DSM - 1° Parte PDF
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Meccanici
Prima Parte
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Sistemi di sospensione continui. Determinazione della matrice [K] per
sospensione continua: basamento industriale. Esempio di applicazione: matrice
[K] per la massa sospesa di un autoveicolo.
7. Dinamica della massa sospesa di un autoveicolo - Generalità sui criteri di
proporzionamento delle sospensioni in funzione del confort e della tenuta di
strada. Sistema dinamico generale. Sistema dinamico ridotto. Equazioni del
moto (*), modi naturali. Disaccoppiamento dei moti di rimbalzo e beccheggio e
sua influenza sul confort. Condizione del monoperiodo. Applicabilità delle
condizioni di disaccoppiamento e monoperiodo. Sospensioni pneumatiche e loro
utilità. Molla pneumatica semplice. Sospensioni compensate: sistemi a volume
d'aria ovvero a massa d'aria costante. Cenni sulle sospensioni miste (*).
Sospensioni coniugate a molle solide e oleopneumatiche.
8. Oscillazioni torsionali - Introduzione storica allo studio delle oscillazioni
torsionali e rilevanza tecnica del problema. Oscillazioni torsionali forzate. Il
sistema equivalente: riduzione delle masse e delle lunghezze. Riduzione delle
masse di un manovellismo: smorzamento apparente. Sistema equivalente di
impianti con riduttore. Esempi di applicazione: impianto di propulsione
navale (*); impianto di propulsione terrestre, risonanze torsionali negli impianti
di trazione per autoveicoli (*). Sistemi a 2, 3 (*), n masse: modi naturali di
vibrare, deformate, diagrammi dei momenti, sollecitazioni torsionali nei modi
naturali di vibrare. Oscillazioni torsionali dovute all'elica negli impianti di
propulsione navale. Cenni sulle cause forzanti torsionali
"interne" (*).Armoniche del momento motore: determinazione delle armoniche
del momento motore, velocità critiche torsionali. Diagrammi di fase delle
armoniche Mn, armoniche principali e secondarie. Diagrammi vettoriali.
Ampiezza di equilibrio. Il moto torsionale forzato: calcolo della componente
rigida del moto forzato, sollecitazioni torsionali forzate, determinazione della
sollecitazione torsionale nella sezione più sollecitata. Metodi per ridurre la
sollecitazione torsionale massima: variazione delle caratteristiche elastiche,
giunti elastici, ordini di accensione.
9. Modi di vibrare e stabilità dei motocicli (*) – Modi di vibrare di un motociclo;
modelli a un grado di libertà e loro soluzione con MATLAB; modello a tre gradi di libertà
e sua soluzione con MATLAB; modi di vibrare nel piano del motociclo; modello a quattro
gradi di libertà; modi di vibrare fuori dal piano (**).
10. Fondamenti dei sistemi non lineari - Generalità sui sistemi meccanici non
lineari e principali cause di non-linearità. Comportamento dinamico del
pendolo nel dominio del tempo, nello spazio delle fasi, nel dominio della
frequenza, in assenza e presenza di smorzamento. Comportamento dinamico del
pendolo forzato nello spazio delle fasi. Sezioni di Poincaré (*). Cenni sui
comportamenti caotici (*). Fenomeni di non-linearità nei rotori: rigidità non
lineari e comportamento del “Rotore a filo”, non-linearità nei cuscinetti
lubrificati e comportamento dinamico del rotore rigido su supporti
lubrificati (*).
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Questo convenienza è dovuta da un lato dal fatto che i sistemi meccanici sono, nella
stragrande maggioranza dei casi, di per sé sono dei sistemi che si prestano molto
bene alla discretizzazione e gli elementi che li compongono sono effettivamente e-
lementi di uno dei tre tipi che abbiamo detto e dall’altro al fatto che quando andia-
mo a fare il modello fisico di un sistema reale, facendone uno discreto, possiamo
servirci di certe tecniche di risoluzione del modello (cioè di certe di determinazione
del moto forzato del sistema, che è poi quello che interessa), tecniche che sono col-
legate ad algoritmi dell’algebra matriciale che però consentono sul sistema continuo
di seguire passo passo quello che si fa e quindi di non perdere di vista la determina-
zione del comportamento dinamico del nostro sistema. Questo ad es. non è possibi-
le dire, quando con codici di calcolo complessi di tipo fondamentalmente struttura-
le. Infatti questi ci danno un risultato finale senza sapere la loro provenienza.
Abbiamo anche detto che i sistemi meccanici nel momento in cui io vado a renderli
discreti (a parametri concentrati), per i sistemi meccanici, la dissipazione di energia
è trascurabile.
In termini molto pratici se vado a considerare l’equazione tipica del moto del siste-
ma ad 1 GdL, la quale è:
In questa eq. stiamo parlando del termine , cioè in sostanza stiamo dicendo che
estendendo tale ragionamento ad un sistema più complesso, nel quale le singole eq.
del moto che regolano il comportamento del modello sono, naturalmente dello
stesso tipo. Stiamo dicendo che tale quantità espressa poc’anzi è la reazione sul sin-
tema dovuta alla dissipazione di energia, può essere considerata trascurabile.
In altri termini quando si dice che qlc è trascurabile, bisogna dire rispetto a chi!
Quindi non ha senso dire lo smorzamento del sistema o la dissipazione di energia del
sistema è trascurabile (perché non si dice risp. a chi!). Quello che in realtà è trascu-
rabile è sempre questo termine ma risp. agli altri che compaiono nell’eq. del moto.
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Questo termine può non essere tenuto in conto per via del fatto che nei sistemi
meccanici le due cause principali di dissipazione di energia sono legate:
Nei sistemi meccanici, salvo casi specifici nei quali si desidera introdurre una dissi-
pazione di energia (tipicamente gli ammortizzatori), i sistemi meccanici vengono vo-
lutamente progettati in modo che queste dissipazioni siano le più piccole possibile.
Non tanto perché a queste dissipazione corrispondono delle perdite di energia o di
trasferimento di energia da una parte all’altra del sistema, ma al fatto che queste
dissipazioni di energia in sostanza vanno a finire in calore e quindi molto spesso può
capitare che questo calore risulta molto difficile da dissipare poi all’esterno e quindi
può provocare localmente degli aumenti di temperatura che ovviamente non sono
desiderati. Quindi i sistemi vengono progettati con piccole dissipazioni di energia e
quindi la trattazione che si farà per la maggior parte sarà sui sistemi discreti di tipo
conservativi.
Se noi ci riferiamo ad un sistema di questo tipo ci rendiamo subito conto che essere
abbastanza complesso e che può avere vari tipi di comportamento dinamico, ad es.:
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[FIG1]
Tanto per cominciare devo stabilire che cosa stanno facendo le ruote del mio siste-
ma e allora vado a studiare in condizioni di funzionamento medio cioè immagino
che l’autoveicolo si stia muovendo lungo la direzione del suo asse longitudinale a
velocità costante e quindi in quel caso le ruote stanno ruotando a velocità costante,
questo avrà una serie di implicazioni. Però è altrettanto vero che i fenomeni dina-
mici che posso avere in un sistema di questo tipo possono essere, perlomeno, di
due tipi diversi:
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Cmq se lo voglio fare, devo definire il comportamento nei confronti delle co-
ordinate generalizzate del sistema; vuol dire che ciascun comportamento è
definito nel tempo dalla variabilità di certe coordinate generalizzate, le quali
sono quelle strettamente necessarie per definire univocamente la posizione
del mio sistema nello spazio (ovviamente sempre nei loro confronti, cioè nei
confronti della rotazione).
Questo che cosa significa?
Significa che io avrò un’inerzia in corrispondenza di ogni manovellismi,
un’inerzia in corrispondenza del volano, per il cambio possiamo immaginare 2
cose:
I. che non ci sia un’inerzia perché le mie ruote dentate hanno un mo-
mento di inerzia di massa che è di un paio di ordini di grandezza più
piccolo ad es. rispetto a quello del volano e quindi posso immaginare
che non ci sia un’inerzia al cambio.
II. così come posso immaginare che la trasmissione del moto dall’inizio
alla fine del cambio sia di tipo cinematico, ovvero non ci siano giochi e
quindi possibilità di recupero di giochi all’interno del cambio (questa è
un’ipotesi che si fa normalmente);
poi avremo quest’altra rigidità (albero di trasmissione), posso ugualmente
immaginare che la trasmissione del moto in corrispondenza del differenziale
sia di tipo cinematico (ragionamento identico a quello fatto precedentemen-
te per il cambio), avrò le rigidità di questi semiassi e, per motivi che si ve-
dranno, se l’autoveicolo si muove in rettilineo a velocità costante è come se
avessi all’estremità soltanto un unico momento di inerzia di massa che rap-
presenta quello delle due ruote (in realtà bisogna aggiungerci anche qualche
altra cosa perché in corrispondenza della rotazione della ruota c’è uno spo-
stamento di tutta la massa dell’autoveicolo, se non c’è slattamento, a questo
spostamento della massa dell’auto veicolo corrisponde un’inerzia e che quin-
di viene riportata sulle ruote).
Io quindi posso immaginare di aver un sistema di questo genere:
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FIG2
Per poterlo disegnare si è dovuto fissare le coordinate generalizzate, quali
sono le coordinate generalizzate, cioè quali sono i gradi di libertà del mio si-
stema?
L’angolo di rotazione di ciascuna manovella del sistema, l’angolo di rotazione
del volano, l’angolo di rotazione di questa inerzia corrispondente alle ruote.
Allora ho costruito un modello fisico del sistema reale che è un modello a 6
GdL necessari a stabilire la posizione nello spazio del mio sistema. Questo si-
gnifica implicitamente che io sto immaginando che anche i manovellismo sia-
no cinematici e che quindi non ci siano giochi o recuperi di giochi tra tutti gli
elementi di un manovellismo (quindi cuscinetto biella-manovella, cuscinetto
biella-spinotto, e cuscinetto spinotto-pistone e scorrimento del pistone
all’interno del cilindro); altrimenti se il sistema non fosse di tipo cinematico
non potrei proprio costruire questo tipo di sistema. È altrettanto chiaro che
una volta costruito questo modello fisico del mio sistema, che l’ho potuto co-
struire una volta stabilito quale è il tipo di comportamento che voglio studia-
re, ovvero quello torsionale. Quali sono le coordinate generalizzate, cioè le
funzioni del tempo che definiscono questo comportamento torsionale cioè la
, ,
2. Dopo di che ho potuto costruire modello fisico che naturalmente non risolve
il problema dinamico del sistema di partenza.
Perché?
Perché questo stesso sistema potrei studiarlo anche nei confronti della fles-
sione, non necessariamente solo per la torsione.
Ad oggi giorno ci sono tanti studi che tengono conto del comportamento a
flessione dei MCI, quindi per definire un comportamento di questo genere,
per lo stesso sistema di partenza io dovrei definire ovviamente diversi GdL,
ovvero diverse coordinate generalizzate diverse da quelle di prima, ad esem-
pio potrebbero essere gli spostamenti delle inerzie corrispondenti ai mano-
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FIG 3
Ogni cerchio per semplicità rappresentano una massa concentrata, natural-
mente questo sistema avrebbe dei vincoli, lateralmente degli appoggi in cor-
rispondenza dei perni di banco all’estremità del motore e gli appoggi
dell’albero che possono variare longitudinalmente.
Anche quest’ultimo sistema rappresenta un comportamento dinamico del si-
stema reale da cui sono partito ma è completamente diverso, come il suo
studio, perché può essere rappresentata da una trave con tanti appoggi (5
volte iperstatica).
Una volta discretizzato il mio sistema, scelto il comportamento che si vuole
studiare, scelte le coordinate generalizzate e disegnato il modello fisico del si-
stema per quel comportamento, mi devo creare un modello matematico che
varia a seconda dei sistemi. Quello di FIG.2 è un sistema conservativo a pa-
rametri concentrati, dove i collegamenti avvengono solo tra masse consecuti-
ve del sistema, che comporta delle implicazioni. Sistemi di questo tipo vanno
sotto il nome di sistemi ad accoppiamento elastico adiacente, questo signifi-
ca dire che ciascuna massa/inerzia del sistema è vincolata elasticamente sol-
tanto a quella che la precede e che la segue, oppure ad un punto fisso, ma
non in questo caso, mediante un vincolo elastico.
La FIG.3 oltre ad essere un sistema iperstatico è anche un sistema ad accop-
piamento elastico completo, questo significa che non ha senso definire la ri-
gidità flessionale di un tronco di albero, nè ha senso definire la matrice dei
coefficienti di rigidità; ma dovrei definire la matrice dei coefficienti di flessibi-
lità, cioè lo leggo non più in termini di rigidità del sistema (anche perché nel
caso flessionale non ha senso parlare di rigidità flessionali, come lo avevano
nel caso torsionale), ma in termini di flessibilità del sistema (anche perché
sono più facilmente calcolabili, medianti le conoscenze da scienze delle co-
struzioni).
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Quindi il modello matematico del modello fisico di FIG.2 è del tutto diverso di
quello di FIG.3; quindi una volta definito il comportamento dinamico che vo-
glio esaminare, devo poi creare il modello fisico, ma non è detto che su que-
sto modello fisico riesco ad utilizzare sempre lo stesso modello matematico.
La base dei modelli matematici è sempre quella relativa alla trattazione dei
sistemi discreti ad n GdL conservativi.
In ogni caso l’applicazione pratica di questo modello varia, naturalmente, a
seconda di quale sia il sistema che sto considerando e quindi per lo stesso si-
stema io posso avere comportamenti disgiunti per ogn’uno di loro e studiabili
medianti modelli fisici diversi che spesso anche mediante modelli matematici
diversi tra di loro.
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FIG.4
e se io ho assunto come assi di riferimento x ed y, io avrò 2 componenti:
E quindi questo significa dire, come si diceva un attimo fa, che in questo caso ab-
biamo delle azioni forzanti (che sono quelle due componenti) le quali sono di tipo
armonico.
Oltre allo sbilanciamento statico esiste anche uno sbilanciamento dinamico del di-
sco, che a seguito delle operazioni di bilanciamento c’è anche uno sbilanciamento
dinamico residuo, il quale è esprimibile mediante una coppia anch’essa rotante;
questa ha modulo:
quella A si può calcolare immaginando che ci siano due masse squilibranti, non in
posizione simmetrica rispetto all’asse di rotazione, che danno complessivamente
durante la rotazione una coppia in un piano contenente l’asse di rotazione stesso.
Questa coppia ruoterà col disco e con la stessa velocità angolare e presenterà
anch’essa due componenti lungo la verticale e lungo lasse orizzontale.
Anche qui avrò due azioni forzanti che nascono quando pongo in rotazione il siste-
ma, che non solo sono armoniche, ma sono armoniche sincrone con la velocità an-
golare cioè hanno pulsazione pari proprio alla velocità angolare.
A titolo di anticipazione dello studio del comportamento flessionale del sistema ro-
tante, la difficoltà di questo studio è la pericolosità delle velocità critiche flessionali
di un sistema rotante che consiste nel fatto che se io considero una turbina in cui ci
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sono n di questi dischi non conosco, perché è del tutto casuale, qual è la posizione
relativa di quei due vettori fra di loro né di quei due vettori relativi ad un disco con i
corrispondenti relativi agli altri dischi. Cioè la disposizione nello spazio di queste a-
zioni forzanti di tipo flessionale è di tipo “random” (casuale) e questo rende partico-
larmente pericolose le condizioni di risonanza con i moti di vibrare flessionali di un
sistema rotante (che poi queste condizioni di risonanza non sono altro che le veloci-
tà critiche flessionali del sistema); che sono tutte velocità pericolose proprio per
questa casualità della posizione relativa di queste azioni forzanti sui vari dischi che
compongono il sistema rotante.
Questo è un esempio tipico del fatto che io ho azioni forzanti di tipo armonico; la
cosa importante che ci dobbiamo ricordare a questo proposito e che spiega il per-
ché alla fine studiamo in larga prevalenza funzioni di tipo armonico, è il fatto che
quando ho un sistema semplice o complesso che sia sul quale agiscono azioni for-
zanti, qualunque tipo di comportamento dinamico di questo sistema (flessionale,
torsionale o qualunque altro sia) riproduce le azioni forzanti; cioè a dire che se le a-
zioni forzanti sono armoniche, il comportamento dinamico è armonico della stessa
pulsazione. Allora se nel nostro caso di sistemi meccanici la stregante maggioranza
delle azioni forzanti è di tipo armonico, anche i moti forzati che io devo andare a de-
terminare saranno, non solo di tipo armonico, ma anche sincroni con quelli delle a-
zioni forzanti. Questo ovviamente è un fatto di carattere generale; nel caso flessio-
nale questo che cosa vuol dire semplicemente che se io vado a studiare il compor-
tamento dinamico flessionale di un sistema rotante; per es. una turbina accoppiata
ad un compressore, un generatore di corrente, se vado a studiare il comportamento
a flessione di questo sistema, sotto l’azione forzante di queste azioni che abbiamo
definito, in ogni caso il moto flessionale del mio sistema deve essere un moto ar-
monico sincrono con la velocità angolare e questo vale non solo se sto studiando il
comportamento in regime critico del sistema (quando per intenderci ho la risonan-
za) ma a qls velocità angolare, cioè se un sistema ad es. una turbina con qls macchi-
na utilizzatrice accoppiata ad essa, ruota ad una velocità angolare assegnata, io avrò
che questo sistema compie certi tipi di moti che conosciamo già (dal modello di Jef-
fcot) sono praticamente i moti dei vari baricentri dei vari dischi e i moti degli assi dei
vari dischi intorno all’asse di rotazione; questi tipi di moti saranno cmq dei moti ar-
monici sincroni con al velocità angolare.
