Riassunti Storia Della Musica
Riassunti Storia Della Musica
Riassunti Storia Della Musica
1. REPERTORIO POPOLARE, di carattere folkloristico e religioso (ad esempio gli inni dei
santi, ancora in uso oggi anche in occidente).
Nella musica scritta ci si rifà sempre allo spartito, in questo caso le variazioni sono
considerate errori.
• ETA’ CLASSICA (V secolo a. C): età aurea di massimo splendore della civiltà in cui
fiorisce la tragedia e si distinguono i migliori tragediografi.
La civiltà musicale greca è la prima ad aver fatto arrivare a noi fonti scritte (primarie
dirette, piche si tratta di musica scritta).
Fonti letterarie (sia libri di filosofia che trattati teorici di musica) e fonti iconografiche
costituiscono fonti secondarie utili alla ricostruzione di strumenti e usi nella vita della
civiltà greca. I greci hanno avuto il primato di organizzare la musica a livello teorico,
acustico e pratico, differenziandosi così dalle altre civiltà che legavano la musica ai riti.
Viene creato da Atena per emulare il grido Viene creata da Hermes fanciullo, per gioco, con il
straziante di Medusa guscio di una tartaruga
Strumento ad ancia doppia costruito con canna di Strumento a corda (da 4 a 7 corde) costruito tra due
bambù (può avere sia una che due canne) bracci applicati a una cassa di risonanza
Accompagna la danza Accompagna il canto
Pratica della diafonia, una canna esegue una nota Accompagnamento seguente, note suonate e
di bordone, l’altra la melodia cantate coincidono.
Strumento DIONISIACO: rappresenta la sfera Strumento APOLLINEO: rappresenta la sfera
irrazionale. Il culto di Dioniso ammetteva la razionale poiché accompagna la parola (da
possibilità di un contatto intimo con il divino e il “logos”=logica)
cosmico attraverso l’INVASAMENTO ESTATICO.
Arte Auletica Arte Lirica
Per la civiltà greca la musica ha un ruolo di linguaggio superiore. Il mito di Orfeo sta alla
base della “TEORIA DELL’ETHOS”, secondo cui ogni melodia, ogni intervallo e ogni
singolo suono ha un effetto sull’animo umano. Tutti i modi greci seguono questa teoria.
Quello che veniva tramandato per iscritto era la pura teoria musicale, il repertorio era
considerato funzionale e non costituiva elemento di alta cultura. La musica teorica
compariva nei trattati filosofici e letterari, per questo motivo i teorici erano considerati
sapienti e ricoprivano alte cariche nella società. In contrapposizione vi erano i musicisti,
coloro che si occupavano della musica pratica, i quali stavano alla base della piramide
sociale, persino al di sotto degli artigiani. E’ per questo motivo che noi oggi conosciamo
perfettamente quale era e come funzionava il sistema musicale greco, la teoria dell’ethos
e gli studi di acustica ma non conosciamo bene il repertorio.
La notazione musicale era di tipo alfabetico (indicava l’altezza dei suoni tramite l’uso delle
lettere dell’alfabeto). Questa notazione era usata per scrivere esempi sui trattati, non per
scrivere repertori, eccetto in rari casi come nell’epitaffio di Sicilo e nello stasimo da
“L’Oreste” di Euripide. In questi casi si può notare come le lettere venissero poste al di
sopra dei versi della lira in campo libero (senza righi). A loro non era necessario scrivere il
ritmo dei suoni perché questo era dato dal testo, basandosi sull’alternanza di sillabe
lunghe e brevi.
Le harmonìai
I greci basavano il loro sistema musicale sulle cosiddette “harmonìai”, o modi,
caratterizzate dal nome delle antiche popolazioni elleniche: harmonìa dorica, frigia, Lidia,
ionica, eolica, ecc.
MODO: letteralmente significa “nel modo in cui”, cioè nel modo in cui i vari popoli
interpretavano la musica.
Teoria dell’ethos
Era opinione comune che ogni harmonìa causasse infallibilmente un “ethos”, cioè un
particolare effetto sull’animo e sul corpo umano.
