Consumismo
Consumismo
Il termine consumismo, nella lingua italiana, ha una connotazione negativa, infatti si parla di
consumismo per indicare l’acquisto continuo di beni suscitato dalle tecniche pubblicitarie le quali
fanno apparire come reali bisogni fittizi al fine di allargare la propria produzione.
Si tratta di una forma esagerata di consumo.
D’altro canto, il sostantivo inglese consumerism, secondo Yani-de- Soriano e Slater, ha tre diverse
accezioni:
- questa è l’accezione a cui si riferiscono Day e Aaker quando dicono che il termine
consumismo si è iniziato a diffondere nel decennio precedente, ovvero negli anni ’60, e che
proprio Vance Packard sostiene che sia compito della pubblicità rendere i consumatori
voraci, compulsivi e propensi allo spreco. L’autore, ne I persuasori occulti, spiega il motivo
per il quale il consumismo nuoce alla società e si concentra sul ruolo che essa svolge
nell’influenzare, anche in maniera occulta, il pubblico. Questo viene ripreso da Lambin che
definisce il consumismo “marketing selvaggio”. Quindi le tecniche descritte
dall’incoraggiare le persone ad un comportamento votato al sovra consumo.
È possibile affermare che qualsiasi sia l’accezione che si dà al termine, il consumismo emerge come
elemento tipico di contesti sociali maturi, dove l’abbondanza di beni immessi sul mercato e la
possibilità da parte della popolazione di accedervi ha fatto sì che si affermasse quella che viene
definita società dei consumi.
2. La società dei consumi
I precursori della moderna società dei consumi cominciano ad affermarsi negli Stati uniti alla fine
del 1800.
La diffusione di una cultura di consumo viene osservata da Veblen, economista e sociologo di
origine norvegese, che nella sua opera La teoria della classe agiata descrive il “consumo vistoso”.
Con questo termine intendiamo l’agiatezza vistosa (o ozio) tipica delle classi nobiliari per
dimostrare il proprio stato sociale e il consumo vistoso tipica della borghesia imprenditoriale
emergente. Questo implica fare ampio sfoggio dei beni materiali e più in particolare la possibilità di
acquistare beni di lusso.
Veblen fu il primo ad individuare la capacità dei beni di indicare l’appartenenza ad una determinata
classe sociale, beni che più tardi prenderanno il nome di status symbol.
La società dei consumi, invece, risale alla fine della Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti,
quando le imprese uscite da una grande recessione, inondano il mercato di prodotti rispondendo alla
crescente richiesta da parte dei consumatori.
“società dei consumi” società in cui il soddisfacimento dei bisogni quotidiani avviene grazie
all’acquisto e all’uso di “merci”.
Se negli Stati Uniti il consumo da tempo aveva acquisito dignità come campo di studio, in Italia si
devono aspettare gli anni’60, con Francesco Alberoni, nell’opera Consumi e società dove
individua nel consumo di massa un momento tipico della modernità, una modalità attraverso cui la
cultura tradizionale del paese riesce a uscire da una condizione di povertà.
In questo testo Alberoni suggerisce di studiare la società attraverso oggetti di dimensione domestica,
i beni di cittadinanza.
Per beni di cittadinanza intendiamo quegli oggetti che vengono introdotti sul mercato in grandi
quantità e sono frutti del progresso tecnologico; tra questi ritroviamo ad esempio il frigorifero, la
televisione, la lavatrice che si fanno portatori della nuova modernità industriale in grado di
soddisfare i bisogni della classe borghese.
La nuova classe emergente, attraverso il loro utilizzo, dimostra di appartenere a un sistema sociale
moderno e di aver rifiutato l’assetto sociale tradizionale.
La mancanza o il rifiuto di questi beni, rappresenta secondo Alberoni, un segno di esclusione o di
marginalità rispetto alla società moderna, perché questi beni -al contrario di come avveniva per i
beni ostentati dai ricchi borghesi nella società di Veblen- non servono ad indicare l’appartenenza a
una classe sociale ma indicato, invece, la volontà di acquisire una cittadinanza moderna.
L’espressione beni di cittadinanza rappresenta l’adattamento al contesto socio culturale italiano del
concetto di standard package.
La sua diffusione è facilitata dalla situazione sociale statunitense che vede la creazione di un
“motivo americano principale”, dato dalla permeabilità tra le classi sociali, rappresentato ad
esempio da elettrodomestici, mobilio e marche standard di cibo, attraverso cui gli americani
tendono a uniformarsi a uno standard nazionale in piena espansione.
