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Apparato Respiratorio

L'apparato respiratorio ha la funzione di consentire lo scambio di ossigeno e anidride carbonica tra l'organismo e l'ambiente esterno. E' composto dalle vie aeree superiori che conducono l'aria fino ai polmoni e da quelle inferiori, come i bronchioli e gli alveoli polmonari, dove avviene lo scambio gassoso.

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Apparato Respiratorio

L'apparato respiratorio ha la funzione di consentire lo scambio di ossigeno e anidride carbonica tra l'organismo e l'ambiente esterno. E' composto dalle vie aeree superiori che conducono l'aria fino ai polmoni e da quelle inferiori, come i bronchioli e gli alveoli polmonari, dove avviene lo scambio gassoso.

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APPARATO RESPIRATORIO

Il sistema respiratorio si trova strettamente correlato con l'apparato cardiovascolare. Quello che fa il
sistema respiratorio porta beneficio anche all'apparato cardiovascolare. Ma la cosa interessante è che il
sistema respiratorio, in particolare i polmoni, si trovano praticamente a cavallo della piccola circolazione che
è una parte dell'apparato cardiocircolatorio vero e proprio. Le funzioni del sistema respiratorio sono
fondamentalmente due:
1. la respirazione cellulare o respirazione interna: l'insieme di tutti quei processi metabolici che si
sviluppano all'interno di una cellula, con lo scopo di produrre energia. La respirazione cellulare
avviene a livello dei mitocondri, dove l’ossigeno reagisce con lipidi, glucidi e aminoacidi
producendo ATP, che rappresenta il nostro carburante. Insieme all’ATP si producono altre 2
sostanze: l’anidride carbonica e l'acqua. L'anidride carbonica poi viene eliminata attraverso la
respirazione esterna. L'acqua è un elemento fondamentale per la cellula, quindi viene trattenuta
perché poi serve anche ad altre vie biochimiche.
2. la respirazione esterna: ci si riferisce esclusivamente allo scambio di gas che avvengono tra
l'ambiente interno (l’unità funzionale del polmone) e l'ambiente esterno. I meccanismi
fondamentali sono quelli di acquisire ossigeno dall'aria che noi respiriamo ed eliminare l'anidride
carbonica, perché mentre l'anidride carbonica è tossica per le nostre cellule, invece l'ossigeno è un
elemento fondamentale perché si hanno tutti i processi biochimici all'interno della cellula.
Le funzioni dell'apparato respiratorio sono complesse, nel senso che non esiste soltanto la funzione di
respirazione, ma svolge tante altre funzioni importanti, sia per la fisiologia della respirazione, ma anche
funzioni che non hanno una connessione diretta con il sistema respiratorio. Per esempio attraverso la
respirazione si dissipa calore, quando per esempio fa molto caldo e aumenta la frequenza respiratoria, questo
è un modo per allontanare il calore dal nostro organismo. Siamo in grado anche di perdere acqua attraverso
la respirazione.
Un’altra funzione dell’apparato respiratorio è quella, grazie ad alcuni elementi cellulari particolari, di
favorire l’umidificazione ed il riscaldamento dell'aria atmosferica. Questo favorisce sia l'ingresso
dell'aria all'interno delle porzioni più profonde del sistema respiratorio e sia gli scambi alveolari dei gas. La
respirazione, intesa proprio come movimento della gabbia toracica, durante le fasi di inspirazione ed
espirazione favorisce il ritorno venoso. Poi ciclicamente si viene a creare una pressione negativa
all'interno della gabbia toracica tale che favorisce quindi il ritorno attraverso le vene nelle sezioni di destra
del cuore.
Poi, ancora, permette la fonazione perché l’aria che passa attraverso le corde vocali, che sono sulla laringe,
permette di emettere suoni.
Ci difende da sostanze estranee inspirate perché ci sono dei meccanismi di clearance a livello delle prime
vie aeree che possono intrappolare alcune sostanze estranee. Rimuove e modifica elementi che sono presenti
nella circolazione sistemica.
Infine il naso è anche la sede dell'olfatto, quindi nell'apparato respiratorio, in grado anche di garantire
questa altra funzione.
Allora vediamo adesso la parte anatomica. Il sistema respiratorio viene suddiviso in due sezioni: quella che
comprende le cosiddette vie aeree superiori o zona di conduzione dell'aria e le vie aeree inferiori o la
cosiddetta zona respiratoria. L'apparato respiratorio inizia con le vie nasali che sboccano nella faringe, che
è un tratto in comune anche con l'apparato digerente. Al di sotto della faringe troviamo la laringe che è
anche il punto in cui sono presenti le corde vocali. Immediatamente al di sotto della laringe inizia la
trachea che è formata da anelli cartilaginei. La trachea rappresenta, nella sua porzione terminale, la zona di
transizione tra le vie aeree superiori e le vie aeree inferiori. La trachea si divide nei 2 bronchi principali: il
bronco di destra e bronco di sinistra. I bronchi si ramificano sempre di più fino ad arrivare alle porzioni
terminali che vengono definite come bronchioli e alveoli. Ciascuno di questi segmenti svolge un ruolo
importante nella respirazione. La zona inferiore si chiama zona respiratoria perché è la zona dove
effettivamente avvengono gli scambi dei gas. Mentre invece la zona di conduzione, quella che è
rappresentata dalle vie aeree superiori, è la zona in cui c’è sempre aria, viene anche definita come spazio
morto anatomico. Lo spazio morto in alcune patologie può rappresentare una condizione sfavorevole e
limita i normali scambi dei gas. Quindi queste prime vie aeree non posseggono membrane che possano
favorire il passaggio all'interno dell'organismo dell'ossigeno o la rimozione dell’anidride carbonica, ma sono
soltanto delle zone di transizione per l'aria.
L'epitelio di rivestimento svolge dei ruoli ben precisi che aiutano al normale l'espletamento della attività
respiratoria. L'epitelio, man mano che ci si allontana dai bronchi e si procede verso l'alveolo, diventa
estremamente sottile. Questo perché la porzione terminale, quindi l'alveolo, deve avere una membrana tanto
sottile da favorire il transito dei gas attraverso essa. Favoriti da un gradiente di concentrazione ritroveremo
la legge di Fick. In quelle zone che non sono deputate allo scambio dei gas troviamo cellule epiteliali
ciliate alla propria sommità e poi troviamo le cellule mucipare o anche cellule caliciformi per la loro forma
particolare a calice. Le cellule caliciformi sono ricche di granuli che contengono nel loro interno muco che
viene riversato direttamente all’interno del lume bronchiale. Ogni tanto si trovano strutture più complesse
che sono le ghiandole mucose, che sono anch’esse deputate alla sintesi di muco e alla sua immissione
all'interno delle vie aeree.