Allora questo fatto concettuale, cioè che qlq sia il sistema se le azioni forzanti sono
di un certo tipo, il moto del sistema è dello stesso tipo; questo non vuol dire che
deve essere per forza armonico perché se le azioni forzanti sono periodiche, io pos-
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so dire che tali azioni forzanti contengono una serie di funzioni armoniche; il moto
forzato conterrà la stessa serie di funzioni armoniche ma non nella stessa propor-
zione, cioè con ampiezze simili, né con le stesse ampiezze, né con le stesse fasi; cioè
a dire avrò lo stesso contenuto in frequenza nel moto forzato però con coefficienti
di amplificazione e fasi diversi tra di loro risp. all’azione forzante; però il contenuto
in frequenza del moto forzato riproduce esattamente il contenuto in frequenza del-
le azioni forzanti.
Questo fatto concettualmente è molto importante perché in generale se ci trovia-
mo di fronte ad un sistema già costruito che sta funzionando ad una certa velocità
angolare Ω, allora mettiamo caso che il nostro sistema stia vibrando in maniera ec-
cessiva (cioè ad es. le ampiezze di oscillazione, in corrispondenza dei cuscinetti di
supporto di uno delle macchine sono superiori a quelle prescritte dalla casa costrut-
trice della macchina). Allora andiamo a fare questa verifica è ci si accorge che il pro-
duttore della turbina che si è andati a comprare ci dice che l’ampiezza lì non può es-
sere superiore ai 5/100. Il sistema vibra, si prende un apparecchietto per la misura
delle vibrazioni (che tratteremo più avanti) si misura l’ampiezza e ci si accorge che
invece di essere di 5/100 è di 1/10 (il doppio).
Che cosa si fa?
Perché se in queste condizioni la macchina si rompe, l’eventuale garanzia della casa
costruttrice non vale più, perché non abbiamo evitato questa condizione non di
progetto prescritta, come massima, dalla casa produttrice.
Ovviamente per poter intervenire dobbiamo sapere queste vibrazioni da che cosa
sono dovute, perché non è mica detto che le uniche azioni forzanti sono quelle con-
siderata prima (ce ne possono essere delle altre).
Per esempio se stiamo considerando una turbina, potrei avere delle dissimmetrie
dei flussi del fluido motore all’interno della macchina, il caso più semplice è quello
in cui la macchina è parzializzata.
In questo caso ha una dissimmetria dei flussi che in certe condizioni può generare
delle vorticosità ed in corrispondenza di queste vorticosità, avrò delle forze che in
linea di principio potrebbero determinare un comportamento dinamico flessionale
della macchina stessa.
Questo è un tipo, un es., ma ce ne possono essere tanti altri; cioè a dire che un qls
sistema meccanico non è detto che abbia come azioni forzanti le sole cause interne,
cioè per es., in questo caso, la variabilità del momento motore (invece nel caso fles-
sionale, quelle azioni forzanti dovuti agli sbilanciamenti statici e dinamici).
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Tutto ciò perché il sistema è complesso e ci saranno una serie collegamenti, ad es.,
se io considero il collegamento dell’albero di trasmissione con questo doppio giunto
cardanico, si sa che la velocità che si trasmette e la coppia che io trasmetto da un
lato all’altro del giunto cardanico è perfettamente uguale se e solo se l’albero di in-
gresso e di uscita sono allineati; se ci fosse un angolo di rotazione io avrei una va-
riabilità periodica della velocità e della coppia agente, e questa variabilità periodica
avrebbe una frequenza di 2 volte a giro, cioè il doppio della velocità angolare.
Tornando al caso di prima, ovvero un sistema rotante che sta vibrando, bisogna ca-
pire come eliminare questo fenomeno, ma per poterlo fare, bisogna capire da che
cosa il fenomeno dipende. La prima operazione da fare è quella di andare a misura-
re la frequenza di queste vibrazioni, perché se la frequenza è la velocità angolare
oppure è un suo multiplo intero si tratta di cause interne al sistema, e in questo ca-
so, del momento motore e delle armoniche di questo.
Devo quindi andare a vedere quale armoniche provocano questa vibrazione perché
in questo caso qui mi trovo in corrispondenza di un velocità critica. Questo può si-
gnificare o che c’è stato qualche errore perché non è stato fatto questo controllo
della presenza di velocità critiche all’interno del campo di funzionamento
dell’impianto oppure è stato fatto male. Quindi la prima cosa da fare è prendere il
mio impianto e calcolarmi le mie velocità critiche.
Tutto questo se ho rilevato che il fenomeno vibratorio, pericoloso, che sto esami-
nando ha un contenuto in frequenza che è sincrono con la velocità angolare o con
un multiplo di essa.
Immaginiamo che sia una frequenza completamente diversa, questo è indicativo del
fatto che ci sarà allora qualche altra cosa, cioè che non dipende da queste azioni for-
zanti interne (in questo caso alla variabilità del momento motore o, nell’altro caso,
dalle forze e coppie rotanti che derivino dagli sbilanciamenti dei vari elementi del
sistema, ma invece dipende da qualche altra cosa).
Da che cosa?
Bisogna trovarlo..cioè per es. se stiamo esaminando una turbina devo andare a ve-
dere le varie possibilità collegate all’evoluzione del flusso del motore all’interno del-
la macchina, bisogna vedere se c’è qualche anomalia. Poi devo andare ad analizzare
la possibilità che queste eventuali vibrazioni vengano addirittura dall’esterno (non
della macchina) dell’impianto.
Cioè ad es. se io ho il mio impianto vincolato su un basamento industriale, questo
basamento industriale è gettato contro terra e si trova in una certa posizione e
quindi può capitare che le vibrazioni nell’intorno del mio sistema attraverso il terre-
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[D1]
Questo va sotto il nome di moto armonico smorzato, anche se in realtà non lo è!
Ma non solo perché questa vibrazione non è certamente periodica è ovviamente
aperiodica e quindi questa definizione non è corretta; anche perché oggi quando si
parla di funzione di tipo periodico si intende, tenuto conto delle applicazioni che
vedremo degli strumenti (in particolare degli analizzatori modali dei sistemi), non
necessariamente una funzione che sia effettivamente periodica e che cioè si ripete
sempre e uguale a se stessa dopo un intervallo di tempo che è proprio quello defini-
to proprio come periodo.
Non necessariamente si intende questo ma in poche parole significa dire che se io
ho una certa durata di un fenomeno, il quale finisce in un certo istante, niente mi
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impedisce di considerare questo fenomeno come periodico con periodo pari pro-
prio alla durata del fenomeno. Si vede che ovviamente anche questo è
un’estrapolazione perché in realtà quello non è un fenomeno periodico, perché do-
po quell’intervallo di tempo non ricomincia da capo ma finisce.
Però per ragioni di carattere “numerico”, ovvero di possibilità di soluzione del moto
di un sistema, quando io c’ho delle azioni forzanti del sistema normalmente si fa co-
sì.
Al di là della definizione di vibrazione, noi considereremo quasi ed esclusivamente
azioni forzanti e di conseguenza moti del sistema di tipo armonico, questo perché in
tutti i sistemi meccanici se le azioni forzanti sono (quello visto precedentemente) di
per sé armoniche con pulsazione pari alla velocità angolare, nel caso torsionale (al-
tro caso) io avrò delle azioni che sono effettivamente di tipo periodico ma che però
io posso considerare come somma di un certo numero di funzioni armoniche, la cui
pulsazioni è pari o alla velocità angolare oppure ad un multiplo di essa.
Dico che normalmente (anche sempre) è così, nel caso dei sistemi torsionali, perché
per questi sistemi cioè per le macchine motrici a regime periodico, per motori al-
ternativi così come per i compressori alternativi, l’andamento del momento motore
ovvero del momento resistente rispetta certe condizioni di sviluppabilità in serie di
Fourier.
Quindi io posso affermare che praticamente sempre al posto del momento motore
che ad es. agiste sul cilindro n° 1 posso considerare la somma ad es. delle prime 10
armoniche di questo momento motore che avrà pulsazione pari alla velocità angola-
re, al doppio della velocità angolare, al triplo della velocità angolare e così via.
Allora siccome abbiamo detto che il contenuto del moto forzato del sistema, in fre-
quenza, deve essere lo stesso contenuto in frequenza delle azioni forzanti. Siccome
io ho un motore a z cilindri, come generalmente succede, su ciascuno dei quali agi-
sce praticamente lo stesso momento motore periodico, allora io posso considerare
che sul cilindro 1 ci stanno queste 10 armoniche con pulsazione Ω, 2Ω, 3Ω e così via;
poi sul cilindro 2 la stessa cosa e così di seguito.
Naturalmente è chiaro che questi momenti motori e le corrispondenti armoniche,
corrispondenti ai vari cilindri, non saranno in fase tra di loro ma saranno sfasate di
un certo angolo.
Però quello che si può dire è: se io posso calcolare il moto forzato sovrapponendo
gli effetti, cosa che noi generalmente immaginiamo sempre di poter fare, perché ci
immaginiamo sempre, per quanto riguarda la deformazione delle parti deformabili
del sistema nel campo dell’elasticità lineare. Se si immagina di poter fare questo, io
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Una funzione di tipo armonico è definita dalla sua ampiezza, dalla pulsazione di
questa funzione e dalla fase; cioè sarà del tipo:
[D2]
In cui la quantità vista in figura è . Questo è il senso diciamo di quell’angolo di
fase che compare.
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Che cosa si vede subito, che naturalmente il valore di questo angolo dipende da
quello che io scelgo come istante iniziale t=0. Perché se io come istante iniziale sce-
gliessi uno diverso, avrò ovviamente . Quindi questo vuol dire che in una fun-
zione armonica, singola, non ha importanza qual è angolo di fase perché l’angolo di
fase dipende soltanto dall’origine dei tempi che io scelgo per leggere, per studiare,
per registrare la funzione armonica che sto considerando e che quindi non ha
un’importanza assoluta. Diverso è il caso se io considero 2 funzioni armoniche le
quali siano fisicamente collegate tra di loro, per esempio, tipicamente se io conside-
ro un sistema ad 1GdL con dissipazione di energia e che tale dissipazione di energia
sia di tipo viscoso e cioè che la reazione dovuta alla dissipazione di energia sia quel-
la cerchiata:
[Fig.5]
In questo caso risulta costante, allora sappiamo che se andiamo a scrivere la x(t)
per un sistema di questo tipo, immaginando che ci sia azione forzante del tipo:
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[D3]
Se questa è la p, il moto del sistema sarà in ritardo, per via della dissipazione di e-
nergia. Quindi la X avrà un andamento del tipo visto in figura; cioè, per quanto det-
to prima sarà cmq sincrono rispetto alla causa forzante perché il periodo e quindi la
pulsazione di x e di F è lo stesso; ma avrò un ritardo di fase e quindi avrò che la x sa-
rà uguale ad
[D3 mod.]
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Con .
Se io vado a fare il diagramma di queste due funzioni;
che cosa trovo?
Che in un certo istante le due funzioni risulteranno sfasate di un certo angolo, ma in
un altro istante risulteranno sfasate di un angolo diverso. Quindi parlare di angolo
di fase relativo tra funzioni che non abbiamo la stessa pulsazione è una cosa priva di
senso, cioè non ha senso, perché questo angolo di fase relativo non è più una co-
stante ma invece è una funzione del tempo.
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DSM 2° lezione – prima parte 21-10-2010
Prendendo in esame il caso precedente, cioè quello del moto di un sistema dissipa-
tivo, in cui la dissipazione sia di tipo viscoso. Io so che il moto di questo sistema è in
ritardo rispetto alla causa che lo ha generato; la causa è sincrona ed anche questa io
la posso andare a rappresentare mediante un vettore rotante, di questo tipo:
[FIG.6]
il cui modulo sia la F che ruota con velocità angolare ω e nel quale quest’angolo,
cioè il ritardo di fase rispetto ad X, è quello che abbiamo indicato con φ.
Siccome questi due vettori rotanti ruotano con al stessa velocità angolare Ω,
l’angolo di fase relativo rimane sempre lo stesso. Anche qui se mi voglio riportare a
quella espressione che ho scritto, cioè , basta che io inizi a misura-
re i tempi da quando la sta situata sull’asse delle ascisse. Se comincio a misurare
i tempi da quell’istante avrò proprio quelle due espressioni:
Altrimenti io avrei:
Però la differenza di fase rimane sempre la stessa. Se io invece due funzioni armoni-
che di pulsazioni diverse, ogni vettore avrà una velocità angolare diversa, rispetti-
vamente , la loro posizione relativa cambia nel tempo e quindi l’angolo di fa-
se relativo cambia nel tempo e quindi la fase non ha più nessun significato di carat-
tere fisico.
La rappresentazione vettoriale è una cosa di grande utilità pratica. In particolare
questo modo di rappresentare lo vedremo quando studieremo il moto forzato dei
sistemi torsionali; perché, come detto prima, si può considerare agenti sugli z ma-
novellismi della mia macchina motrice, z armoniche di ordine 1 e quindi sincrone
con la velocità.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
21
DSM 2° lezione – prima parte 21-10-2010
Allora naturalmente queste armoniche avranno tra di loro una certa fase e siccome
sono tutte sincrone tra di loro e con ω, avrò una particolare disposizione relativa
nello spazio di queste z armoniche che mi consentirà di capire come sono disposte
queste armoniche le une rispetto alle altre e quindi che tipo di moto forzato posso-
no effettivamente definire. Questo verrà fatto per le armoniche di ordine 1, di ordi-
ne 2 e così via.
Questa rappresentazione vettoriale delle z armoniche dello stesso ordine del mo-
mento motore per gli z manovellismi, questa rappresentazione vettoriale va sotto il
nome di diagramma di fase delle armoniche.
Perché in questo diagramma si vedono questi effettivi vettori rotanti nella loro ef-
fettiva posizione relativa delle corrispondenti funzioni armoniche. Si può facilmente
vedere che questi diagrammi di fase delle armoniche del momento motore di un
motore pluricilindrico, possono essere di due tipo:
1. a stella
2. con tutti i vettori sovrapposti
1. quando sn a stella significa che la somma di tutte le armoniche, all’interno
del motore, è pari a zero, questo non significa che non possono restare oscil-
lazioni torsionali, però se io considero il motore infinitamente rigido all’uscita
del motore, cioè del momento motore risultante, siccome la somma di que-
ste armoniche a stella è nulla, quelle armoniche non le trovo nel momento
motore risultante.
2. Oppure possono essere disposte tutte sovrapposte fra di loro. Nel qual caso,
con lo stesso ragionamento, all’uscita del motore (che è quello che riguarda
quell’armonica) io troverò un valore che è z volte di quello di una sola armo-
nica (perché sono tutte quante sovrapposte).
Le prime si chiamano armoniche secondarie, nel senso che non le trovo nel momen-
to motore risultante; le seconde si chiamano armoniche principali, nel senso che so-
no le uniche che trovo nel momento motore risultante.
Tutto questo si vede in maniera fisicamente molto evidente proprio andando a co-
struire questo diagramma di fase, cioè la rappresentazione vettoriale che abbiamo
appena visto di queste funzioni armoniche.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
22
DSM 2° lezione – prima parte 21-10-2010
nica. Perché io praticamente so che un vettore “a” può essere considerato come un
numero complesso.
[FIG.7]
Intendendolo che una delle due componenti di questo vettore è la parte reale del
numero complesso, l’altra parte è quella immaginaria.
Se una funzione armonica è rappresentabile mediante un vettore rotante, anche la
stessa funzione risulta essere rappresentabile mediate un numero complesso; in
particolare la funzione armonica e il numero complesso possono essere facilmente
collegati tra di loro mediante le cosiddette formule di Eulero:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
(9)
immaginiamo che la σ sia costante e che lo smorzamento sia di tipo viscoso e cioè
che quella forza che ho del sistema in corrispondenza della dissipazione di energia,
questa forza di reazione sia una forza di direzione proporzionale secondo il
coefficiente costante alla derivata prima dello spostamento e cioè alla velocità.
Il problema è come tener conto di tale dissipazione di energia sia per sistemi ad 1
gdl che molti gdl,e allora se volessimo scrivere la EQ.9 in modo corretto, dovremmo
sostituire a σ il volore :
(10) σ(x, )
che rappresenta la relazione corretta per tener conto della dissipazione di energia
perché il coefficiente di smorzamento non è costante ma dipende da x e , ed
inoltre la forza di direzione non è proporzionale alla velocità ma una certa potenza
della velocità valore compreso tra 1,8 e 1,2.
nel caso di sistemi ad n gdl per tener conto della dissipazione di energia bisogna
riscrivere la matrice σ così:
(11) [σ]=A[m]+B[k]
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
Questo spiega dal punto di vista fisico per quale ragione nel caso in cui si voglia
tenere conto in un sistema più complesso a molti gdl anche della dissipazione di
energia e quindi di un sistema non conservativo, in questo caso molto spesso viene
utilizzato una formulazione detta smorzamento proporzionale per quello che
riguarda la matrice del coefficiente di smorzamento del mio sistema.
(13) m +kx=0
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
25
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
se P fosse una massa estesa avrei anche una rotazione, perché per avere 1 gdl devo
avere una inerzia rispetto a quel grado di libertà e allora se la massa la considero
uniforme essa rispetto alla rotazione non ha inerzia e quindi il 3° gdl non ci sarebbe.
avrà un valore che sarà proprio il rapporto tra la forza peso P e la rigidità del
sistema k.
Ciò non è sempre vero, infatti, se consideriamo un sistema costituito da due masse
e che sono libere di scorrere su di un piano orizzontale senza attrito collegate
fra di loro con una molla di rigidità k con estremi liberi, questo sistema a 3 gdl
presenta una posizione iniziale di equilibrio indifferente, analogamente una ruota
libera di ruotare senza attrito su una superficie piatta a sezione circolare presenta
una posizione iniziale di equilibrio instabile.
Fig 9 fig 10
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
26
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
iniziale cioè della posizione dalla quale inizio a misurare le coordinate generalizzate
del nostro sistema.