Lo standard package garantisce a chi lo possiede di appartenere alla condizione sociale
dell’americano medio.
Inoltre, i consumatori attraverso la scelta di determinati beni, appartenenti al pacchetto standard,
possono dimostrare l’appartenenza a una classe sociale superiore, tutto questo all’interno di un
contesto che prende il nome di american way of life.
Secondo Herberg lo stile di vita americano rappresenta una sorta di religione comune ai membri
della società americana per la struttura di idee e di ideali, di aspirazioni e di valori che sintetizza per
gli americani tutto ciò che c’è di buono e di giusto nella loro esistenza.
L’american way of life viene paragonata ad una democrazia, basata sulla costituzione, sulla libera
impresa e sull’uguaglianza sociale, che contempla una sana competizione economica all’interno
della società.
Gli americani credono nel progresso ma soprattutto credono in un ideale, centrato
sull’individualismo, sul dinamismo, sul pragmatismo e sulla capacità del singolo di agire e di essere
giudicato sulla base dei traguardi raggiunti, rappresentati anche dal possesso dei beni di consumo.
Lo stile di vita americano si diffonde tra la fine degli anni ’50 del secolo scorso e gli inizi del
decennio seguente, in tutti i paesi occidentali, imponendo un modello culturale che attribuisce al
consumo un ruolo centrale: esso infatti è elemento fondamentale sia per dimostrare il benessere
individuale ma anche per affermare la promozione sociale.
Il consumo diviene quindi un’attività da preferire al risparmio, tipico di una società dalle radici
contadine che non si adattava a una società caratterizzata dalla produzione di massa.
Il boom economico italiano si basò principalmente sulla crescita delle piccole e medie imprese in
cui andarono a lavorare le persone migrate dal Sud: in Italia in questo periodo si registrò la più
bassa percentuale di disoccupazione.
La crescita dei consumi privati, dovuta all’aumento del reddito familiare, si tradusse in spese per
abbigliamento, calzature, mobilio ecc. Inoltre, si ebbe un cambiamento nella scelta degli alimenti
acquistati, preferendo cibi ricchi di proteine d’origine animale che sostituirono quasi completamente
le proteine vegetali provenienti dai legumi completando in questo modo il piatto di pasta, alimento
tipico del pranzo.
Negli anni del benessere economico aumenta la spesa destinata al tempo libero e all’acquisto di
autovetture ed elettrodomestici. La Fiat 600 divenne il principale simbolo per miracolo economico e
contribuì a fare dell’automobile lo status symbol più desiderato. Spesso veniva comprata a rate e
rappresentava il desiderio di promozione sociale degli italiani.
Il consumismo inteso come iper consumo nasce insieme alla società moderna americana ma si
estese rapidamente in tutto il mondo industriale avanzato.
Karl Marx, ne Il Capitale, riconosce il consumo come necessario per lo sviluppo dell’economia
basata sul capitalismo.
Il consumo viene interpretato come strumento per sostenere la produzione, secondo Marx infatti il
lavoro consuma prodotti al fine di generare altri prodotti.
I bisogni dei consumatori si devono adeguare alla capacità del sistema produttivo e il consumo delle
merci finisce per arricchire il capitalista, visto come sfruttatore della manodopera a capo di un
lavoro definito alienante.
Affinché il sistema capitalismo funzioni, gli individui consumano quello che serve ad arricchire il
capitalista, detentore dei mezzi di produzione.
Secondo Marx le merci sono feticci che nascondono al loro interno lavoro e dentro di loro si celano
anche le relazioni che sono alla base della struttura del mercato.
In questo modo si ritrova il sistema consumistico: i consumatori sono spinti a consumatore sempre
di più per la spinta imposta dal sistema produttivo (e non dai reali bisogni) e in questo modo si
rafforza il sistema capitalistico.
Corrigan sottolinea come appartenere alla società dell’epoca implicasse mettere in atto un consumo
ostentativo impegnando a sprecare tempo ed oggetti come mezzo per affermare il proprio status.
Il consumo vistoso, si adatta alle società più ampie e sviluppate e si tratta di una strategia tipica
delle classi medie ed inferiori di una società capitalistica basata sul consenso collettivo che
identifica nella capacità di spendere senza scopo la rispettabilità dei suoi membri.