Ci sono poi cellule del tessuto connettivo, inoltre ci sono anche cellule basali o cellule basali staminali
che sono le cellule in grado di differenziarsi in epitelio ciliare oppure in cellule mucipare o caliciformi. Ci
sono poi in realtà delle altre piccole celluline che prendono il nome di cellule neuroendocrine che sono
deputate al rilascio di alcune sostanze ormonali, come per esempio catecolamine, ma anche altri peptidi,
che svolgono un'attività paracrina. Cioè queste cellule sono in grado, attraverso il rilascio di queste
sostanze, di stimolare tessuti limitrofi e quindi indurre una certa attività. Man mano che ci si avvicina verso
l'alveolo, l'altezza dell’epitelio di rivestimento si riduce sempre di più. Gli elementi ciliari non hanno più
così importanza perché oramai si è molto lontani dalle vie aeree superiori. L'apparato mucociliare serve a
inglobare e trattenere piccole particelle potenzialmente dannose e veicolarle verso le porzioni più
prossimali dell’apparato respiratorio. Infatti il movimento delle ciglia è unidirezionale, quindi una volta
che il muco è liberato dalle ghiandole o direttamente dalle cellule mucipare, blocca eventuali particelle che
sono presenti nell'aria, il movimento delle ciglia tende a far ritornare verso la bocca, quindi verso le prime
vie aeree, queste particelle, che non devono giungere a livello alveolare. Quindi svolgono un ruolo anche di
prima difesa dell’apparato respiratorio.
Il sacco alveolare rappresenta la zona funzionale vera e propria, quindi la zona dove avvengono gli
scambi gassosi, quindi si dà ossigeno all'organismo e si prende anidride carbonica. Questi bronchioli
terminali, nella parte esterna, sono rivestiti da piccole cellule di tessuto muscolare liscio, la cui contrazione
e rilasciamento, determina i meccanismi di broncodilatazione o di broncostenosi. Quando i meccanismi,
soprattutto di broncostenosi, sono particolarmente esaltati, in alcune condizioni patologiche (esempio
l’asma) si può avere una difficoltà al passaggio dell'aria verso le porzioni più terminali dell’apparato
respiratorio. Gli alveoli sono acini che stanno intorno al loro ramo, sono delle bolle che possono arrivare
anche a 250 milioni all’interno di ciascun polmone, con una membrana di scambio estremamente sottile.
L'alveolo si sviluppa in tante piccole bollicine e non unica bolla grossa perché, per la legge di Fick, la
velocità di diffusione di una sostanza, sia esso un soluto o un gas (come in questo caso), la quantità del gas
che può transitare è direttamente proporzionale alla superficie di scambio. Per cui se c’è un'unica bolla
grossa, la superficie di scambio è molto più piccola rispetto ad avere tante bolle piccoline dove si
amplifica la superficie di scambio. Per cui è importante che il sacco alveolare sia fatto esattamente in
questo modo, in modo tale da garantire, nel più piccolo spazio un un'enorme quantità di diffusione di
gas. L'alveolo è riccamente vascolarizzato perché l'ossigeno deve andare direttamente nel compartimento
intravascolare, quindi entrerà nei capillari, ma contestualmente, poi dai capillari dovrà prendere tutta
l'anidride carbonica, che è stata raccolta dal sangue, nel suo passaggio a livello sistemico. A proposito
degli alveoli vi è una condizione patologica nota come enfisema polmonare. Le persone che possono avere
questa malattia sono, in particolar modo, i grossi fumatori e le persone che abbiano fumato per un periodo di
tempo abbastanza lungo. Nell’enfisema polmonare si distruggono gli effetti delle piccole bolle e l'alveolo
diventa un'unica grande bolla. Quindi la conseguenza è che in questa grande bolla si ha una riduzione della
superficie di scambio e quindi si possono avere delle difficoltà respiratorie. Inoltre le bolle sono anche
pericolose, quando diventano troppo grandi, perché si possono rompere e, se la rottura è in vicinanza
della pleura, si può avere una condizione note come pneumotorace. La membrana alveolo-capillare è
molto sottile (0,5 Micron), quindi non offre nessun tipo di resistenza. Nella legge di Fick anche lo spessore
della membrana rappresenta un parametro fondamentale nella regolazione della diffusione dei gas.
Arrivati giù si trova l’alveolo avvolto all’esterno dalla rete capillare. Questa è proprio la zona della
respirazione, dove l'aria non è in uno spazio morto, ma si muove continuamente e garantisce
l’ossigenazione del sangue. La membrana alveolo-capillare separa l'alveolo dal tessuto interstiziale,
all'interno del quale però è presente una fitta rete capillare, in modo tale da agevolare, quanto più
possibile, lo scambio dei gas tra il lume alveolare e il lume capillare.
All’interno del sacco alveolare c’è un rivestimento che è costituito da cellule alveolari di tipo 1. Le cellule
alveolari di tipo 1 sono molto schiacciate, la zona del nucleo è la zona più ridondante, ma tutta la cellula
che riveste quasi interamente il sacco alveolare, è molto schiacciata. Questo in modo tale da non causare
aumento dello spessore della membrana alveolo-capillare. La cellula alveolo-capillare è la cellula che
rappresenta l'alveolo.
Poi ci sono le cellule alveolari di secondo tipo, che non sono schiacciate. Anzi stanno nella loro interezza
all'interno del sacco alveolare. Sono delle cellule importantissime perché sono quelle che secernano il
surfactante che è un complesso lipidico che consente all'alveolo di mantenere il suo lume beante, e quindi
evita che le pareti del sacco alveolare, attratte tra di loro, tendano a collassarsi e quindi impedire la
circolazione dell'aria all'interno dell'alveolo. Le cellule alveolari di secondo tipo sono poco mature nei
bambini nati pretermine e che quindi tendono ad avere una difficoltà respiratoria perché non hanno il
liquido surfactante che mantiene l'alveolo beante. Sono invece le cellule responsabili, lì dov'è questa
produzione di surfattante sia alterata, della fibrosi cistica. Questa malattia è caratterizzata da insufficienza
respiratoria, oltre ad una serie di altre alterazioni che riguardano soprattutto la risposta immunitaria. Per
cui questi soggetti tendono a sviluppare numerosi episodi di bronchiolite nel corso della loro vita.
Poi abbiamo ancora un altro elemento cellulare: il macrofago. Il macrofago rappresenta un difensore del
nostro organismo. È aspecifico nel senso che può distruggere diverse componenti, ma anche
microrganismi che raggiungano le porzioni più terminali dell'albero respiratorio. Quindi sono delle
cellule deputate alla difesa dell'alveolo.
