i fatti posti a
fondamento della domanda dell’attore sono venuti meno o sono stati modificati.
Se un attore non dovesse essere in grado di provare i fatti costitutivi, il giudice deve respingere la
sua domanda. Viceversa se il convenuto solleva eccezioni che non è in grado i fatti su cui questa si
fonda, non verranno accolte e verrà soddisfatta la domanda dell’attore.
Inoltre vige il principio di riferibilità della prova, in base al quale l’onere viene ripartito tenuto conto,
della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle
rispettive sfere di azione.

Art.2698 Sono nulli i patti con cui è invertito o modificato l’onere della prova se si tratta di diritti di
cui le parti non possono disporre o quando l’inversione o modificazione rende a una delle parti
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto
I VARI TIPI DI PROVA NEL PROCESSO CIVILE
Le prove sono regolate dal legislatore, nel Codice civile e nel Codice di procedura civile.
Per prova intendiamo lo strumento, considerato idoneo a dimostrare la fondatezza dei fatti che
attore o convenuto pongono alla base del loro atto giudiziario.
Le prove sono forme di attestazione e dimostrazione tramite le quali chi agisce o si difende deve
dimostra l’esistenza dei fatti che egli pone alla base della propria azione e della propria eccezione.
La prova è lo strumento grazie al quale il giudice trae informazioni utili ai fini della ricostruzione dei
fatti di causa e quindi emette la propria decisione nel modo più consapevole possibile.
Innanzitutto vi sono le prove documentali, dette anche precostituite in quanto precedono il
processo. Queste si suddividono in
• Atto pubblico: regolato dagli articoli 2699 e seguenti del Codice civile.
• Scrittura privata: regolata dagli articoli 2702 e seguenti del Codice civile.
L’atto pubblico è un documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale. (art.2700)
L’atto pubblico documenta la verità storica dei fatti.
Si può contestare l’esistenza dei fatti attestati dall’atto pubblico esperendo la querela di falso, la
quale implica l’incriminazione del pubblico ufficiale.
L’atto pubblico è da considerarsi come prova legale, e gode di pubblica fede infatti il giudice deve
dare per accertati i fatti a cui l’atto pubblico si riferisce. A meno che questo non si riveli falso.
La scrittura privata, si pone sulla stessa stregua dell’atto pubblico, soltanto quando colui contro il
quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione.
Si presenta però una criticità riguarda la data degli atti.
Infatti l’atto pubblico ha certamente una data ben precisa.
Mentre per quanto riguarda la scrittura privata, questa acquista data, a partire dal momento della
registrazione o a partire dal momento in cui si verifichi un evento che stabilisca l’anteriorità della
formazione del documento. Art.2704 (argomento approfondito in altro documento)
Altra prova documentale sono le scritture contabili a cui è tenuto l’imprenditore art.2709.
Vi sono poi le riproduzioni meccaniche, fotografiche o informatiche art.2712.
Ultima prova documentale sono le copie degli atti art.2714
Inoltre abbiamo le prove semplici (testimonianze, presunzioni, confessioni)
La prova testimoniale, regolata dagli articoli 2721 e seguenti.
I fatti o gli atti possono essere attestati tramite dichiarazioni di conoscenza che provengono da
soggetti terzi, che si presentano come osservatori oggettivi.
Costoro riferiscono al giudice la loro conoscenza personale.

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Alessandro Castro

È testimone colui il quale viene chiamato in giudizio da una delle due parti per confermare la
versione dei fatti che l’attore o il convenuto pongono alla base delle loro domande.
Esistono dei limiti per ammettere la prova testimoniale:
Il Codice pone un limite di valore della causa pari alla somma di 2,58 euro.
Quindi fino a 2,58 euro, la parte può chiamare liberamente in giudizio il testimone, mentre quando
il valore della causa è superiore, la parte deve chiedere l’ammissione al giudice.
Vi sono delle eccezioni al divieto della prova testimoniali nei casi in cui sussista un principio di prova
per iscritto, o il contraente sia stato impossibilitato a procurarsi una prova scritta, o il contraente
abbia perduto senza sua colpa il documento che gli forniva la prova scritta.
Vi sono ambiti dove la prova testimoniale non è mai ammessa come quelli contrattuali, poiché il
legislatore vuole dare prevalenza alle prove documentali.
Non si possono provare per testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento,
contestuali o anteriori.
Se si ammettesse questa prova si degraderebbe l’efficacia probatoria del documento.
È ammessa invece prova testimoniale di patti successivi che siano modificativi o estintivi del
contratto, ogni qualvolta sia verosimile che questi patti siano effettivamente avvenuti.
Vi sono poi le presunzioni che sono regolate dagli articoli 2727 e seguenti. La presunzione è un
mezzo di prova critica, ovvero un mezzo di prova non diretto.
Si suddividono in legali, ovvero previste dalla legge e semplici.
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad
un fatto ignorato.
La presunzione è una prova che si ottiene tramite ragionamento o tramite la dimostrazione di un
fatto diverso da quello da provare, il quale però è strettamente collegato al fatto rilevante per la
causa che viene considerato idoneo a darne prova.
Le presunzioni possono essere relative o assolute.
Quelle relative sono presunzioni che ammettono prova contraria, che quindi possono essere
confutate, iuris tantum.
Quelle assolute non ammettono prova contraria e vengono chiamate iuris et de iure.
Le presunzioni semplici non sono previste dalla legge, e possono provare il fatto solo se sono più di
una e se si caratterizzano per la gravità, la precisione e la concordanza.
Altro mezzo di prova è la confessione, regolata dagli articoli 2730 e seguenti (leggere dal codice).
La confessione è la classica dichiarazione di scienza con la quale un soggetto attesta come i fatti si
siano realmente svolti. Colui il quale fornisce questa dichiarazione deve essere, ovviamente, uno dei
due soggetti del giudizio.
Chi confessa, conferma la ricostruzione dei fatti che controparte ha posto a base della sua domanda.
La confessione è un atto di disposizione quindi chi confessa deve poter disporre del diritto.
Confessando, la parte rinunzia a difendersi in giudizio.

L’ultimo mezzo di prova previsto dal Codice civile è il giuramento, regolato dagli articoli 2736.
Il giuramento può essere di due tipi: un giuramento decisorio, dal quale dipende la sorte della causa
e un giuramento suppletorio che ha soltanto valenza probatoria.
Esaminiamo il giuramento decisorio, che può essere spiegato con un esempio:
L’attore agisce nei confronti del convenuto, ma non è in grado di provare i fatti che stanno alla base
della sua domanda. Allora, può deferire giuramento, di invitando controparte a giurare che i fatti si
siano verificati questa sostiene. Se controparte giura, vince la causa. Tuttavia, se egli ha giurato il
falso, si espone a procedimento penale.

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Alessandro Castro

Chi ha ricevuto giuramento, lo può però deferire a sua volta: quindi il soggetto che assume l’iniziativa
del giuramento, prima di tutto, deve essere pronto a giurare poiché, nel caso in cui gli venga rigirato
il giuramento, questo è obbligato.
Ovviamente, questo è un mezzo di prova estremo al quale si ricorre solo se non si ha nessun altro
strumento di prova da adoperare.

PROCESSO DI COGNIZIONE E PROCESSO ESECUTIVO


La tutela giurisdizionale si distingue in due grandi ambiti:
• Processo di cognizione
• Processo esecutivo

Il processo di cognizione è la fase di accertamento dello stato di diritto, ove si verifica la fondatezza
delle pretese di attore e convenuto. Il giudizio di cognizione serve a dirimere controversie.
La tutela di cognizione può terminare con 3 species di sentenze:
• Sentenza di mero accertamento
• Sentenza di condanna
• Provvedimento di natura costitutiva

La sentenza di mero accertamento accerta una determinata realtà giuridica. Sono tali, ad esempio,
i provvedimenti che respingono la domanda proposta dall'attore.
Da distinguersi con la tutela di accertamento che invece è l’azione attraverso la quale si chiede
l’accertamento di un proprio diritto (accertamento positivo) o l’accertamento dell’inesistenza di un
diritto altrui (accertamento negativo).

La sentenza di condanna -> Contiene un quid pluris rispetto alla sentenza di mero accertamento.
Infatti il giudice ordina al convenuto di consegnare un determinato bene mobile o immobile, o lo
obbliga a fare o non fare qualcosa.
L’azione di condanna è strumentale ad ottenere un accertamento dell’esistenza del diritto
controverso e a far sì che il giudice dichiari l’avvenuta lesione dello stesso. Ne conseguirà la
possibilità per l’attore di agire in via esecutiva per ottenere piena soddisfazione del suo diritto, se il
convenuto-condannato non collaborerà spontaneamente.

Infine vi è il provvedimento di natura costitutiva che attua senza necessità di un passaggio ulteriore
come l’esecuzione forzata, il diritto fatto valere in giudizio dall’attore.
La sentenza costitutiva pone a capo effetti innovativi rispetto alla situazione giuridica preesistente.

Il giudizio di cognizione si articola in 3 gradi:


2 gradi sono di merito ed uno è di legittimità.
In 1° grado bisogna valutare i fatti e prendere cognizione dei mezzi di prova.
Successivamente il giudice formula il primo giudizio che può essere impugnato in appello, dando
vita ad un nuovo giudizio di merito che rappresenta una riedizione del giudizio precedente.
Il giudice d’appello non decide sulla base di nuovi elementi, salvo nuova sopravvenienza di prove
che non erano dimostrabili durante il primo grado di giudizio.
L’attività giurisdizionale è un’attività fallibile per definizione, in quanto il giudice decide sulla base
degli elementi che ha a sua disposizione.
Dopo la sentenza di secondo grado si può ricorrere in Cassazione, la quale si occupa del cosiddetto
giudizio di legittimità.

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Alessandro Castro

Non si possono acquisire o presentare nuovi mezzi di prova, il giudice di cassazione si limita a
verificare se il giudice, la cui sentenza è stata impugnata, abbia applicato correttamente il diritto.
Laddove lo abbia applicato correttamente verifica se è stato motivato in modo corretto ed
esaustivo.
In caso il giudice di cassazione riscontri un’errata applicazione di legge, o un’insufficiente o
controversa motivazione, la Corte casserà la sentenza, invalidandola e rimettendo gli atti al giudice
di 2 grado. I 3 gradi di giudizio non sono sempre necessari.
Le sentenze sono impugnabili entro 30gg per quanto riguarda la sentenza di 1° grado ed entro 60gg
per quanto riguarda la sentenza d’appello.
Si può anche saltare il secondo grado e impugnare la sentenza di 1 in cassazione. (ricorso per saltum).
Il giudizio di cassazione è sottoposto ad un vaglio preventivo finalizzato a ridurre il carico della Corte.
Se la sentenza è stata emessa ma non impugnata, oppure impugnata e dichiarata definitiva dalla
corte di cassazione, quella sentenza acquisisce efficacia di giudicata.
Ovvero è stata giudicata in modo ultimo e definitivo.
Il bis in idem è vietato dal nostro ordinamento, salvo caso eccezionali e straordinari che portano alla
revoca della sentenza (giudice abbia dolosamente danneggiato una parte, sopravvengono elementi di prova decisivi).