(14) x(t)= +
la (14) può essere sostituita con funzioni di tipo trigonometrico del tipo :
(15) x(t)= +
(16) x(t)=
dove: C ; ;
In un sistema ad n gdl possiamo definire una matrice n che rappresenta le inerzie del
sistema e una matrice k che contiene le rigidità del mio sistema.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
27
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
Quello che non possiamo dire è che la matrice degli [ ; non è possibile
perché la matrice k contiene i coefficienti di rigidità del sistema che sono delle
combinazioni delle rigidità, mentre la k e la m devono essere pesate rispetto alla
deformata del sistema di quel modo di vibrare.
Tornando alla (16) abbiamo da definire due costanti d’integrazione che una è la (C e
Ψ),l’altra è la ( ). In ogni caso per determinare l’effettivo moto del sistema
e cioè per determinare le costanti di integrazione le quali sono indeterminate
dall’equazione del moto,dobbiamo fissare le condizioni iniziali che sono:
(18)
(19)
dove: ; ;
in questo modo ci siamo ricavati il moto del mio sistema assegnate le condizioni
iniziali e cioè imposto al mio sistema una opportuna perturbazione.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
28
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
DIAG.4
FIG:10
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
29
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
(19)
(20) ; ;
= momento d’inerzia di aria della sezione retta dell’albero rispetto alla faccia
dell’asse neutro a torsione che rappresenta l’asse dell’albero;
l = lunghezza dell’albero;
Y = inerzia ;
Quando studiamo i sistemi ad n gdl, studiamo il modello fisico più semplice che
possiamo definire per un sistema reale ad n gdl. Per questo modello più semplice
facciamo la formulazione del comportamento dinamico del sistema in termini di
matrici dopodiché troviamo la soluzione mediante algoritmi del calcolo matriciale.
Questa soluzione vale per qualunque sistema ad n gdl e quindi la soluzione basta
farla per il modello più semplice,poi per tutti i modelli reali che si possono
ricondurre a sistemi discreti ad n gdl applichiamo direttamente le soluzioni trovate,
naturalmente andando a mettere al posto del vettore di stato l’effettivo vettore di
stato del mio sistema, al posto delle matrici d’inerzie *m+ la effettiva matrice di
inerzie del mio sistema e al posto della matrice [k] quella delle effettive rigidità o
flessibilità, che è lo stesso, presenti sul mio sistema.
FIG.11
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
30
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
Se consideriamo una barretta priva di massa, con una massa m all’estremità; questo
sarebbe un sistema di tipo flessionale,e per piccole oscillazioni posso immaginare
che x(t) ortogonale all’asse sia la mia c.g., la difficoltà di questo sistema si racchiude
nel calcolare K rigidità flessionale.
Fig. 12
(21)
La rigidità è stata ottenuta imponendo al sistema una variazione unitaria della c.g.
cioè impongo s=1, ottenendo la forza di richiamo k pari:
(22)
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
31
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
All’interno della condotta scorrerà un liquido con una certa velocità, e non è detto
che la velocità e la pressione di quel liquido all’interno della condotta siano costanti,
infatti se ho una pressione variabile periodicamente può succedere che tale
variazione contenga una componente armonica che ha una pulsazione proprio pari
ad , in questo caso il liquido va in risonanza e non si misura più nulla all’interno
della condotta. Quindi per calcolare la del mio tubo manometrico devo avere
un’idea di eventuali variazioni periodiche della pressione che devo andare a
misurare nella condotta, perché devo fare in modo che questa sia molto diversa
dai contenuti in frequenza della pressione che devo andare a misurare altrimenti ho
una lettura falsata.
FIG 13
Nel primo caso fig.13 è un sistema ad 1 gdl una volta che ho definito l’angolo Ө
posso determinare la posizione. Se abbiamo un susseguirsi di pendoli avremo un
sistema ad n gdl questo sistema potrebbe rappresentare un cavo. Questo può
essere immaginato come un sistema di cavi collegati mediante cerniere, che però
deve presentare logicamente una rigidità laterale piccola, in cui la massa è quella del
pezzetto di cavo che sto considerando e poi c’è questo collegamento mediante
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
(23)
(23’)
Dove :
FIG 14
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
33
DSM 2° lezione – seconda parte 21-10-2010
(24)
Nel primo caso perché K=0 e quindi fisicamente significa che il periodo
Nella fig.13 la k fa riferimento ,quando non c’è la molla, alla posizione iniziale di
equilibrio stabile, perché se si perturba il sistema, esso in qualche modo torna alla
posizione iniziale e questo avviene solo nel caso di equilibrio stabile in seguito alla
nascita di coppie o forze di richiamo. Questo è un concetto importantissimo per
sistemi ad n gdl.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 3° lezione 22-10-2010
ω1 = ω = 2π/T
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 3° lezione 22-10-2010
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DSM 3° lezione 22-10-2010
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DSM 3° lezione 22-10-2010
Fig 1
mẍ + ϭẋ + kx = 0
mλ2 + ϭλ + k = 0
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 3° lezione 22-10-2010
Quindi, si tratta di andare a vedere che tipo di soluzione ottengo dal moto libero del
sistema a seconda del fatto che per esempio quella radice sia un numero positivo o
un numero immaginario.
Questo conduce alla definizione del così detto smorzamento critico:
ϭc = 2 √km
ϭ ≥ ϭc
il moto del sistema è un moto aperiodico e si vede che a seconda del verso della x0 e
della v0 una volta perturbato il sistema, questo, come sempre, ritorna verso la
posizione iniziale ma può superarla al più una sola volta.
Nel caso in cui:
ϭ < ϭc
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
39
DSM 3° lezione 22-10-2010
Dove ωs è legata alla ωn , cioè questa volta la pulsazione naturale del sistema non è
‘quella vera’ (ωn), ma è ωs. Questo va sotto il nome di moto armonico smorzato, e in
particolare se io vado a perturbare il sistema avrò un andamento di questo tipo:
La pendenza di questa curva dipende dal valore dello smorzamento, il valore 2π/ωs
non rappresenta il periodo della funzione, perché la funzione ha un ampiezza che
decresce con il tempo, quindi la funzione non è periodica, però, siccome questi
intervalli di intersezione sono sempre uguali in qualche misura la si può considerare
come una funzione quasi periodica.
Questo moto armonico smorzato può avere una certa rilevanza tecnica perché se io
ho un sistema reale normalmente io riesco a determinare i parametri del sistema ,
cioè l’inerzia o la rigidità dei vari elementi del sistema, quello che è molto difficile da
determinare, è lo smorzamento, in particolare il coefficiente di smorzamento. Allora
si può far vedere che se vado a tracciare per il sistema una curva di questo tipo, dai
valori che leggo, in funzione del tempo, posso proprio risalire, conoscendo m e k, al
valore dell’effettivo smorzamento del sistema.
Immaginiamo per esempio di avere una massa m che si muove all’interno di un
liquido:
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40
DSM 3° lezione 22-10-2010
fig 2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
41
DSM 3° lezione 22-10-2010
comportamento di tutti i punti del mio sistema, se questo lo faccio per una serie di
volte, posso, in fine, determinare sperimentalmente i modi di vibrare del sistema.
Naturalmente nel fare tale operazione lo smorzamento c’è ed è quello effettivo,
quindi non devo andarlo a calcolare prima.
Consideriamo il sistema massa-molla e vediamo cosa succede se su esso agisce
un’azione forzante, come abbiamo più volte ripetuto noi considereremo un’ azione
forzante di tipo armonico:
Fig 3
xl(t) è il moto libero di assegnate condizioni iniziali, però, noi sappiamo che anche se
stiamo considerando nulla la dissipazione di energia che :
È chiaro che quello che ci interessa è solo la componente forzata dopo che si è
estinta l’eventuale componente libera del moto del mio sistema, la componente
forzata è in sostanza un integrale particolare dell’equazione differenziale del moto,
componente che sarà dello stessa forma di quello che va sotto il nome di termine
noto F(t), che poi purtroppo, molto spesso noto non è.
mẍ + kx = F(t)
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 3° lezione 22-10-2010
Con:
12 13 14
xst: spostamento che la massa assume sotto l’azione, con ẋ = 0, di una forza pari a F0
43
DSM 3° lezione 22-10-2010
il prodotto xstA è maggiore di zero, cioè il moto del sistema è in fase con l’azione
forzante; quando invece la pulsazione della forzante è maggiore della ωn questo
moto si sposta in controfase con l’azione forzante. Tale fatto è interessante
tecnicamente perché, se immaginiamo di avere un sistema ad 1 g.d.l. e
immaginiamo di porlo sotto una vibrodina, cioè su una tavola vibrante nella quale
possiamo variare, micrometricamente, la pulsazione della vibrazione della tavola,
noi ci accorgiamo che la ω = ωn
sia dal fatto che l’ampiezza dell’oscillazione diventa elevata perchè il sistema va in
risonanza e sia dal fatto che il moto della massa comincia a diventare in controfase
con il moto della tavola vibrante e in quest’istante vuol dire che abbiamo superato
con la ω il valore di ωn. Ci sono casi reali in cui è possibile andare ad individuare il
valore delle pulsazioni naturali proprio in questo modo.
Il discorso della xst non è un fatto caratteristico dei sistemi ad 1 g.d.l. , io posso
anche immaginare di avere un sistema costituito da tante masse e tante molle:
Fig4
Anche per questo sistema posso stabilire un xst, naturalmente avrò un xst
corrispondente a ciascuna massa, perché su ciascuna massa agirà un F1, F2,….Fn ,
quindi io posso pensare di applicare staticamente, per esempio su m1 un valore F1,
naturalmente questo mi cambia la posizione di tutte le altre masse del sistema,
quindi esisteranno degli xst di tutte le masse del sistema corrispondenti
all’applicazione di una forza statica sulla massa m1 e analogamente per le altre.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
44
DSM 4° lezione 27-10-2010
Moto forzato di un sistema con dissipazione di energia che sia di tipo viscoso
Se un sistema che si trova inizialmente in posizione di equilibrio stabile che esso sia
un sistema ad 1gdl o n gdl, se questo sistema è soggetto a certi tipi di azioni forzanti,
il moto forzato deve riprodurre queste azioni forzanti. Questo significa dire non
riprodurre necessariamente con le stesse amplificazioni delle azioni forzanti,ne con
le stesse fasi che hanno tra di loro le azioni forzanti, questo vale sia per sistemi
dissipativi che per sistemi complessi non dissipativi di tipo conservativo. Cioè a dire
quello che viene prodotto nel moto forzato del sistema sono le frequenze delle
azioni forzanti, però queste azioni forzanti vengono riprodotte con ampiezze relative
diverse dalle ampiezze relative delle azioni forzanti e con fasi relative che sono
diverse dalle fasi relative delle azioni forzanti.
45
DSM 4° lezione 27-10-2010
all’interno del cilindro,l’olio trafila dalla camera all’altra da quelle delle due camere
in cui lo stesso pistoncino divide il cilindro, durante tale passaggio si può ritenere
che la reazione opposta a questo smorzatore sia proporzionale alla prima potenza
della velocità. Naturalmente questo coefficiente di proporzionalità lo stiamo
considerando costante, nella realtà questo non è costante perché sicuramente
dipenderà dalla temperatura dell’olio e dalla sua viscosità che è anch’essa in
funzione della temperatura.
Per questo sistema ,con assegnate condizioni iniziali abbiamo determinato il moto
libero, adesso immaginiamo che sullo stesso sistema agisca un’azione forzante F(t)
di tipo armonico ( ) , per queste ragioni il comportamento del
sistema con queste condizioni di moto forzato conterrà due componenti di
moto,una immediata eventualmente alla perturbazione iniziale che si estinguerà in
un tempo sufficientemente lungo detto transitorio iniziale quindi possiamo non
considerarlo e per t che tende all’infinito è costituito dal solo moto forzato ,
l’equazione del moto sarà:
EQ.1
EQ.2
Ovviamente in questo caso avremmo dovuto farlo anche nel caso del moto forzato
privo di smorzamento,se l’avessimo fatto,cioè se avessimo voluto calcolare sia la X
l’ampiezza del moto forzato sia la ritardo di fase,ci saremmo accorti che la nel
caso di sistema conservativo sarebbe stata uguale a 0 o a . Questo significa dire
che prima della risonanza,cioè per avrei avuto quindi moto in fase
con l’azione forzante mentre per avremmo avuto quindi un ritardo
di fase del moto forzato rispetto alla causa che l’ha generato proprio uguale a 180°.
46
DSM 4° lezione 27-10-2010
Se avessimo preso il modulo avremmo visto che c’era l’angolo di fase che era
uguale , in questo caso conviene tenere conto dell’impostazione della x(t) della
possibilità che esista un angolo di fase tra moto forzato e azione forzante, e quindi
per determinare questo integrale particolare dovremmo andare a sostituire questa
espressione nell’equazione differenziale del moto ottenendo un’equazione
trascendente dall’equazione differenziale perché compaiono i valori in seno e
coseno degli angoli, dopodiché, visto che deve essere verificata per ogni (t) bisogna
andare a verificare questa condizione per t=0 e ( ) in modo che questa
quantità è uguale a 0,otteniamo due equazioni algebriche dalle quali ci ricaviamo le
due costanti di questo integrale particolare e cioè la .
sarà uguale a quello per il sistema conservativo, per ovvia ragione se noi
applichiamo staticamente al nostro sistema un’azione forzante , cioè che cresce
molto lentamente dal valore 0 a , la σ del sistema non darà alcuna reazione e
quindi lo spostamento statico che noi otteniamo alla fine è lo stesso del caso di un
sistema conservativo,quindi il coefficiente di amplificazione sarà:
dal punto di vista fisico significa dire di quanto il moto forzato è più grande rispetto
allo spostamento che avrei applicando staticamente la forza, la che compare in
quest’ultima formula non è la pulsazione naturale del sistema, ma bensì la
pulsazione naturale del sistema senza lo smorzamento σ. Infatti in realtà essa
sarebbe una funzione della ed è la e si può considerare come pulsazione del
moto armonico smorzato che ha un periodo pari a .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 4° lezione 27-10-2010
si può far vedere un particolare che servirà allo studio di certi particolari sensori per
il rilievo di vibrazioni che sono i sensori di tipo accelerometrico,e cioè il fatto che
esiste un valore di (questo valore supera del 70% quello dello smorzamento
critico questo significa che in un oggetto reale noi non troveremo mai una
dissipazione di questa entità che può essere 1-2% di quello dello smorzamento) tale
che la tangente alla curva cioè il massimo valore di A si ottiene proprio in
corrispondenza dell’origine.
48
DSM 4° lezione 27-10-2010
moto forzato non molto diversi da quelli che avrei se tenessi conto della dissipazione
di energia.
Diagrammiamo il ritardo di fase del moto forzato rispetto alla causa forzante in
funzione di :
diagramma Ψ
49
DSM 4° lezione 27-10-2010
50
DSM 4° lezione 27-10-2010
dotato di un moto (t)(fig.3) o il caso in cui vado ad imporre lo stesso moto sia
all’estremità della molla k, sia all’altra estremità dello smorzatore σ (fig.4), cioè
come se avessi il sistema chiuso all’interno di una carcassa rigida.
51
DSM 4° lezione 27-10-2010
EQ.3
Dopo di chè la sia sempre una funzione armonica del tipo questo
significa scrivere:
EQ.4
; ;
EQ.5
EQ.5’
EQ.6
52
DSM 4° lezione 27-10-2010
In fine l’ultimo caso interessante è quello in cui immaginiamo di avere una massa m
all’interno della quale ci sia una coppia di ruote dentate, collegate tra di loro, che
ruotano ad una certa velocità angolare . Immaginiamo che in posizioni
simmetriche , su queste ruote dentate ci siano due masse eccentriche
come in fig. 5
Che cosa succede? Il sistema sta ruotando e questo significa dire che nasceranno
delle forze centrifughe che naturalmente ruoteranno alla velocità angolare
. ora se consideriamo le loro componenti, si nota che le due componenti
orizzontali danno risultante nulla istante per istante mentre le due componenti
verticali si sommano e queste valgono :
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DSM 4° lezione 27-10-2010
EQ .7
Dal punto di vista fisico si potrebbe immaginare che a seconda della posizione
angolare di quelle masse vado a spostare istante per istante la posizione del
baricentro della massa m e quindi è come se impongo il moto mediante lo
spostamento del baricentro della massa m.
Quindi questo sistema lo si può vedere in due modi diversi cioè o ancora una forza
armonica applicata ad una nostra massa m, oppure imporre un moto al baricentro
della massa m; naturalmente in entrambe i casi le relazioni che si applicano sono
esattamente le stesse come lo sono i risultati.
Questo schema ha un interesse tecnico perché su tale schema sono basate alcune
apparecchiature dette Vibrodine, che sono dei tavoli vibranti nei quali il piano di tale
tavolo viene fatto vibrare con un ampiezza e frequenza variabili a piacere.
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DSM 4° lezione 27-10-2010
Il problema è che questi due comportamenti proprio per il fatto che la paletta è
svergolata non sono separati fra di loro, quindi qualsiasi modo di vibrare di una
paletta di turbina vedrà accoppiati sia la flessione che la torsione.
Esso dipende dal fatto che in virtù dello svergolamento ed il profilo della sezione
della paletta, il centro di taglio per ogni sezione non coincide con il baricentro. Di
modo che ho una forza d’inerzia applicata nel baricentro,dopo di che siccome il
centro di taglio non coincide con il baricentro, naturalmente ho anche una rotazione
della sezione rispetto a quella precedente. E questo è quello che genera
l’accoppiamento di questi due fenomeni.
Quando si studiano gli strumenti per la vibrazione ci si accorge che essi si possono
ricondurre a sistemi ad 1 gdl, infatti iniziamo col considerare uno dei sistemi più
semplici e andiamo a considerare il sistema in fig.6 dove tale sensore meccanico
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 4° lezione 27-10-2010
Come si utilizza?
Si poggia il sensore sull’oggetto che sta vibrando si sposta lentamente con il cursore
la lamina fino a quando non si vedono forte ampiezze di oscillazione sulla lamina
stessa,in quelle condizioni la frequenza del moto che dobbiamo misurare coincide
con(+ o -) quella propria della lamina che noi leggeremo sulla scala graduata.