Il polmone si studia molto bene con la radiografia. In un’immagine di un soggetto sano i polmoni sono
neri perché sono completamente attraversati dalle radiazioni, non offrono nessun tipo di resistenza ai
raggi che passano attraverso la cavità toracica. Quando, invece, inizia ad aumentare la quota del bianco
all'interno del polmone allora vuol dire che si ha un processo flogistico a carico del polmone. Poi a
seconda della localizzazione e dalla forma, si può distinguere tra processi infiammatori di natura
batterica, virale, interstiziale o anche altre forme tipo da micosi, quindi da infezioni fungine. La zona
biancastra che si vede in prossimità del mediastino è la zona dell’Ilo del polmone cioè da dove entrano i
bronchi e anche i grossi vasi polmonari. Poiché la composizione della parete, sia del bronco, sia dei vasi è
differente rispetto a quella del parenchima polmonare, si vedono delle zone biancastre. Il polmone si
studia molto bene con la tomografia computerizzata, soprattutto sia con la TC ad alta risoluzione, sia con
la TC con mezzo di contrasto.
I meccanismi che rientrano nell'ambito della Meccanica respiratoria sono:
1. Azione dei muscoli respiratori
2. Proprietà elastiche dei polmoni
3. La ventilazione vera e propria
4. La resistenza che viene offerta al flusso dell’aria dell’apparato respiratorio
5. I meccanismi nervosi del controllo respiratorio
I muscoli che intervengono nella respirazione sono tantissimi:
1. I muscoli dell'ala del naso: dove le radici tendono a dilatarsi nel momento in cui si inspira.
2. I muscoli dilatatori del faringe del rinofaringe. Un difetto della contrazione dei muscoli dilatatori
del faringe e del rinofaringe è responsabile di quella condizione caratterizzata da forte russamento
e da apnee notturne. È la condizione nota come OSAS, l'acronimo sta per sindrome ostruttiva delle
apnee notturne. Anche nel semplice russamento si può avere un disadattamento dei muscoli
dilatatori del faringe del rinofaringe.
3. I muscoli della lingua perché quando si inspira la lingua si protrarrà in avanti e tende anche a
sollevarsi verso il palato, lasciando maggiore pervietà al retrofaringe.
4. I muscoli dilatatori della laringe perché lì l'aria deve passare molto più agevolmente. Qui non si
parla, quindi non vi è necessità di mantenere quella fessura fisiologica per la vibrazione delle corde
vocali.
Poi ci sono i muscoli respiratori classici e si dividono in:
1. muscoli inspiratori:
 Il diaframma è il più importante. La cupola diaframmatica separa completamente la
cavità toracica, dalla cavità addominale e si abbassa continuamente durante
l’inspirazione. Il diaframma è innervato dal nervo frenico, le cui fibre vengono dal
terzo, quarto e quinto segmento del midollo spinale. Quindi delle pericolose lesioni
midollari a livello cervicale in questi segmenti possono causare un blocco dell’attività
respiratoria.
 I muscoli intercostali esterni.
 I muscoli scaleni che sono sia muscoli inspiratori normali, ma anche muscoli
inspiratori accessori. I muscoli inspiratori accessori sono quei muscoli che
normalmente non si utilizzano nel processo di inspirazione, ma si utilizzano quando
si ha bisogno di più aria. Questo può capitare per motivi non fisiologici o anche
patologici. Per esempio quando si fa una grossa corsa e non si è particolarmente allenati
si inizia a respirare molto profondamente e si mette in moto soprattutto lo
sternocleidomastoideo (muscolo presente a livello del collo). Poi si mettono in moto
anche gli scaleni, che sono presenti tra il collo e la clavicola, i muscoli pettorali e
muscoli dorsali.
2. muscoli espiratori: tra i più importanti ci sono:
 i muscoli addominali: il retto dell'addome, gli obliqui interni e gli esterni, e il
muscolo trasverso.
Il processo espiratorio è anche mediato dal rilassamento dei muscoli inspiratori. Il diaframma durante la
respirazione si appiattisce. In condizioni di riposo lo spostamento è di 1-2 cm, ma in condizioni di
inspirazione, in cui si hanno atti respiratori più profondi e anche più accelerati, addirittura il muscolo
diaframma può abbassarsi fino a 10 cm in cavità addominale. Questo per cercare di ampliare quanto più
possibile lo spazio della gabbia toracica. I muscoli intercostali esterni, nel momento in cui si
contraggono poiché hanno un andamento obliquo, riescono a raddrizzare le coste. Quindi anche questo
rappresenta un meccanismo per aumentare lo spazio della gabbia toracica. Nel momento in cui termina
l'atto inspiratorio il diaframma ritorna alla sua posizione e anche i muscoli intercostali esterni ritornano
nella loro posizione. Mentre invece si contraggono i muscoli intercostali interni che sono sempre obliqui,
ma nella direzione opposta rispetto ai muscoli intercostali esterni. Quindi la contrazione dei muscoli
intercostali interni è quella che consente di ritornare alla condizione di riposo prima della inspirazione.
È importante nella fase espiratoria la contrazione dei muscoli addominali. La loro contrazione agevola
il ritorno della Cupola diaframmatica nella sua posizione di partenza e quindi riducendo un'altra volta il
lume all'interno della cavità toracica.
Sia la gabbia toracica che i polmoni sono caratterizzati dall'essere degli organi particolarmente elastici
cioè degli organi che si possono modificare, ma che tendono poi a ritornare nella loro condizione di
partenza. Il loro spostamento è garantito non solo dalla elasticità ma da alcune condizioni fisiche che si
vengono a realizzare all'interno della gabbia toracica. Per esempio il liquido pleurico. Il liquido pleurico
rappresenta una parte del terzo compartimento o liquido trans cellulare. Non è né liquido intracellulare,
né liquido extracellulare, ma è un liquido molto importante per garantire gli scambi dei gas a livello del
sacco alveolare. La differenza di pressione che si verifica tra il polmone, il liquido pleurico e la pressione
all'interno della cavità toracica, consente alla cavità toracica di rimanere strettamente adesa al liquido
pleurico. Permette anche al polmone di rimanere completamente adeso allo spazio pleurico. Quindi i
movimenti di inspirazione ed espirazione trascinano dietro di sé tutto quello che c'è all'interno della cavità
toracica e quindi nello specifico il polmone rivestito dal suo foglietto pleurico.
La ventilazione è un processo attraverso il quale l'ossigeno entra all'interno del polmone, garantendo
l'ossigenazione del sangue. L’aria esce dal polmone ricca di anidride carbonica. Le pressioni nella
ventilazione sono:
1. la pressione atmosferica
2. la pressione alveolare
3. la pressione intrapleurica
La pressione al livello del mare è pari a 760 mm di mercurio. Quando si va in alta quota la pressione tende
leggermente a diminuire. Poiché vi è una continuità diretta tra l'aria esterna e il sacco alveolare (non ci sono
valvole né membrane) anche la pressione all'interno dell'alveolo sarà uguale a 760 mm di mercurio.