Una volta acquisita efficacia di giudicato, la sentenza deve essere eseguita.


Se il destinatario non ottempera il comportamento a cui è obbligato si passa al processo esecutivo.
• Processo di esecuzione
Il processo esecutivo è rivolto alla soddisfazione dell'interesse del creditore, che deve ottenere ciò
che gli è dovuto nei limiti di quanto la legge o il giudice stabilisce.
Il processo di esecuzione rappresenta la seconda fase della tutela giurisdizionale.
Vengono messi a disposizione dei cittadini organi come magistrati e polizia giudiziaria che sono
preposti ad attuare il provvedimento del giudice anche contro la volontà di controparte, con la
cosiddetta manu militari.

Tra i processi esecutivi occorre distinguere:


L’esecuzione forzata e l’esecuzione indiretta.
L’attività giurisdizionale di esecuzione forzata mira a far conseguire al creditore la prestazione
dovuta allorché il debitore non abbia adempiuto.
L’ESECUZIONE FORZATA
L’esecuzione forzata può essere di due tipi:
• Per espropriazione
• In forma specifica
La differenza fra le due tipologie si basa sul contenuto del diritto.
Le due tipologie hanno inoltre delle regole comuni.
In primo luogo, il creditore deve munirsi di un titolo esecutivo per procedere all’esecuzione forzata.
Il titolo deve riguardare un diritto certo, liquido ed esigibile.
Il titolo può consistere in:
• Sentenza di condanna o altro provvedimento a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva
• Cambiali o altri titoli di credito
• Atti ricevuti da notai o da altri pubblici ufficiali all’uopo autorizzato
Il titolo va notificato al debitore congiuntamente al precetto, ovvero all’intimazione di adempiere
all’obbligo risultante dal titolo stesso entro un termine non inferiore a 10gg, con l’avvertimento che
in mancanza di adempimento si procederà all’esecuzione forzata.

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Alessandro Castro

L’esecuzione per espropriazione trova fondamento nell’art.2740, nella responsabilità patrimoniale


del debitore che è chiamato a rispondere delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e
futuri. L’espropriazione si articola in diverse fasi procedimentali:
1) Pignoramento
2) Vendita forzata a terzi dei beni
3) Distribuzione del ricavato ai creditori, o assegnazione forzata dei beni ai medesimi.
Per semplificare le procedure esecutive il giudice d’esecuzione può delegare un notaio per compiere
l’attività di liquidazione.
L’esecuzione per espropriazione è la forma di tutela per le obbligazioni che hanno come oggetto
somme di denaro.
L’esecuzione in forma specifica tutela i diritti alla consegna di beni mobili o al rilascio di beni
immobili, o diversamente un obbligo di fare o non fare.

L’ESECUZIONE INDIRETTA
L’esecuzione indiretta, a differenza di quella diretta, non fa a meno del comportamento
dell’obbligato. Anzi l’ordinamento si ancora ad esso per la realizzazione dell’interesse del creditore.
La legge appronta una misura coercitiva, prevendendo conseguenze negative, per l’obbligato che
non adempie.
Il giudice, con un provvedimento pecuniario di applicazione generale, stabilisce la comminatoria,
che induce l’obbligato ad adempiere senza indugio. Il quale può adempiere anche con riserva
d’impugnazione.
La comminatoria è una penale giudiziaria inserita come clausola, in una sentenza pronunciata dal
giudice, con la quale si stabilisce il pagamento di una somma in caso d'inadempienza delle
disposizioni contenute nella sentenza emessa, o di un'ulteriore violazione della legge.

La comminatoria disposta dal giudice segue dei corollari:


• Può essere imposta dal giudice solo su richiesta della parte
• Il giudice determina la somma dovuta tenendo conto del valore della controversia
Questo nuovo istituto, introdotto recentemente dall’ordinamento ha delle caratteristiche:
• Non ha natura sanzionatoria
• Va distinta dal risarcimento del danno poiché priva di qualsiasi funzione riparatoria, infatti
ha funzione indennitaria.

ALTRE GIURISDIZIONI
Vi sono poi altri tipi giurisdizione definiti speciali.
Giurisdizione amministrativa, la quale si articola in:
• TAR 1° grado
• Consiglio di stato 2° grado (svolge funzione nomofilattica)
Vi è poi la giurisdizione costituzionale, esercitata dalla Corte Costituzionale
Nel nostro apparato giurisdizionale la corte costituzionale ha un ruolo determinante.
Ha come compito quello di dirimere i conflitti tra poteri dello stato e deve verificare che l’attività
normativa sia svolta in termini di legittimità.
Il provvedimento normativo infatti non deve essere solamente valido, quindi approvato dall’organo
che ne è legittimato, e nei modi previsti.
È anche necessario che il provvedimento sia legittimo ossia non violi alcun principio costituzionale,
o noi sia sbilanciato negativamente nei confronti di alcuni principi.
(Procedimento incidentale: Il giudice a quo deve verificare la non manifestata infondatezza, e la rilevanza della legge
violata relativamente al giudizio in corso. La corte costituzionale può accogliere o rigettare la questione.

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Alessandro Castro

La corte è quindi un tribunale che non sana conflitti tra cittadini ma verifica se l’attività normativa è stata effettuata nel
rispetto dei principi, valori e prerogative costituzionali.)

L’Italia partecipando alla costituzione dell’UE, ha arricchito la tutela giurisdizionale disponibile ai


propri cittadini, infatti sono ad oggi presenti gli istituti della tutela giurisdizionale comunitaria
• Tribunale 1°grado
• Corte di giustizia 2° grado (svolge la funzione nomofilattica).

LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE


Le situazioni giuridiche soggettive costituiscono una fondamentale classe degli effetti della norma
giuridica.
Si caratterizzano per il conferimento di prerogative o per l’imposizione di condotte nella sfera
giuridica dei destinatari della norma. Consistono in una modificazione del precedente stato di
diritto. Le situazioni giuridiche soggettive si distinguono in attive e passive.
Le situazioni giuridiche attive sono il riconoscimento di posizioni di vantaggio e di protezione degli
interessi, e si distinguono in: diritto soggettivo, diritto potestativo, potestà, interesse legittimo,
collettivo e diffuso.
Non tutti gli interessi sono protetti, molti infatti sono meri interessi di fatto.
Ogni ordinamento compie delle scelte di politica generale, selezionando i rapporti ed i casi della vita
giuridicamente rilevanti.
L’ordinamento tramite le situazioni giuridiche soggettive, formalizza gli interessi umani, rendendoli
rilevanti dal punto di vista giuridico, (quindi giuridificandoli) attribuendogli una posizione di
prevalenza, equi ordinazione o subordinazione rispetto ad altri interessi individuali.

L’interesse è una nozione pre-giuridica, è un concetto socio-economico che esprime l’aspirazione di


un individuo verso un oggetto posto all’esterno di sé, o l’aspirazione allo sviluppo di un qualche
profilo di sé. Dal punto di vista oggettivo quest’obiettivo coincide con il concetto di utilità.

L’ordinamento giuridico prevede inoltre le situazioni soggettive passive, le quali esprimono la


posizione di svantaggio di chi è tenuto a rispettare l’altrui sfera giuridica.
La posizione passiva rappresenta l'imposizione di un comportamento.
Le situazioni soggettive passive si dividono in: dovere, obbligo, onere, mera soggezione.

Si è soliti affermare che le situazioni soggettive rappresentano gli effetti di una fattispecie
sostanziale, mentre i rimedi si collocano sul versante della tutela.
Per cui la situazione soggettiva indica gli strumenti che ha a disposizione il titolare per realizzare il
proprio interesse, quindi è la prospettiva degli effetti che la norma generale ed astratta prevede.
Mentre il rimedio, conferisce poteri e facoltà volti ad organizzare una reazione in caso di
impedimento alla realizzazione dell’interesse medesimo.

IL DIRITTO SOGGETTIVO
La situazione giuridica soggettiva attiva di maggiore portata è il diritto soggettivo.
Tramite essa l’ordinamento realizza la forma più ampia di giuridificazione di un interesse
attribuendo al suo titolare un insieme di poteri giuridici e di facoltà.
Il diritto soggettivo è una categoria molto controversa della scienza giuridica, infatti si sono
susseguite diverse definizioni, dovute dai mutamenti delle concezioni del rapporto tra individuo ed
ordinamento.

Profilo storico

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Alessandro Castro

La nozione più diffusa di diritto soggettivo nasce nell'Ottocento.


Il diritto soggettivo nasce sotto forma di diritto fondamentale per arginare l'invadenza del potere
pubblico nella vita dell'individuo, in un periodo caratterizzato dalle monarchie assolute e dalla scarsa
limitazione dei poteri pubblici.
La prima definizione di diritto soggettivo nasce alla metà dell’800 in Germania, nella scuola giuridica
pandettistica.
Questa, decise di costruire il proprio sistema giuridico assumendo come materiale sistematico
quello contenuto nel Corpus iuris civilis di Giustiniano.
Per questo motivo il nome Pandette, termine con cui si ci riferiva al digesto, ossia il nucleo più ricco
ed innovativo del diritto romano classico dove erano presenti le massime dei giuristi.

La prima definizione del diritto soggettivo è:


“Signoria (potere) della volontà, riconosciuta all’individuo”
Questa definizione è molto influenzata dall’individualismo razionalistico di stampo illuminista.
Vi è la fiducia nella centralità dell’individuo rispetto al mondo considerato, e la fiducia nella capacità
dell’individuo di assoggettare la realtà circostante attraverso le proprie scelte ed i propri atti di
autodeterminazione.
Volontà -> nozione pre-giuridica di tipo morale, che esalta la dimensione interiore dell’uomo e la
sua tensione spirituale. Ossia la tensione dell’individuo alla realizzazione dei propri obiettivi.

Questa definizione entra però in crisi:


• Dal punto di vista ideologico una definizione di questo genere, legata alla fiducia nell'uomo, è
venuta meno con il progresso tecnologico contemporaneo, ove ci si è resi conto che l'uomo è in
realtà compartecipe di una realtà infinitamente grande.
• Dal punto di vista tecnico entra in crisi poiché se il diritto soggettivo è identificato come la
signoria della volontà riconosciuta all’individuo, allora non si è in grado di spiegare come mai
l’ordinamento giuridico riconosca diritti soggettivi anche agli individui che non hanno capacità
intellettive piene. Inoltre se esso si dovesse identificare con la volontà, non si spiegherebbe
l’esistenza di diritti di cui il titolare non è a conoscenza.