L’harmonìa dorica ad esempio, quella più legata alla lyra, era considerata la più grave e
virile, determinava nell’animo compostezza e moderazione; l’harmonìa frigia, al contrario,
inseparabile dal dionisiaco aulos, suscitava un ethos “entusiastico” (da
“enthusiasmòs”=“avere il dio in sé” o “perdersi nel dio”) ed emozioni sfrenate.
Entrambi i filosofi erano d’accordo nel vietare ai giovani ogni professionismo musicale: la
musica doveva rimanere un’utile occupazione per il tempo libero di un giovane colto, e
mai scadere al livello di un’attività lavorativa. La musica va studiata dai giovani per poter
godere delle cose belle e saper guidare.
Aristotele scrive: «Il sonaglio è adatto all’infanzia ma l’educazione è il sonaglio dei ragazzi».
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• LITUUS: una sorta di lungo corno da caccia, simile ai corni da richiamo degli indigeni
• TIBIA: aulos
• CETRA: lyra
A un certo punto la musica romana si fonde anche con quella cristiana, creando un forte
sincretismo. Perciò è corretto dire che una parte della musica romana coincide con quella
dei primi cristiani.
Inizialmente il greco divenne la lingua più usata nella liturgia; il latino non divenne lingua
ufficiale della Chiesa d’occidente almeno fino alla metà del IV secolo. All’interno della
liturgia sono rimasti fino ad oggi segni della stratificazione linguistica: le parole “amen” e
“alleluja” sono ebraiche, mentre è in greco la preghiera “Kyrie eleison”. Anche la forma del
culto non era rigidamente fissata inizialmente, si inizia ad organizzare il rito a partire dal IV
secolo d. C. Contemporaneamente si creano anche le istituzioni della Chiesa e si tenta di
regolamentare il repertorio musicale sacro.
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Nel 313 d. C. Costantino e Licinio emanarono l’Editto di Milano, con il quale veniva
riconosciuta la libertà di culto. Il passaggio tra IV e V secolo fu scandito dagli editti di
Teodosio (380 d. C) e di Onorio (408 d. C) che fingevano ad eliminare i templi e gli atti di
culto di tutte le altre religioni.
Nel IV secolo furono poste le basi per la piena affermazione ufficiale della Chiesa.
Introito
Kyrie
Offertorio
Sanctus
Agnus Dei
Communio
Avvolgendosi nella dimensione inusuale ed elevata del canto, la proclamazione del testo
liturgico si innalzava dal semplice livello di linguaggio umano a quello di Parola di Dio.
Oltre a quota funzione di AMPLIFICAZIONE RITUALE, la musica svolgeva una più umile
ma non trascurabile funzione di AMPLIFICAZIONE FONICA poiché la parola cantata era
molto più sonora di quella parlata. Una terza fondamentale funzione della musica
applicata al testo sacro è quella che possiamo definire AMPLIFICAZIONE MELODICA: la
monodia liturgica cristiana non faceva altro che rendere esplicita l’intrinseca musicalità
della lingua latina. Di ogni parola latina, soprattutto se pronunciata con solennità da un
oratore, si potrebbe tracciare una specie di diagramma melodico, il cui punto più alto
corrisponde alla sillaba accentata.
In una veloce antifona la melodia era più semplice, e tale stile viene detto STILE
SILLABICO; in un canto solistico quale l’offertorio, il cantore poteva elaborare lo schema
di partenza in uno stile più ricco, denominato STILE MELISMATICO (o fiorito).
La religione cristiana non ha mai avuto un’univocità e i riti si sono sviluppati in modi
diversi a seconda dei luoghi, ciò ha creato un forte sincretismo tra i vari popoli cristiani.