I sensori successivi furono quelle a lamelle multiple e cioè degli oggetti costruiti
esattamente nello stesso modo con la differenza che non c’era il cursore scorrevole.
Però all’interno, incastrati alla cassa c’erano una serie di lamelle e a ciascuna di esse
corrispondeva una frequenza propria di oscillazione flessionale,quindi si poggiava il
sensore sull’oggetto che vibrava e si leggeva il valore di quella che presentava
un’ampiezza di oscillazione maggiore la quale rappresentava proprio alla frequenza
del corpo vibrante.
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
Presenta il tasto sonda che va a poggiare sul corpo che vibra, il tasto sonda è
contenuto all’interno di una cassa, ed è tenuto, all’interno della cassa, da una molla,
all’estremità presenta una leva (con coefficiente di amplificazione circa pari a 10)
con una punta scrivente che può scrivere su un rullo che si muove ad una velocità ω
che può essere stabilita dall’operatore. La punta traccia una curva che è
proporzionale, con un coefficiente circa 10, al moto della sonda. Risultano evidenti
due cose: la prima è che per poterlo far funzionare io devo avere un punto fisso a cui
vincolare la cassa, la seconda è il modo in cui la punta segna sulla carta del rotolo il
tracciato (sistema molto particolare perché veniva utilizzata una carta cerata per cui
quando la punta si muoveva rimuoveva la cera e riportava il tracciati); su questo
apparecchio c’era un'altra punta tracciante che era comandata dal cronometro,
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
oppure mediante una pila, da un contatto che l’operatore dava in modo che la punta
si alzava e si abbassava. Il collegamento ad orologeria che fa ruotare a velocità
costante il rullo faceva sì che la punta desse un impulso ogni secondo e quindi sul
rotolo svolto
La punta tracciava il diagramma in rosso, in modo da avere una base dei tempi del
tracciato dell’altra punta; mediante l’interruttore della pila, poi, potevo dare un
segnale specifico che era detto marca eventi, cioè se io stavo misurando qualche
cosa in moto, se rilevavo una cosa particolare, cioè per esempio in un certo istante si
apre una valvola allora io me ne accorgo , do un marca eventi, per vedere se sul
segnale che sto registrando che cosa succede nell’istante in cui si è aperta la valvola;
quindi sul rotolo potevo poi avere segnali come quelli a “triangoli in figura”. Se noi
immaginiamo di collegare il corpo al sistema che sta vibrando sul rotolo rileviamo il
moto del sistema riportato in nero, da questo tracciato posso misurare la doppia
ampiezza del moto e il periodo. I problemi sono due: il primo, già detto in
precedenza: immaginando che il tasto sonda sia vincolato rigidamente al corpo che
sta vibrando, e come faccio a sapere se è vincolato rigidamente? Non deve saltellare
durante la vibrazione del corpo, allora c’è la molla di posizione regolabile, e deve
essere regolata, quando vado a fare la misura, in modo tale che la tensione di essa
sia superiore alla forza d’inerzia che può nascere all’interno della sonda, in modo da
non avere il saltellamento della sonda. Se saltella si vede subito perché il tracciato
sarà ‘sporco’, e posso variare la tensione della molla; il secondo problema, che è
quello fondamentale, è quello del punto fisso, essendo un apparecchio molto
piccolo non c’era punto fisso, quindi si vincolava tenendolo in mano, la cosa
funzionava perché si vedeva un diverso tracciato(vedi sopra), la frequenza del corpo
umano è una bassa frequenza quindi noi vedevamo limpidamente la frequenza della
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58
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
nostra vibrazione (frequenze del corpo umano circa 1 hertz, frequenze ricercate
circa 100 hertz).
L’errore che un apparecchio del genere può dare è fondamentalmente collegato al
fatto che quando noi vogliamo un tasto sonda pressato contro il sistema che sta
vibrando e come se aggiungessimo in quel punto del sistema una massa e una forza,
o se preferiamo una rigidità, che è la rigidità della molla che tiene compresso il tasto
sonda, cioè noi introduciamo un errore, allora noi utilizziamo tale apparecchio per
sistemi di grosse dimensioni in cui la massa complessiva del sistema è dell’ordine di
molte tonnellate e quindi l’aver aggiunto una piccola massa o una rigidità non
cambia il comportamento dinamico del sistema.
Un’altra cosa evidente è che, quando noi abbiamo un fenomeno di alta frequenza
può capitare che esso vado in risonanza con l’oscillazione dell’asta, con l’oscillazione
della sonda ecc…, in genere con questo strumento non si riescono a superare le 300
- 400 hertz.
Per tutte queste ragioni fu messo appunto un altro tipo di VIBROMETRO sempre a
tasto sonda, questa volta era di TIPO ELETTROMECCANICO:
La differenza è che sul tasto sonda c’è un avvolgimento che si muove all’interno di
un toro di materiale magnetico, di modo che quando il sistema oscilla
l’avvolgimento diventa sede di ‘E cos (ωt), qui già cominciamo a parlare di SENSORE
VIBROMETRO perché poi il segnale che io ottengo, che non è più proporzionale allo
spostamento ma alla velocità, lo invio ad un registratore o ad un lettore o lo vado a
memorizzare e, quindi lo devo successivamente elaborare; per esempio posso
integrarlo così da ottenere l’andamento della x(t) o derivare ottenendo
l’accelerazione del corpo. Le masse, e di conseguenza le rigidità, sono molto più
piccole e quindi questo sensore può andare a frequenze molto più elevate di quello
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
59
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
Ancora più piccolo del precedente, questa volta è il tasto sonda ad essere di
materiale magnetico e , tale tasto sonda, costituisce il nucleo di un trasformatore
differenziale nel quale i due secondari sono posti in opposizione di fase l’uno
rispetto all’altro di modo che il segnale che esce dall’apparecchio rappresenta la
differenza dei potenziali che mi danno il primo e il secondo avvolgimento,
ovviamente uguali, del secondario del trasformatore; il primario del trasformatore è
alimentato con una certa E0 cos (ωt).
Il forte sviluppo che si è avuto di questa ‘sensoristica’ nel caso delle vibrazioni è
legato invenzione dei VIBROMETRI SISMICI, cioè di sensori per la misura delle
vibrazioni in cui la cassa dell’apparecchio non ha bisogno di un punto fisso ma viene
vincolata rigidamente al corpo che sta vibrando. Un sensore di questo tipo che può
essere considerato come un accelerometro oppure un vibrometro può essere
schematizzato con uno dei sistemi a due g.d.l
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60
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
1
Se voglio utilizzare questo sistema come un sensore di rilievo quello che mi interessa
determinare in funzione di xc(t), che è il moto che io impongo alla cassa, è il moto
relativo. Siccome:
2
Io posso scrivere:
3
Da cui mi ricavo:
4
Se pongo:
5
In fine ho:
6
2
Dove mω Xc è l’ampiezza della forzante.
Quindi, considerando come incognita del problema il moto relativo otteniamo la
stessa identica equazione vista più volte ed in particolare avrò:
7
Con:
Non parliamo per il momento di ϕ che rappresenta il ritardo della lettura rispetto a
chi l’ha generata, ma vediamo quando vale Xr alla fine:
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61
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
8
In realtà, questo stesso apparecchio per questa stessa configurazione può essere
utilizzata come vibrometro se la lettura che io faccio, cioè la xr, coincide proprio con
il moto che voglio misurare, cioè con xc. Se vado a rappresentare il valore Xr / Xc
9
Questo vuol dire che la pulsazione del moto che voglio andare a misurare deve
essere molto più grande di questo valore, ciò significa che ωn è molto piccolo e
quindi k piccolo (rigidità piccola) e m grande.
62
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
stato preso in considerazione dalla legge, per cui le costruzioni in zone sismiche
vengono fatte tenendo conto di valori della frequenza standard. Il grosso
dell’energia è contenuto in un campo delle frequenze che non è mai al di sotto di 1
hertz e non supera mai i 5 hertz. Osserviamo che tali frequenze sono estremamente
basse, cioè se lo strumento per funzionare deve avere una ω >> ωn la ωn deve essere
piccolissima, il che vuol dire che la massa deve essere molto grande e la rigidità di
collegamento della massa con l’apparecchio molto piccola. Quindi nella realtà i
vibrometri sismici sono vincolati rigidamente sotto fondazioni di cemento armato e
trasmettono il segnale all’osservatorio via radio.
La situazione migliora in campo meccanico perché i primi vibrometri che sono stati
costruiti in campo meccanico dovevano funzionare con delle frequenze forzanti che
erano molto più alte (ordine di grandezza circa 100 Hertz) questo significava che il
limite inferiore per la ωn era molto più alto per cui rigidità più alta e massa più
piccola. È una cosa più accettabile, da poter vincolare più facilmente ad un sistema
reale, per esempio se pensiamo ad un generatore di corrente e andiamo a collegare,
per esempio in corrispondenza di un cuscinetto di una macchina, un vibrometro di
tale genere aggiungiamo 100 g ad una massa molto più grande quindi è chiaro che
non andiamo ad intaccare la vibrazione del sistema.
Un VIBROMETRO DI TIPO MECCANICO
63
DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
10
dove ωn è una costante dell’apparecchio, e a meno di tale costante l’apparecchio mi
potrebbe misurare, non più il moto, ma l’accelerazione del sistema sul quale io vado
a collegarlo, la cui ampiezza è appunto ωXc. mi potrebbe misurare l’accelerazione se
il rapporto sopraindicato fosse uguale a 1.
Perché si è pensato a questa diversa ottimizzazione dello schema? Per una ragione
evidente: utilizzato come vibrometro io comunque devo avere una ωn che è minore
di qualche cosa, e quindi per quanto possa costruirlo in maniera raffinata, devo fare
una massa e una rigidità tali da verificare questa condizione, cioè una massa un pò
grande e una rigidità un pò piccola, più o meno a seconda del campo di frequenze
che voglio misurare però comunque di questo tipo. Andiamo a vedere che cosa
succede se lo voglio considerare non più da vibrometro ma da ACCELEROMETRO. In
queste condizioni avrò il seguente grafico
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11
Come faccio a fare ωn molto elevata? Prendo una rigidità molto elevata e una massa
molto piccola, quindi posso costruire un sensore con dimensioni molto piccole e
quindi applicabile a oggetti vibranti molto più piccoli di quelli che utilizzavo con il
vibrometro. Anche in questo caso devo andare a considerare la possibilità che il
corpo stia vibrando non con una funzione di tipo armonico ma con una di tipo
periodico, e quindi devo verificare se anche con questo tipo di apparecchiature non
ci siano distorsioni di ampiezza e distorsioni di fase. Se io prendo l’andamento
riportato sopra del coefficiente di amplificazione mi accorgo che la distorsione non
c’è solo se tutte le altre armoniche hanno una pulsazione nulla (praticamente sono
molto basse), però posso ricordare che per
ϭ/ϭc = √2/2
l’andamento è quello riportato in rosso, nel quale in sostanza si vede che il valore
del rapporto (10) si mantiene unitario per un campo abbastanza grande, cioè io
posso immaginare che se la ωmax (massima frequenza) del moto sia nella posizione
rappresentata in figura, tutte le altre stanno al di sotto, e quindi tutte le armoniche
del moto vengono registrate con la stessa amplificazione. Quindi avendo imposto
quel valore dello smorzamento io posso ottenere che tutte le armoniche contenute
entro il valore di ωmax vengono registrate con la stessa amplificazione (A = 1) e che
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
con kq la rigidità del cristallo km la rigidità della molla a tazza e poi ci sarà,
ovviamente, una dissipazione di energia; si vede subito che la rigidità della molla a
tazza è sicuramente trascurabile rispetto alla rigidità a compressione del cristallo,
quindi la rigidità del sistema sarà kq, di modo che la ωn è uguale alla radice di kq
diviso la m che posso fare molto piccola.
Tali accelerometri hanno frequenze circa di 100 kHz, quindi hanno delle frequenze
proprie estremamente elevate e quindi consentono di registrare vibrazioni di sistemi
che abbiano frequenze di decine o molte decine di kHz. Naturalmente il segnale che
io prelevo in uscita è molto piccolo, cioè la differenza di potenziale che nasce è
molto piccola perché l’oscillazione della massa è di ampiezza molto molto piccola,
per cui va opportunamente amplificata registrata e tutto il resto. Ricordiamoci però
il discorso dello smorzamento, cioè, per far funzionare tale sistema in maniera
corretta, in un campo di frequenze sufficientemente alto, la dissipazione di energia
deve essere molto alta, cioè deve essere dell’ordine del 70 % di quella critica. Dove
sta la dissipazione di energia del nostro sistema? Sta nella molla a tazza. La molla a
tazza non è altro che un tondino di acciaio al silicio imbutito in modo da avere il
profilo che vediamo. Durante l’oscillazione la molla a tazza si allarga e si stringe,
allora se la superficie di contatto è proporzionata in modo opportuno, nello
strisciamento sulla massa posso avere una dissipazione di energia molto alta. Quindi
la tecnica per progettare e costruire questo tipo di apparecchi prevede come fatto
fondamentale proprio il calcolo della superficie di contatto tra la molla a tazza e la
massa battente in modo da avere la dissipazione di energia, che naturalmente non è
di tipo viscoso, ma che almeno è il 70 % di quella critica.
L’ordine di grandezza delle dimensioni di questi accelerometri è paragonabile a un
pezzetto di gesso di un centimetro di lunghezza e 8-9 millimetri di diametro, non
pesano niente quindi sono collegabili ovunque, però in uscita hanno bisogno di un
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DSM 4° lezione – seconda parte 27-10-2010
amplificatore, che deve essere lineare, perché se noi abbiamo in uscita varie
frequenze, cioè il moto che stiamo registrando è periodico e non armonico,
naturalmente è chiaro che l’amplificazione di questo segnale deve amplificare tutte
le componenti in frequenza nello stesso modo, cioè deve essere lineare.
Questi tipi di accelerometri sono utilizzati in campo automobilistico, per la gestione
automatica della manutenzione degli impianti di lavorazione ecc…
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
Tutti gli apparecchi studiati fin ora, in sostanza, intervengono sul sistema, si
cominciò quindi a pensare a dei trasduttori di tipo diverso cioè a dei TRASDUTTORI
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
Fig 1
se immaginiamo di avere una lamina che sta vibrando, disponiamo l’elemento sopra
disegnato, costituito da un nucleo con un avvolgimento intorno, in prossimità della
lamina. Allora, quando la lamina si allontana o si avvicina si vede subito che cambia il
flusso concatenato, e di conseguenza questo avvolgimento diventa sede di una forza
elettromotrice; naturalmente la proporzionalità è tutt’altro che lineare, non l’ho è
ne con lo spostamento ne con la velocità, però diciamo che l’apparecchio può essere
in qualche modo tarato, e quindi si può fare una taratura collegando, per esempio,
la differenza di potenziale che l’apparecchio fornisce all’effettivo spostamento del
corpo al quale il sensore stesso è affacciato. Questi sensori elettromagnetici danno
una risposta, proprio per questa assoluta non linearità, che non è molto
approssimata, però sono usatissimi, perché, anche adesso, costano delle cifre
ridicole rispetto agli altri tipi di sensori. Vengono molto utilizzati non tanto come
sensore diretto della vibrazione, ma quanto come sensore di eventi. Cosa vuol dire?
Immaginiamo di voler andare a vedere che cosa in un MCI nel momento in cui, per
esempio, si chiude una certa valvola di scarico o di aspirazione; siccome c’è un gioco
nella valvola, in realtà la velocità di chiusura della valvola non è nulla, come
dovrebbe essere se venisse percorso esattamente il profilo della camma, proprio
perché c’è il così detto gioco valvola, allora, essendo la velocità diversa da zero nel
momento in cui la testa valvola urta contro la sua sede, se tale urto è troppo forte
possiamo avere un rimbalzo della valvola sulla sede e quindi posso avere una post-
apertura. Questa post-aperture è un fatto molto dannoso, sia nell’aspirazione:
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72
DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
perché nella post-apertura il fluido è già entrato e quindi viene gocciolato all’interno
della camera e quindi non brucia bene, sia nello scarico: perché ormai il fluido
bruciato ad alta temperatura sta nello scarico e con la post-apertura può rientrare
all’interno e può eventualmente causare una pre-accensione del fluido fresco che
già sta entrando nella camera di combustione. quindi questo è un fenomeno molto
dannoso. Quindi immaginiamo di voler rilevare tale fenomeno, naturalmente non è
una cosa facile, perché questo tipo di fenomeno, al di là di come lo si può andare a
rilevare, ha una durata brevissima ( pochi microsecondi ), e allora se io vado a fare il
rilievo per tutta la rotazione del motore non me ne accorgo nemmeno che in quei
pochi microsecondi è successo qualche cosa, questo vuol dire che il rilievo del moto
della testa della valvola lo devo fare partire proprio nell’istante in cui la testa urta
sulla valvola, e come faccio a fare ciò? Devo dare un segnale di partenza
all’apparecchio che mi fa questo rilievo, cioè devo dire: parti in questo istante. Come
si può fare? In una maniera estremamente semplice, servendosi proprio di questo
tipo di, chiamiamoli sensori ma in questo caso non vengono utilizzati come tali, ma
vengono utilizzati come interruttori. Per esempio io posso disporre sull’albero
motore un disco
fig 2
in cui in una certa posizione è praticata una cava, se io inserisco il mio sensore (vedi
figura), quando la cava passa in corrispondenza del sensore, questo mi da un picco
di segnale. Tale picco lo posso utilizzare per fare partire quel famoso prelievo del
segnale, che indica la vibrazione della valvola, e quindi posso andare a posizionare
questo disco proprio nell’istante in cui la valvola che mi interessa sta andando in
chiusura. Questa è un utilizzazione che va sotto il nome di suipe (non so se si scrive
così) e per questo tipo di utilizzazione questi sensori elettromagnetici sono molto
utilizzati. Se si vuole esaminare un segnale con l’oscilloscopio, che tutto sommato è
la cosa più facile, cioè mandare un segnale che sia proporzionale allo spostamento o
alla velocità o all’accelerazione, e io lo voglio esaminare visivamente mediante un
oscilloscopio, il modo più semplice per farlo se il segnale è molto breve, è proprio
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
Fig 3
diciamo che abbiamo una carcassa completamente isolata, all’interno della quale si
può muovere il sensore, e può quindi essere avvicinato o allontanato all’oggetto che
sta vibrando mediante il manettino (vedi figura). È un sensore capacitivo perché fra i
due punti disegnati in figura si crea una capacità che naturalmente dipende dal
dielettrico, che nel nostro caso è l’aria, ma dipende sostanzialmente dalla distanza,
in modo che quando la lamina vibra la distanza aumenta e diminuisce e
naturalmente la capacità varia. Questa cosa la vado a leggere mediante un circuito
oscillante (vedi figura). Come sappiamo la frequenza propria di un circuito oscillante
i sostanza dipende da tre grandezze (R, C, I), quindi con R e I costanti la frequenza
propria dipende da C, quindi al variare di C cambia la frequenza. Dalla letture
possiamo collegare la variazione di questa frequenza propria con la variazione della
capacità e quindi di conseguenza con la distanza tra il sensore e l’oggetto. Questo è
un tipo di sensore che non ha nessuna influenza sull’oggetto che sta vibrando,
quindi può essere utilizzato, anche con oggetti di dimensioni molto piccole. È di
grande precisione. Naturalmente la risposta non è lineare, però è linea rizzabile, cioè
cosa posso fare? Considero la lamina ferma. Posiziono il sensore e poi vado a
spostare di un centesimo di millimetro per volta la manettina e vado a leggere la
frequenza corrispondente, quindi posso fare una curva di taratura statica, e poi
quando il sistema và in vibrazione utilizzo tale curva per leggere i risultati che
ottengo. Questo non è un tipo di sensore che è stato, o potrà essere utilizzato in
ampia maniera industriale come quelli precedenti. Questo per due ragioni: la prima
è che è, effettivamente troppo costoso, richiede una taratura preliminare, la
seconda è che è di montaggio molto delicato, siccome le capacità variano di
pochissimo l’isolamento di tutto il sistema deve essere perfetto e non solo, ma
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74
DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
anche l’isolamento di tutti i cavi del sistema, quindi è più che altro un sensore da
laboratorio.