4. La critica al consumismo
La critica al consumismo nasce con l’affermarsi dello stesso: in particolare, Riesman e Packard
analizzarono la società americana osservando come ci si dovesse concentrare sui problemi generati
sulla nuova abbondanza e non più sulla scarsità delle merci.
Riesman in La folla solitaria, in cui descrive l’alienazione dell’individuo della società moderna,
individua tra momenti di transizione che corrispondono a mutamenti profondi:
-tradition directed man dove l’individuo viene diretto dalla tradizione e il carattere sociale è
modellato dall’influsso della famiglia, i tassi di natalità e mortalità sono molto elevati.
-inner directed man (Rinascimento – inizio XX secolo) uomini e donne sono sempre più liberi dal
gruppo sociale, divengono artefici del proprio destino, si definisce quindi l’individuo autodiretto
che agisce spinto da, come diceva Weber, l’etica protestante.
-other directed man (XX secolo) si assiste all’avvento del capitalismo, si afferma l’uomo
eterodiretto suscettibile dell’approvazione da parte degli altri nella definizione delle proprie scelte e
della propria vita.
Questo tipo di individuo vive in un contesto costante di inquietudine perché dipende dal bisogno di
approvazione altrui.
Caratteristica tipica di questo individuo è vivere in un contesto di “psicologia dell’abbondanza”,
essa è capace di dissipare i beni voluttuari del tempo libero e del surplus produttivo; questa
condizione era impensabile per l’uomo autodiretto, il quale non abbandona mai il ruolo di
produttore anche nel tempo libero poiché considera il consumo come mezzo attraverso cui
appropriarsi di oggetti.
Pakard, invece, afferma che i consumatori sono spinti al consumismo dalla pressione pubblicitaria
che serve ad alimentare la domanda di beni di consumo, indipendentemente dalle reali necessità
degli individui e a dispetto di scelte effettuate seguendo un approccio razionale.
Secondo Packard, la nascita del consumismo negli Stati Uniti vede due possibili strade:
A fronte di una vita sfarzosa e ricca si possono vedere due interpretazioni: la prima, più ottimista,
secondo la quale il tenore di vita sarebbe andato aumentando all’infinito per tutti; la seconda,
invece, vedeva l’obbligo di consumare sempre di più per il bene dell’economia nazionale.
Per far sì che questo avvenisse, si capì che era utile agire in modo psicologico nella sfera emotiva
degli individui perché la vendita dipendeva nella capacità di manipolare il senso di colpa e di
solitudine. Anche i bambini non svolgevano un ruolo marginale in questa operazione di marketing
in quanto erano considerati come “l’esca che avrebbe indotto i genitori all’acquisto”.
I filosofi appartenenti alla “Scuola di Francoforte”, Adorno e Horkheimer, vedono il consumo come
elemento per consentire l’accumulo di capitale e condannando il consumismo perché insorgono
sempre nuovi bisogni.
Si sviluppa così una teoria critica dove si verifica la supremazia del capitalismo, l’effetto
manipolatorio dei media di massa sull’individuo incapace di difendersi dall’attività propagandistica.
Adorno si concentra sui mass media, televisione, stampa e pubblicità considerati come “industria
culturale”, essi hanno la capacità di manipolare l’uomo, suscitano bisogni e desideri sempre
insoddisfatti. Le persone sono fruitori passivi, omologati dalla moda e privi di capacità critica.
Marcuse parla di “uomo a una dimensione” come individuo sottomesso e integrato al sistema,
vittima di un sistema capitalistico che ha come obiettivo la creazione di una domanda sempre
crescente.
Il sistema capitalistico attraverso i farsi bisogni manipola i consumatori supportando l’ideologia
consumistica.
Egli afferma che la società industriale è responsabile dello spreco necessario per consumare quanto
viene prodotto. Il controllo sociale obbliga gli individui a ritmi di lavoro che non corrispondono alla
realtà. La libertà è relativa, perché i prezzi sono amministrati dalle logiche di mercato, la stampa si
autocensura e la pubblicità indirizza le scelte del singolo.
Si afferma il concetto di status symbol, un bene ha la capacità di segnalare lo status sociale della
persona che lo possiede; concetto già citato da Veblen, si etichetta questo processo con il nome di
“effetto Veblen” il fenomeno dell’incremento della domanda individuale all’aumentare del prezzo.
I prodotti non vengono più acquistati in base all’esigenza ma in base al prezzo: più il prezzo sarà
elevato più sarà alto il desiderio di acquistare quel determinato bene, proprio perché il prezzo
elevato è indicatore del prestigio del bene stesso.