Per questi motivi uno dei giuristi più importanti dell’800, Rudolf Von Jhering, contrappone alla
nozione di diritto soggettivo come signoria della volontà, la nozione del diritto soggettivo come:
“interesse protetto”.
Assume centralità la nozione di interesse, ovvero l’aspirazione del soggetto ad acquisire un bene o
una qualunque utilità. La definizione proposta da Jhering è del tutto oggettiva, abbandona la
categoria della volontà e pone al di fuori della definizione l’individuo.
Il difetto di questa definizione è però che non dice attraverso cosa avviene questa protezione:
Jhering dà la definizione essenziale di diritto soggettivo, ma non va oltre.

Alla fine dell'Ottocento August Thon, uno dei più grandi studiosi di diritto soggettivo, lo definisce
come “la protezione dell'interesse individuale da parte dell'ordinamento giuridico”.
Questa è esattamente la prospettiva di Jhering capovolta: Jhering guarda al diritto soggettivo dal
punto di vista dell'individuo, mentre Thon guarda al diritto soggettivo dal punto di vista
dell'ordinamento.

Definizione attuale
Ad oggi il diritto soggettivo è definito come il conferimento al privato di una sfera di libertà di
azione, ossia l’AGERE LICERE, al cui interno il titolare può perseguire, FACULTAS AGENDI, la

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Alessandro Castro

realizzazione del proprio interesse mediante l’esercizio di determinati poteri giuridici o


l’attuazione di specifiche facoltà.
La facultas agendi si traduce nel riconoscimento a favore del titolare di poteri e facoltà.
Il potere è la possibilità di compiere atti giuridici.
Gli atti giuridici sono comportamenti umani che hanno come effetto quello di modificare la sfera
giuridica di chi li pone in essere. (la sfera giuridica è il quadro dei propri diritti, tutto ciò che è attribuito ad un dato soggetto)
La facoltà è la possibilità di porre in essere comportamenti che non si traducono in atti, ovvero meri
comportamenti materiali, tesi a sfruttare il bene per le utilità che esso è in grado di produrre (utilizzare
il bene per trarre da esso l'utilità per la quale il bene è stato creato, senza mutare però la propria sfera giuridica); servirsi di un
diritto è esercizio di facoltà.

Il diritto soggettivo, prescinde dal fatto che il titolare lo eserciti. L’effettivo compimento non è
oggetto del diritto soggettivo ma rientra in una fase successiva, ossia quella della sua attuazione.
Riconoscendo il diritto soggettivo l’ordinamento crea una preordinazione dell’interesse del
titolare rispetto ad eventuali interessi di terzi che dovessero contrapporsi al suo.
Un articolo del codice civile dove sono espressi esplicitamente i poteri e le facoltà del titolare è:
L’art.832: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento”

A seconda del tipo di interesse i diritti soggettivi distinguono i diritti in:


• Diritti patrimoniali
• Diritti non patrimoniali
Quando l’interesse oggetto del diritto soggettivo è l’aspirazione ad un bene o ad un’utilità anche
immateriale che abbia valore economico oggettivo, quindi rispetto al quale esista un mercato che
sia oggetto di negoziazioni per il quale la società e l’ordinamento ammettano il pagamento di un
corrispettivo per acquisirlo, si parla di diritto patrimoniale.
Diversamente si parla di diritti non patrimoniali se l’interesse riguarda l’aspirazione dell’individuo
al conseguimento di utilità che non hanno valore economico cioè rispetto al quale non esiste un
mercato e non sono ammesse operazioni economiche (es. realizzazione di una persona).

In tal senso possiamo classificare nuovamente i diritti in:


• Disponibili
• Non disponibili
I diritti sono disponibili quando il titolare può compiere, rispetto ad essi, un atto di disposizione, atti
di cessione, di rinunzia o modificazione. Quindi tutti quei diritti che sono trasferibili ad un terzo.
Sono invece indisponibili quei diritti che il titolare non può trasferire o modificare definitivamente.
Solitamente i diritti disponibili sono prescrittibili a differenza dei diritti non disponibili.
Esistono però diritti patrimoniali imprescrittibili come per esempio la proprietà.

Un’altra grande classificazione dei diritti soggettivi è quella tra diritti assoluti e diritti relativi.
Secondo una vecchia concezione, sono diritti soggettivi assoluti quei diritti che attribuiscono al
titolare poteri e facoltà che egli può esplicare nei confronti di chiunque, ovvero di qualunque altro
consociato. Per cui si riteneva che i diritti assoluti avessero “efficacia erga omnes”.
All’interno della categoria dei diritti assoluti, distinguiamo due sottoinsiemi:
• Diritti reali, che sono assoggettati ad un principio di stretta tipicità e legalità infatti si dice
che essi sono un numeros clausus.
• Diritti della personalità, che hanno ad oggetto singoli profili della personalità umana, sono
quindi diritti introflessi. L’ordinamento tramite i diritti della personalità eleva i livelli di
protezione.

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Alessandro Castro

Sono diritti soggettivi relativi, quei diritti che nascono da una relazione, e secondo una vecchia
concezione sono diritti che accordano al titolare poteri e facoltà, non nei confronti di chiunque, ma
nei confronti di uno o più soggetti determinati. Quindi si dice abbiano “efficacia inter partes”
I diritti relativi istituiscono un rapporto: il titolare del diritto relativo ha la pretesa che un altro
soggetto determinato compia una determinata prestazione, dal compimento della quale deriva la
realizzazione dell’interesse.
Questo rapporto è particolarmente importante poiché è “condicio sine qua non” della realizzazione
dell’interesse del titolare del diritto relativo.
Il diritto relativo per eccellenza è il diritto di credito.

La distinzione fra queste due classificazioni dei diritti soggettivi non può essere però affidata
all’efficacia erga omnes degli uni ed inter partes degli altri.
Il sistema di diritto privato conosce 2 tipi di responsabilità:
• La responsabilità contrattuale
• La responsabilità extra-contrattuale.
La responsabilità contrattuale è il meccanismo di traslazione del costo del danno, che si verifica
all’interno di un rapporto obbligatorio. (Artt.1218 e ss.)
La responsabilità extracontrattuale definita dall’ art. 2043 e ss è il dispositivo di trasferimento del
danno che si verifica, quando il danno si produce all’esterno di un rapporto pre-esistente. Quindi
nel caso in cui danneggiante e danneggiato nella vicenda in cui si è manifestato il danno, non sono
legati da un preventivo rapporto.

Secondo la concezione classica dei giuristi italiani, la responsabilità extracontrattuale è il luogo nel
quale si può richiedere il risarcimento dei danni dei soli diritti assoluti in quanto non presuppongono
un preesistente rapporto
Ma la responsabilità extra-contrattuale potrebbe scattare anche quando ad essere violato sia un
diritto di credito, ossia un diritto relativo.
Ovviamente il danneggiante deve essere estraneo al diritto di credito, diversamente si parlerebbe
di responsabilità contrattuale.
Se si giunge ad affermare che un diritto relativo può essere tutelato quando è violato da terzi,
allora non è vero che i diritti assoluti sono quelli efficaci erga omnes e quelli relativi sono quelli
inter-partes.
Perché anche questi godrebbero di una tutela verso l’esterno, e quindi risulterebbero erga omnes.
La prima forma di riconoscimento della tutela aquiliana del diritto di credito si ebbe con una
celeberrima sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 1971.
Caso: l’incidente stradale che ha comportato la morte del calciatore del Torino Meroni.
Meroni, era debitore nei confronti della società calcistica poiché legato da un rapporto contrattuale.
Il Torino, infatti, pretendeva una prestazione lavorativa dal calciatore, contro il pagamento di un
corrispettivo monetario.
Tecnicamente, l’uccisione di Meroni ha leso irrimediabilmente il diritto di credito del Torino Calcio.
Il Torino, così, agì in giudizio nei confronti dell’investitore per lesione del proprio diritto di credito.
Questa rappresento una novità, poiché fino ad allora si era affermato che un creditore potesse
agire soltanto nei confronti della controparte e non nei confronti di terzi.
La corte di cassazione aveva precedentemente negata la tutela aquiliana del diritto di credito,
invocando il carattere inter-partes, in una sentenza del 1954, relativamente alla tragedia di Superga.

Nel ‘71 invece la cassazione ammette che il credito possa essere risarcito quando viene violato da
un terzo ponendo però delle condizioni.

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Alessandro Castro

Infatti è necessario che l’intervento del terzo che violi il diritto di credito, impedisca al debitore di
soddisfare il creditore. Quest’intervento deve essere tale da rendere definitiva ed irreparabile la
realizzazione dell’interesse del creditore.
Il terzo viola il diritto solo se il suo intervento comporta una vanificazione del diritto stesso. Nel caso
Meroni, la Corte di Cassazione afferma in astratto la risarcibilità aquiliana del diritto di credito. Ma
nel singolo caso concreto, ritiene che non vi siano le condizioni per condannare l’investitore di
Meroni al risarcimento del danno nei confronti del Torino.
Poiché il Torino avrebbe potuto procurarsi sul mercato un’altra prestazione analoga.
Viste le alternative di mercato, l’interesse del creditore non è stato irreparabilmente e
definitivamente leso e quindi non è ammissibile il risarcimento del diritto di credito.

Effettuate queste considerazioni bisogna collocare la distinzione fra diritti assoluti e relativi in un
altro versante.
Infatti i diritti assoluti sono diritti di autorealizzazione, per cui l’interesse del titolare viene
realizzato senza la necessaria mediazione di un terzo. Il titolare può realizzare il proprio interesse
autonomamente.
Vi sono però diritti assoluti di tipo relazionale come i diritti reali minori di godimento.
Quando il diritto assoluto presuppone un rapporto, questo serve per costituire il diritto, ma
successivamente non è necessario per realizzare l’interesse del titolare.
Pertanto il diritto assume caratteristiche relazionali, esclusivamente riguardo la fase genetica.

Nei diritti relativi, invece, non esiste un tale potere di autorealizzazione dell’interesse.
Infatti il titolare del diritto relativo può realizzare il proprio interesse solo tramite la condotta della
sua controparte.
Nel diritto relativo, i poteri e le facoltà si proiettano sulla controparte del rapporto, la cui
cooperazione è necessaria per realizzare l’interesse del titolare.
I diritti relativi sono diritti di cooperazione.