Canto Gregoriano
Il 25 dicembre dell’800 d. C. Carlo Magno viene incoronato imperatore del Sacro Romano
Impero. L’imperatore decide di far mettere per iscritto il repertorio cristiano, di cui viene
fatta una sintesi tra quello romano e quello gallicano: nasce così il canto gregoriano,
grazie all’auctoritas di Papa Gregorio Magno I. Viene inventata la storia secondo cui il
canto cristiano fosse stato dettato a Papa Gregorio direttamente dallo Spirito Santo e per
questo motivo era vietata ogni modifica. Viene perciò emanato il “ne varietur”, secondo
cui bisogna eseguire il repertorio così come era stato scritto. E’ proprio così che nasce
ufficialmente la scrittura musicale pratica, basata sui neumi.
DIASTEMAZIA: capacità di indicare gli intervalli (solo grazie alla scrittura su righi musicali).
ADIASTEMAZIA: gli intervalli non vengono indicati poiché la scrittura è in campo aperto (è
il caso della scrittura neumatica).
Nonostante il “ne varietur” l’uomo ha sentito il bisogno di sfogare la sua creatività, nasce
così la TROPATURA (deriva da “tropare”=comporre). Il canto gregoriano veniva “farcito” di
note o sillabe, a volte anche note e sillabe insieme.
Variazione 1 -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
___________________
Variazione 2 -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Variazione
____________________/___________________
Uno dei primi ad utilizzare queste tecniche è stato il Monaco Notker Balbolus, il quale si
giustificava dicendo che l’inserimento di sillabe nei velismi ne favoriva la memorizzazione.
Le famiglie di scrittura pneumatica erano tantissime e avevano segni molto diversi tra
loro, alcuni dei quali sono ancora oggi difficili da comprendere.
Il canto gregoriano viene diviso in 8 modi, 4 autentici e 4 pagali. Si tratta di una pura
operazione teorica, così come era per la notazione alfabetica.
(F=finalis; R=repercussio)
I protus autentico Dorico re(F)-mi-fa-sol-la(R)-si-do-re
L’unico semitono cade tra le note mi e fa, grazie a questa cosa il cantore era in grado di
individuare e cantare le MUTAZIONI (ovvero i semitoni). Questa pratica era definita
SOLMISAZIONE, una sorta di antenato del solfeggio moderno grazie a cui gli esecutori
riuscivano a leggere e imparare più facilmente musica nuova.
Iniziamo dalla pratica della DIAFONIA. Si tratta della consuetudine di sdoppiare una
melodia eseguendola contemporaneamente a due altezze differenti, altezze che nella
musica popolare sono spesso a un intervallo di quarta o di quinta.
Una simile prassi, che pare attestata sin dall’epoca di Sant’Agostino, trae origine dalla
tendenza istintiva dei membri di una schola o di un’assemblea ad intonare una monodia
ciascuno nel registro di voce a sé più congegnale. Il teorico Hucbald di Saint Amand nel
suo trattato “De Harmonica Istitutione” osserva che due suoni differenti si sovrappongono
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in maniera corretta allorché, ≪prodotti da fonti diverse, realizzano un’unità sonora, come
avviene quando la voce di un fanciullo e di un uomo cantano la stessa melodia, oppure in
quello che comunemente si chiama Organum≫. Per l’appunto “ORGANUM PARALLELO”
si definisce la maniera di eseguire i canti liturgici in diafonia: una parte della schola
eseguiva il canto liturgico cos’ com’era (vox principalis); la restante parte intonava il
medesimo canto a distanza di una quarta o di una quinta, sotto o sopra (vox organalis).
Anche in questo caso l’uso di trascrivere sulla pagina le parti musicali aveva come
premessa una pratica improvvisativa che si mantenne viva per molti secoli, pur
assumendo nel tempo connotati differenti.