Quindi si ha una perfetta neutralità della pressione alveolare, rispetto all'aria esterna. Quella che, invece,
varia è la pressione all'interno dei foglietti pleurici. La pleura si suddivide in: pleura viscerale cioè
quella direttamente a contatto con il parenchima polmonare. Essa poi si ripiega su sé stessa per formare il
foglietto parietale, che ritorna su sé stesso e si ricongiunge con il foglietto viscerale. All'interno di questa
cavità è contenuto il liquido pleurico e la pressione dello spazio pleurico è di 756 mm di mercurio.
Quindi una pressione un po' più piccola rispetto alla pressione atmosferica. Quindi questo favorisce il
passaggio dell'aria all'interno dell'alveolo. C’è una differenza tanto piccola che non potrebbe garantire un
passaggio spontaneo dell'aria, se non ci fosse il movimento dei muscoli inspiratori durante la fase di
espirazione. Tuttavia agevola moltissimo l'ingresso dell'aria all'interno del polmone, ma soprattutto il
liquido pleurico garantisce che durante i movimenti di inspirazione tutto si sposti all'interno della gabbia
toracica, nella stessa direzione e che tutto ritorni nella stessa posizione, dopo che l'atto inspiratorio si sia
completato. I 756 mm di mercurio, rispetto ai 760 mm di mercurio che sono presenti all'esterno,
consentono di creare un piccolo gradiente transmurale, che fa sì che il polmone tenda a spingere verso il
liquido pleurico e viceversa che anche la gabbia toracica tenda a rimanere adesa allo spazio pleurico.
Durante poi l’inspirazione succede che i 756 mm di mercurio dello spazio pleurico diventino 754 mm di
mercurio. Questo accade per una legge fisica particolare, perché la pressione che è data su un gas o anche
da un liquido, dai soluti all'interno di una soluzione (generata dalle particelle stesse sulle pareti della pleura),
è direttamente proporzionale al numero dei soluti e allo spazio che questi soluti hanno a disposizione.
Se si chiudessero in una piccola stanza 100 persone, la pressione esercitata da esse, sarebbe una pressione
molto alta sulle pareti della stanza, perché le persone sono molto attaccate tra di loro e anche alla parete
della stanza. Ma se improvvisamente la stanza la si facesse aumentare di 10 volte, le persone si
dislocherebbero in vario modo, all'interno dello spazio, e non eserciterebbero più la stessa pressione sulle
pareti della stanza, ma eserciteranno una pressione minore. La stessa cosa capita a livello polmonare. Quindi
quando c’è l’inspirazione aumenta lo spazio pleurico. Trattandosi però di una struttura chiusa accade
che il liquido, che è contenuto all'interno dello spazio pleurico, riuscirà a muoversi più agevolmente
all'interno della cavità pleurica, riducendo la pressione sulle pareti. Così da 756 mm si passa a 750
mm. Questo garantisce ancora di più un'espansione del polmone perché esso ancor di più seguirà lo spazio
pleurico durante il meccanismo di inspirazione. Durante l'espirazione si ritornerà, per il rilasciamento dei
muscoli inspiratori e l'attivazione dei muscoli respiratori, a 756 mm di mercurio. Quindi questa piccola
differenza consente al parenchima polmonare di non collassare, ma di rimanere nella sua forma
all'interno della cavità toracica.
La legge di Boyle insegna che la pressione alveolare cambia modificando il volume del polmone perché la
pressione esercitata da un gas sulle pareti del contenitore è inversamente proporzionale al volume del
contenitore. Il volume dei polmoni è indirettamente cambiato dai muscoli respiratori, che modificano
lo spazio della cavità toracica. Quello che induce l'aumento della cavità pleurica è la contrazione
muscolare. Un'altra condizione che interviene nella meccanica respiratoria è la resistenza offerta
dall’albero bronchiale all'aria che viene inspirata. In realtà questa resistenza al flusso dell'aria è data
soprattutto dal lume del bronco o comunque di tutti i vari segmenti nella zona di non respiratoria, quindi di
transizione. Cioè se c’è un bronco più piccolo si avrà una maggiore ostruzione al passaggio dell'aria,
rispetto ad un bronco più grande. Si può avere un bronco più piccolo perché le cellule muscolari, che sono
localizzate all'esterno del bronco, si contraggono e quindi determinano una condizione di
broncocostrizione. Può anche avvenire, nei soggetti con una bronco pneumopatia cronica ostruttiva,
quindi soggetti con episodi di bronchite ricorrente, e questo provoca un aumento dello spessore della
parete del bronco, compreso l'epitelio di rivestimento e il tessuto connettivo sottoepiteliale. In più si avere
anche un aumento della produzione del muco all'interno dei bronchi, ed entrambe le condizioni possono
causare un restringimento, e quindi una condizione di aumentata richiesta di ossigeno. Questo perché con
un atto respiratorio si fa entrare meno aria rispetto a quello che capita di solito.
Come accade in qualsiasi sistema, dove vi sia la conduzione di qualcosa, ci sono sempre fattori che
agevolano questa conduzione e fattori che la contrastano. In questo caso si parla di resistenze. Le
resistenze ci saranno quindi nell'apparato respiratorio e, molto importante, anche nell'apparato
cardiovascolare. Quello che si deve sempre tenere in mente è che il disequilibrio tra queste forze, tra queste
condizioni, sono quelle che poi determinano l'insorgenza di una malattia.
La spirometria ha il compito di:
1. Documentare la presenza o meno di un’alterazione della funzione respiratoria.
2. Quantifica le caratteristiche dell'alterazione. Quindi attraverso un esame spirometrico si può dire
che una patologia sia di grado lieve, di grado moderato o di grado severo. Questo è utile perché se si
inizia un trattamento farmacologico, nel momento in cui si fa la spirometria si è in grado di capire se
quel trattamento farmacologico ha portato o meno i suoi benefici.
3. In generale la spirometria rappresenta quell' esame strumentale che ci consente di studiare la
funzione respiratoria.
Esiste una spirometria di tipo:
1. Semplice: lo studio viene condotto soltanto analizzando la curva della espirazione forzata o
curva flusso volume.
2. Globale: si misurano tutti i volumi di aria che possono essere presenti nelle varie fasi del ciclo
respiratorio: inspirazione ed espirazione.
La spirometria generalmente viene effettuata:
Ponendo uno stringinaso perché l'aria non deve essere persa attraverso il naso. Quindi bisogna respirare
soltanto con la bocca. Viene collegato il boccaglio che deve essere sterile. Il paziente deve stringere con
forza il boccaglio tra le labbra perché non deve uscire fuori l'aria. Attraverso il boccaglio farà una serie di
inspirazioni ed espirazioni normali o forzate. Inizialmente si chiederà al paziente di respirare
tranquillamente per alcuni secondi, successivamente poi gli si chiederà di respirare profondamente e gli
si chiederà anche di espirare poi profondamente. Quindi la spirometria non valuta soltanto la funzione
respiratoria in condizioni di riposo, ma valuta anche la funzione respiratoria in una condizione di
sforzo. Quindi quando si ha la necessità di fare una grande ispirazione e anche una prolungata e sforzata
espirazione. La spirometria può essere anche fatta somministrando in acuto delle sostanze, generalmente la
metacolina, che hanno il compito di indurre vasodilatazione a livello dell'albero bronchiale. Questo per
vedere se i bronchioli rispondono allo stimolo farmacologico.