Per quanto concerne la tutela, la tutela dei diritti assoluti è una tutela in forma specifica nei confronti
di chiunque.
Il titolare del diritto assoluto, laddove questo venga violato, può pretendere verso chiunque la
cessazione della condotta e il ripristino delle condizioni in presenza delle quali il titolare può
autorealizzare il proprio interesse.
Il titolare del diritto relativo ha anch’egli tutela in forma specifica, ma solo nei confronti della
controparte.
Nei confronti dei terzi che abbiano violato il suo diritto, il creditore è tutelato soltanto sul piano
economico, in quanto potrà ottenere una somma di denaro pari al valore di quel bene, quindi il
risarcimento dei danni.

L’ABUSO DEL DIRITTO


Secondo la teoria tradizionale si ha abuso del diritto quando il titolare esercita i poteri e le facoltà
a lui riconosciuti per il perseguimento di un fine diverso rispetto a quello per cui il diritto soggettivo
è stato conferito. Ossia in caso di sviamento dall’interesse.
Ma sotto il punto di vista dogmatico lo sviamento dall’interesse più che abuso del diritto costituisce
un vero e proprio illecito dato che è un’ipotesi nella quale il titolare del diritto soggettivo si colloca
oltre il perimetro a lui riconosciuto.

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Raramente l’ordinamento giuridico specifica l’interesse umano che il diritto soggettivo è teso a
realizzare. In molti casi il diritto soggettivo consente di realizzare una pluralità di interessi difficili da
specificare. Diventa quindi una questione interpretativa stabilire l’interesse sotteso al diritto
soggettivo.
Pertanto risulta più corretto sostenere che si ha abuso del diritto quando l’atto di esercizio sia
caratterizzato da modalità inutilmente gravose per la controparte o per terzi.
Si ha abuso del diritto, ogni qualvolta il titolare del diritto soggettivo potrebbe realizzare il proprio
interesse con modalità meno limitative della libertà o dei diritti altrui, ma invece sceglie una
modalità che si rileva più costosa, in termini di limitazioni, per i terzi.
Sono le modalità di esercizio troppo pregiudizievoli che ci consentono di stabilire se l’atto di
esercizio è un abuso.
L’esercizio abusivo rientra nel contenuto del diritto soggettivo, è un atto lecito, ma non è un atto
legittimo. Esistono delle forme di esercizio alternative e meno gravose per terzi che consentirebbero
in pari misura di ottenere il soddisfacimento del proprio interesse.
Nel nostro ordinamento non esiste una disposizione normativa che enuncia la figura del divieto
dell’abuso del diritto, ma vi sono norme che sono espressione di questa regola.
Es. art 833: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere
o recare molestia ad altri.”
Per cui si rivela abusivo quell’atto di esercizio della proprietà che si rivela scarsamente utile per il
titolare, ma che ha come scopo quello di molestare l’esercizio di un altrui diritto.
Altro es. art 1438: “La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del
contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti”
Quindi la minaccia di far valere un proprio diritto se diretta a conseguire vantaggi ingiusti può essere
causa di nullità del contratto.
Se il creditore, facendo leva sulla propria posizione di vantaggio, cerca di condizionare il
comportamento del debitore, allora si verifica l’ipotesi dell’art. 1438.
Pertanto, pur mancando una disposizione espressa che sancisca il divieto di abuso del diritto,
questo rappresenta un principio inespresso.
(OT I principi possono essere sia espliciti che impliciti. Sono impliciti quei principi ricavabili per
generalizzazione, ossia quando una serie di norme sembrano ispirate dalla medesima ratio).
A livello comunitario invece, l’art 54 della CDFUE applica il divieto dell’abuso del diritto ai casi in cui
il compimento di atti o l’esercizio di attività metta a repentaglio gli altrui diritti o libertà.

LE CONSEGUENZE DELL’ABUSO DI DIRITTO


1^ conseguenza:
Eccezione di dolo generale, è figura che proviene dal diritto romano, nota come exceptio doli
generalis. È uno strumento di difesa che può invocare la parte vittima del comportamento abusivo.
Questa può chiedere al giudice nonostante la liceità della pretesa di controparte, di non accoglierla
alla luce del carattere abusivo dell’atto di esercizio.
2^ conseguenza:
Il giudice potrebbe riconoscere che la pretesa del titolare del diritto va accolta, ma potrebbe altresì
riconoscere che questo ha provocato un danno nei confronti di controparte. Detto danno va
risarcito.

LE ALTRE SITUAZIONI GIURIDICHE ATTIVE


IL DIRITTO POTESTATIVO
All’interno del genere dei diritti soggettivi, troviamo il diritto potestativo.

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Il diritto potestativo conferisce al titolare la possibilità di provocare modificazioni nella sfera


giuridica altrui.
Il titolare della sfera giuridica suscettibile di modificazione versa in una situazione soggettiva passiva
di soggezione, che lo espone alla discrezionalità del titolare del diritto potestativo.
È un diritto relativo poiché istituisce un rapporto, di fatti vi è il presupposto che vi sia una relazione
giuridicamente rilevante.
Il titolare del diritto potestativo può soddisfare il proprio interesse, alterando profili della sfera
giuridica della controparte che non ha il potere di difendersi da questa modificazione.

Esempio -> art. 874: Viene riconosciuto al proprietario del terreno confinante con quello in cui è
stato eretto il muro di confine, il diritto di acquistare la comproprietà del muro edificato, purché sia
disponibile ad acquistare la proprietà per tutta l’estensione del muro pagando la metà del valore
del muro e la metà del suolo sul cui è stato edificato il muro.
Altro esempio -> art. 1331: Tramite l’opzione una parte si impegna con l’altra a non revocare la
propria dichiarazione
Il destinatario dell’opzione, detto opzionario, è libero di accettare o meno.
L’opzionante, avendo rinunciato alla possibilità di revocare la proposta si è posto in una posizione
di mera soggezione, non può quindi in nessun caso opporsi all’opzionario.
Esempio 3. (sempre nell’ambito di contratto) Diritto di recesso, è il diritto che conferisce, a uno dei
contraenti, il potere unilaterale di determinare lo scioglimento del contratto.

Il diritto potestativo prevede un rapporto di dominanza e sudditanza.


Il diritto potestativo può essere di natura legale e convenzionale (nasce dal contratto).

LA POTESTÀ
La potestà consiste in un ufficio privato nel quale vengono conferiti poteri e facoltà preordinati a
realizzare o proteggere un interesse altrui.
Nella potestà, a differenza di quanto avviene nel diritto soggettivo, il titolare dell’ufficio è il titolare
di poteri che ha il dovere di esercitare. È dunque una situazione di potere-dovere. I poteri e le facoltà
non sono oggetto di un libero esercizio ma devono essere obbligatoriamente esercitati.

Esempio -> potestà dei genitori nei confronti dei figli (ex patria potestà)
La famiglia era concepita come una formazione sociale, ossia un corpo intermedio tra l’individuo e
lo Stato, organizzata in senso gerarchico, in cui il marito era individuato come capofamiglia, ossia
dotato di supremazia che si poteva tradurre nello ius corrigendi della moglie.
La costituzione all’art 29 riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ed
individua il principio di uguaglianza al suo interno.
Il D.lgs. 254/2013 ha ribattezzato la potestà genitoriale in responsabilità genitoriale.
Il legislatore ha scelto di sostituire il termine potestà, poiché invocava l’idea di potere nei confronti
dei figli e quindi di una sovra ordinazione dei genitori.
Il termine responsabilità è stato scelto per enfatizzare la funzionalizzazione dei poteri riconosciuti ai
genitori nei confronti dei figli minori all’interesse dei figli stessi.
Ai sensi dell’art.315 bis Il genitore è tenuto a mantenere, educare, istruire, assistere moralmente il
figlio rispettando le sue capacità e le sue inclinazioni naturali. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia
e mantenere rapporti significativi con i parenti, e ove questo abbia compiuto anni 12 o abbia
sufficiente capacità di discernimento deve essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e contribuire al mantenimento della famiglia.

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Alessandro Castro

Ai sensi dell’art.316 entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale la quale viene esercitata
di comune accordo.
In caso di contrasto su questioni rilevante ciascun genitore può ricorrere al giudice indicando i
provvedimenti che ritiene idonei. Il giudice decide sentendo i genitori ed il figlio qualora abbia
compiuto anni 12 o sia capace di discernimento. Se il contrasto dovesse permanere il giudice
attribuisce potere di decisione al genitore da lui ritenuto più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Il genitore che riconosce il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se non la esercita
sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita.

Il termine responsabilità genitoriale è funzionale ad enfatizzare la responsabilità, che i genitori


assumono nei confronti dell’intera società, in quanto questi assumano un ruolo educativo.
I poteri e diritti attribuiti dalla potestà, vengono conferiti nell’interesse specifico di un terzo (di
solito ciò avviene quando il terzo non è capace di agire).
Quindi possiamo immaginare la potestà come un coacervo di poteri, diritti e prerogative che il
titolare non è libero, ma è tenuto ad esercitare, in quanto vanno esercitati nell’interesse di un terzo.

INTERESSE LEGITTIMO
L’interesse legittimo designa l’aspirazione dell’individuo a una modificazione della propria sfera
giuridica o alla sua conservazione, condizionata da un intervento provvedimentale della PA, che
potrebbe fisiologicamente condurre alla delusione dell’interesse individuale.
Rappresenta la posizione soggettiva che ha il cittadino rispetto all’operato della pubblica
amministrazione.
Si ha l’interesse legittimo ogni qualvolta un cittadino aspira a mantenere intatta o ampliare la
propria sfera giuridica e ogni qualvolta questi due risultati entrino in collisione con il perseguimento
di interessi generali, da parte delle PA.
Esempio: ius edificandi.

La PA non ha però totale arbitrio infatti:


Le sue valutazioni possono essere discrezionali ma devono essere improntate a legittimità.
La PA deve decidere secondo i criteri di: imparzialità, efficienza, trasparenza e liceità.
Se la PA viola l’interesse del privato illegittimamente, allora il privato, grazie all’interesse legittimo,
e quindi alla protezione del suo interesse, sebbene non in forma piena, è legittimato ad impugnare
il provvedimento amministrativo (o il silenzio) che gli impediscano la realizzazione dell’interesse.
Può agire in 1° grado al TAR. Ed in 2° grado al Consiglio di Stato.
Come regione a statuto speciale, il 2° grado in Sicilia è rappresentato dal Consiglio di giustizia
amministrativa.
Annullando il provvedimento il cittadino ha diritto a riottenere il potere di reiscrizione nella PA che
ha il dovere di rivalutare la sua pretesa, evitando di incorrere nei vizi che hanno reso illegittimo il
primo provvedimento.
L’interesse legittimo, a seconda dei casi, può essere: pretensivo o oppositivo.