Più avanti si parlerà non più di status symbol ma di style symbol, gli oggetti sono indicatori di un
ostile di vita e non più di un’appartenenza a un determinato strato sociale.
5. Il consumismo oggi
Ulteriore contributo alla declinazione di consumismo è stato dato dal fenomeno “democratizzazione
del lusso.
Brand di lusso hanno attuato la trading down ovvero hanno messo sul mercato prodotti a un prezzo
inferiore che fanno parte di seconde o terze linee.
Strategia utilizzata nel reparto moda (Armani, Burberry e Valentino), settore automobilistico
(Classe A di Mercedes) e nella gioielleria (monili d’argento di Tiffany).
I beni appartenenti a questa categoria sono definiti mass prestige o masstige e occupano una
posizione intermedia tra i beni di massa e quelli di lusso.
Hanno un prezzo più alto rispetto a prodotti analoghi ma sono molto più economici rispetto ai
prodotti appartenenti alla categoria del lusso tradizionale.
Il fenomeno del trading down è la risposta al trading up, ovvero la risposta dei consumatori.
Trading up pratica di consumo riservato ad un prodotto che ha un costo maggiore rispetto al
normale range a cui fa riferimento il consumatore, ma solo all’interno di categorie che lui ritiene più
importanti; d’altro canto, attuerà delle scelte di acquisto di prodotti a marchio più economico su
categorie che a suo avviso sono meno significative.
È possibile dunque affermare che le abitudini di acquisto delle persone non corrispondono
invariabilmente al loro livello di reddito.
Bauman nel suo saggio Consumo dunque sono denuncia come il consumismo sia diventato così
importante tanto da definire l’identità dell’individuo, infatti coloro che non riescono ad adeguarsi a
questa pratica risultano emarginati dalla società.
Secondo Bauman la rivoluzione consumistica avviene quando nella mente delle persone il consumo
diventa “scopo dell’esistenza”.
Il consumismo è attribuito alla società stessa diversamente dal consumo che si attribuisce al singolo.
Ora si punta alla “costante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri” che implica la rapida
sostituzione dei beni per soddisfare il desiderio; questo è reso possibile anche dalle aziende che
immettono nel mercato prodotti con una vita breve.
Quello che supporta l’economia è l’insoddisfazione perenne degli individui che sono spinti dalla
voglia di comprare continuamente nuovi prodotti.
Le nuove espressioni che vengono utilizzate per spiegare i “nuovi” consumi vanno dal concetto di
voluntary simplicity, alla riduzione di consumi, all’idea di un sottoconsumo ostentativo.
Il concetto di adottare uno stile di vita volto alla semplicità, insito nell’espressione voluntary
simplicity, viene accompagnato a istanze di tipo ecologistico (riciclo, riuso, meno sprechi).
Gli anni seguenti alla crisi, le persone non cercano più prodotti di consumo “usa e getta” tipici del
mercato di massa ma al contrario, prodotti duraturi nel tempo capaci di far risparmiare.
Il concetto di voluntary simplicity dal punto di vista mediatico, viene associata al fenomeno di
downshifting, ovvero al concetto di “scalare le marce”, sinonimo del sottrarsi alle logiche di uno
stile di vita che prevede ritmi di lavoro frenetici.
Downshifting scelta di manager e individui che decidono di ritirarsi da un contesto iper
competitivo che non garantisce loro un giusto bilanciamento tra vita lavorativa e tempo libero.
La crisi ha portato nella società il desiderio, da parte di persone appartenenti alla classe medio-alta e
alle donne, di trovare un lavoro che conciliasse anche le relazioni, gli interessi e gli affetti.
Negli acquisti quotidiani inoltre si ricerca “l’affare”, elemento significativo degli anni post crisi
italiani.
Nasce una nuova élite, come viene definita dalla Currid-Halkett, classe aspirazionale.
La distinzione dalle altre élite non avviene più tramite i beni di lusso ma attraverso scelte di tipo
etico e culturale. La nuova élite si differenzia da quello studiata da Veblen in quanto possiede un
elevato capitale culturale ma non economico.
Si tratta di persone appartenenti al ceto medio che sa come investire il proprio denaro, utilizzando
per esempio per la cura del corpo e la salute.
-Attenzione al risparmio: adottare stili di vita sostenibile aiuta a risparmiare, inoltre condividere
un bene che si possiede può favorire un’entrata economica supplementare.