In un grafico di spirometria di un soggetto normale ci sono curve che indicano:
1. Volume corrente (VC): rappresenta il volume di aria inspirato ed espirato durante un atto di
respirazione normale, definito anche come volume tidal. Tidal in inglese significa marea perché il
respiro un po' richiama come l'onda di marea che va e che viene.
2. Volume di riserva inspiratoria (VRI): rappresenta tutta quanta l'aria che si può inspirare dopo un
normale atto di inspirazione a riposo.
3. Volume di riserva espiratorio (VRE): il volume di aria che si può espirare con una espirazione
forzata, quindi dopo aver buttato tutta l'aria che ci sembra di aver inspirato. In realtà ne si può
ancora buttare fuori un pochino e quella quota rappresenta il volume di riserva espiratorio.
4. Volume residuo (VR): la quantità di aria che non può essere mobilizzata all'interno del volume e
che rimane quindi nel polmone anche dopo un atto di espirazione forzata.
Le capacità rappresentano la somma di tutti i volumi respiratori. Esse sono:
1. Capacità funzionale residua (CFR) : è la somma del volume di riserva espiratorio più il volume
residuo ed indica l'aria che è presente nei polmoni alla fine di una espirazione normale.
2. Capacità inspiratoria (CI): è la somma del volume corrente più il volume di riserva
inspiratorio, ed indica il volume di aria che può essere introdotto all'interno dei polmoni. Quindi
rappresenta sia il volume corrente, sia quello di inspirazione massimale che si riesce a sviluppare.
3. Capacità vitale (CV): comprende tutti i liquidi, tutto il volume di aria che si mobilità all'interno dei
polmoni, sia in termini di riserva inspiratoria, sia in termini di riserva espiratoria, oltre che al volume
corrente.
4. Capacità polmonare totale (CPT): include, oltre alla capacità vitale, anche il volume di riserva,
cioè quello che non si riesce a muovere nei normali cicli respiratori.
Da un punto di vista medico ci sono alcuni parametri che sono un po' più considerati rispetto ad altri
quando vengono effettuati gli esami spirometrici. Come per esempio la VEMS o il volume espiratorio
forzato però nel primo secondo (FEV1) perché nel primo secondo di espirazione forzata si è in grado di
emettere l'ottanta percento di tutta l'aria che si respira. Quindi è un momento molto importante. Se noi
non si fosse in grado di espellere tutta l'aria nel primo secondo probabilmente l’aria ricca di anidride
carbonica tenderebbe a rimanere all'interno dei nostri alveoli impedendo l'ingresso di aria ricca di ossigeno.
La VEMS si riduce nel caso di un aumento delle resistenze delle prime vie aeree, ma può anche riflettere
una debolezza muscolare. Quindi in una patologia che riguarda i muscoli (astenia marcata) il paziente
non riesce proprio a emettere in maniera adeguata, durante un atto di espirazione forzata, l’80% della
quantità totale dell'aria.
Un altro indice che viene molto utilizzato in patologia è l’indice di Tiffenau o il rapporto tra il FEV1 e la
capacità totale del volume di aria. Il normale valore è più dell’80% e valuta il grado di ostruzione delle
malattie polmonari, quali l'asma bronchiale e la BPCO.
Il momento più importante durante il ciclo respiratorio è lo scambio dei gas. L'aria è una miscela di gas, non
contiene soltanto l'ossigeno. L'ossigeno è quello che ci importa, ma soprattutto quello che ci importa è la
pressione dell'ossigeno nell'aria che inspiriamo e anche la pressione dell'anidride carbonica, che deve
essere molto bassa perché abbiamo bisogno di ossigeno e al contrario dobbiamo espellere anidride
carbonica. La pressione di ossigeno nella miscela di aria che noi inspiriamo è intorno ai 160 mm di
mercurio. Passando attraverso l'albero bronchiale si perde una quantità della forza pressoria, per cui la
pressione dell'ossigeno, che si avrà a livello del sacco alveolare, sarà intorno ai 100 mm di mercurio,
mentre invece, la pressione dell'anidride carbonica è più bassa a livello dell'aria inspirata, ma diventa un
po' più alta all'interno del sacco alveolare. Questo perché si ha una quota di anidride carbonica che
rimane intrappolata nello spazio morto respiratorio, per cui la pressione di anidride carbonica, all'interno
del sacco alveolare, sarà un pochino più grande perché sarà intorno ai 40 mm di mercurio. Tuttavia, sia
100 mm di mercurio, sia 40 mm di mercurio sono delle pressioni che consentono di creare un gradiente
con il compartimento vascolare, in modo tale che l'ossigeno transiti dall'alveolo verso il compartimento
vascolare e al contrario l'anidride carbonica, invece transiti in direzione esattamente opposta. Questo
perché è sul lato del ritorno venoso, quindi il sangue, che poi viene veicolato a livello polmonare attraverso
l'arteria polmonare (arteria è tutto ciò che si allontana dal cuore, vena è tutto ciò che invece si avvicina al
cuore) è un sangue venoso quindi è ricco di anidride carbonica. Quindi con una maggiore pressione di
anidride carbonica, che è un po' al di sopra di quella del sacco alveolare (46 mm di mercurio), ma con una
molto bassa pressione di ossigeno intorno ai 40 mm di mercurio. Per cui queste differenze determinano un
gradiente che agevola moltissimo il passaggio dell'ossigeno dall'alveolo verso i capillari, che sono intorno
al sacco alveolare. Mentre invece al contrario i capillari che sono ricchi di anidride carbonica veicoleranno
l'anidride carbonica verso il sacco alveolare per poi essere espulsa nell'ambiente.
A livello periferico avviene esattamente il contrario. Quindi nelle arterie, che originano dalle sezioni di
sinistra del cuore, circolerà sangue che sarà particolarmente ricco in ossigeno e particolarmente povero in
anidride carbonica. Per cui si verifica esattamente il contrario, cioè non ci si troverà in un ambiente, in
particolare quello interstiziale, che sta in perfetto equilibrio con quello intracellulare (dove la quantità
dell’anidride carbonica sarà più alta perché rappresenta il prodotto di scarto di quasi tutti i prodotti ossidativi
che si verificano all'interno della cellula per fornire energia), mentre invece al contrario la cellula sarà
avida di ossigeno perché avrà necessità di mantenere attive le vie metaboliche che garantiscono la
formazione di energia.