Possiamo adesso parlare di una tecnica di rilievo delle vibrazioni, anche essa molto
sofisticata, molto utilizzata in laboratorio, ma che oggi comincia ad essere utilizzata
anche in campo industriale che è la così detta TECNICA ESTENSIMETRICA. Essa si
basa sul fatto che se io ho una vibrazione, ho qualche cosa che si sta deformando,
ed allora, invece di leggere la vibrazione, io posso risalire alla vibrazione misurando
la deformazione dell’oggetto che sta vibrando. Questa misura viene effettuata
mediante gli ESTENSIMETRI che sono degli oggetti che vengono incollati in
corrispondenza del punto nel quale io voglio misurare la deformazione. I primi che
furono utilizzati furono gli ESTENSIMETRI A RESISTENZA
Fig 4
Erano costituiti da una piastrina prima di carta cerata poi successivamente di
plastica molto sottile ecc… sulla quale c’era incollato un filo in molte spire, in modo
da avere una lunghezza equivalente di tale filo molto elevata. Se immaginiamo che
su quella stessa laminetta, di cui parlavamo prima, andiamo ad incollare uno di
questi oggetti, succede che quando io ho la flessione della lamina, a questa flessione
corrisponde un allungamento o un accorciamento di questo filo. Il filo è
particolarmente sottile ed è quindi soggetto al così detto fenomeno di strizione
(quando si allunga la sua resistenza aumenta, il contrario quando si accorcia). Come
vado a collegare questa variazione di resistenza dell’estensimetro con il moto del
sistema? Mediante un ponte di Wheatstone. Il ponte di Wheatstone è costituito da
4 resistenze disposte come in figura. Se il ponte è equilibrato (R1/R2=R3/R4) la lettura
della differenza di potenziale è nulla, se questa resistenza è variabile il ponte si
squilibra e quindi io vado a leggere, sulla parte cerchiata in rosso, una differenza di
potenziale che dipende proprio da questa variazione di resistenza. Se pensiamo che
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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FIG 5
È un doppio estensimetro che può essere usato per il rilievo delle oscillazioni
torsionali. Se io ho un albero che sta ruotando cosa succede? Le fibre a 45° rispetto
all’asse si comprimono, le fibre a 45° controverse si allungano, il che vuol dire che io
posso realizzare un estensimetro fatto come in figura, che vado a disporre sulla
superficie esterna dell’albero del quale voglio rilevare le oscillazioni torsionali, ed
allora che cosa succede? Uno si comprime ed uno si allunga e quindi la sensibilità è
doppia di quest’estensimetro, avrei una situazione in cui una resistenza aumenta e
un’altra diminuisce istante per istante, e quindi questo vuol dire che la differenza di
potenziale è doppia e quindi la sensibilità è doppia. Sui nostri appunti troviamo
anche altri tipi di estensimetri (meglio vederseli).
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
Fig 6
Vediamo una tavola vibrante montata su un supporto che porta un avvolgimento.
Alla fine la tavola avrà un moto di pulsazione armonica (E0 cos (ωt)). Naturalmente
in questo sistema che cosa è importante per fare delle esperienze che siano
sufficientemente approssimate? È importante il fatto che la funzione (E0 cos (ωt)) sia
effettivamente una funzione armonica, il che significa che, per poter alimentare una
vibrodina di tale genere devo disporre di un generatore di funzione armonica, che
sia il più preciso possibile, e cioè che ad ogni frequenza mi dia una funzione che è
effettivamente armonica. Teniamo conto, però del fatto che la potenza che
necessita per alimentare tale apparecchio è elevata, e quindi, ovviamente, il
generatore non mi può dare una tale potenza. Quindi tra il generatore e
l’apparecchio ci vuole un amplificatore, e questo amplificatore ( che è la parte più
delicata e ovviamente la più costosa) deve essere perfettamente lineare. La cosa
interessante e che il generatore, a pulsazione variabile ω, oltre ad alimentare la
tavola vibrante, può alimentare, in contemporanea, anche uno stroboscopio: esiste
una tecnica di visualizzazione delle vibrazioni che è la tecnica stroboscopica, cioè se
io ho un lampeggiatore che da un lampo ogni T, e se ho un sistema che sta vibrando
con un periodo proprio uguale a T, in sostanza io il sistema lo vedo fermo. Cosa
succede? Succede che se la pulsazione del moto del sistema è doppia o tripla o
quadrupla, il sistema lo vedo fermo, per cui devo trovare qual è il valore di T poi
andarlo a dimezzare, a dividere per tre, e vedere qual è il valore più basso per il
quale io vedo il sistema fermo; quello è il valore del periodo del moto del sistema
che sto esaminando. Allora pensiamo al fatto che, se l’alimentatore di questa tavola
vibrante alimenta anche lo stroboscopio io l’oggetto che sta sulla tavola vibrante lo
vedo fermo. Lo vedo fermo in una posizione qualsiasi che dipende dal ritardo di fase
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
del suo moto, però, questo stroboscopio che si collega a questo tipo di vibrodina ha
una caratteristica importantissima, cioè può introdurre un ritardo di fase variabile a
piacere fra il lampeggiamento e l’alimentazione e cioè fra il lampeggiamento e il
moto del mio sistema. Allora, immaginiamo che, dove ho disegnato l’asterisco, ho
montato una paletta di turbina
Fig 7
Io aumento la frequenza, molto lentamente, fino a che, non vedo delle forti
oscillazioni, in quell’istante, evidentemente, mi trovo in condizioni di risonanza,
quindi ho individuato una delle frequenze proprie di oscillare della paletta. Il
problema è quale? Cioè, in corrispondenza di questo modo naturale di vibrare, quale
sarà la deformazione della paletta? Non lo posso sapere se con lo stroboscopio io ho
una posizione deformata fissa. Come faccio? Naturalmente non posso saperlo, però,
se io posso variare la fase vedo tutte le successive posizioni della paletta, e quindi
posso vedere che cosa è successo: se c’è solo flessione, se c’è solo torsione, se ci
sono entrambe, e quindi in questo modo, con quest’esame visivo io posso risolvere
completamente di quel moto naturale.
Queste vibrodine sono, ancora oggi, fra i più sofisticati disponibili per rilievi di tipo
sperimentale, su oggetti di dimensioni molto ridotte, per i quali, tutto sommato, non
è possibile andare ad esaminare il comportamento dell’oggetto in loco.
Per chiudere l’argomento rimane da dire che in realtà tutti i sensori visti, così come
li abbiamo disegnati per moto lineare, si può immaginare di trasformarli per un
rilevo di un moto angolare, cioè in sostanza per il rilievo delle oscillazioni torsionali.
Vediamo appunto il così detto TORSIOVIBROGRAFO ANGOLARE
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DSM 5° lezione – prima parte 28-10-2010
FIG 8
Abbiamo un albero e una massa volanica esterna che sia collegata all’albero
mediante una molla a spirale, cioè molto flessibile. Tale volano è libero di ruotare
sull’albero. Quindi abbiamo un elevato momento d’inerzia di massa e una piccola
rigidità, nel nostro caso, torsionale. Quindi siamo in presenza di un vibrometro,
naturalmente, di un vibrometro torsionale o se preferiamo di un torsiovibrometro.
Ovviamente la lettura che devo fare è il moto relativo. Cioè praticamente devo
rilevare la rotazione tra albero e volano (i due punti disegnati). Ovviamente questo
lo posso fare in tanti modi. Il problema fondamentale è quello del collegamento fra
il segnale che ricavo dalla lettura del moto relativo e l’esterno, perché tutto questo,
naturalmente, sta ruotando. Allora nella pratica questo collegamento veniva
effettuato mediante dei contatti striscianti. In tempi più recenti tale lettura viene
fatta via radio.
Nello stesso identico modo possiamo pensare di realizzare un ACCELEROMETRO
ANGOLARE. Sappiamo che nel caso del vibrometro devo avere una ωn molto piccola,
nel caso dell’accelerometro devo avere esattamente l’inverso. In pratica quel volano
sarà molto piccolo, cioè con un momento d’inerzia di massa piccolo, e sarà collegato
all’albero, non più con quella molla molto flessibile, ma per esempio mediante una
barretta. In questo caso il segnale in uscita, che è sempre la lettura del moto
relativo, sarà proporzionale alla velocità angolare.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
80
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Sistemi a 2 GdL
Se noi vogliamo studiare un sistema a 2 GdL bisogna andare a disegnare il più sem-
plice modello fisico che lo rappresenta, cioè quello costituito da due masse ed
vincolato fra loro, a punti fissi, mediante degli elementi elastici (stiamo studian-
do sempre un sistema di tipo conservativo).
[FIG. 1]
81
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
[FIG. 2]
Noi partendo sempre da certi presupposti, ovvero che il sistema sia conservativo e
che partiamo a misurare le coordinate generalizzate da una posizione di equilibrio
stabile. I risultati che otterremo con il modello semplice, ovviamente li potremo ap-
plicare immediatamente al caso di FIG.2 andando a mettere al posto delle masse le
corrispondenti inerzie di quelle coordinate generalizzate, cioè per la la massa e
per la rotazione il momento d’inerzia di massa, della massa intorno ad un’asse
ortogonale al foglio (quindi al posto di e rispettivamente la e la ). Invece
per quanto riguarda le rigidità del sistema le rigidità nuove di questo nuovo sistema
che questa volta dipenderanno questa volta, non solo da e , ma anche dal posi-
zionamento di e rispetto alla verticale passante per il baricentro , cioè in so-
stanza dipenderanno anche da e .
Un terzo sistema, sempre riconducibile a questi primi due, può essere disegnato ri-
cordando ciò che è stato detto sul pendolo.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
82
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
[FIG.3]
Una delle condizione che noi dobbiamo sempre rispettare, quando si va studiare
questi sistemi, è il fatto che il nostro sistema si trovi in un posizione di eq. stabile.
È evidente, ora, che in questa condizione questo vuol dire che le tre molle , e
evidentemente non sono scariche ma hanno delle frecce tali che le loro reazioni
equilibrano in queste condizioni il peso della massa ed .
Posso definire per questo sistema uno spostamento statico come fatto per quelli ad
1GdL? (ci sarà utile quando si parlerà del moto forzato del sistema)
Si! Solo che in questo caso lo spostamento statico non sarà più uno ma bensì due.
Questo perché, nel caso dell’applicazione statica di una forza sulla massa , io
avrò uno spostamento statico tanto della massa che della .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
83
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
del moto è un sistema di due equazioni in due incognite da cui si può, per l’appunto,
ricavare l’ e l’ .
Quindi, non solo esistono gli , sia per i 2 che n GdL, ma possono essere calcolati
facilmente proprio dall’equazioni differenziali del moto, annullando nel caso statico
la funzione della causa forzante e ponendo uguali a zero le derivate seconde delle
variabili.
Scriviamo le eq. differenziali del moto, come al solito non si tiene conto delle forze
peso, stiamo partendo da una condizione di equilibrio stabile, di modo che si può
scrivere le condizioni di equilibrio dinamico secondo D’Alambert della massa ed
.
Si è ottenuti un sistema di 2 eq. differenziali del secondo ordine non completo, per-
ché il sistema è conservativo, lineare a coefficienti costanti nelle incognite e .
Se si va a raggruppare si avrà:
Questa formulazione può essere scritta anche nel seguente modo cioè, in sostanza,
posso andare ad indicare i coefficienti delle variabili non derivate delle varie eq. del
moto, possono essere indicate con , indicando con:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Questi coefficienti, indicati con , che nel nostro caso specifico hanno i valori scrit-
ti sopra (cioè sono le combinazione dell’effettive rigidità presenti nel sistema). que-
sti coefficienti hanno un significato fisico molto preciso.
Per es.:
La reazione sarà diretta verso l’alto (cioè negativa perché le x positive sono verso il
basso), la cambio di segno e ottengo: .
La reazione su 1 sarà:
Significato fisico che in questo caso è legato alla presenza di effettive rigidità nel si-
stema e quindi quando si deformerà il sistema avrò delle reazioni, come deve essere
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
perché il sistema è in condizioni di eq. stabile. Ora hanno un significato fisico non più
necessariamente legato alla presenza di elementi elastici all’interno del sistema.
[FIG.4a]
Per es. si consideri il doppio pendolo e per semplicità siccome stiamo considerando
piccole oscillazioni, invece di considerare come coordinate generalizzate la e la
immaginiamo che gli spostamenti avvengano ortogonalmente alla verticale e che
quindi le coordinante siano e (per piccoli spostamenti).
Anche per questo sistema posso scrivere le equazioni del moto con l’utilizzo di ?
Naturalmente si!
In che modo?
Sicuramente NON con un incastro, perché è vero che bisogna bloccare la massa 2
impedendo LA SOLA COORDINATA GENERALIZZATA. Cioè devo impedire solo lo spo-
stamento orizzontale; di conseguenza il vincolo da utilizzare è un carrello ad asse
verticale.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
FIG.4a FIG.4b
Inoltre sto operando con piccoli spostamenti, allora se indico con e le tensioni
di queste due bracci del pendolo, posso immaginare che queste tensioni non cambi-
no in valore per un piccolo spostamento della massa 1.
Quanto valgono?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Con questa seconda definizione data del , il quale rimane sempre il coefficiente
della variabile j-esima nell’eq. i-esima, però con questa definizione fisica di coeffi-
ciente di rigidità io posso andarle a determinare anche in questo sistema nel quale le
molle di collegamento con l’esterno non ci sono più.
Allora questo vuol dire che l’esistenza dei coefficienti di rigidità non è necessaria-
mente legata alla presenza di elementi elastici, ma è invece legata all’eq. stabile che
m garantisce il fatto che una volta perturbato il sistema, deve nascere qualche forza
o qualche coppia che lo riporta nella posizione precedente. Quindi questa seconda
definizione che è stata data ci consente di svincolarci completamente da quel mo-
dello fisico che abbiamo stabilito all’inizio (FIG.1) e ci consentirà di applicare i risulta-
ti che otterremo a qlq sistema conservativo a 2GdL.
La reazione della seconda molla che si alza di , sarà e devo moltiplicarla an-
cora per per avere la coppia:
88
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
come vedremo, al più indifferente. Per sistemi di questo genere, il fatto che il siste-
ma sia di un genere o di un altro, che le coordinate siano tutti spostamenti, che sia-
no rotazioni, che siano un mix tra le due, che siano presenti rigidità di collegamento,
e così via..questo non ha nessuna rilevanza per la soluzione; quindi si potrà applicare
i risultati che si sono ottenuti per il più semplice modello di sistema ad n GdL (che
ovviamente sarà perfettamente analogo a questo con una serie altre nuove altre
masse).
Il vantaggio è quella che, mediante la definizione di (che è stata già data), e trami-
te la definizione di (che rappresenta il complesso delle inerzie del mio sistema
corrispondente alle coordinate generalizzate che si stanno considerando), si è scritto
il sistema di eq. differenziali del moto è stato scritto indipendentemente da qual è il
sistema reale, servendoci di tre matrici caratteristiche (uno è il vettore delle coordi-
nate generalizzate, l’altra è la matrice delle inerzie (rispetto alle coordinate genera-
lizzate), la terza è la matrice dei coefficienti di rigidità.
Quindi con questa scrittura ci si è svincolati dal sistema di partenza ma anche dal
numero di GdL del sistema di partenza. Perché è chiaro che se io considero un si-
stema che invece di avere due masse ne ha , l’eq. sarà scritta sempre nello stesso
modo. Inoltre il significato fisico di queste tre matrici caratteristiche (vettore di sta-
to, matrice e matrice ) ovviamente rimane sempre lo stesso.
Come si risolve, poi, questo tipo di modello matematico (ricavato in maniera sempli-
cissima per un sistema a 2 GdL) che abbiamo visto che è esattamente lo stesso an-
che per un sistema più complesso ad GdL. Questo modello matematico verrà risol-
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
to, con riferimento a quello visto finora, ricordando che però queste soluzioni sono
indipendenti dal sistema fisico per il quale le stiamo ricavando.
