Fondane Quaderni
Fondane Quaderni
Fondane Quaderni
In Italia lei è il curatore e traduttore delle maggiori opere di Benjamin Fondane. Qual è
l’interesse di questo autore?
Fondane è di grande attualità, ancora oggi. Autore fondamentale per la cultura francese ed
europea del Novecento, precocemente scomparso ad Auschwitz nel 1944, all’età di 46 anni, è
stato poeta, filosofo esistenziale, cineasta, drammaturgo. Maverick dall’esigenza spirituale oltre
ogni quadro stabilito, egli rappresenta la risposta individuale degli ebrei eretici e sovversivi del
XX secolo. Navigatore di terrae incognitae, limitrofo di Dio, un pensiero cresciuto come l’erba tra
grigie e possenti lastre del pensiero, Fondane canta e pensa con una vitalità sorprendente e la
sua vita si è chiusa come quella dei poeti di cui parla. Nelle sue opere la lucidità delle intuizioni e
delle analisi, la loro originalità, sono spesso sorprendenti. Il lettore non può mancare di essere
colpito dall’effervescenza delle sue idee. Emil Cioran, negli anni Ottanta, scrive in una
corrispondenza epistolare: “Il destino di quest’uomo splendido mi ossessiona. Non ha fatto nulla
per sfuggire il disastro, che misteriosamente lo attraeva… È bello che Fondane venga
finalmente conosciuto! Plasma ha chiuso due anni fa. Fondane è quanto mai attuale, ma i suoi
libri sono pressoché introvabili. Uno dei migliori è certamente quello delle sue conversazioni con
Šestov.” (Cioran, 2016). Quello stesso Cioran che altrove afferma: “il Baudelaire e l’esperienza
dell’abisso è la cosa più profonda mai scritta su Baudelaire” (Cioran, 2009). Stiamo parlando di un
libro-bozza, incompiuto, che per stessa ammissione dell’autore avrebbe dovuto subire il taglio
di un centinaio di pagine. È infatti l’ultimo, straordinario documento che Fondane lascia ai
posteri prima della sua tragica fine. Un libro enciclopedico, ipertrofico, incompiuto e tuttavia
potente e spesso sorprendente, è stato detto. Il nome di Cioran non ricorre a caso. A parte, in
generale, la leggendaria lucidità dei giudizi letterari di questo scrittore, fu lui, nel 1978, a scrivere
il più bel ritratto di Fondane che io conosca, 6 rue Rollin, negli Esercizi di ammirazione (Cioran,
1988). Poche pagine, solo sei, in cui viene resa giustizia all’immagine e il rango umano di
Fondane (alto e ardente, impetuoso, contraddittorio e indisponente, vitale e brioso, ribelle,
ruvido e aspro) più di quanto non riescano interi saggi di letteratura critica. Un ritratto potente e
commovente. Erano amici.
Per fornire una geografia culturale di massima al lettore italiano, possiamo dire che Fondane
rappresenta molti dei temi che sono stati il Dna della nascita di una realtà editoriale come
l’Adelphi, alla fine degli anni Sessanta, che darà spazio a quella cultura e a quegli autori che un
certo àmbito ideologico, da noi, aveva contribuito a relegare ai margini, a dimenticare o a
pervertire con interpretazioni ideologiche, per non dire antisettiche. Sono appunto i temi di
Fondane. Non a caso, Friedrich Nietzsche e Cioran sono autori di riferimento per l’Adelphi. E
senza dimenticare che il più bel libro di Lev Šestov (il maestro di Fondane), Sulla bilancia di
Giobbe, è pubblicato da Adelphi, nella più bella traduzione che ci sia oggi in Italia del filosofo
russo, del compianto Alberto Pescetto. I temi sono: l’irrazionale, il metafisico, il profondo,
l’osmosi tra fisiologia, psicologia e metafisica, l’antenna metafisica, il lettore assoluto e la
letteratura assoluta, le determinazioni metafisiche dell’arte, l’inattuale, il sacro, il mito.
Da sinistra: Benjamin Fondane ((1898 – 1944) e il suo maestro Lev Šestov (1866 – 1938).
Cosa unisce Šestov e Fondane a Cioran e Guido Ceronetti?