All'interno della circolazione sistemica, sia l'ossigeno che l'anidride carbonica, possono essere in parte
fisicamente disciolti all'interno del sangue. Quindi effettivamente c’è una quantità di ossigeno e anidride
carbonica che si disperde tra le cellule del sangue all'interno del plasma, ed è una quota non rilevante ma
importante. Mentre, invece, un elemento che sicuramente è più importante di tutti, soprattutto per l'ossigeno,
è l’emoglobina. L'emoglobina viene trasportata dai globuli rossi ed ha la capacità di legare l'ossigeno.
L'emoglobina in realtà lega, in una certa percentuale, anche la anidride carbonica perché esiste non solo la
ossiemoglobina, ma esiste anche la carbossiemoglobina ed è importante che l'emoglobina leghi l'anidride
carbonica. Mentre, invece, il maggiore sistema per il trasporto di anidride carbonica all'interno
dell’organismo è attraverso il tampone del bicarbonato, in particolare si trasporta sotto forma di acido
carbonico.
L’emoglobina è composta da 4 catene polipeptidiche: 2 alfa e 2 Beta. All'interno di ciascuna di queste
catene polipeptidiche si trova il gruppo Eme, all'interno del quale è presente il ferro che lega in particolare
l'ossigeno. Quindi ogni molecola di emoglobina è in grado di gestire quattro gruppi eme. La percentuale
di saturazione dell'emoglobina può variare dallo 0 al 100%, ma nel compartimento arterioso la
percentuale di saturazione è molto alta ed è prossima al 100%. Tuttavia la quantità dell'ossigeno
molecolare, disciolto all'interno del sangue, quindi la sua pressione, è quella che è in grado di determinare la
percentuale di saturazione della emoglobina. Quindi non è necessario avere soltanto l'emoglobina e avere
i gruppi Eme liberi per i legami con l'ossigeno, ma è importante che vi sia una certa quantità di ossigeno
disciolto all'interno della circolazione sistemica, con una certa pressione che sia in grado di saturare
tutti quanti siti di legame del gruppo Eme con l'ossigeno. Da ciò la formula che regola il legame
dell'ossigeno all'emoglobina, per cui si forma la ossiemoglobina. Questo in particolare a livello del Sacco
alveolare, dove la quantità di ossigeno disponibile è particolarmente elevata. Mentre invece a livello dei
capillari sistemici, la quantità di ossigeno si riduce rapidamente perché l’ossigeno libero, già presente nel
compartimento intravascolare, è il primo a transitare all'interno della cellula. Accadrà che quindi si
dissolverà il legame e non si avrà più ossiemoglobina perché l’ossigeno passerà dall'emoglobina di nuovo
nella circolazione sistemica, per poi transitare all'interno del liquido interstiziale e poi del liquido
intracellulare.
La curva di dissociazione dell'emoglobina è molto importante perché fa capire chiaramente quali sono i
rapporti tra la pressione parziale dell'ossigeno all'interno del compartimento vascolare e la saturazione
della emoglobina. La saturazione dell'emoglobina può essere valutata attraverso un saturimetro. Il
saturimetro si colloca a livello di un dito della mano e grazie a una luce laser è in grado di valutare la
percentuale di saturazione della emoglobina. La percentuale di saturazione deve essere molto alta, deve
essere quasi intorno al 98%. Mentre invece per valutare la pressione dell'ossigeno disciolto all'interno del
sangue si deve effettuare un altro tipo di esame che è l'emogasanalisi. Questa consiste in un prelievo di
sangue arterioso, che verrà analizzato attraverso un macchinario particolare che è l'emogas-analizzatore.
L’emogas-analizzatore dirà esattamente la quantità della pressione dell'ossigeno all'interno della
circolazione sistemica, che deve essere al di sopra di 60 mm di mercurio. Questo perché solo se si ha
questo tipo di pressione parziale dell'ossigeno, all'interno della circolazione sistemica, si avrà la saturazione
completa di tutti quanti i siti di legame per l'ossigeno all'interno del gruppo Eme. Anzi c’è di più: da 60 mm
in più e oltre la curva di associazione dell'emoglobina raggiunge quasi un plateau (tratto
approssimativamente parallelo all'asse delle ascisse). Per cui entro questi valori di pressione parziale di
ossigeno si può avere la saturazione di tutti quanti i siti di legame dell'emoglobina. Ricordiamoci che
l'emoglobina è l'elemento che trasporta l'ossigeno per il 98% della quantità dell'ossigeno disponibile, quindi
non ci si può permettere il lusso di non saturare tutti quanti i siti di legame dell'emoglobina . C’è però
un punto critico, cioè se improvvisamente la pressione di ossigeno scende (perché c'è meno ossigeno
nell'aria oppure una patologia che non consente di far arrivare una quantità adeguata di ossigeno a livello
alveolare) c’è una drammatica dissociazione della curva emoglobinica. Quindi basta che da 60 mm di
mercurio arrivi anche a 58 mm di mercurio e l’emoglobina non è più in grado di andarsi a infilare nei siti di
legame presenti a livello del gruppo eme. Quindi c’è una bassissima disponibilità di ossigeno trasportato
dalla emoglobina. Quando si misura col saturimetro la saturazione dell'ossigeno, per stare tranquilli
bisogna stare al di sopra di questo puntino, al limite tra la zona blu e la zona rossa ( vedi immagine sotto)
che è decisamente al di sopra del 90%. Quando c’è una pressione di saturazione che va al di sotto del
90% bisogna immediatamente effettuare una emogasanalisi. In realtà la prima cosa che bisognerebbe fare è
far sostenere una respirazione più forzata al paziente, poi fare un’emogasanalisi perché è importante
che si abbia il dato della pressione parziale dell'ossigeno, ma soprattutto anche dell'anidride
carbonica. Questo perché, nel momento in cui si farà la determinazione, con il prelievo di sangue arterioso,
non si avrà soltanto la pressione dell'ossigeno, ma si avrà anche la pressione dell'anidride carbonica.
Perché ci sono delle patologie meno gravi (ipossiemia) dove fortunatamente l’anidride carbonica non si
accumula nel sangue, ma ci sono poi condizioni più gravi dove si può avere, sia una bassa pressione
dell'ossigeno, ma anche un'alta pressione dell'anidride carbonica e quindi ho un’ipossiemia ipercapnia. Si
può avere un’ipossiemia ma non avere un’ipercapnia perché l'anidride carbonica è in grado di transitare
attraverso la membrana alveolo capillare, molto più rapidamente dell'ossigeno e quindi,
fortunatamente, anche con una patologia respiratoria si può essere ancora in grado di eliminare anidride
carbonica.