Siccome questo è l’ultimo sistema, come complessità, che è possibile pensare di ri-
solvere a mano (seguendo la linea tradizionale). È ovvio che tale linea tradizionale
nel momento in cui si passerà al sistema ad GdL non verrà applicata più perché
verrà trattato con l’eq. in termini di matrici, servendoci per la risoluzione di algoritmi
creati apposta per il calcolo matriciale.
Si può porre:
Imponendo come soluzione la più generale funzione possibile del tempo. Le sono
le radici dell’eq. caratteristica. Come posso andare a ricavare l’eq. caratteristica?
Si va a sostituire e nelle due eq. del moto. Di conseguenza le due eq. dif-
ferenziali, in forza di questa sostituzione (e semplificando ), si trasforma in un si-
stema di due eq. algebriche omogenee; queste naturalmente sono le eq. che forni-
scono le costanti di integrazione e .
(il prof. spiega meglio il concetto!) Il sistema di partenza è quello di FIG.1 modificato.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
[FIG.5]
N.B.: Questo è un sottosistema ad 1 GdL che può essere ricavato dal mio sistema di
partenza bloccando la massa .
[FIG.6]
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
FIG.7 FIG.8
Queste dal punto di vista fisico sono i quadrati delle pulsazioni naturali che si
possono ricavare dai sottosistemi ad 1GdL che ottengo dal sistema di partenza.
Detto questo dalla bi-quadratica che si ottiene annullando il determinante dei coef-
ficienti che si sono ottenuti ponendo e all’interno del sistema di eq.. I va-
lori di che si ottengono sono questi:
La cosa interessante è che questi che compaiono all’espressione che abbiamo as-
segnato all’integrale particolari dell’eq. differenziale del moto, questi , che rappre-
sentano degli , sono esprimibili mediante opportune terminazioni delle quattro
pulsazioni naturali che sono state mostrate per i sottosistemi ad 1solo GdL.
Alla fine avremo due valori di (uno con il segno + ed uno con il segno -) e potremo
scrivere e , utilizzando e come costanti di integrazioni; dopodiché
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Cioè la diagonale che contiene le pulsazioni naturali del nostro sistema, è ancora
una radice di su , però non è proprio la radice della matrice sulla matrice ;
ma è il rapporto di queste due matrici opportunamente pesate (perché queste so-
no le costanti di integrazioni ovvero le deformate del mio sistema).
Quindi le pulsazioni sono il rapporto tra le due matrici dei coefficienti di rigidità e
delle masse però pesate con le deformazioni corrispondenti del mio sistema.
Ritornando alla nostra espressione, in sostanza possiamo dire che in un sistema libe-
ro di quel tipo le costanti di integrazioni devono essere definite a meno di una co-
stante; ovvero che non si può definire (dato che ciascuno di questi integrali partico-
lari deve soddisfare separatamente l’eq. differenziale del moto) non si può definire
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
e ma si può definire solo il rapporto tra queste due, perché so che il rappor-
to tra queste costanti (essendo il sistema di eq. algebriche, un sistema omogeneo)
possono essere definite a meno di una costante.
Quindi si può definire questo rapporto tra le 1 e tra le 2 (vedi equazioni cerchiate).
Naturalmente se vado ad applicare a questo sistema le condizioni iniziali, cioè se va-
do a perturbare il mio sistema, si possono definire tutte le costanti dell’integrale del
sistema.
Il probl. è costituito dal fatto che in quell’espressioni delle non ci sono 4 costan-
ti di integrazione ma 8; cioè a dire se si va a perturbare il sistema posso assegnare 4
condizioni iniziali, , , e . Da questi 4 valori si possono scrivere
4 equazioni con le quali si possono determinare 4 costanti di integrazioni (purtr. pe-
rò lì ve ne sono 8); quindi si può far vedere che dal punto di vista fisico, quando io
considero un unico integrale particolare (ad es. il primo), quest’integrale particolare
deve soddisfare da solo le equazioni differenziali del moto.
Ricapitolano, vuol dire che per ogni integrale particolare si hanno due ulteriori equa-
zioni. Quindi 4 equazioni le ottengo applicando le condizioni iniziali, 2 condizioni poi
le ottengo dal primo integrale particolare e altre due dal secondo integrale partico-
lare e quindi alla fine si può calcolare l’effettivo moto del mio sistema.
Uno è maggiore di zero e l’altro è minore di zero; in particolare il rapporto che corri-
sponde al valore più basso delle pulsazioni naturali ( ) e cioè:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Mentre il rapporto che corrisponde al valore più alto delle pulsazioni naturali, cioè
:
In altri termini significa che se il sistema stia oscillando nel primo modo naturale di
vibrare, e sono equiversi e quindi il sistema oscilla con le masse che si muo-
vono nello stesso verso, istante per istante, per il valore che è il valore più basso
delle due pulsazioni naturali.
Questo vuol dire che le due masse si muovono in opposizione di fase, il che significa
che è presente un nodo, ovvero un punto del sistema più che non si muoverà.
Perché con la pulsazione più bassa le masse si muovono in fase e con quella più alta
si muovono in contro fase? (da che cos’è dovuto fisicamente?)
(N.B.: risonanza non c’è perché sono moti liberi, non ci sono forze esterne)
Immaginiamo che le due masse oscillano in fase tra di loro, durante questa oscilla-
zione praticamente la rigidità non viene proprio impegnata (FIG.1), se invece le
masse oscillano in contro fase la viene impegnata così come le altre due.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
95
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Un sistema del genere avrà integrali particolari, questi integrali particolari sa-
ranno tutti funzioni armoniche, le quali potranno essere ordinate le pulsazioni in or-
dine crescente , , … .
Avremo per la pulsazione più grande , nodi. Allora la cosa si può estendere
ai sistemi ad GdL in questa maniera:
man mano che si va avanti con l’ordine del modo, a partire dal primo e arrivare
all’ultimo, il numero dei nodi della deformata va crescendo da 0 ad .
Cioè il modo a pulsazione più bassa avrà zero nodi, perché le rigidità sono impegna-
te meno di tutte; il primo modo (che ha pulsazione un po’ più alta) ha un nodo che
comporta un impegno un po’ maggiore delle rigidità; il secondo modo avrà 2 nodi
della deformata e l’ -esimo modo avrà nodi nella sua deformata.
Allora questo fatto, che vedremo quando parleremo dei sistemi ad GdL, è un fatto
assolutamente generale.
Se si vanno a fare questi calcoletti con un bel codice di calcolo, questo può essere il
primo controllo che si può fare; cioè a dire che questa scatola nera ci fornisce dei va-
lori delle pulsazioni delle corrispondenti deformate.
Si, e il numero di nodi rappresentano il numero di inversioni si segno nei valori delle
ampiezze delle deformate.
Allora questo numero aumento di uno ad ogni modo, via via che cresce il modo?
Se si, tutto funziona bene! Altrimenti certamente c’è qlk errore, perché questo è un
fatto fisico di carattere generale; ed è (se non la prima) di quelle indicazioni che con-
sentono di stabilire, mediante delle considerazioni di carattere fisico,
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Naturalmente dire che sono sbagliati non vuol dire che è sbagliato il codice, ma si-
gnifica dire che probabilmente c’è stato un errore di immissione di dati.
A questo punto dobbiamo vedere come forzare questo sistema (sempre con forze
armoniche).
[FIG.9]
Quindi bisogna imporre una forza armonica sulla massa 1 o sulla massa 2 o su tutte
e due.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
sta saper risolvere quello di una sola forza agente applicandolo 2 volte e sommando
i risultati.
Allora quello che noi vedremo sarà il moto del mio sistema quando sulla massa 1
considero agente una di tipo armonico.
Perché?
Alla fine possiamo ricavarci qlc dello stesso tipo di ciò che si faceva per i sistemi a
1GdL, ovvero, mi ricavavo la come una per un coefficiente di amplificazione .
Anche qui si può fare la stessa cosa, cioè posso scrivere due coefficiente di amplifi-
cazione, uno per il moto ed uno per quello .
In altri termini se nel moto forzato, è l’ampiezza del moto forzato, anziché andar-
lo a diagrammare, si può diagrammare un coefficiente di amplificazione , così
come per e quindi ottenere .
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DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
[FIG.10]
Anche se la struttura è molto simile ai sistemi ad 1 GdL, non avrò solo , ma ci sa-
ranno una ed una , che sono le due pulsazioni naturali; questi due valori,
e si ricavano considerando l’eq. differenziali del moto con la forza applicata
staticamente sulla massa 1 e quindi con e uguale a zero. Tale eq. diventa un
eq. algebrica che mi consenta di ricavare di ricavare e .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
99
DSM 5° lezione – seconda parte 28-10-2010
Apparentemente quello che abbiamo disegnato è una cosa piuttosto strana, tenia-
mo conto che la forza che abbiamo applicato agisce sulla massa . Ebbene esiste
un valore della pulsazione di questa forza per il quale lo spostamento della massa 1
su cui agisce la forza è nullo.
Cioè io applico una forza armonica sulla massa 1 dopodiché, immaginando di far va-
riare la pulsazione di questa forza, esiste una particolare pulsazione per la quale la
massa 1, che è quella sulla quale agisce la forza, rimane ferma, mentre invece la
massa 2 oscilla.
Naturalmente quello della pulsazione propria del sistema che si ottiene bloccando la
massa 1 e facendo oscillare la massa 2, ovvero quello indicato con .
In queste condizioni la massa 2 oscilla con questa ampiezza (indicato dal tratto verti-
cale corrispondente al punto di minimo). Naturalmente se la massa 1 resta ferma, in
queste condizioni, la reazione della molla , che sarà , deve equilibrare la
forza , proprio perché la massa 1 rimanga ferma.
Questa considerazione e risultato che si ottiene per i sistemi a 2 GdL con un’azione
smorzante armonica, può essere utilizzato e realizzare un tipo di smorzatore del mo-
to forzato di un sistema che va sotto il nome di smorzatore dinamico. In realtà non si
tratta di uno smorzatore in senso stretto perché non crea una dissipazione di ener-
gia ma crea, invece, un trasferimento di energia dalla massa che mi interessa (cioè
quella del mio sistema), a questo sistema aggiuntivo (per l’appunto lo smorzatore
dinamico) che ho aggiunto al sistema stesso.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
100
DSM 6° lezione 29-10-2010
Smorzatori Dinamici
Questi servono, una volta che ho un sistema meccanico forzato, per evitare che tale
sistema abbia ampiezze di oscillazione sotto la sua causa forzante troppo elevata.
fig.1
Per capire com’è fatto uno smorzatore dinamico, possiamo immaginare fig.1 di
avere un basamento industriale sul quale sia riportato un sistema meccanico che
ruota ad una velocità . Questo sistema è un sistema a 6 gdl perché abbiamo un
corpo rigido che è costituito da tutto il sistema il quale può oscillare lungo tre
direzioni e può ruotare intorno a queste tre direzioni.
Quindi questo sistema verrebbe collegato al terreno mediante una piastra elastica
continua proprio pari alla base del terreno di fondazione e per questo è un sistema a
6 gdl .
Questo sistema può vibrare perché se le macchine situate sul basamento ruotano ad
una certo velocità angolare ,immaginiamo che sono due macchine a regime
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
101
DSM 6° lezione 29-10-2010
assoluto, in ogni caso i rotori di queste macchine saranno soggetti alle forze
centrifughe rotanti e ai momenti delle forze d’inerzia rotanti che nascono dallo
sbilanciamento statico e dinamico dei due rotori. E quindi tutto il sistema rigido sarà
soggetto a queste forze rotanti(forze applicate sui rotori), le quali daranno delle
componenti su tutti e tre gli assi di riferimento come daranno allo stesso modo dei
momenti rispetto a tali assi, il sistema è a 6 gdl e quindi avrei tre coppie agenti
intorno ia tre assi e tre forze agenti lungo i tre assi.
Quindi sui 6 gdl di questo sistema in realtà dovrei andare a considerare 6 azioni
forzanti, e quindi avrei il moto forzato che vede il sistema , in virtù di questi
sbilanciamenti, oscillare lungo le tre direzioni e ruotare intorno a queste tre
direzioni; però siccome questi vettori rotanti sono tutti sincroni con la velocità
angolare , allora queste forze e queste coppie che sono le loro proiezioni saranno
tutte funzioni armoniche di pulsazione proprio uguale alla velocità angolare cioè
avrei sei azioni forzanti sincrone fra di loro.
Adesso per ritornare al discorso dello smorzatore dinamico di cui stiamo parlando,
immaginiamo di considerare soltanto uno di questi moti possibili e cioè il moto
diretto lungo la verticale z.
Però in questo caso immaginiamo di poterlo fare,e fissato l’asse z avremo agente
una forza di questo tipo :
EQ.1
Questo perché tutte le varie componenti sugli assi delle forze centrifughe rotanti
saranno delle funzioni armoniche con pulsazioni proprio pari alla velocità angolare.
Tenuto conto di questo fatto, immaginiamo di creare una cava all’interno del
basamento e all’interno di questa andare a disporre una massa m piccola vincolata
mediante una molla di rigidità k piccolo al basamento stesso (fig.2).
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 6° lezione 29-10-2010
fig.2
DIAG.1
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
103
DSM 6° lezione 29-10-2010
Quando Ω è uguale a quella che è la pulsazione della massa 2, che nel nostro
caso sarebbe m,quando la massa 1, che nel nostro caso è M, su cui agisce la forza
rimane immobile.
EQ.2
Cioè sarà la pulsazione propria del solo elemento che ho aggiunto che è appunto
quello che và sotto il nome di smorzatore dinamico .
Per avere tali condizioni io devo realizzare lo smorzatore con una pulsazione che
sia pari alla pulsazione della causa forzante, in questo caso avrò che la massa del mio
sistema rimane ferma e lo smorzatore dinamico comincia ad oscillare.
È uno smorzatore, nel senso che in quelle condizioni la massa del mio sistema
rimane ferma, però , in sostanza è dinamico perché non ho una dissipazione di
energia ma un trasferimento di energia e cioè dell’energia fornita dalla forza F,
dalla massa M alla m dello smorzatore.
; e cioè
Per risolvere il problema mi serve un’altra equazione e cioè devo attribuire un valore
a tale rapporto e quanto può valere tale rapporto?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 6° lezione 29-10-2010
Allora consideriamo il valore di ed è chiaro che tale valore deve essere il più
piccolo possibile,infatti se ho una massa del basamento che è 10 ton, non ci posso
mettere all’interno del basamento uno smorzatore con una massa di 5 ton, ma mi
conviene mettere tipo una m = 10% M e perché proprio il 10% e non il 5%?
Questo è un caso in cui il sistema ruota a velocità angolare costante,ci sono però la
stragrande maggioranza dei casi in cui questo non avviene, perché da un lato
moltissimi sistemi meccanici hanno in realtà delle velocità angolari variabili fino ad
un certo range di funzionamento e dall’altro lato ci sono altri sistemi meccanici più
complessi nei quali le azioni forzanti non sono nemmeno lontanamente armoniche
perché non provengono più dalla rotazione del sistema che stiamo considerando ma
provengono da azioni forzanti esterne nei quali per definizione non sta scritto da
nessuna parte che debbano essere armoniche .
Due applicazioni che tengono conto di questo,ma che fanno vedere com’è ancora
possibile risolvere certi problemi con gli smorzatori dinamici, sono gli smorzatori
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DSM 6° lezione 29-10-2010
Il primo caso è quello di un cavo di alta tensione che sia disteso tra due tralicci.
Questo è un caso diffusissimo in Italia perché in quasi tutti gli impianti di produzione
di energia elettrica e soprattutto derivanti dall’energia idraulica sono disposti in alta
montagna quindi ci sono queste linee di alta tensione prima a 200000 Volt poi con
le cabine di trasformazione più in basso a 20000 Volt e poi via via a scendere, tutti
questi cavi che provengono dagli impianti di produzione in montagna e che poi si
distribuiscono in tutto il paese.
Questi cavi oscillano per le azioni forzanti (pioggia,vento,neve ect.) fig.3 che non
sono di tipo armonico e prendono il nome di azioni forzanti di tipo casuali, cioè al
loro interno c’è un certo contenuto in frequenza.
diag.2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 6° lezione 29-10-2010
Allora se ho un sistema che ha dei suoi modi naturali di vibrare, che è soggetto ad
un’azione forzante di tipo casuale, nel moto forzato del sistema quelli che ritrovo
sono praticamente dei modi naturali di vibrare cioè in sostanza se mi vado ad
esaminare il moto forzato, il grosso dell’energia sta su queste frequenze che sono le
frequenze dei modi naturali di vibrare.
Le frequenze che c’erano nella causa forzante, me le ritrovo con una energia molto
piccola, e allora perché per quelle frequenze ritrovo energia molto grande?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
107
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Tornando al discorso del cavo di alta tensione, esso si dispone sotto l’azione del
proprio peso secondo una curva di cui l’espressione è nota e che va sotto il nome
catenaria. Naturalmente questo tipo di deformata statica del mio sistema consente
vari modi naturali di vibrare del sistema,tanto per cominciare ci sono i moti
pendolari cioè immaginando che agiscono delle componenti orizzontali delle forze
posso avere dei moti oscillatori di questo tipo fig.4-fig.5 è il cavo in deformato visto
dall’alto allora il primo moto pendolare avrà una deformata di questo genere il
quale deve essere senza nodi,il secondo moto pendolare avrà invece una deformata
con un nodo e così di seguito.
fig.4
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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fig.5
Il cavo però può oscillare anche nel piano verticale,e allora nel piano verticale avrò
delle deformate di questo tipo I moto,II moto e così di seguito crescendo per queste
deformate il numero di nodi.