Le fonti manoscritte che riportano gli organa in quest’epoca recano di solito le semplici
parti non ornamentale. La notazione di un organum era intesa probabilmente alla stregua
di una traccia che poi il cantore arricchiva al momento dell’esecuzione. Non ci è dato
sapere quanto questa pratica dell’eterofonia fosse diffusa e se fosse praticata solo in
determinati luoghi o circostanze. Tuttavia è documentata in alcuni trattati dei secoli XII e
XIII, il “Trattato d’organum Vaticano”, conservato a Roma e forse redatto in Italia, propone
una serie di regole che disciplinano la costruzione degli organa e l’improvvisazione dei
melismi, aggiungendo un ricco corredo di esempi di organa “arricchiti”. Documenti come
quest’ultimo testimoniano certo una pratica improvvisativa ancora radicata, ma fissando
anche il momento in cui l’uso dell’eterofonia inizia a cristallizzarsi sulla pagina scritta e a
perdere il suo carattere estemporaneo. Ciò è confermato dai codici più o meno coevi
provenienti dall’abbazia di San Marziale di Limoges in Francia. In queste raccolte, è
codificata la prassi di eseguire la melodia liturgica nella voce inferiore a valori lunghi
(tenor) mentre la parte superiore (probabilmente affidata a un solista, prende il nome di
duplum) si lancia contemporaneamente in ampi melismi. Questo tipo di organum si dice
dunque MELISMATICO. I melismi iniziano di solito in consonanza con le note del tenor e
poi si prolungano indipendentemente da quello.
Allora come oggi, la musica fungeva da simbolo sonoro di un gruppo sociale. Dell’autorità
innanzitutto: la musica era quasi lo stendardo fonico del monarca o dei suoi vassalli,
accompagnandone le apparizioni pubbliche. Questa funzione simbolica di molti strumenti
si mantenne inalterata per secoli, penetrando nel mondo teatrale: nelle rappresentazioni
seicentesche dei drammi di Shakespeare, ad esempio, ogni apparizione di un
personaggio regale o dell’alta nobiltà era accompagnata da squilli di trombe, che
fungevano da inconfondibili segni connotativi del potere; anche nell’opera del Settecento
«i trombettisti, in quanto specialisti della musica cerimoniale di corte, non erano membri
dell’orchestra teatrale e venivano utilizzati […] per le sole parti “cerimoniali”: la sinfonia
avanti l’opera e il “tutti” finale» (R. Strhom - “L’Opera Italiana nel Settecento”). Nell’età
barocca, inoltre, i trombettisti erano pagati di più rispetto agli altri strumentisti, proprio in
quanto erano inscindibilmente connessi con il prestigio politico e militare. La musica
distingueva anche categorie sociali meno prestigiose: i gridi e i richiami cantati dei
mercanti e dei venditori ambulanti, non ché il vasto repertorio dei canti da lavoro, sono a
tutt’oggi ricca materia di studio per gli etnomusicologi.
A fianco di tutto ciò, c’era tutta via un tipo di attività umana che per lunghissimo tempo
non potè prescindere quasi mai dalla musica: la poesia. Come nell’antica Grecia, anche
nell’epoca romanza la poesia lirica veniva composta per essere soprattutto cantata, più
che recitata e cantata.
MUSICA ENKIRIADIS: redatto nella Francia del nord durante l’XI secolo, è il primo trattato
in cui si parla di una forma di raddoppio nel canto gregoriano per quarte, quinte e ottave.
Questo raddoppio viene definito ORGANUM. In questo trattato viene anche esposto il
concetto di “punctum contra punctum”.
ANONIMO QUARTO: questo trattato risale alla fine del XII secolo ed è stato scritto in
Inghilterra. Si parla principalmente della scuola polifonica di Notre Dame e di due monaci
scrittori di organa che lavoravano alla sovrapposizione di più voci. I due maestri ebbero la
possibilità di firmarsi poiché, in contesti come in quello di Notre dame*, la polifonia non
era vista male dalla Chiesa.
Magister Leoninus e Magister Perotinus sono i primi compositori di cui abbiamo notizia.
Ciascuno di loro ha scritto un suo “Magnus Liber Organi”, all’interno del quale sono state
inserite tutte le “regole” della polifonia di quel tempo. Nasce così a Notre Dame l’ARS
ANTIQUA, ovvero la prima scuola polifonica.