Pretensivo: Perseguimento di un ampliamento della sfera giuridica del titolare per il quale è
necessario un provvedimento favorevole della P.A. di natura autorizzatoria o concessoria.
È quindi l’aspirazione del cittadino all’incremento della propria sfera giuridica che però deve essere
preventivamente vagliata la pubblica amministrazione.
Esempio: Autorizzazione al porto d’armi da fuoco.
Oppositivo: Perseguimento della conservazione della propria sfera giuridica cui un provvedimento
amministrativo sfavorevole intende imporre una qualche limitazione o riduzione.

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Alessandro Castro

Aspirazione del cittadino a mantenere integra la propria sfera giuridica ogni qualvolta la pubblica
amministrazione avvii un procedimento volto a modificarla, per perseguire un interesse generale.
Esempio: interesse del privato che si oppone al decreto di esproprio del proprio bene.

LESIONE DELL’INTERESSE LEGITTIMO


Se viene leso un interesse pretensivo, oltre la possibilità di aggredire il provvedimento
amministrativo che ha determinato la lesione, il privato può richiedere l’annullamento dell’atto, e
qualora questo non elimini il pregiudizio, può richiedere il risarcimento della perdita di chance.
I giudici impongono un risarcimento da parte della PA non coincidente con l’utilità finale ma un
risarcimento pari al valore dell’opportunità che egli avrebbe avuto. Quindi la PA è soggetta a
responsabilità extra-contrattuale.
Se invece è leso un interesse legittimo oppositivo, in questo caso il risarcimento richiesto dal
titolare, è pari al valore del bene che gli è stato sottratto dalla pubblica amministrazione.

INTERESSE COLLETTIVO
È un interesse individuale di natura seriale, ossia un interesse che ciascun soggetto nutre con
caratteristiche analoghe se non identiche ad altri soggetti posti nelle medesime condizioni.
È un interesse che accomuna una pluralità di individui che si trovano nella stessa condizione.
Si può affermare che designa un’esigenza sovra-individuale che è identificabile con una categoria
umana o un gruppo sociale definito.
L’ordinamento giuridico attribuisce rilevanza agli interessi collettivi consentendo forme di tutela
aggregata come le azioni popolari. (class-action)
Dette sono strumenti processuali grazie ai quali una pluralità di soggetti con interessi omogenei
giuridicamente rilevanti, piuttosto che agire individualmente si aggregano, e propongono un’unica
azione in giudizio per ottenere un risultato utile per tutti.
INTERESSE DIFFUSO
Consiste in un’esigenza individuale su larga scala, ossia un interesse di natura seriale, omogeneo
per una pluralità indefinita di soggetti. Il suo riconoscimento è però in forma minima.
La tutela di questi interessi viene garantita dall’ente esponenziale, ovvero dallo Stato.
Consiste dunque in un interesse appartenete a una pluralità di individui la cui individuazione è meno
netta dell’interesse collettivo.
La principale differenza tra interessi diffusi e collettivi la si osserva sul versante della tutela.
Il carattere indeterminato dei portatori dell’interesse diffuso rende necessario affidare allo Stato la
sua cura e la legittimazione ad agire per la sua salvaguardia.
L’interesse collettivo è riferibile ad un gruppo sufficientemente definito, e ciò consente al legislatore
di conferire la legittimazione ad agire agli enti rappresentativi del gruppo sociale interessato.

LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE PASSIVE


Le situazioni giuridiche soggettive passive esprimono la posizione di svantaggio imposte al soggetto
di diritto dall’ordinamento.
È l’effetto della norma giuridica che comprime in maniera più o meno intensa la sfera giuridica di
un soggetto, in vista del soddisfacimento di interessi altrui o generali.
Le situazioni giuridiche soggettive passive sono: il dovere, l’obbligo, la soggezione e l’onere.

IL DOVERE

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Il dovere consiste in comportamento necessario, imposto ad una pluralità indeterminata di


soggetti.
Sono comportamenti necessari che la norma impone ad un’indeterminata platea di soggetti e che il
più delle volte sono preposte alla salvaguardia di interessi generali.
Esempio. pagamento imposte, o divieti che scaturiscono dal codice della strada

L’ambito proprio del dovere è prevalentemente quello del diritto pubblico, ma sono presenti anche
nel diritto privato. Secondo una concezione giuridica, vennero interpretati come diritti relazionali
anche i diritti assoluti. I diritti assoluti vennero concepiti come estremo di un rapporto, all’altro capo
del quale venivano individuati tutti i consociati. Si configurava così il dovere generale di astensione
che per lungo tempo, è stato ritenuto fronteggiare il diritto assoluto.
Dovere di alterum laedere, neminen laedere, cioè un dovere che aveva come oggetto quello di
astenersi da qualunque interferenza che potesse impedire, al titolare del diritto assoluto, di
realizzare il proprio interesse.
Questa rappresentazione del diritto assoluto è però una forzatura, poiché significherebbe
rappresentare tutte le situazioni di diritto come un reticolo infinito di rapporti.
Il diritto assoluto è collocato al di fuori di un rapporto giuridico.
Il dovere generale di astensione, è una figura astratta perché è eccessivamente generico sia per
quanto riguarda i destinatari sia per quanto concerne i contenuti.
Se il dovere non specifica in maniera sufficientemente dettagliata ciò che il destinatario del dovere
deve o non deve fare, esso non è un in grado di determinare la condotta del consociato.
Il dovere deve essere una condotta sufficientemente specifica che è in grado di orientare la condotta
dei consociati nei confronti della comunità.

L’OBBLIGO
Condotta necessitata e di contenuto specifico, per la realizzazione di interessi, la cui finalizzazione
è posta a vantaggio di uno o più soggetti determinati.
Vi è la determinatezza dei destinatari della condotta imposta, tanto dei soggetti a vantaggio dei
quali la condotta si ripercuote.
L’obbligo instaura la relazione intersoggettiva che prende il nome di rapporto giuridico e si traduce
nella correlazione tra situazione attiva e situazione passiva.
Il caso più significativo di obbligo, è il debito. Questo, grava sul debitore ed è a vantaggio del
creditore. Il credito e il debito istituiscono un rapporto di obbligazione (o rapporto obbligatorio).
All’obbligo si contrappone sempre un diritto soggettivo relativo.

L’ONERE
Condotta necessitata che il soggetto è tenuto deve a in essere nel proprio interesse.
Esempio.
Nella vendita l’acquirente è protetto nel caso in cui il bene sia viziato.
Per potersi avvalere della garanzia il compratore deve denunciare il vizio entro 8gg dalla scoperta. Questo è
un onere perché il compratore denuncia i vizi al venditore per ottenere un vantaggio per sé, ovvero ottenere
una garanzia legata alla denuncia del vizio.
In questo caso quindi il comportamento dovuto è nell’interesse di sé stesso.

LA SOGGEZIONE
La soggezione rappresenta una situazione passiva correlata all’attribuzione di un diritto
potestativo. La condotta necessitata non consiste in una realizzazione ma consiste in un pati, ossia
nel tollerare la modificazione della propria sfera giuridica come conseguenza dell’esercizio del
potere altrui.

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Alessandro Castro

RAPPORTO GIURIDICO, VICENDE SGS, PUBBLICITA’, TUTELA E


RIMEDI
IL RAPPORTO GIURIDICO
Per rapporto giuridico intendiamo la relazione giuridicamente rilevante tra due o più soggetti, che
connette le situazioni giuridiche soggettive attive alle situazioni passive.
Il rapporto è preordinato a consentire:
• L’attuazione della situazione attiva
• Le modificazioni della sfera giuridica del titolare della situazione soggettiva passiva, che
consentano la realizzazione dell’interesse del diritto.
L’oggetto del rapporto giuridico è l’utilità che esso è preordinato a far conseguire ed il contegno
che è necessario adottare affinché si realizzi il risultato prefissato.
Per oggetto possiamo intendere l’utilità finale attesa del titolare della situazione soggettiva attiva e
la condotta necessitata dal titolare della situazione giuridica passiva.
Il titolo del rapporto giuridico è invece la sua fonte.
LE VICENDE DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE
L’ACQUISTO DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE
L’acquisto delle situazioni giuridiche può essere a titolo originario o a titolo derivativo.
L’acquisto a titolo originario si ha:
• Per i diritti della persona in base alla nascita
• Per i diritti reali in base ad una fattispecie acquisitiva priva di dante causa
• Per i diritti di credito in base al contratto ad effetti obbligatori o a fatti illeciti e ogni altro
atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni secondo l’ordinamento giuridico.

Gli acquisiti a titolo originario non avvengono per successione.


Per successione intendiamo il trasferimento del diritto da un precedente titolare ad un nuovo
titolare, ovvero il trasferimento da dante causa ad avente causa.

L’acquisto a titolo derivativo ha luogo tra un dante causa, e un avente causa.


Viene così determinato un fenomeno circolatorio denominato successione.
La successione può essere: inter vivos o mortis causa.

L’acquisto a titolo derivativo può essere:


• Acquisto derivativo-traslativo
• Acquisto derivativo-costitutivo -> quando il trasferimento all’acquirente riguarda solo una
parte del contenuto di cui dispone il dante causa (dir. reale di godimento)
L’avente causa ovviamente non può vantare un diritto più ampio di quello che competeva al suo
dante causa.

LA SUCCESSIONE MORTIS CAUSA ED INTER VIVOS


La successione mortis causa
Nella successione mortis causa, il dante causa è il decuius e quindi il fenomeno di successione si
colloca alla cessazione della vita del titolare.

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Alessandro Castro

Il decuius, potrebbe aver lasciato un testamento.


Il testamento è un negozio giuridico di autonomia privata, secondo il quale l’individuo può scegliere
di destinare i suoi diritti a chi desidera.
Vi sono i soggetti legittimari che devono necessariamente subentrare nei diritti del decuius.
La legge ha voluto riconoscere a questi, per via dello stretto legame che intrattenevano con il
testatore, una quota del suo patrimonio.
Il testatore è obbligato a destinare agli eredi legittimi la quota legittima.
È invece libero di destinare a chiunque la quota disponibile.
Il soggetto può morire intestato, ovvero senza testamento, ed in questo caso vi è la successione ab-
intestato, ed è la legge a stabilire chi debba succedere ed in quale quota dell’asse ereditario.
Alcuni soggetti devono succedere contemporaneamente, come coniuge e figli, e la legge stabilisce
la quota dell’asse ereditario destinata a questi.

La distinzione tra successione mortis causa o inter vivos non è irrilevante.


Inter vivos solitamente si può succedere soltanto in situazioni giuridiche soggettive attive, non si
può succedere in quelle passive, se non attraverso i 3 istituti di cessione del debito
Mortis causa è possibile succedere anche nelle situazioni giuridiche soggettive passive.