Quindi c’è il gas all'interno del sacco alveolare disciolto all'interno del compartimento vascolare. Quindi
solo quando si ha uno scambio, garantito da un'adeguata pressione di ossigeno nell'alveolo di passaggio del
gas dall'alveolo all'interno della circolazione sistemica, e di conseguenza un'adeguata pressione
dell'ossigeno anche a livello del compartimento intravascolare, si possono saturare tutti i legami
dell'ossigeno. Tutto questo avviene rapidamente nel momento in cui viene effettuato l’atto respiratorio.
Quando si riduce la pressione dell'ossigeno nel sangue accade che non si riesce ad avere tutta quanta la
saturazione dei siti di legame dell'ossigeno con l'emoglobina. Il problema è soprattutto a livello periferico,
cioè quando si deve dare tutto l’ossigeno ai tessuti. Avendo già una saturazione bassa dell'emoglobina i
tessuti rischieranno di andare in sofferenza perché non avranno una disponibilità di ossigeno tale da
consentire lo spostamento, prima nel compartimento intravascolare e poi successivamente nel liquido
interstiziale, e quindi nella cellula. Il meccanismo dell'ossigeno è garantito se si riesce ad avere questo tipo
di saturazione dell'emoglobina, un certo tipo di saturazione dell'ossigeno a livello della circolazione
periferica, e quindi una bassa quantità all'interno della cellula. In caso di anemia nonostante la pressione
di ossigeno sia di 100 mm di mercurio comunque si configura un quadro di scarso deposito. Per cui
quando l’ossigenazione arriva nelle porzioni più periferiche, perché l'ossigenazione ovviamente procede in
una certa direzione, quindi ci sono dei tessuti che vengono ossigenati prima, tessuti che vengono ossigenati
dopo, ci sono dei tessuti che vengono privilegiati (rene, cervello e cuore) e tessuti che invece possono essere
sacrificati quando ci sono dei problemi di ossigenazione (il muscolo, la pelle). Persone, per esempio che
hanno problemi respiratori, hanno l'estremità bluastre, le mucose cianotiche perché sono i primi tessuti
ad essere sacrificati per l'ossigenazione. Questo perché bisogna dare ossigeno ai tessuti più importanti.
Quindi man mano che l'emoglobina transita, grazie al passaggio attraverso la circolazione sistemica in tutti
i tessuti, dall'ossigeno disciolto nel sangue inizia a passare direttamente nel liquido interstiziale, ma man
mano ovviamente le molecole di ossigeno si spostano dall’emoglobina, nel sangue per poi andare nei tessuti.
Quindi se non si ha una buona saturazione dell'emoglobina, quindi un buon deposito che consente di
arrivare a tutti quanti i tessuti dell’organismo, ad un certo punto la quantità l'ossigeno si sarà esaurita e
alcuni tessuti possono soffrire.
Ci sono dei fattori che possono influenzare la curva di dissociazione dell'emoglobina e farla
pericolosamente scivolare verso il basso. Cioè nonostante ci sia una pressione normale di ossigeno (60mm
di mercurio) si può avere una saturazione più bassa, rispetto a quella che si avrebbe normalmente. Questo
accade perché evidentemente c’è qualcosa che sta competendo con l'ossigeno a legarsi con l'emoglobina, e
questo qualcosa per esempio può essere l’anidride carbonica. L’anidride carbonica, infatti ha un’affinità
per l'emoglobina che è centinaia di volte più grande rispetto all'ossigeno. Per cui se ipoteticamente si
dovesse avere più anidride carbonica in un ambiente esterno in cui si respira, si può avere una tremenda
ipossiemia e sofferenza tissutale. L'anidride carbonica, legandosi molto più intensamente all'emoglobina,
non la lascia facilmente. Questo oltre a determinare una ipossiemia pericolosissima, determina anche la
presenza di protoni. Quindi quando il pH si abbassa nel sangue perché c'è un aumento della produzione di
alcune sostanze acide, i protoni si legano all'emoglobina e anche questi competono con l'ossigeno. Poi
ancora un'altra molecola, che è il 2,3 difosfoglicerato, è un prodotto catabolico intermedio della glicolisi
che si verifica nel globulo rosso. Il 2,3 difosfoglicerato ha una maggiore affinità per l'emoglobina rispetto
all'ossigeno e quindi tende a ridurre la possibilità del legame dell'ossigeno all'emoglobina. Un aumento
della produzione del 2,3 difosfoglicerato in condizioni para fisiologiche si ha, per esempio, quando si va in
alta quota dove tende un po' a rarefarsi anche la disponibilità di ossigeno, la pressione si riduce e quindi si
riduce anche la disponibilità e la pressione a livello delle vie respiratorie superiori, quindi di conseguenza
anche a livello del sacco alveolare. Il globulo rosso come meccanismo di compenso cerca di competere con
il 2,3 difosfoglicerato e con l'ossigeno, in modo tale che una maggiore quantità di ossigeno sia presente
come disciolto nel sangue, piuttosto che legato all'emoglobina e che quindi più rapidamente vada a
diffondere verso i tessuti. Questo meccanismo può funzionare fino a un certo punto, infatti alcune persone
non riescono a stare ad alta quota, bisogna fare degli esercizi e avere sempre ossigeno a disposizione perché
si potrebbe creare una condizione anche di grave ipossiemia.
Per quanto riguarda il trasporto dell'anidride carbonica, anche essa riesce ad essere disciolta, a viaggiare
in piccola parte nella circolazione sistemica, in una buona parte legata anche al 30% alla emoglobina sotto
forma di carbossiemoglobina. Il 60% dell’anidride carbonica nel sangue è trasportata sotto forma di ione
bicarbonato poiché la reazione che vede il legame tra l'anidride carbonica e una molecola di acqua quindi
CO2 + H2O, che è mediata dall’adrilasi carbonica (reazione reversibile), genera il bicarbonato che però
rapidamente si dissolve nel protone H+ e nello ione bicarbonato. Andando nel dettaglio di quello che
accade a livello periferico: quindi in quella condizione in cui la quantità di anidride carbonica, all'interno
della cellula, ha utilizzato tutto l'ossigeno delle proprie vie metaboliche, l’anidride carbonica deve
assolutamente essere poi trasportata via dalle cellule ed essere poi eliminato attraverso l’atto
respiratorio. Quindi l’anidride carbonica, in una piccola parte (il 10%) viaggia disciolta all'interno del
sangue. Un'altra piccola parte (il 30%) viaggia legata all'emoglobina per formare la carbossiemoglobina
(intanto l’emoglobina ha gli spazi liberi perché ha ceduto l'ossigeno ai tessuti). Infine reagisce grazie
all’anidrasi carbonica con l'acqua presente nell’eritrocita e si forma il bicarbonato che però è instabile,
per cui rapidamente si dissolve nello ione H+ che va a legarsi anche esso ai siti liberi della emoglobina,
mentre lo ione bicarbonato viaggia come tale all'interno della cellula, fin quando arriva al sacco alveolare.