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Nella seconda metà del XII secolo l’amplificazione musicale della parola liturgica era
ormai definitivamente approdata alla compilazione di un “Magnus Liber”: si apre così la
fase in cui la scrittura musicale non è più solo funzionale alla conservazione del repertorio,
ma alla sua stessa composizione. L’opera di Magister Leoninus fu perfezionata da un
altro Magister, Perotinus Magnus, che rielaborò il Liber e vi aggiunse organi a 3 e 4 voci.
• Si tratta di una forma di polifonia che sperimentano in parte come un organum, solo che
al di sopra della vox principalis (gregoriano in latino) si sovrappongono parole in
francese. Si sovrappongono per la prima volta due lingue e tre testi diversi
(politestualità).
_ _ _ _ _ _ _ _ testo 1 (francese)
Il tenor usava un doppio criterio: quando il canto gregoriano era in stile abbastanza
sillabico, esso teneva lungamente fissa ogni nota; nel momento in cui il gregoriano
presentava un melisma, il tenor ingranava una marcia più veloce, che gli consentiva di
non infrangerne l’unitarietà; terminato il melisma, il tenor ritornava ad arrestarsi molto
tempo su ogni singola nota. Normalmente il tenor svolgeva la funzione di bordone ma, nei
punti corrispondenti ai melismi, esso dialogava fittamente con il duplum e le due voci
effettuavano un vero e proprio contrappunto in stile di discanto. Queste particolari sezioni
dell’organum sono dette clausole.
R=Responsorio
Organum V=Versetto
Organum Clausula Organum
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Canto
Verso l’anno 1200, la parte musicale della liturgia celebrata nella cattedrale di Notre Dame
poteva svolgersi in forma di “matrioska” al contrario: all’interno di un semplice canto
gregoriano intonato monodicamente vi erano alcune sezioni (organa) nelle quali veniva
sovrapposta ad esso una seconda voce; ma dentro gli organa stessi, quando il
gregoriano affidato al tenore incontrava un melisma, le voci potevano aumentare fino a tre
o addirittura a quattro (clausula). Perotinus compose anche interi organa a tre o quattro
voci.
Gli organa non erano musica per tutti i giorni, ma musica speciale per occasioni speciali.
Erano il sontuoso arredo sonoro di festività solenni nella chiesa cattedrale della capitale
del regno di Francia. Il consumo musicale quotidiano di tutte le classi sociali si svolgeva
ancora prevalentemente secondo la prassi della tradizione orale.
La notazione modale
I compositori dell’epoca di Perotinus avrebbero preso ispirazione dalla metrica antica,
costruendo una specie di corrispondente musicale dei “piedi” dell’antica poesia: sei
possibili strutture, dette MODI RITMICI, ciascuna formata dalla diversa combinazione di
unità brevi che andavano a realizzare sempre una suddivisione ternaria del ritmo.
Si cerca di ovviare al problema ritmico classificando ogni organa in uno dei sei modi:
• ∪∪_ IV modo: B - B - L
• __ V modo: L - L
Non vi erano ancora differenziazioni grafiche tra lunga e breve, perché si continuavano ad
usare i neumi gregoriani nella loro forma quadrata. Era la disposizione di tali neumi (detti
in quest’epoca ligaturae) ad indicare al cantore quale modo ritmico andasse scelto: se la
composizione iniziava con una ligatura di tre note e proseguiva con una serie di ligaturae
di due note, ciò implicava l’uso del I modo; se invece era una ligatura di due note ad
essere seguita da numerose ligaturae di tre note, era il II modo a dover essere usato.
Queste regole così rigide prevedevano anche la possibilità di eccezioni, per evitare la
monotonia di uno stesso ritmo. Eppure le musiche della Scuola di Notre Dame non si
adattano con naturalezza ad essere interpretate con questo metodo, perché quasi mai si
incontrano successioni regolari di ligaturae come invece dovrebbe accadere.