-Sentirsi parte di una comunità: il senso di appartenenza è cruciale nel consumo collaborativo
perché le pratiche sono dense di significati sociali e relazionali che spingono a proseguire per un
obiettivo comune. Si originano, date da un senso di responsabilità per arrivare insieme all’obiettivo
comune, delle pratiche di consumo quali il prendersi cura di qualcosa, avere la consapevolezza delle
implicazioni e delle conseguenze che gli atti di consumo hanno.
-Diffusione delle nuove tecnologie: il Web 2.0 configura la rete come una piattaforma che
abbraccia tutti i dispositivi collegati per sfruttare l’intelligenza collettiva degli utenti. Gli utenti
diventano produttori di contenuti.
Oggigiorno i social network vengono utilizzati da moltissime persone e proprio per questo
divengono strumenti di marketing e vetrina per le identità dei loro utenti.
Belk analizza l’impatto del digitale sul concetto del sé esteso elencando cinque fattori che lo
influenzano:
1) la dematerializzazione (tutto quello che si è trasformato in file ad esempio documenti, foto;
cambia il rapporto che si hanno con questi oggetti)
2) reembodimement -avere un corpo nuovo- (possibilità di avere degli avatar nella vita online
che possono influenzare quella offline)
3) la condivisione (con le piattaforme abbiamo perso l’idea di controllo sulla proprietà degli
oggetti)
4) la co-costruzione del sé (il sé virtuale si crea attraverso la collaborazione con gli altri)
5) la memoria distribuita (nel mondo digitale accediamo a molti tipi di archivi che
contengono ricordi in grado di consentire diverse narrazioni del sé)
Il Web 2.0 ha diffuso in modo notevole il concetto di condivisione attraverso piattaforme digitali
con le quali è possibile interagire. A questo mondo fanno parte soprattutto i Millenials (1981-1996)
che sono più propensi a diventare consumatori collaborativi.
Quindi per Belk, nell’economia delle cose le persone sono identificate con quello che possiedono
(casa, macchina); nell’economia delle idee le persone sono quello che condividono.
Esempio: Airbnb
La piattaforma ha contribuito a sviluppare una nuova forma di ricchezza locale ma allo stesso
tempo ha cambiato gli equilibri del territorio. Essa ha messo in crisi l’ospitalità tradizionale e ha
svuotato i centri storici dai suoi residenti in modo tale da creare “quartieri turistici” come è
avvenuto a Barcellona.
Qui, la co-creazione di valore coinvolge tutti quelli che compiono l’esperienza: i benefici posso
essere di natura economica (guadagno di chi ospita) ma anche di natura sociale e relazionale.
La co-creazione di valore riguarda anche gli ospiti che possono sfruttare offerte invece quella
sociale-relazionale concerne tutto ciò che significa “sentirsi al sicuro”, quello che un’abitazione può
dare rispetto ad un albergo.
I residenti locali possono beneficiare di questa condizione di sharing economy in quanto, se la loro
abitazione si trova in un quel determinato quartiere turistico posso tranne a proprio vantaggio la
situazione, affittando l’abitazione ad un prezzo maggiorato.
D’altro canto si possono verificare episodi di co-distruzione del valore:
-chi ospita potrebbe non sentirsi all’altezza per dare un’ospitalità eccellente
-danneggiamento della struttura da parte degli ospiti
-difficoltà nella relazione coi vicini di casa / cancellazione
-gli utenti possono essere insoddisfatti della sistemazione
-i residenti locali possono essere disturbati dal crescente numero di turisti che portano all’aumento
del traffico, alla diminuzione dei parcheggi, all’affollamento ma potrebbero anche innalzare il tasso
di criminalità nel quartiere
-aumento dei prezzi degli immobili e difficoltà nel trovare affitti di lunga durata
L’economia della condivisione, se non opportunamente regolata, rischia di trasformarsi molto
rapidamente in un marketplace molto aggressivo, in cui le risorse vengono regolarmente abusate.
6. Nascita e sviluppo del consumerismo
Il consumerismo nasce negli Stati Uniti e la figura femminile risulta fondamentale per promuovere
le attività di tutela dei consumatori poiché erano le donne le principali consumatrici.
Per far sì che si installasse la coscienza consumeristica, si costituirono unioni di consumatori che
controllavano la qualità dei prodotti e tutelavano i lavoratori.
Un impulso alla diffusione consumeristica si ebbe con Packard e Galbraith, il primo soprattutto
attraverso una sua opera denuncia come le persone si sbarazzassero facilmente degli oggetti anche
duraturi (come frigoriferi o automobili) molto facilmente, inoltre si denuncia la crescita di nuovi
consumi come i cosmetici per gli uomini.