Se la successione è testamentaria i soggetti successibili vengono distinti in: erede e legatario


Erede è colui il quale subentra in universo ius, nell’intero patrimonio od in una sua quota (frazione
dell’asse ereditario, ovvero beni e debiti che fanno parte del patrimonio del decuius).
I legatari succedono in un singolo rapporto od in più rapporti che rappresentano una parte dell’asse
ereditario, cioè una determinata ed identificata parte dei diritti facenti capo al decuius.

Erede e legatario subentrano anche nei debiti del testamentario.


L’erede che subentra nei diritti risponde degli obblighi dell’eredità con tutto il suo patrimonio.
Secondo il principio di “Responsabilità patrimoniale ex. Art.2740 cc”
È questo il caso dell’ereditas damnosa (eredità gravata da passività che superano l’attivo).
Se l’erede non vuole rispondere dei debiti ereditari anche con il proprio patrimonio allora si può
ricorrere all’accettazione con beneficio d’inventario.
Così facendo l’erede limita la responsabilità dei debiti ereditari a quanto abbia ricevuto in titolo di
eredità. L’eredità deve essere specificatamente accettata.

Il legatario, risponde nei limiti dell’eredità soltanto fino all’ammontare del valore dei diritti.
Il legato non può mai essere dannoso.
Si acquista automaticamente senza accettazione, ma può anche essere rifiutato.

Successioni inter vivos


L’ atto di trasferimento, inter vivos, più significativo è regolato dall’art.1321, ed è il contratto.
Il contratto però non è l’unico strumento di trasferimento dei diritti.
Vi sono infatti anche gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Vi sono accordi di natura differente rispetto ai contratti, come ad esempio l’accordo tra i coniugi in
sede di separazione
Separazione -> rappresenta una crisi nel rapporto di coniugio, che però non intacca il vincolo
coniugale.
Marito e moglie rimangono coniugi, ove si separano sia consensualmente che legalmente, ma alcuni
doveri come quelli di coabitazione si attenuano o addirittura vengono meno.

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Alessandro Castro

Il coniuge che non ha un reddito o non ha un reddito che gli permetta di condurre uno stile di vita
analogo a quello che conduceva con costanza prima della separazione, ha diritto ad un
mantenimento, a meno che la separazione non sia a questa parte imputabile.
Sorge poi il problema dell’affidamento della prole. Se i coniugi si accordano verrà determinata la
costituzione di situazioni giuridiche.
L’ESTINZIONE DEI DIRITTI SOGGETTIVI
L’estinzione di un diritto soggettivo, oltre a usucapione, prescrizione e decadenza può avere luogo
per diverse cause:
• Piena realizzazione dell’interesse per il quale il diritto viene attribuito
• Impossibilità della prestazione come nel caso dell’impossibilità sopravvenuta per causa non
imputabile al debitore.
• Confusione in capo allo stesso soggetto della qualità di debitore e di creditore.
• Rinunzia abdicativa, che implica la dismissione del diritto senza l’altrui acquisto
• Rinunzia traslativa, che ha natura contrattuale e determina l’altrui acquisto
La rinunzia è ammessa solamente per quanto riguarda i diritti disponibili.
Sono irrinunciabili i diritti della personalità, le potestà ed i diritti patrimoniali volti al
soddisfacimento dei bisogni essenziali della persona.

LA PUBBLICITA’
La pubblicità è un indice esterno dell’esistenza giuridica di un fatto, di un atto o di un negozio, e più
in generale di una modificazione della sfera giuridica di un soggetto o della condizione giuridica di
un bene.
La pubblicità è un istituto finalizzato a rendere noto a terzi una vicenda giuridicamente rilevante
tramite il ricorso a mezzi di conoscenza pubblica.
NOTA Possiamo distinguere la pubblicità in:
• Pubblicità legale, sopra descritta
• Pubblicità di fatto, la quale consente di far presumere ai terzi la corrispondenza tra stato di
fatto e stato di diritto esercitando un potere di fatto, sebbene questo non sia stato reso noto
nelle forme di legge (es. possesso beni mobili).

La pubblicità è un sistema di segnalazione dei mutamenti giuridici.


Si ha pubblicità ogni qualvolta una vicenda giuridicamente rilevante venga portata a conoscenza dei
terzi, tramite il ricorso a strumenti che consentano la conoscenza pubblica dei fatti. Gli strumenti
più adoperati sono i registri e gli albi che sono liberamente consultabili.

La pubblicità legale si articola in: notizia, costitutiva e dichiarativa.


La pubblicità notizia, ha la funzione di rendere conoscibile l’atto da parte dei terzi che non
partecipano al suo compimento, ma sono dalla legge autorizzati a manifestare un’eventuale
opposizione. L’omesso ricorso al meccanismo pubblicitario espone a sanzioni amministrativa, ma
non influisce nella validità o nell’opponibilità dell’atto.
Esempio. Pubblicazione matrimoniale, la mancata pubblicazione non invalida né rende inefficace il
matrimonio, ma espone gli sposi ad una sanzione amministrativa.
Esempio. iscrizione del neonato nei registri dello stato civile.
Dove deve essere indicato il nome del soggetto e le generalità dei genitori. L’iscrizione non ha
funzione di rendere il neonato giuridicamente rilevante ha mera finalità notizia, ovvero rendere
noto alla comunità l’esistenza di un nuovo individuo.

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Alessandro Castro

La pubblicità costitutiva, rappresenta un elemento interno (costitutivo) alla fattispecie giuridica


dell’atto, infatti la mancanza della pubblicità fa sì che l’atto non produca i suoi effetti giuridici, e non
possa essere opposto a terzi.
Esempio. Ipoteca, che può avere fonte legale o giudiziale, si costituisce solamente mediante
iscrizione nei pubblici registri immobiliari
Per le società di capitali, ad esempio l’iscrizione nel registro delle pubbliche imprese permette
l’acquisto di personalità giuridica.

La pubblicità dichiarativa non riguarda la validità o l’efficacia dell’atto, ma assicura l’opponibilità


degli effetti ad una particolare categoria di terzi, ovvero gli aventi causa dello stesso autore.
La pubblicità è necessaria per garantire la certezza e la trasparenza delle situazioni giuridiche.
Chi non assolve all’onere della tempestiva trascrizione dell’atto corre il rischio di perdere il proprio
diritto a vantaggio di un terzo che ha acquistato successivamente ma ha registrato.
La pubblicità dichiarativa ha la funzione di dirimere i conflitti di attribuzione.
Si ha conflitto di attribuzione quando più soggetti vantano un medesimo diritto sul medesimo bene
o vantano una medesima pretesa nei confronti del medesimo soggetto.
Il legislatore ha deciso che per quanto riguarda il trasferimento dei diritti reali su beni immobili e
mobili registrati, a dover prevalere non è chi per primo abbia acquistato il diritto, ma chi per primo
abbia fatto ricorso al meccanismo di pubblicità. Art.2644
La pubblicità relativa alla proprietà ed agli altri diritti reali su beni immobili si chiama trascrizione
mentre la pubblicità relativa sugli altri beni mobili registrati si chiama iscrizione.
Dall’adempimento pubblicitario non deriva solamente una mera conoscenza ma il titolo di
preferenza.
Se venisse omesso l’adempimento pubblicitario l’atto resta valido tra le parti, ma è inopponibile nei
confronti di terzi.
Chi ha per primo trascritto prevale su chiunque trascriva successivamente, anche nell’eventualità in
cui chi abbia trascritto per primo non sia stato il primo acquirente.

OT-> In altri casi il legislatore ricorre a metodi differenti per risolvere i conflitti di attribuzione.
Hanno funzione di pubblicità dichiarativa anche il possesso in buona fede e la detenzione.
Nel caso di conflitti di attribuzione che hanno ad oggetto la proprietà di beni mobili, a prevalere è
chi per primo abbia acquisito il possesso del bene in buona fede. Ovvero ignaro del fatto che quel
bene fosse stato oggetto di trasferimenti nei confronti di un terzo.
Nel caso di diritti personali di godimento, prevale chi per primo ha ottenuto la detenzione del bene,
quindi chi ha fisicamente verso di sé il bene.
LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE (manuale)
Con tutela delle situazioni giuridiche soggettive attive, intendiamo l’attitudine dell’ordinamento a
mobilitarsi a favore del titolare del diritto quando la realizzazione di un interesse protetto è frustrata
da comportamenti non cooperativi o aggressivi degli altri consociati.
Oltre alla tutela giurisdizionale, ossia quella garantita dallo Stato tramite la predisposizione di
organi, esistono altre tipologie di tutela.
Possiamo parlare di tutela stragiudiziale, ossia meccanismi di protezione destinati ad essere attivati
al di fuori del processo. E di mezzi di autotutela, ossia poteri che consentono al privato di cautelarsi
personalmente contro il rischio di un pregiudizio.
Nell’ambito dei mezzi di autotutela, hanno notevole importanza le tre fattispecie di risoluzione
automatica:
• Diffida ad adempiere, art. 1454

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Alessandro Castro

• Clausola risolutiva espressiva, art. 1456


• Termine essenziale, art. 1457
Un altro strumento di autotutela stragiudiziale può essere rappresentato dal recesso per giusta
causa art. 2119.
La tutela stragiudiziale si avvale dell’arbitrato e della mediazione civile e commerciale.

L’arbitrato è l’istituto tipico della giustizia privata, e viene utilizzato per ovviare ai tempi della
giustizia ordinaria, ma comporta elevati costi.
È una forma di risoluzione delle controversie alternativa al giudizio dell’autorità giudiziaria, che
poggia su un contratto oppure su una clausola, che prende il nome di clausola compromissoria. Gli
arbitri sono pagati dalle stesse parti in giudizio.
Le due parti nominano gli arbitri di parte e poi congiuntamente nominano un soggetto terzo, ovvero
il presidente del collegio arbitrale.
L’arbitrato può essere rituale, quando gli arbitri decidono secondo diritto.
Oppure irrituale, quando il lodo non acquista efficacia di cosa giudicata.
Il giudizio del collegio arbitrale viene chiamato lodo, e questo ha la stessa efficacia della sentenza,
qualora ottenga l’exequatur da parte del giudice, il quale deve attestare che non vi siano decisioni
contrarie all’ordine pubblico.
La mediazione può essere:
• Volontaria a fini conciliativi. In questo caso le parti, assistite da un mediatore professionista
tentano di raggiungere un accordo per la risoluzione della controversia
• Obbligatoria, prevista espressamente per alcune materie quali ad es. il condominio. Il suo
esperimento costituisce una condizione di procedibilità nell’eventuale giudizio di merito.
• Delegata. Quando avviene su ordine del giudice dopo averne valutato l’opportunità
L’accordo raggiunto in sede di mediazione acquista l’efficacia di titolo esecutivo se contiene
l’attestazione degli avvocati delle parti, altrimenti per acquisire tale efficacia va sottoposto
all’omologazione del giudice ordinario.