Per certi aspetti, Šestov e Fondane sono rispettivamente padre e fratello maggiore di
personalità posteriori a loro: Cioran e Ceronetti. Stesso territorio spirituale. Benché questi ultimi
siano un’evoluzione e una maturazione dei primi due, poiché meno contigui alla filosofia in
senso stretto. Sono pensatori privati e, dettaglio importante, scrittori che aiutano a liberarsi
della filosofia speculativa; autori di formazione, di passaggio, un passaggio all’estremo, che
insegnano a trovare la propria strada e autonomia spirituale. A un giovane di oggi (ateo o
credente, è indifferente), che si interessi alla filosofia, e che volesse comprendere i moventi
profondi che la governano, consiglierei di studiare Šestov, senza indugi. Certi scrittori mostrano
una via, quella di un viaggio oltre le tassonomie e le astrazioni, la facoltà di vedere il mondo con i
propri occhi, e una conseguenza formale fin troppo misconosciuta: quella di distruggere i falsi
miti, per tornare all’autentico pensiero, alla profonda semplicità della scrittura, abbandonando la
filosofia e il suo jargon, il mondo della prosa analitica, la moderna lingua razionale della prosa
scientifica, lo stile della letteratura da note a piè di pagina, la terminologia scolastica, il marchio
accademico, quel mondo dove la creatività è stata sostituita dall’erudizione e la fantasia dalla
ricerca bibliografica. Dopo di loro, impossibile continuare a indugiare in un certo stile. Quelli che
hanno imparato davvero la lezione di Šestov, ognuno a loro modo, sono personalità come
Fondane, Cioran, Iosif Brodskij, per esempio. Tutti loro furono influenzati (un debito sempre
apertamente riconosciuto) in maniera determinante da Šestov, da colui che è stato il più grande
storico della filosofia e, allo stesso tempo, il suo più implacabile nemico. Molti altri sono stati
influenzati da questo pensatore russo, nel Novecento: André Malraux, André Gide, Albert
Camus, Georges Bataille, Czesław Milosz e tanti altri. Una legione in realtà, benché pochi sono
stati disposti a seguirlo fino alle sue ultime conseguenze. Fondane e Cioran sono tra queste
eccezioni.
Qui si tocca una nota dolente. Charles Bukowski diceva: “L’arte vera non solo non è capita ma
viene anche temuta” (Bukowski, 2014). È la solita storia. Il timore di macchiare la propria
“probità intellettuale”, di origine kantiana. Oggi, in sostanza, non è cambiato nulla. Molte sono
state, e sono ancora oggi, le strategie di razionalizzazione del tragico, in atto anche in
personalità di rango assoluto, apparentemente più sensibili a certi fenomeni. In passato, Sergio
Solmi, per esempio, e la sua magistrale lettura di Arthur Rimbaud, un fenomeno che a suo
avviso “troppo brucia” e, da qui, il suo l’appello a un penchant decisamente letterario (a, in fondo,
una strategia speculativa interessata all’esistenza dentro alla scrittura, più che alla scrittura
dentro l’esistenza), a Montaigne e il suo razionalismo temperante, soft. O Tommaso Landolfi,
una personalità più che affascinata dal lirico, dal tragico, dall’estremo della letteratura russa, di
cui ha dato una lettura estremamente lucida (definiva infatti, in confronto, il fenomeno della
letteratura occidentale come mera “estetica letteraria”), benché infine riducesse tutto alla lente
razionalizzante di un Nikolai Berdyaev. Un autore che Landolfi amava molto. Il dato è
significativo, se consideriamo quale interpretazione (sostanzialmente critica) illuminante dava
Šestov di Berdyaev, quando erano in questione temi quali il tragico, l’assurdo, il metafisico, il
religioso, il mito. Quello di Berdyaev è, ancora una volta, un modo di negare il tragico, di
attenuarlo, di renderlo fruibile e addomesticarlo. Quelle di Šestov e Fondane sono posizioni
radicali, ma, paradossalmente, la loro è una lucidità corroborante, tutt’altro che nichilista. Se si
vuole essere onesti con la realtà che ci circonda, bisogna anche cercare di evitare certe viltà
idealiste, la sterilità delle visioni dialetticamente più incoraggianti e concilianti dei fenomeni del
mondo e della vita umana. Sono, per intenderci, anche i temi di Giacomo Leopardi, lo stesso
territorio, qualora lo si legga senza pregiudizi ideologici. Non bisogna scadere nel grossolano
errore di considerare certi temi un puerile anarchismo. I critici di oggi, gli “specialisti”,
commettono lo stesso errore, umanamente comprensibile, di Solmi e Landolfi, senza, ahimè,
essere né un Solmi né un Landolfi. E questo è grave. Ho visto docenti di filosofia teoretica
occuparsi di Fondane, specialisti di Martin Heidegger commentare Cioran; o, ancora, ricercatori e
accademici definirsi “specialisti dell’esistenza”. È semplicemente ridicolo. Queste perversioni
sono tutt’altro che rare. Ancora oggi Šestov viene definito un “esponente dell’esistenzialismo”,
quando in realtà esistenzialismo e filosofia esistenziale erano diametralmente opposte,
antagoniste; per non parlare di Ceronetti, che oggi viene definito un “grande intellettuale” (!),
quando in realtà è qualcosa di molto diverso e più di un intellettuale, o anche di un semplice e
conciliante saggio: è un sapiente. Lo stesso Cioran, nella prefazione alle Œuvre, è definito da
Nicolas Cavaillès un mero “elegante scettico”, un “misto tra Montaigne e Schopenhauer”,
implicando tacitamente l’ipoteca del razionalismo temperante del primo, e il fondo
paradossalmente kantiano del pessimismo del secondo! Quando non venga totalmente
sbeffeggiato, da scrittori come George Steiner, Alfonso Berardinelli, Claudio Magris; tutte
posizioni per altro facilmente confutabili (cosa che ho fatto nel mio saggio dedicato a Fondane),
poiché puerili e in malafede, anche se ritengono di farlo a fin di bene…è una pia fraus, la loro!