Quindi il percorso che è stato fatto è un compartimento venoso. Qui la CO2 disciolta attraversa molto
facilmente la membrana alveolo capillare (le membrane in generale sono molto permeabili all'anidride
carbonica). Quell'anidride carbonica, che era legata all'emoglobina sotto forma di carbossiemoglobina,
poiché inizia ad entrare, favorita da un gradiente di pressione e l'ossigeno si lega all'emoglobina perché c'è
una maggiore pressione e soprattutto c'è la pressione opposta per l'anidride carbonica, che favorisce il
passaggio dell'anidride carbonica dal compartimento vascolare verso l'alveolo. Quindi man mano che si
liberano i siti sull'emoglobina, questi vengono occupati dall'ossigeno. Per quanto riguarda invece il protone
libero, che ugualmente andava a bloccare l'emoglobina, sempre grazie all'enzima anidrasi carbonica e lo
ione bicarbonato, si riconvertono in acqua e in anidride carbonica. L'acqua rimane all'interno della
cellula perché servirà poi nuovamente lì, mentre invece l'anidride carbonica, anch'essa favorita da un
gradiente di concentrazione, se ne va via verso l'alveolo per essere completamente eliminata
dall’organismo.
L'atto della respirazione è un atto molto complesso, però non dipende dalla nostra volontà. L'unica cosa
che volontariamente si può fare è modificare l'intensità della respirazione. Quindi un controllo superiore
sui centri respiratori, che sono localizzati nella parte del tronco dell'encefalo può essere presente
esattamente per questo motivo. Teoricamente fino ad un certo punto si potrebbe anche bloccare il respiro
volontariamente, ma questo può essere fatto solo per un breve intervallo di tempo. Questo perché poi
l'accumulo dell'anidride carbonica supera il meccanismo volontario di blocco della respirazione. I
componenti che regolano la respirazione sono:
1. Gli stimoli che agiscono direttamente sulla muscolatura inspiratoria ed espiratoria.
2. Fattori che regolano la profondità e la velocità del respiro.
3. Fattori che modificano l'attività respiratoria per altri scopi (cantare, mangiare ecc.)
Il tronco dell'encefalo è una zona particolarmente delicata del sistema nervoso centrale perché vi sono
contenuti tutti i centri che controllano i centri vitali dell’organismo. Per questo motivo lesioni a carico
del tronco dell'encefalo sono letali. I gruppi di neuroni sono:
1. Gruppi respiratori pontini: che sono quelli più alti. Hanno un'attività di controllo prevalentemente
inibitoria sul gruppo respiratorio dorsale. Ci sono due centri Pontini particolari che sono: il
centro pneumotassico e il centro apneustico. Uno ha il compito di inviare impulsi al gruppo
respiratorio dorsale disattivando i neuroni e quindi interrompendo la respirazione, mentre invece
al contrario il centro apneustico previene la disattivazione dei neuroni inspiratori e quindi stimola
la ventilazione. Quindi ci sono due nuclei che praticamente agiscono in maniera opposta ,così come
agiscono in maniera opposta anche i loro diretti effettori che sono i gruppi respiratori dorsali e
ventrali
2. Gruppi respiratori dorsali: stimolano i motoneuroni, quelli a livello del midollo spinale, che
controllano i muscoli inspiratori. C3 C4 e C5 hanno il controllo delle fibre dei muscoli respiratori.
Il nervo frenico è il nervo più importante e innerva il diaframma che è il muscolo più importante
nell’atto respiratorio.
3. Gruppi respiratori ventrali: stimolano i motoneuroni che controllano i muscoli espiratori.
4. Complesso pre Botzinger: che sta in prossimità del gruppo respiratorio dorsale e ventrale. È una
rete di neuroni pacemaker, un po' come quelli che ci stanno nel cuore, hanno il compito di
regolare il ritmo della frequenza respiratoria. Il ritmo della frequenza respiratoria varia a causa di
alcuni fattori esterni, quindi vuol dire che questo complesso di cellule importanti ha dei recettori che
sono in grado di valutare la quantità di protoni, la quantità dell'ossigeno, la quantità dell’anidride
carbonica.
I due gruppi di neuroni (dorsali e ventrali) sono strettamente in sinergia tra di loro e l'attivazione di
uno inibisce l'altro e viceversa. Quindi l'atto inspiratorio non potrà mai essere bloccato da un atto
espiratorio e viceversa.
C’è un piccolo gruppo di celluline che posseggono dei chemocettori che sono in grado di rispondere ad
alcuni stimoli soprattutto di natura chimica per la stimolazione o la depressione dell'attività respiratoria. La
presenza dell’anidride carbonica, l'aumento dei protoni circolanti e abbassamento del pH del sangue,
la riduzione della pressione dell'ossigeno. Queste sono tutte condizioni che possono determinare una
stimolazione di chemocettori periferici, che non sono localizzati soltanto a livello del sistema nervoso
centrale, ma sono localizzate anche a livello cardiaco e dei grossi vasi arteriosi soprattutto arco dell’aorta
e arterie carotidi. Questi chemocettori sono in grado di stimolare o di deprimere le attività da parte dei
gruppi respiratori dorsali e ventrali.
Controllo del sistema nervoso autonomi a livello della muscolatura liscia bronchiale. Ci sono delle celluline
che sono all'esterno dei bronchioli, soprattutto nelle parti terminali di ramificazione dei bronchi. Queste
sono delle piccole fibrocellule muscolari lisce che sono sotto il controllo della componente parasimpatica
e della componente simpatica del sistema nervoso autonomo. Queste fibre, in particolare quelle del
sistema nervoso parasimpatico, rilasciano acetilcolina che vanno ad interagire con i recettori muscarinici
a livello delle cellule muscolari lisce dei bronchi chiusi, provocando un aumento delle resistenze al
passaggio dell'acqua. Al contrario le fibre post gangliari del simpatico rilasciano la noradrenalina che è
una catecolamina, che interagisce con i beta 2 recettori delle cellule muscolari lisce determinando, invece
broncodilatazione. Questo è importante perché esistono dei farmaci parasimpaticolitici e dei farmaci
simpaticomimetici che vengono dati soprattutto nelle persone che soffrono di asma. Accade praticamente
che si ha una maggiore reattività al sistema nervoso parasimpatico, per cui in presenza allergeni, si ha una
contrazione a livello bronchiale con una difficoltà respiratoria. I puff che vengono utilizzati in condizioni
acute non sono altro che dei simpaticolitici, cioè farmaci che immediatamente possono determinare un
aumento della broncodilatazione.
N.B. per l’esame: le parti più importanti sono le funzioni dell'apparato respiratorio, tutta la meccanica
respiratoria, la ventilazione, gli scambi dei gas, le pressioni dei gas, la curva di dissociazione per
dell'emoglobina, anche la spirometria e infine la regolazione della respirazione da parte dei centri nervosi. 

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