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L’Anonimo IV, spiegando la teoria dei modi ritmici, è costretto a ricorrere ad un VII modo
che, come “modo misto o comune”, di tipo irregolare, sarebbe quello più usato nella
realtà. Le fonti che ci spiegano la teoria dei modi ritmici sono piuttosto tarde: risalgono a
un secolo dopo o anche più, epoca in cui vigeva un’altro tipo di notazione. E’ quindi
difficile che tali fonti rispecchino con chiarezza una prassi caduta in disuso nel periodo in
cui si scriveva di essa.
Anticamente la mano dell’amanuense si fermava dopo aver scritto la nota più importante,
facendo terminare il neuma con essa; il successivo stacco della penna dal foglio ne
sottolineava la funzione di appoggio ritmico, per questo motivo la teoria viene definita
teoria degli stacchi neumatici. Con il passare dei secoli, l’accentuazione dell’ultima nota si
sarebbe fatta gradualmente sempre più marcata, trasformandosi in una durata maggiore.
La Scuola di Notre dame si sarebbe inserita in questo processo, senza “inventare” alcuna
notazione modale: i compositori polifonici non avrebbero fatto altro che cantare gli organa
con le stesse scansioni ritmiche con cui eseguivano il canto gregoriano. Solo con
l’approssimarsi del Trecento, si sarebbe tentato di apparentare questa pratica alla metrica
classica e codificandola in un sistema rigido di regole.
Il mottetto politestuale
Il mottetto del Duecento e del Trecento divenne una composizione autonoma, eseguibile
al di fuori del contesto liturgico, i cui testi trattavano frequentemente di argomenti profani.
La sua caratteristica più importante è quella di essere politestuale: mentre il tenor, tratto
ancora da una melodia liturgica, viene generalmente eseguito da strumenti (ad esso può
essere abbinata un’altra voce strumentale, il contratenor), le altre voci (motetus, duplum e
triplum) sono fornite ciascuna di un proprio testo, in latino o in francese. Le voci superiori
di un mottetto eseguono testi differenti contemporaneamente. Nel mottetto essi non sono
discorsi scollegati tra loro: un filo, più o meno sottile, ne unifica i contenuti.
In quel Medioevo che siamo abituati a pensare monoliticamente arroccato nella fede
intransigente di un’unica verità, c’era spazio per questa visione sfaccettata e polimorfa
del reale.
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Le voci del mottetto si distinguevano anche perché scorrevano con velocità diverse. Il
tenor era disposto a note molto lunghe; sopra di esso il motetus (o duplum) presentava un
andamento più veloce, mentre il triplum (voce più acuta) procedeva con un ritmo ancora
più serrato. Era quasi una riproduzione in scala del movimento degli astri, analogia
ricreata volutamente per riallacciare la concreta musica instrumentalis alla inaudibile
musica mundana, secondo le teorie pitagorico-boeziane.
Il conductus
Altro genere musicale coltivato da Filippo il Cancelliere e da altri compositori della sua
epoca era in conductus. Consisteva in canti in lingua latina di argomento profano e
spesso politico, monodici o polifonici, scritti in stile prevalentemente sillabico. Veniva
costruito su un tenor non liturgico di libera invenzione. Possiamo considerare il conductus
come il primo genere musicale medioevale in cui il compositore poteva creare
liberamente tutte le voci, senza basarsi su musica già esistente. Questo modo di
procedere non era troppo congeniale alla mentalità dell’epoca: nel Trecento, infatti, il
genere del conductus non fu più praticato.
Il “Sederunt Principes”
L’articolazione complessiva
Due composizioni a quattro voci aprono il Magnus Liber Organi: il “Sederunt Principes” e
il “Viderunt omnes”. Sono queste le creazioni più emblematiche di Perotinus, il maestro di
Notre Dame che i contemporanei definirono “optimus discantor”. Non solo un cantor ma
un vero professionista della composizione. Le grandi dimensioni degli organa da un lato,
e dall’altro la più ricca tavolozza sonora disponibile grazie all’uso della polifonia, posero al
discantor il problema di come articolare le sue composizioni musicali, tanto a livello di
strutture minime, che di forma complessiva. Nel “Sederunt Principes” Perotinus sfoggia
una padronanza della tecnica compositiva non indegna dello splendore architettonico di
Notre Dame in cui questa composizione fu probabilmente eseguita nel 1199. A quell’anno
risale un decreto del vescovo di Parigi: vi si afferma che il giorno di S. Stefano va cantato
il graduale o l’Alleluia a due, tre o quattro voci. E’ possibile che si alluda proprio al
“Sederunt Principes” di Perotinus, visto che è basato sulla melodia liturgica del graduale
per il giorno di S. Stefano.