Per questo tipo di deformate si vede subito che ce n’è uno molto pericoloso e cioè
proprio quello del primo senza nodi, perché per avere questa deformata è chiaro
che il cavo si deve tendere fortemente perché si deve allungare e quindi questo tipo
di oscillazione senza nodi nel piano verticale mi da dei forti e pericolosi incrementi
delle tensione meccanica all’interno del cavo,gli altri no perché naturalmente gli altri
hanno chi un nodo chi due ect. Ma non implicano necessariamente un allungamento
del cavo e quindi un aumento della tensione del carico.
In conclusione di tutti questi possibili moti del mio cavo l’unico pericoloso è quello
senza nodi nel piano verticale.
Questo è un sistema continuo e quindi fra i moti pendolari e quelli flessionali c’è un
accoppiamento, ma in realtà c’è ma se immaginiamo che il cavo possa essere
rappresentato come un n pendolo, questo implicherebbe una rigidità laterale del
cavo uguale a zero cioè sono tutte cerniere e allora se questo riproduce più o meno
la realtà cioè se il cavo si può immaginare con una rigidità laterale nulla,la serie di
moti verticali nel piano della lavagna è completamente disgiunta dai moti pendolari
e quindi si possono calcolare separatamente.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
109
DSM 6° lezione 29-10-2010
Adesso sto ponendo tale non uguale a ,perché l’azione forzante è di tipo
casuale come abbiamo detto contiene tutte le possibili, ma la vado a porre uguale
ad cioè la vado a porre uguale proprio alla pulsazione naturale del modo che
voglio evitare, perché la pongo uguale ad ma in realtà la pongo uguale ma alla
componente della causa forzante casuale che ha pulsazione perché quella che
desta quel particolare modo naturale di vibrare che voglio evitare.
Allora se faccio questa operazione gli altri moti che non mi danno fastidio perché
non mi danno variazioni sensibili di tensione del cavo continueranno ad esistere, ma
quello pericoloso lo evito con lo smorzatore dinamico. Questo spiega perché lo
smorzatore va proporzionato (questa volta quando le azioni forzanti sono casuali
non va proporzionato sulla pulsazione delle cause forzanti che non c’è) sulla
pulsazione del modo di vibrare che voglio evitare.
fig.6
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
110
DSM 6° lezione 29-10-2010
Immaginiamo che la ruota stia rotolando sul terreno e che su questo esistono degli
ostacoli,allora la ruota è soggetta a delle azioni forzanti e queste sono tipicamente
casuali e cioè contengono tutte le frequenze.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
111
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
112
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
moto forzato nel nostro sistema. Allora, tenuto conto di ciò, qual è la logica secondo
la quale noi andiamo a determinare questo moto forzato mediante questo
approccio di tipo matriciale? Come in tutti i sistemi che noi studiamo, la prima cosa
da fare è determinare il comportamento libero del nostro sistema, e cioè quelli che
vanno sotto il nome di moti naturali di vibrare, che non sono altro che integrali
particolari del sistema di equazioni differenziali del moto. Una volta fatto ciò, per
determinare il moto forzato, ricorreremo ad un metodo (applicabile solo se abbiamo
fatto questo approccio di tipo matriciale) che va sotto il nome di analisi modale.
Cos’è quest’analisi modale? In pratica, se io voglio determinare il moto forzato
faccio un cambiamento di variabili, cioè invece di andare a scrivere l’equazioni
matriciali del moto in termini di variabili coordinate generalizzate che rappresentano
effettivamente il moto del sistema, cambio queste variabili, e al posto di queste
(mediante teoremi che vedremo subito) vado a sostituire delle variabili che vanno
sotto il nome di coordinate normali. Perché si fa questa operazione? Perché dal
punto di vista matematico, se io volessi trovare il moto forzato di un sistema ad n g.
d. l. dovrei risolvere (ed è la stessa cosa: o considero l’equazioni differenziali del
moto o considero il sistema dell’equazione matriciale) un sistema di n equazioni
differenziali accoppiate tra loro. Si può vedere che, se io vado a cambiare queste
variabili non mi trovo più di fronte ad un sistema di n equazioni differenziali ma a n
equazioni differenziali indipendenti tra loro, e quindi possono essere risolte una per
volta semplicemente applicando i risultati che noi abbiamo già ottenuto per i sistemi
ad un solo g. d. l.. Naturalmente, una volta che ho determinato
queste variabili (coordinate normali) del sistema, poi con una
trasformazione inversa posso risalire a quelle che mi interessano,
e cioè le variabili coordinate generalizzate che rappresentano,
appunto, il moto del sistema che io voglio determinare. Quindi, la
logica del modo di procedere è questa, e naturalmente (di
questo vedremo anche delle applicazioni) vedremo, soprattutto
che questa logica può essere applicata soltanto se io affronto il
problema con questo approccio di tipo matriciale.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
113
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
Fig 1
È un modello costituito da n masse collegate fra loro e ai punti fissi dalle rigidità k1,
k2, …., kn, kn+1, come al solito io misuro queste coordinate generalizzate a partire
dalla posizione disegnata sul foglio che immagino sia quella di equilibrio; posizione
di equilibrio stabile a partire dalla quale io misuro la x1(t), la x2(t), …., la xn(t), che
sono, appunto, le coordinate generalizzate di questo sistema. Naturalmente già so,
dallo studio di sistemi più semplici, che se faccio questa operazione, quando vado a
scrivere l’equazioni differenziali del moto non devo tenere conto delle forze peso
corrispondenti alle masse, ne delle reazioni che in questa posizione agiscono
all’interno delle molle, di modo che posso scrivere facilmente le equazioni del moto
Naturalmente, così come abbiamo fatto nei sistemi a 2 g. d. l., quei coefficienti che
compaiono per le variabili non derivate, nelle equazioni differenziali del moto, le
posso indicare con Kij, dove il Kij va sotto il nome di coefficiente di rigidità, che è una
cosa completamente diversa dalle rigidità che sono eventualmente presenti nel
nostro sistema, e questo Kij è definito come la reazione cambiata di segno che nasce
sulla massa rappresentata dal primo indice, cioè sulla mi, quando io ho bloccato
tutte le altre masse e ho spostato di una quantità unitaria la massa rappresentata
dal secondo indice, cioè la mj. Di modo che quelle equazioni le posso scrivere più
semplicemente
114
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
Fig 2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
115
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
diversi da zero. Questo fatto è significativo dal punto di vista operativo? Si, perché,
come vedremo, nel momento in cui andremo a fare una panoramica degli algoritmi
disponibili per il calcolo matriciale, per la risoluzione numerica di questo problema,
ci accorgeremo del fatto che gli algoritmi più semplici e più rapidi sono quelli che si
hanno, proprio, quando si calcolano auto valori e auto vettori di una matrice
tridiagonale . nel caso in cui la matrice fosse completa ci saranno degli altri
algoritmi, che si devono applicare prima di questi, che rendono questa matrice
tridiagonale. Quindi dal punto di vista operativo è più facile risolvere
numericamente il problema quando il sistema è ad accoppiamento elastico
adiacente.
Come sono i sistemi reali? Alcuni sono effettivamente così, perché? Immaginiamo
che stiamo considerando un caso torsionale: tanti momenti d’inerzia di massa
collegati fra loro da tronchi di nota rigidità. Questo è il tipico caso di un sistema ad
accoppiamento elastico adiacente, perché ogni volano del sistema è collegato con
un tronco torsionale a quello che lo segue ed uno a quello che lo precede. Ci sono
però sistemi che sono ad accoppiamento elastico completo, per esempio io potrei
considerare un tale sistema
Fig 3
Una trave con una serie di masse calettate su essa, questo è il tipico esempio di
sistema ad accoppiamento elastico completo perché se immagino di volere
determinare, per esempio, il k1j dovrei applicare uno spostamento unitario alla
massa j-esima, dopo di che dovrei vincolare tutte le masse, tranne la j-esima, e
quindi dovrei disporre degli appoggi sulle altre masse e andare a vedere quanto vale
la reazione sulla massa 1, si vede subito che se faccio tale operazione avrò una
deformata (riportata in rosso) che mi fa vedere subito che tutte le reazioni sugli
appoggi: sul primo sarà la k1j, sugli altri saranno naturalmente le knj, e si vede che
sono tutte diverse da zero, cioè tutti i coefficienti di rigidità sono diversi da zero. C’è
da dire però che, una volta che abbiamo definito il nostro sistema per rappresentare
la rigidità del sistema, o se preferiamo, per rappresentare il fatto che il nostro
sistema si trova in posizione iniziale di equilibrio stabile, questa rappresentazione
non necessariamente dobbiamo farla attraverso la matrice dei coefficienti di rigidità
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
116
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
perché, in sostanza, noi sappiamo che esiste una matrice *α+, che va sotto il nome di
matrice dei coefficienti di flessibilità
La matrice aggiunta alla matrice [K] è la matrice che si ottiene, facendo prima di
tutto la trasposta (invertire righe e colonne), e poi, sostituendo a ciascun termine il
minore complementare, cioè il determinante che rimane quando si sono tolte la
colonna j-esima e la riga i-esima. Questo determinante, cioè il minore
complementare che deve essere sostituito al termine kij, va preso con il segno più se
i + j è pari, con il segno meno se i + j è dispari. Così questo è il modo di costruire la
matrice aggiunta.
La matrice dei coefficienti di flessibilità è ugualmente utile per definire il
comportamento delle rigidità all’interno del mio sistema, cioè questo
comportamento lo posso definire o con *K+ o con *α+ indifferentemente. È chiaro che
nel caso flessionale, che vedremo, mi conviene non utilizzare la [K], perché se io
voglio determinare una reazione con una configurazione di questo genere
Fig 4
117
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
α2j, αnj. È chiaro che siccome *α+ e *K+ sono legate tra loro e dipendono dalla
struttura del sistema che si deforma è evidente che una qualsiasi delle 2 deve
andare necessariamente bene per definire questa struttura, cioè, in pratica, questo
significa dire che al posto di [K] posso mettere *α+-1 nell’equazione del moto e
vedere cosa succede. Ci sono poi altri casi più complessi, naturalmente, perché in
ambedue i casi che stiamo esaminando le coordinate generalizzate sono degli
spostamenti. Esistono sistemi in cui le coordinate generalizzate sono delle rotazioni,
tipicamente i sistemi torsionali, che sono definiti dalla posizione angolare dei volani
che li compongono; ed esistono, ovviamente, anche altri sistemi in cui le coordinate
generalizzate sono insieme spostamenti e rotazioni, perché per esempio, se io
considerassi un qualsiasi corpo rigido
Fig 5
vincolato con una serie di molle, la cui posizione nello spazio può essere definita da
6 coordinate generalizzate. Naturalmente, la scelta di queste 6 coordinate
generalizzate non è univoca però normalmente, come vedremo quando studieremo
questi sistemi, in genere scegliamo gli spostamenti del baricentro G in una terna di
riferimento e le rotazione del corpo intorno ai tre assi di questa terna di riferimento,
di modo che, avremmo un vettore di stato, cioè un vettore delle coordinate
generalizzate che comprende 3 spostamenti e 3 rotazioni. In questo caso è più
complesso andare a determinare i coefficienti di rigidità, perché dovrei, per
esempio, imporre una rotazione intorno ad un certo asse e vedere quanto valgono
le coppie di reazione e le reazioni delle molle, e non è una cosa tanto facile, perché
dipende da dove sono posizionate le molle, dipende dal loro orientamento, cioè
dalla loro giacitura rispetto alla terna di riferimento, e da altre cose che vedremo.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
118
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
Quindi, si vede subito che non è immediato, cioè non sempre la definizione di
coefficiente di rigidità o di coefficiente di flessibilità di un sistema, la sola definizione
ci permette di calcolarlo. È così in nel caso semplice che stiamo esaminando ma
ovviamente non è sempre così. Quindi si possono rendere necessarie delle
procedure per determinare o la matrice *K+, oppure se è necessario la matrice *α+.
Naturalmente, come vedremo queste procedure si basano sulla stessa logica, cioè,
per esempio prendiamo quel corpo rigido vincolato elasticamente, da che cosa
saranno definite le rigidità? Sostanzialmente, dalla posizione dei punti dove sono
applicate le molle rispetto alla terna di riferimento e, come abbiamo detto dalle
giaciture, e quindi vedremo che la matrice [K] la calcoleremo tenendo conto di
questo, andando a concentrare in opportune matrici caratteristiche di quel
particolare sistema questi parametri, andando a fare delle operazioni su tali matrici,
e poi alla fine, ricavandoci la [K]. La logica è sempre la stessa: ho un sistema
complesso, lo rendo un sistema semplice a parametri concentrati, questi parametri,
o se preferiamo, tutti i parametri del sistema li vado a concentrare in opportune
matrici, infine quello che mi serve lo ricavo facendo delle operazioni su queste
matrici.
Se ritorniamo al nostro sistema di equazioni differenziali che rappresenta il moto
libero, come abbiamo già visto, possiamo porre tale sistema, in termini di matrici
caratteristiche nella forma
Dove:
{u} = vettore di costanti
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
119
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
7
E a questo punto possiamo ricavare
Devo prima fare il prodotto [m] per {u} ottenendo un vettore, dopo lo vado a
premoltiplicare la riga, un vettore per una riga mi da un numero
10
Ricordiamo anche che il prodotto di matrici non gode della proprietà commutativa,
cioè immaginiamo che [A] e [B] siano due matrici quadrate (nxn), [A][B] non è
uguale a [B][A]. Se poi, sono matrici con numero di righe e colonne diverse fra loro,
se si può fare il prodotto [A][B], non è detto che si possa fare il prodotto [B][A],
perché il numero di righe della matrice che sta a sinistra deve essere uguale al
numero di colonne della matrice di destra.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
120
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
Non l’ho fatto perché in questo momento quello che mi interessa è una cosa sola: a
primo membro, della 8, io ho un rapporto di due finzioni nel tempo, mentre a
secondo membro ho un rapporto fra quantità che sono indipendenti dal tempo.
Allora chiamerò λ questa quantità, cioè
11
Uguagliando la prima parte dell’equazione a λ otteniamo
12
Questa è l’equazione di una funzione armonica in cui λ è il quadrato della pulsazione
di questa funzione armonica (ω2). Questo primo risultato è già importante nello
studio dei sistemi ad n g. d. l., perchè quando abbiamo studiato i sistemi a 2 g. d. l.
abbiamo visto che era possibile individuare 2 integrali particolari dell’equazione
differenziale del moto, e tali integrali erano, appunto, due funzioni armoniche di
pulsazione ω1 e ω2. Quello che abbiamo dimostrato in questo momento e che se io
studio un sistema a n g. d. l. un suo integrale possibile non può che essere una
funzione armonica, quindi adesso vedremo quante ce ne sono, perché: abbiamo
dimostrato ancora che gli integrali particolari sono funzioni armoniche e in analogia
con i sistemi a 2 g. d. l. dobbiamo, questa volta dimostrare che, così come in quelli a
2 c’erano due integrali particolari, in questo caso ce ne sono n. Allora se mi servo
della 11 posso scrivere
13
Funz. parametrica incognita
E cioè
14
Questa dal punto di vista matematico è un sistema di equazioni, ovviamente
algebrico, perché le incognite sono le {u}, cioè sono le costanti d’integrazione;
ricordiamoci che quando abbiamo posto
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
121
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
15
Se f(t) è la funzione che abbiamo dimostrato essere armonica e che rappresenta
l’integrale particolare, il vettore ,u- sono le costanti d’integrazione. Allora la 14 è un
sistema di equazioni algebriche, nelle incognite {u}, omogeneo(essendo uguale a
zero), e di che tipo? A coefficienti non costanti e in particolare: parametrico nel
parametro λ. Di modo che, questo sistema ammette una soluzioni in u diversa da
quella banale, cioè con tutte le u uguali a zero, solo se il determinante dei
coefficienti del sistema è nullo
16
Perché quel sistema ammette sempre una soluzione banale per qualunque valore di
λ? Il sistema è fermo, e siccome sta inizialmente in una posizione di equilibrio
stabile, fermo sta e fermo rimane, quindi è chiaro che, la soluzione con le costanti di
integrazioni nulle, è sempre una soluzioni in quanto tale soluzione è quella che
rappresenta il sistema fermo. L’ultima equazione scritta è quella che va sotto il
nome di problema degli auto valori del sistema; cos’è quest’espressione dal punto di
vista formale? Se vado a sviluppare il determinante che cosa ottengo? È un
equazione di grado n, perché se io vado a scrivere l’espressione della matrice di cui
sto calcolando il determinante avrei
17
Se vado a sviluppare il determinante noto subito che ho un equazione in λ, e il grado
massimo è quello che ottengo quando moltiplico tutti i termini sulla diagonale (che
sono n), quindi il grado massimo è n. ricordando che λ è il quadrato della pulsazione
della funzione armonica che rappresenta l’integrale particolare, se vado a risolvere
tale equazione io trovo i così detti n auto valori del mio sistema, cioè gli n valori
delle pulsazioni naturali ω1, ω2, …. ,ωn, delle n funzioni armoniche che sono gli
integrali particolari dell’equazioni differenziali del moto.