FORME, TECNICHE DI TUTELA E RIMEDI


Tutte le situazioni giuridiche soggettive attive sono munite di tutela, la quale viene attuata tramite
i rimedi, anch’essi effetti della norma giuridica.
I rimedi sono meccanismi attraverso i quali l’ordinamento consente al titolare di una situazione
giuridica soggettiva attiva di reintegrarne il contenuto o ottenerne l’equivalente monetario ove
esso sia stato violato.
Grazie al rimedio che le norme attributive di situazioni giuridiche si rivelano coattive.
Vi è una pluralità di forme di tutela, possiamo distinguere:
• Tutela in natura (o restitutoria) -> intesa a ripristinare lo stato di cose anteriore alla lesione.
Solitamente questa viene applicata ai diritti assoluti.
Es. azione di rivendicazione
• Tutela satisfattoria -> intesa a far conseguire al titolare del diritto, l’utilità che egli avrebbe
dovuto ricevere dalla controparte. Questa si applica ai diritti relativi, vista l’esigenza di
cooperazione dell’obbligato.
• Tutela riparatoria -> successivamente alla lesione di un diritto e alla creazione di un danno.
Il danno una volta verificato non può essere eliminarlo.
Se il danno è eliminabile si può procedere con il risarcimento in forma specifica.
Altrimenti ad essere eliminato è il costo del danno.

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Alessandro Castro

Ogni danno produce un costo economico, e grazie al risarcimento questo costo viene traslato
dalla sfera giuridica del danneggiato alla sfera giuridica di colui a cui il danno è imputato.
• Tutela invalidatoria -> si avvale dei rimedi invalidatori, ovvero strumenti che permettono di
privare di effetti di tutti quegli atti che dovessero rivelarsi affetti da vizi.
(Rimedio di nullità ed annullamento).

Vi sono anche i rimedi di retroversione dello spostamento della ricchezza.


Detti sono istituti che hanno la funzione di ripristinare lo status quo ante, neutralizzando uno
spostamento di ricchezza ingiustificato. Per ricreare lo status quo ante si deve ricorrere a rimedi di
natura restitutoria. Le due principali forme di tutela restitutoria sono attuate dall’indebito oggettivo
e soggettivo 2033 e ss. e dall’arricchimento senza causa 2041 e 2042 cc.

È comune sia ai diritti assoluti che ai diritti relativi la tutela risarcitoria, il cui scopo è quello di
ristorare la parte lesa del pregiudizio economico derivante dalla condotta illecita di un terzo.
La tutela risarcitoria segue regole diverse a seconda che si tratti di responsabilità contrattuale o
extracontrattuale.
Il danneggiato in talune circostanze può scegliere tra disciplina della responsabilità contrattuale e
disciplina extracontrattuale. Questa vicenda prende il nome di concorso di responsabilità, data
l’alternativa sul piano sostanziale.

I rimedi possono essere:


• Stragiudiziali (recesso, eccezione di autotutela, eccezione di inadempimento 1460)
• Giudiziali come ad esempio il risarcimento del danno, che presuppone sempre una sentenza
di condanna del giudice.
Qualora i rimedi siano giudiziali questi devono avere dei presupposti:
• Il rimedio di nullità presuppone sempre sentenza di accertamento
• Il rimedio di annullamento presuppone sentenza costitutiva del giudice.

LA PRESCRIZIONE E LA DECADENZA
Le situazioni giuridiche soggettive una volta acquistate possono essere esercitate, ma dato che
rappresentano una posizione di potenzialità, non è certo il loro esercizio.
Quando una situazione giuridica soggettiva istituisce un rapporto, questo non si può protrarre
indefinitamente nel tempo, poiché la controparte deve tenersi in condizioni di poter subire una
limitazione della propria sfera giuridica, o deve essere pronta a porre in essere un determinato
comportamento.
Ad esempio a fronte di un diritto di credito, il cui titolare non pretende, il debitore deve tenersi
pronto ad adempiere laddove il creditore faccia richiesta.
L’ordinamento ha così introdotto l’istituto della prescrizione e della decadenza che regolano
l’influenza del tempo nell’esercizio delle situazioni giuridiche soggettive.

LA PRESCRIZIONE
La prescrizione è un istituto giuridico regolato dagli art. 2934 e ss.
La finalità della prescrizione è di tipo pubblicistico, infatti è volta a tutelare la certezza dei rapporti
giuridici, e trova la sua causa nell’inerzia del titolare del diritto protratta per un periodo di tempo
determinato dalla legge.

Art 2934: Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge, denominato termine prescrizionale.

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Alessandro Castro

La prescrizione opera nell’ambito di un rapporto giuridico.


Sono imprescrittibili tutti i diritti indisponibili, (es. personalità) e gli altri indicati dalla legge.
Secondo un’idea liberale è imprescrittibile anche la proprietà considerati strettamente legati alla
libertà individuale. È imprescrittibile anche l’azione di nullità finalizzato all’accertamento
dell’inefficacia di un atto che presenta vizi, per ragioni di carattere ordinamentale, ed anche l’azione
rivendicatoria.
LE FINALITA’ DELLA PRESCRIZIONE
La prescrizione non ha una finalità punitiva o sanzionatoria.
Il legislatore non vuole punire il titolare che non ha esercitato il diritto, non si può parlare di sanzione
dell’inerzia. Il titolare, ha la libertà di non avvalersi del diritto.
Il mancato esercizio di un diritto crea però una situazione di oggettiva pendenza, che non può essere
protratta indefinitamente.
La libertà di esercitare un diritto deve essere contenuta entro ragionevoli limiti temporali, che
assicurano che i rapporti pendenti, vengano esauriti.
La principale funzione della prescrizione è di tipo pubblicistico e riguarda la certezza dei rapporti
giuridici.
Chi è controparte è consapevole di poter essere chiamato in qualunque momento a porre in essere
una condotta, o a tollerare un’invasione della propria sfera giuridica.
Per certezza del rapporto giuridico intendiamo dare ai titolari delle situazioni passive, una misura
temporale allo spirare della quale, se il titolare della situazione attiva non si è avvalso del proprio
diritto, questo sia estinto.
Inoltre quanto più tempo intercorre tra l’acquisto e l’esercizio della situazione giuridica, tanto più
diventa difficile per il convenuto procacciarsi i mezzi di prova.
È necessario quindi contenere nel tempo la distanza tra acquisto, e invocazione in giudizio.
Quindi vi è un’esigenza di tipo probatorio, per cui la prescrizione assolve la funzione di
contenimento dei conflitti.
La prescrizione è causa di estinzione del diritto, in conseguenza del mancato esercizio di esso,
protratto per un termine prescrizionale.

Il termine ordinario di prescrizione è fissato dal codice civile in 10 anni.


Art. 2946: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il
decorso di dieci anni”
Esistono però tempi prescrizionali più lunghi, ad esempio di 20 anni per i diritti reali di godimento o
di ipoteca. O tempi prescrizionali più brevi.

Per calcolare il termine, è fondamentale risalire al dies a quo, ossia il giorno a partire dal quale il
termine inizia a decorrere.
Ai sensi dell’art.2935 la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto
valere.
Il dies a quo del termine prescrizionale è il giorno in cui il diritto non soltanto è entrato nella sfera
giuridica del titolare, ma si sono verificate oggettivamente tutte le condizioni in presenza delle quali
quel diritto possa essere esercitato. Se il titolare non sappia di essere tale, ciò non è rilevante ai fini
del computo del termine prescrizionale.
Poiché la prescrizione, ha la finalità di eleminare le incertezze. E se dovesse essere presa in
considerazione la consapevolezza del titolare del diritto, si presenterebbero troppe criticità
nell’individuare realmente il dies a quo.

La disciplina della prescrizione è inderogabile.

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Alessandro Castro

Di fatti tutte le norme relative alla prescrizione non ammettono diversa disciplina e sono imperative.
All’interno di un contratto le parti non possono prevedere regole differenti relative alla prescrizione
ai sensi dell’art.2936, ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione è nullo.

La disciplina della prescrizione è inderogabile, ma sono disponibili i suoi effetti.


Il soggetto che se avvantaggerebbe, potrebbe decidere di non avvalersene, rinunciando agli effetti
della prescrizione.
Ai sensi dell’art.2937, può rinunziare alla prescrizione solo chi dispone del diritto, e solo quando
questa è compiuta. La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di avvalersi
della prescrizione.

La prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice come sancito dall’art.2938.

Art.2939 può essere fatta valere dai creditori e da chiunque ne abbia interesse, anche qualora la
parte non la faccia valere, o vi ha rinunziato.

Ai sensi dell’art 2940, non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in
adempimento di un debito prescritto.
In una ipotesi di indebito oggettivo, ossia in caso spostamento di ricchezza privo di giustificazioni,
un soggetto compie una determinata operazione poiché pensa di esserne tenuto.
Se poi dovesse appurare che la prestazione non era dovuta, il solvens può agire in restituzione nei
confronti del ricevente della prestazione (accipients).
Il solvens ha il diritto di domandare all’accipients la restituzione della propria prestazione.
Ma questa norma non si applica se chi ha effettuato la prestazione è un debitore, che ha
spontaneamente effettuato la prestazione, nonostante il diritto di credito fosse prescritto.
Infatti:
• Lo spontaneo adempimento può costituire una rinuncia alla prescrizione.
• Il debitore ha effettuato una prestazione che non era più giuridicamente tenuto ad
effettuare, ma che rimane moralmente dovuta.
Quindi è come se il debitore ponesse in essere l’obbligazione naturale.
Si ha obbligazione naturale ogni qual volta un soggetto effettua una prestazione, in quanto tenutovi
da obblighi di natura morale o di natura sociale.
La prestazione dovuta moralmente o socialmente non può essere pretesa in diritto.
Esempio. Debito da gioco.
Chi ha contratto debiti da gioco è tenuto socialmente ad onorare il proprio debito, ma non è
un’obbligazione civile. Ma se l’obbligato naturale dovesse spontaneamente effettuare quella
prestazione allora si ha la soluti retensio.
Per cui il debitore naturale non ha strumenti per recuperare la prestazione effettuata.
LA SOSPENSIONE E L’INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE
La prescrizione è un istituto giuridico che poggia sul decorso del tempo.
La prescrizione si verifica quando è compiuto l’ultimo giorno del termine ai sensi dell’Art. 2962.
Ai sensi dell’art.2963 i termini vanno computati secondo il calendario comune.
Non deve essere computato il giorno iniziale. Se il termine scade in un giorno festivo, vi è la proroga
di diritto al seguente giorno non festivo. Se il termine è fissato in mesi, la prescrizione si verifica nel
mese di scadenza e nel giorno corrispondente al mese iniziale. Se manca tale giorno, il termine si
compie all’ultimo giorno del mese.