come tenor
come tenor come tenor
A valori lunghi Velocità normale A valori lunghi A valori rapidi Velocità normale
Le note che costituiscono il tenor nella prima sezione sono soltanto 7, ma il valore di
ciascuna di esse è allungato a dismisura, tanto che questa sezione dura addirittura 140
misure di 6/8. Nell’incipit della prima sezione in organum la prima nota del tenor (Re), a
valori lunghi, funge da bordone, mentre le tre parti superiori (duplum, triplum e
quadruplum), destinate a voci maschili probabilmente soliste, sono costituite da semplici
linee melodiche organizzate secondo ritmica modale.
La melodia liturgica è trattata allo stesso modo anche nella seconda sezione in organum.
Nella clausola il tenor procede con valori più rapidi (stile discanto): 85 note sono
distribuite su 83 misure. Il nuovo tipo di assetto sonoro coincide con il momento in cui la
melodia liturgica si lancia in un ampio melisma. Nel graduale “Sederunt Principes” ciò
avviene sulla sillaba [Domi-]ne.
Nell’organum che Perotinus compone su questa melodia (che rimane sempre al tenor), in
corrispondenza dell’inizio del melisma interviene un nuovo assetto sonoro: è appunto la
clausola in stile di discanto. L’intervento dello stile di discanto rappresenta un forte fattore
di articolazione tra la clausola e la sezione in organum che la precede. Perotinus si
preoccupa anche di differenziare reciprocamente le due sezioni in organum: nella
seconda usa abbondantemente l’omoritmia tra le parti, che procedono tutte in quinto
modo, assetto sonoro assai caratteristico e quasi del tutto assente nella prima sezione.
Poiché per tutto il primo segmento il Re del tenor permane come nota più grave, l’unica
combinazione consonante possibile è costituita dalle note Re-La. Per il resto dell’ordo le
parti possono muoversi più liberamente.
Il secondo segmento ha inizio quando, dopo 57 misure, le parti vocali passano a cantare
la sillaba [se]de[runt] e dunque il lungo Re del tenor viene sostituito dal Fa, seconda nota
della melodia liturgica. Il primo fattore di articolazione tra questi due segmenti è di
carattere armonico: riguarda le relazioni tra note simultanee. Durante il primo segmento
(tenor: Re) prevale la combinazione consonante Re-La, nel secondo (tenor: Fa) prevale la
combinazione consonante Fa-Do. All’ascolto ciascuno dei due segmenti risulterà insistere
di preferenza su una diversa combinazione armonica. All’entrata di ciascuna nuova sillaba
si registra spesso nelle parti superiori un cambiamento di registro vocale: le parti cantano
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la sillaba [se]de[runt] in una tessitura leggermente più acuta rispetto alla sillaba
precedente.
Un ulteriore fattore di articolazione tra i segmenti interni alle sezioni è di ordine ritmico.
Dopo i primi tre ordines un’altra pausa di semiminima con il punto in tutte e tre le voci
superiori compare solo dopo altre 11 misure. Possiamo definire “modulo” ciascuno di
questi raggruppamenti di ordines. Il primo segmento della prima sezione in organum
presenta una successione di moduli fatta così:
N. B: Le cifre indicano la
durata di ciascun modulo in
misure, i numeri romani
rappresentano i moduli.
La pausa di semiminima con il punto che separa i moduli VI e VII al duplum è sfalsata
rispetto alle altre parti. Da qui in poi si interrompe la regolarità ritmica e ciò segnala
all’ascoltatore che sta per sopraggiungere un evento formalmente rilevante: l’entrata della
seconda nota del tenor (Fa).