Sono posizioni tutt’altro che ingenue: è la volontà sistematica di disinnescare e pastorizzare
certi autori, e dunque di mancarli e fraintenderli.
Quale è la natura di un’opera come In dialogo con Lev Šestov. Conversazioni e carteggio?
Come il Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, è un libro postumo. Da qui un certo fascino, come
accade per ogni avventura umana potente e incompiuta. La prefazione all’edizione italiana reca
queste parole illuminanti: “Gli incontri con Lev Šestov, di cui Benjamin Fondane vorrà conservare
una traccia scritta a partire dal 1934, possiedono un valore superiore al semplice documento di
natura personale o confidenziale. I frammenti diaristici, le lettere riprodotte e l’aggiunta dei
commenti da parte dello stesso Fondane, in particolare il testo introduttivo, Lungo le rive del
fiume Ilisso, costituiscono una testimonianza essenziale, destinata alle generazioni future,
concepita per durare nel tempo e lottare contro l’oblio e gli sviamenti di future e infedeli
riproposizioni del pensiero del suo maestro.” Il titolo originale, in francese, è Rencontres avec
Léon Chestov. Fondane si riferiva a quest’opera come al suo “bene più prezioso”, rappresenta
infatti la testimonianza dell’amicizia e del rapporto che lo legava a Šestov, il suo maestro. È un
genere letterario particolare, poiché unisce ricordi, conversazioni trascritte, corrispondenza
epistolare, diario intimo, autobiografia ed esegesi frammentaria; e il ritratto intellettuale più
intimo che esiste su Šestov, scritto dal suo unico vero erede diretto.
Il manoscritto, incompiuto e in bozze, fu consegnato dallo stesso Fondane, il 18 giugno 1939,
nelle mani di Victoria Ocampo, sua amica. Fondane temeva che il manoscritto andasse perduto
nell’imminente guerra (la seconda Guerra Mondiale). A Victoria Ocampo fu dato il compito di
occuparsi della pubblicazione, nel caso Fondane non fosse più stato in condizioni di portare a
termine il progetto. In quest’opera, i dialoghi e le note fulminanti, gli aneddoti e le repliche
memorabili creano ovunque l’impressione di una messa in scena straordinariamente autentica,
conferendo ai personaggi evocati l’intensità di una presenza reale. Pagina dopo pagina, il lettore
è immerso in questi affreschi, per essere testimone delle conversazioni tra Martin Buber e
Šestov, per ascoltare, tra gli altri, i commenti di Gabriel Marcel o scoprire le reazioni
contraddittorie di Malraux e Gide. Il valore straordinario dei Rencontres nasce anche dalla viva
rappresentazione di un’atmosfera, dei dibattiti e dell’ambiente intellettuale con la quale si
confronta l’autore in un momento decisivo per la storia europea. È un documento straordinario.
Lei ha anche tradotto e curato la nuova edizione di un classico di Šestov, La filosofia della
tragedia. Dostoevskij e Nietzsche.
Sì. Esce contemporaneamente al libro di Fondane su Šestov. Tra l’altro, il merito di questo
progetto va all’editore, Aragno, poiché è stato lui a propormelo. Questa operazione è apparsa
più che opportuna. Aragno ha accettato di accogliere nella sua raffinata casa editrice le opere
maggiori di un grande scrittore dimenticato, Fondane. Ora, la pubblicazione de La filosofia della
tragedia è una naturale conseguenza, che ha anche una sua valenza pratica: l’unica versione
apparsa fino a oggi di questo libro, è quella del padre della slavistica italiana, Ettore Lo Gatto, nel
1950, presso le Edizioni Scientifiche di Napoli. Questa versione, priva di qualsiasi apparato
critico, se non la prefazione dello stesso curatore dell’edizione italiana, presenta un buon
numero di limiti: la traduzione risente pesantemente del tempo in cui fu pubblicata e, cosa più
importante, contiene un buon numero di capovolgimenti concettuali, di refusi logici. Il libro,
esaurito da tempo, e stato riproposto nel 2004, nella stessa versione di Lo Gatto, presso
l’editore Costantino Marco (anche questa edizione non risulta disponibile da anni). La nuova e
definitiva edizione Aragno (questa è l’ambizione) è la prima versione dotata di un folto apparato
critico e a essere un’edizione annotata criticamente. La filosofia della tragedia è appunto l’asse
attorno cui ruota l’avventura spirituale all’estremo di Šestov e la filosofia esistenziale di
Fondane.
Letture
http://www.quadernidaltritempi.eu/fondane-e-la-filosofia-della-tragedia/