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Alessandro Castro

Il decorso del termine tuttavia non è inesorabile.


Infatti il legislatore prevede cause ed eventi che possono determinare la sospensione del termine,
ed eventi che possono determinarne l’interruzione.
La sospensione determina il fatto che il decorso del termine si arresti e poi ricominci a decorrere
dallo stesso momento in cui si era arrestato.
La sospensione determina un momentaneo blocco del termine prescrizionale, che ricomincerà a
decorrere dallo stesso punto in cui era stato sospeso.
L’interruzione consiste invece in un vero e proprio azzeramento.
Quando si verifica una causa di interruzione, il termine prescrizionale viene azzerato e ricomincia da
capo.

LA SOSPENSIONE
La sospensione può essere legata a rapporti (art.2941) oppure legata a condizioni del titolare
(art.2942).
Sospensione tra le parti, art.2941
La prescrizione rimane sospesa:
• Tra coniugi
• Tra chi esercita la responsabilità genitoriale e le persone che vi sono sottoposte
• Tra il tutore e il minore, o tra tutore e l’interdetto
• Tra curatore e minore emancipato, o tra curatore ed inabilitato
• Tra erede e l’eredità accettata con beneficio di inventario
• Tra persone i cui beni sono sottoposti all’amministrazione altrui, e quelle da cui
l’amministrazione è esercitata
• Tra persone giuridiche ed amministratori, fintantoché essi sono in carica.
• Tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, fin alla
scoperta del dolo.
Sospensione per la condizione del titolare, art. 2942:
La prescrizione per situazioni di contesto resta sospesa:
• Contro minori non emancipati e gli interdetti, fintantoché essi non hanno rappresentate
legale e per i 6 mesi successivi alla nomina di questo, o per i 6 mesi successivi alla cessazione
dell’incapacità
• In tempo di guerra contro militari o appartenenti a forze armate dello Stato, o contro coloro
che si trovano al seguito delle forze per ragioni di servizio.
(Il codice è stato concepito in tempi di guerra e quindi una possibilità del genere era più che
plausibile.)

L’INTERRUZIONE
Sono cause di interruzione tutte quelle che determinano l’azzeramento dei termini prescrizionali.
Affinché gli atti di esercizio del diritto determinino l’interruzione questi devono essere atti formali.
Ovvero devono essere stati consacrati in un documento che dia certezza del fatto che il diritto sia
stato esercitato.

L’art. 2943 individua le case di interruzione della prescrizione


La prescrizione si interrompe con la notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio sia di
cognizione che esecutivo. (atti introduttivi di un giudizio)
È interrotta in seguito alla domanda proposta nel corso di un giudizio anche se il giudice adito è
incompetente.

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Alessandro Castro

La prescrizione si interrompe anche con la costituzione in mora. (atto stragiudiziale)


La costituzione in mora è una dichiarazione scritta con la quale il creditore sollecita perentoriamente
il debitore ad adempiere. È un atto formale di esercizio, poiché si consacra in un documento scritto.
L’atto scritto con il quale una parte dichiara di volersi avvalere di un arbitrato è anch’essa un atto di
interruzione della prescrizione.
La prescrizione può altresì essere interrotta con il riconoscimento del diritto, da parte di colui contro
il quale il diritto stesso può essere fatto valere, secondo quanto stabilito dall’art.2944.

Gli effetti dell’interruzione sono determinati dall’art. 2945, e consistono nell’azzeramento del
termine prescrizionale.
Pertanto inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Se l’interruzione avviene in seguito ad un giudizio, questa ricomincia a decorrere nel momento in
cui la sentenza passa in giudicato, mentre se il processo si estingue, il periodo di prescrizione
comincia alla data dell’atto interruttivo. Nel caso di arbitrato la prescrizione comincia a decorrere
appena il lodo non è più impugnabile, o passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione.

LE PRESCRIZIONI BREVI
Il nostro codice prevede dall’art. 2947 all’art.2953 le cosiddette prescrizioni brevi.
Ovvero quei diritti il cui termine di prescrizione è inferiore alla durata ordinaria di anni 10.
2947 comma 1 -> risarcimento del danno extra-contrattuale -> 5 anni
2947 comma 2 -> risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli -> 2 anni
2948 -> 5 anni
2951 -> diritti derivanti dal contratto di spedizione o dal contratto di trasporto -> 1 anno
2952 -> diritti derivanti in materia di assicurazione -> 1 anno dalla scadenza

LE PRESCRIZIONI PRESUNTIVE
Le prescrizioni presuntive, costituiscono delle presunzioni relative rafforzate, in ordine alla
circostanza che il pagamento richiesto oltre il termine di legge sia ritenuto come effettuato dal
debitore.
Il decorso del termine non decreta l’estinzione del diritto di credito, ma decreta che passato quel
lasso di tempo bisogna ritenere che il creditore sia stato soddisfatto e quindi che il suo diritto sia
stato estinto. Questo poiché trattandosi di crediti il cui adempimento non è documentato, o se
documentato non è di regola conservato dal debitore allora è necessario porre un limite temporale
superato il quale, si deve ritenere che vi sia stato adempimento.
Il creditore può al massimo provare in giudizio che il debitore non abbia mai adempiuto.
Art.2954 -> si prescrivono in 6 mesi il diritto di albergatori ed osti per l’alloggio ed il vitto che
somministrano.
Art.2955 -> “Si prescrive in un anno il diritto:
1) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni che impartiscono a mesi o a giorni o a ore;
6) dei farmacisti, per il prezzo dei medicinali”
Art.2956 -> si prescrive in tre anni il diritto di (leggere dal codice)

Ai sensi dell’art.2959, l’eccezione è rigettata se il convenuto ammette in giudizio che l’obbligazione


non è stata estinta.
Nella pratica può avvenire che il debitore, di fronte alla richiesta del creditore di adempiere,
eccepisca, oltre alla prescrizione del diritto, anche che il rapporto non è mai sorto, che è invalido, o
che altri sia tenuto all’adempimento.

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Alessandro Castro

In questo caso, l’eccezione di prescrizione deve essere rigettata perché colui che afferma che il
diritto non è mai sorto, che è invalido etc., non può nello stesso tempo affermare (vi sarebbe infatti
una contraddizione in termini) che si è estinto per non esercizio.
Art.2960: Il creditore contro cui è stata opposta la prescrizione presuntiva, può deferire giuramento
al debitore, chiedendogli di giurare che il debito sia stato o meno adempiuto. Se il debitore giura il
falso, al creditore non resterà altro rimedio che un’eventuale azione di falso in sede penale e, solo
dopo l’accertamento del falso, l’azione di risarcimento danni in sede civile.
Il giuramento potrebbe inoltre essere deferito al coniuge superstite, agli eredi o ai loro rappresentati
legali per dichiarare se hanno notizia dell’estinzione del debito.
LA DECADENZA
La decadenza è un istituto giuridico in forza del quale, decorso un determinato periodo di tempo,
non può più essere esercitata una pretesa volta alla modificazione o all’annullamento di uno stato
o di un rapporto giuridico.
Mentre la prescrizione attiene alla durata del diritto e del rapporto, la decadenza attiene alla durata
degli adempimenti necessari per poter esercitare un diritto.
La decadenza si colloca in un’ottica temporale precedente alla prescrizione.
La decadenza non è causa di estinzione del diritto è una causa che preclude l’esercizio di un diritto.
In caso di decadenza il diritto rimane esistente ma il titolare non può più esercitarlo.
La decadenza, non prevede gli istituti della sospensione e dell’interruzione.
La si può unicamente impedire, compiendo l’atto che la legge o le parti hanno posto come
preliminare all’esercizio del diritto.
Ponendo un termine di decadenza vi è l’obiettivo di imporre al titolare il compimento di un’attività
propedeutica all’esercizio del diritto.
Si tratta di diritti il cui esercizio è condizionato dal compimento di attività prodromiche.
Fin tanto che quest’atto preliminare non è posto in essere il diritto non può essere esercitato e se
non può essere esercitato non scatta neanche il termine prescrizionale.
Il quale quindi, non può che essere successivo al decorso della decadenza.
La decadenza può essere legale, quando è prevista dal legislatore, oppure convenzionale, quando
è stabilita dalle parti mediante contratto

Art.2964, quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine, sotto pena di decadenza non si
applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione.

Le parti convenzionalmente possono introdurre liberamente termini decadenziali a patto che:


• Il termine decadenziale è relativo ad un diritto di cui si può disporre
• Il termine decadenziale non deve rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al
soggetto cui è stato imposto
L’art.2965 stabilisce che è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.

Art.2966: Impedimento della decadenza


La decadenza può essere impedita dal compimento dell’atto prodromico previsto dalla legge o dal
contratto.
Se si tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa ai diritti disponibili
può altresì essere impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale
si deve far valere il diritto soggetto a decadenza.

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Alessandro Castro

Ai sensi dell’art.2967, nei casi in cui è impedita la decadenza il diritto resta soggetto alle regole della
prescrizione.

Art.2968: Le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza e non possono
rinunziarvi se questa è di natura legale

Infine ai sensi dell’art.2969 la decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, a meno che
non si tratti di materia sottratta alla disponibilità delle parti e quindi il giudice deve rilevare le cause
di improponibilità di azione.
Sarà onere della parte eccepire la decadenza dal diritto, che non potrà essere rilevata d’ufficio.

Esempio
Contratto di compravendita
Viene riconosciuta al compratore una garanzia per l’eventualità che il bene risulti affetto da vizi che
erano occulti.
Art 1495 il compratore prima di poter domandare la risoluzione del contratto o la diminuzione del
prezzo deve denunciare i vizi nei confronti del venditore entro 8 giorni dalla scoperta (termine
decadenziale previsto dalla legge).
Il termine decadenziale è finalizzato ad imporre al compratore di denunciare.
L’atto di denuncia non fa esercitare la garanzia.
È un atto prodromico che precede la possibilità di esercitare la garanzia.
Il compratore ha già diritto alla garanzia ma non la può invocare se non denuncia i vizi entro 8 giorni.
Se il titolare decade il diritto non può essere esercitato.
Chi decade da un diritto, resta titolare di un diritto che però non può essere esercitato, poiché
l’esercizio era subordinato al compimento di un’attività preliminare che non è stata posta in
essere. Il soggetto resta titolare del diritto ma non se ne può avvalere.

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