Galbraith, invece, sostiene che a differenza di come affermavano gli economisti classici, la società
non ha mantenuto le premesse di povertà: la produzione è sufficiente a soddisfare i bisogni dei
consumatori e vengono prodotti più beni di quelli effettivamente consumati, i commercianti quindi
devono convincere i consumatori ad acquistare i beni per mantenere i livelli produttivi.
Alla metà degli anni’60 il consumerism viene impiegato per identificare il movimento a tutela dei
diritti dei consumatori, dopo la pubblicazione di due testi:
-Silent Spring (Carson) dove denuncia il fatto che i pesticidi abbaino ucciso anche molti uccelli
-Unsafe at any speed (Nader) insufficienti standard di sicurezza dei produttori di automobili
americani
Il 15 marzo 1962, Kennedy fu autore di uno Special Message on Protecting the Consumer Interest
dove, il consumatore, assurgeva a una condizione primaria nello scenario dell’economia.
Il Governo quindi si impegna a far rispettare 4 importanti diritti:
1) Il diritto alla sicurezza: protezione dei beni in vendita sul mercato che possono
rappresentare rischi per la salute o per la vita stessa. La responsabilità cade quindi
sull’impresa produttrice
2) Il diritto all’informazione: protezione delle informazioni, etichette ingannevoli ecc. e si
impegna a ricevere da parte della casa produttrice tutte le informazioni per compiere una
scelta consapevole
3) Il diritto alla scelta: possibilità di avere accesso ad una vasta gamma di prodotti equivalenti
a prezzi competitivi
4) Il diritto di essere ascoltati: gli interessi dei consumatori sono prioritari nella formulazione
della politica di governo e avranno un trattamento equo e rapido nei suoi tribunali
amministrativi
Le tematiche del consumerismo
Secondo Day e Aaker, il consumerismo contempla una serie di attività implementate dalla aziendee
organizzazioni che private che mirano a proteggere le persone da pratiche che violano i diritti dei
consumatori.
Il consumerismo implica una forte connessione tra il mondo del consumo e quello della produzione
e proprio per questo è in continua evoluzione, si possono però individuale tre aree di intervento:
Day e Aaker analizzano altre due aree di intervento perché sottolineano che il consumo sia un
costante divenire:
Queste sono rivolte a consumatori con un basso reddito che sono più soggetti a frodi, non sono a
conoscenza di tutte le informazioni necessarie per l’acquisto di un prodotto, per la loro inesperienza
non possono confrontare più prodotti per scegliere quello più conveniente.
Dal punto di vista ambientale invece, i due sociologi, sottolinea come si stia aggravando il problema
dell’inquinamento acustico, dell’aria e dell’acqua e come la tolleranza del pubblico sia diminuita a
fronte di questi abusi.
Il consumerismo politico
Per consumerismo politico si intende l’utilizzo dei meccanismi di mercato per finalità politiche,
etiche e ambientali.
Il consumatore politica svolge il lavoro di selezionare i prodotti, produttori e servizi sulla base delle
scelte adottate dalle aziende che li immettono sul mercato che per le caratteristiche intrinseche
dell’oggetto stesso.
Essere un consumatore politico è la dimostrazione che esiste un legame tra le scelte quotidiane
come consumatore e importanti tematiche quali la preoccupazione nei confronti dell’ambiente, i
diritti dei lavoratori, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile; non si identifica come consumatore
postmoderno che acquista prodotti per definire la propria identità.
Il consumerismo politico cambia la logica del consumatore che passa da colui che si faceva
governare dalle logiche capitalistiche a colui che diventa attore politico moralmente responsabile. Il
consumatore sceglie di acquistare un determinato prodotto rispetto che un altro in ottica di come le
aziende trattano i propri dipendenti e che risorse utilizzano, tanto da premiarle.
Conclusioni
Per comprendere meglio quest’ultima accezione di consumismo bisogna ricorrere alla teoria dei
ruoli che vede i consumatori attori che agiscono nel mercato come se recitassero su un
palcoscenico: poiché nella vita le persone interpretano diversi ruoli, sceglieranno diversi
prodotti in base al ruolo che stanno interpretando.
Il consumo contribuisce a definire l’identità degli individui e a riconoscere al consumatore la
capacità di scegliere quale prodotti sia più adatto sulla base delle sue competenze.