Domanda di un ragazzo:
l’analisi modale ci calcola la ω?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
122
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
Allora, riprendendo il discorso di prima, quindi abbiamo dimostrato che gli integrali
particolari dell’equazioni del moto, in termini di matrici, sono funzioni armoniche, e
abbiamo dimostrato che di queste funzioni armoniche ce ne sono n e sono
caratterizzate dalle pulsazioni ω1, …,ωn. Naturalmente le pulsazioni vanno ordinate
in ordine crescente. Questo è il problema degli auto valori. Naturalmente, quando
noi applichiamo questo approccio di tipo matriciale, per questa equazione di grado n
non ci passiamo proprio, cioè non è che noi andiamo a svolgere quel determinante,
a trovare l’equazione caratteristica, e trovare le n radici di tale equazione; altrimenti
il calcolo matriciale sarebbe inutile. Esistono degli algoritmi di calcolo che, una volta
assegnati k ed m, e una volta fatte alcune operazioni su tale matrici, mi consentono
di determinare tutti insiemi gli auto valori di una matrice (che poi sono gli auto valori
del nostro sistema), senza passare per l’equazione caratteristica. Osserviamo ancora
che, se consideriamo l’espressione 14, questa, come abbiamo detto rappresenta un
sistema di equazioni algebriche parametrico in λ nelle incognite u; questo cosa vuol
dire? Vuol dire che per un assegnato valore di λ, per esempio λj, le incognite che
determinerò sono le uj, cioè rappresentano le costanti d’integrazione corrispondenti
all’integrale particolare j-esimo, il quale integrale particolare è una funzione
armonica di pulsazione, appunto, ωj, e quelle che vado a determinare sono le
costanti d’integrazione di questo integrale particolare. Osserviamo anche che,
ponendo nella 14 λj, otteniamo un sistema di equazioni algebrico il cui determinante
dei coefficienti è uguale a zero, e quindi le incognite sono non nulle, però sono
indeterminate, ovviamente deve essere così, perché per determinare il vettore {uj}
dovrei assegnare le condizioni iniziali, altrimenti, come è giusto che sia, il vettore
costanti d’integrazione di questo modo di vibrare j-esimo non può essere definito, e
quindi deve esser definito a meno di una costante. Perché si chiamo il problema
degli auto valori e non il problema dei modi naturali di vibrare? Naturalmente,
proprio per analogia con il calcolo matriciale, nel calcolo matriciale se ho una
matrice quadrata [A], il problema degli auto valori è definito in questo modo
18
In tali condizioni i valori di λ sono definiti gli auto valori della matrice quadrata *A+.
Per analogia con questo definizione del calcolo matriciale, anche i quadrati delle
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
123
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
pulsazioni naturali del nostro sistema reale, si indicano con lo stesso nome di auto
valori.
Abbiamo detto che da tale espressione è possibile ricavare λ1, … ,λn, adesso
dobbiamo risolvere il così detto problema degli auto vettori, cioè a dire, per
ciascuno di questi auto valori, e cioè, per ciascun integrale particolare dell’equazione
differenziale del moto, dobbiamo determinare (naturalmente a meno di una
costante) il corrispondente vettore delle costanti d’integrazione. Che cosa
rappresenta tale vettore di costanti d’integrazione? Rappresenta, ne più e ne meno
che, la deformata per quel modo naturale di vibrare, cioè in sostanza, sono le
ampiezze di oscillazione delle n masse del nostro sistema nel modo di vibrare j-
esimo, ovviamente, definite a meno di una costante. Allora, vediamo come si
procede per la determinazione di questi auto vettori; questa matrice
19
La indichiamo con [b]
20
Osserviamo che in *b+ abbiamo inserito λ e non λj, in quanto λ è ancora un
parametro, quindi non è definito numericamente. L’inversa della *b+ sarà
21
[B] : aggiunta di [b]
22
-1
[b][b] è, ovviamente, la matrice unitaria, per cui il prodotto al secondo membro è
uguale al determinante di [b] per la matrice unitaria. Se andiamo a porre, nel
prodotto a secondo membro, al posto di λ, uno dei suoi valori λj, il determinante di
[b] naturalmente è uguale a zero, e quindi otteniamo
23
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
124
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
E questo l’otteniamo per ogni valore di j variabile tra 1 e n, visto che sono n i valori
di ωj2, o se preferiamo λj. Consideriamo la 23 e consideriamo la seguente relazione
24
|[K] – λ [m]| {u} è uguale al vettore zero, |[K] – λ [m]| è la matrice [b], e quindi
possiamo scrivere
25
Cosa ci da il confronto tra queste due espressioni? Ci dice che una colonna della
matrice *B+ è proporzionale al vettore ,u-, infatti notiamo che l’espressione 25 la
possiamo scrivere come
26
Poi posso scrivere
27
Fino ad arrivare a
28
Questo che significa? Se andiamo a confrontare le 26, 27, 28 con la 25 ci accorgiamo
che la {u(j)} ( ricordiamo che è definita a meno di una costante) è proporzionale alla
prima colonna, è proporzionale alla seconda, alla terza ……. , all’ n-esima; cioè
siccome questa
29
è definita a meno di una costante, per {u(j)} possiamo prendere indifferentemente la
prima, la seconda, … l’n-esima colonna della matrice [Bj], perché ciascuna di queste
colonne è proporzionale al vettore che ci interessa. Questo è il problema degli auto
vettori, perché questi vettori {u(1)}, {u(2)-, … , ,u(n)-, delle costanti d’integrazione,
corrispondenti agli integrali particolari 1, 2, …, n, di pulsazione ω1, ω2, …, ωn, vanno
sotto il nome di auto vettori del sistema. La matrice che li contiene tutti è
30
la matrice degli auto vettori, o la matrice modale, perché naturalmente, quegli auto
vettori sono le deformate del sistema dei modi naturali, e quindi è una matrice che
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
125
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
nel suo complesso rappresenta, appunto, i modi di vibrare del sistema. Però,
osserviamo, prendendo in esame le 26, 27 e 28, che ci hanno consentito di dire che
l’autovettore j-esimo, che stiamo considerando, lo possiamo prendere o come prima
colonna o come seconda o …, che cosa ci dice sulla matrice *Bj]? Che ha
determinante nullo, quindi è una matrice singolare che ha tutte le colonne
proporzionali fra loro. Ricordiamo che, dal punto di vista fisico e matematico questa
è una delle cose che deve essere verificata, cioè se noi applichiamo un qualunque
algoritmo di calcolo, che ci fornisce queste matrici aggiunte, il primo controllo lo
possiamo fare così, perché tutte le colonne di ciascuna di questa devono essere
proporzionali fra loro. Questa procedura seguita non è quella che, effettivamente,
viene seguita per determinare gli auto vettori. Così come per gli auto valori,noi non
passiamo proprio attraverso l’equazione di grado n in λ, ma andiamo a fare delle
operazioni su [K] e [m], per ottenere una matrice [A], dalla quale andare a
determinare con un algoritmo matriciale gli auto valori; nello stesso modo non
passiamo proprio attraverso le matrici [Bj], che sono le aggiunte e che, quindi, non
sono facili da determinare, perché dobbiamo calcolare tutti i determinanti dei
minori complementari, termine per termine, quindi anche qui applichiamo non
applichiamo questa logica, ma applichiamo un altro algoritmo del calcolo matriciale
che, una volta calcolata la *A+ e quindi gli auto valori λ, sulla stessa matrice *A+
possiamo fare una serie di operazioni e determinare, tutti insieme, gli auto vettori,
cioè determiniamo direttamente la matrice modale, senza passare per le n matrici
aggiunte che ci consentirebbero di determinate uno per volta gli auto vettori del
nostro sistema. Citiamo un'altra indicazione sul controllo: naturalmente anche qui
(però stavolta, questo non si può dimostrare) valgono le considerazioni che abbiamo
fatto per i sistemi a 2 g. d. l. a proposito del tipo di deformata che noi abbiamo
quando passiamo, dal primo modo naturale di vibrare (a pulsazione più bassa) al
secondo modo (a pulsazione più alta). Avevamo detto, in questo caso, la prima
deformata deve avere zero nodi, perché in questo moto le rigidità vengono
impegnate di meno (e la pulsazione è più bassa); il secondo modo deve avere un
nodo, cioè deve avere un inversione di segno, delle ampiezze di oscillazione delle
masse, perché corrisponde ad un impegno maggiore della rigidità, e quindi ad una
pulsazione naturale maggiore di quella precedente. Lo stesso vale anche qui, cioè ci
rendiamo conto del fatto che non è dimostrabile analiticamente, però, è un fatto
che è sempre vero, e che, naturalmente, può essere usato per controllare i risultati
che otteniamo. Abbiamo detto: quando noi applichiamo questi algoritmi nel calcolo
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
126
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
matriciale (di cui poi parleremo) non passiamo proprio per [Bj], ma otteniamo
direttamente la matrice [u].
Qual è il primo controllo che possiamo fare? Andiamo a prendere le varie colonne
della [u], la {u2} deve avere un nodo in più, cioè un inversione di segno in più della
{u1}, la {u3} uno in più della {u2- ecc…, cioè il numero di nodi, o se preferiamo il
numero di inversioni di segno che io trovo nelle deformate corrispondenti, u1, u2, …,
un, deve essere sempre crescente al crescere della pulsazione. D’altra parte,
vediamo che concettualmente, se consideriamo di nuovo l’espressione
31
T
Immaginiamo di premoltiplicato per {u} , cioè possiamo scrivere
32
Ora: λ è il quadrato della pulsazione naturale, ma che cos’è questa pulsazione
naturale? E’ sempre una radice di k su m, anche in questo caso, naturalmente però,
non proprio di k su m, ma di k ed m pesati in che modo? Con le deformate. Per
esempio, considero il moto j-esimo, allora
32a
possiamo far vedere (in verità in maniera abbastanza complessa e comunque non
proprio in forma chiusa) che maggiore è il numero di nodi che abbiamo, cioè il
numero d’inversione di segno che abbiamo nei vettori ,u-T e {u}, maggiore è il valore
di λ, cioè maggiore è il valore della pulsazione naturale. Questa è la logica con la
quale si è cercato di dimostrare ( ma non ci si è riusciti in forma chiusa) che il
numero di nodi della deformata deve essere sempre crescente, perché configurano
un aumento dell’impegno della rigidità e quindi delle pulsazioni naturali più elevate.
Comunque, questa è sicuramente una delle considerazioni che si possono fare su dei
risultati ottenuti operando il calcolo; la prima cosa da vedere sono le deformate,
esse devono necessariamente rispettare questo criterio.
In riferimento alle deformate, immaginiamo di voler disegnare quelle del nostro
sistema. Volendo disegnare la deformata del modo di vibrare j-esimo, dobbiamo
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
127
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
33
Che significa fisicamente? Significa imporre che l’ampiezza di oscillazione, della
prima massa, in tutti i modi naturali di vibrare è sempre 1; e quindi questo è chiaro,
perché allora se poniamo, nel disegnare tali deformate, l’ampiezza di oscillazione
della prima massa unitaria, è evidente che nel disegnare le deformate,notiamo che
nello stesso ordine di grandezza, sono confrontabili le une con le altre. Quindi, il
significato fisico è molto evidente, come faccio? Molto semplicemente, prendo
ciascuna delle colonne che compongono la matrice [u] (perché ricordiamo: che
ciascuna di queste colonne è definita a meno di una costante e non la matrice [u]) e
le divido per il primo termine della colonna. Il significato di tale condizione è ovvio, e
cioè quella di avere ampiezze, nei vari modi naturali di vibrare, che siano dello
stesso ordine di grandezza.
La seconda condizione di normalizzazione è leggermente più complessa, perché si
scrive in questo modo
34
La quantità a primo membro se la vado a sviluppare è
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
128
D.S.M. 7° lezione – prima parte 03-11-2010
35
Quando si prosegue, cioè per il sistema che stiamo studiando si determinano gli
auto valori e gli auto vettori, poi, passo successivo, si va a calcolare il moto forzato,
generalmente la condizione di normalizzazione che si preferisce la seconda. Perché?
Quando vedremo l’applicazione del metodo dell’analisi modale, molto spesso, al
denominatore di certe espressioni che si trovano, compare proprio la sommatoria
35, di modo che la poniamo uguale ad 1 già dall’inizio e risolviamo il problema.
Osserviamo una cosa che sembra banale ma che è molto importante da ricordare:
una volta che abbiamo calcolato auto valori e auto vettori, possiamo scegliere la
condizione che vogliamo, o la prima o la seconda, ma nei calcoli successivi non la
possiamo cambiare più, proprio perché all’interno dell’espressioni che vedremo,
figurano cose come queste, che non possiamo mettere una volta uguale ad uno ed
un’altra uguale ad un'altra quantità.
C’è da dire che la seconda condizione di normalizzazione, al di là della sua
utilizzazione pratica numerica, può avere attribuito anche un significato fisico. Chi
riesce a vederla? Se ci semplifichiamo le cose scrivendo
35a
Cosa avremo imposto? Avremo imposto la costanza dell’energia cinetica su tutti gli n
modi naturali di vibrare, questo perché l’ampiezza della velocità è ωj{uj}. Quindi,
questa seconda condizione di normalizzazione la si può interpretare, dal punto di
vista fisico, come voler attribuire, a tutti i modi naturali di vibrare, deformate che
abbiano un’energia cinetica uguale a meno del quadrato della pulsazione naturale,
perché naturalmente, nella 35a non c’è ωj, l’abbiamo inserito noi per dare un
indicazione.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
129
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Adesso proseguiamo invece nella logica del fenomeno visto inizialmente che è quel-
lo di arrivare alla definizione del moto forzato del nostro sistema.
Fino a questo momento abbiamo determinato i modi naturali di vibrare del sistema;
ora il moto forzato del sistema lo calcoliamo applicando un metodo che va sotto il
nome di analisi modale, la quale si basa sul teorema d’espansione.
Allora consideriamo due modi di vibrare distinti tra di loro, il modo e il modo . E
scriviamo l’ultima espressione per i due modi di vibrare suddetti.
Adesso andiamo a pre-moltiplicare (bisogna sempre dirlo a causa della non validità
della proprietà commutativa della moltiplicazione nei calcoli matriciali) la prima per
e la seconda per , otterremo:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
130
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
A questo punto facciamo la trasposta della seconda espressione (per fare la traspo-
sta di un prodotto di matrici, bisogna fare la trasposta delle singole matrici e inverti-
re l’ordine di moltiplicazione).
N.B.: questa volta il primo membro è proprio zero sempre perché il prodotto al se-
condo membro mi dà un numero.
Allora noi stiamo considerando due modi naturali di vibrare dello stesso sistema,
ed . Ora, normalmente, le corrispondenti pulsazioni naturali sono diverse tra di loro
e quindi , per cui:
Si può far vedere subito che oltre ad essere m-ortogonali sono anche k-ortogonali,
cioè la stessa espressione vale con al posto di . Naturalmente non è più la som-
matoria (perché non è più diagonale) ma cmq avrò un numero che in ogni caso è
nullo.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
131
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Cioè esistono sistemi che hanno modi naturali di vibrare distinti (ovvero con defor-
mate diverse tra di loro) ma che hanno la stessa pulsazione. In genere questo succe-
de quando considero un sistema a molti GdL, nel quale questi GdL non sono tutti in-
dipendenti tra di loro; cioè uno di questi (GdL) può essere combinazione di altri, allo-
ra per sistemi di questo tipo, in realtà scrivo un sistema di eq. differenziali il quale
non è indipendente.
Cioè potrei scrivere due sistemi di eq. separate e allora può capitare che un modo di
vibrare di uno e un modo di vibrare di un altro abbiano la stessa pulsazione.
Esistono, quindi, sistemi in cui si verifica ciò, allora e non è più detto (cioè
non è più univocamente definito) che questo prodotto sia univoco (ma potrebbe an-
che essere!).
Cioè a dire, per sistemi che hanno, come si suol dire, pulsazioni doppie (cioè due
modi naturali di vibrare distinti ma con la stessa pulsazione), bisogna andar a con-
trollare se effettivamente gli AUTOVETTORI corrispondenti sono ortogonali tra di lo-
ro oppure no.
Perché questo fatto dell’ortogonalità non è più garantito dalla ortogonalità dei vet-
tori colonna.
Tutti i termini di questa matrice quadrata che sono all’esterno della diagonale prin-
cipale sono ovviamente nulli, perché corrispondono a prodotti con .
Quindi per l’ortogonalità i termini sono nulli; allora questo sarà uguale ad una matri-
ce diagonale di certe costanti, che chiameremo . L’imporrante è che il prodotto
di queste tre grandezze mi dà una matrice diagonale .
Abbiamo detto prima (non è stato dimostrato ma è banale!) che così come questi
AUTOVETTORI sono m-ortogonali, sono anche k-ortogonali. Nella stessa maniera si
può vedere che:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
132
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Conseguenza m e k ortogonalità
Allora queste due espressioni che vengono fuori e che sono il risultato della m-
ortogonalità e della k-otogonalità danno luogo ad un’espressione molto interessan-
te.
Avremo ovviamente al secondo membro una matrice diagonale, dove ci sono pro-
prio le .
Naturalmente questo risultato non è che sia importante per determinare le (le
poi non le conosciamo).
non possiamo utilizzarlo per determinare gli autovalori del sistema, cioè proprio
perché, per quanto detto prima, le non le conosciamo.
Perché è importante?
Perché fa capire che le pulsazioni naturali del sistema sono ancora una radice di su
; però sia che sono pesate con la matrice modale, cioè pre-moltiplicate e post-
moltiplicate per la matrice modale trasposta e non trasposta.
134
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Questi algoritmi che devono essere scelti devono risolvere il problema che avevamo
citato prima, cioè:
quando ho una matrice quadrata , gli autovalori di sono quelli per i quali l’eq.
soprastante ammette soluzione in diversa da quella nulla.
Queste due espressioni sono molto simili tra di loro, basterebbe che io la seconda
l’andassi a pre-moltiplicare per , e quindi si avrebbe:
Mi sono riportato esattamente all’espressione che definisce gli autovalori di una ma-
trice quadrata, dove la matrice quadrata è la parte della formula evidenziata in blu.
Perché gli algoritmi che servono per risolvere i problemi degli autovalori che sono
disponibili, sono fondamentalmente di due tipi:
1) In forma chiusa
2) In forma iterativa
2. Ci si può subito rendere conto del fatto che quando si va ad operare con un
algoritmo di tipo iterativo, io c’ho inizialmente (in sostanza) un probl. fonda-
mentale che era, una volta, quello di definire l’ piccolo a piacere.
Cioè a dire, in un procedimento iterativo, io devo avere una valibile di control-
lo e devo immaginare che l’iterazione è finita quando questa variabile di con-
trollo diventa più piccola di un valore predeterminato.
Come lo predetermino?
Naturalmente non c’è modo di farlo!
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
1. Quindi questa matrici di cui devo andare a calcolare gli autovalori è una ma-
trice simmetrica e quindi posso andare utilizzare gli algoritmi in forma chiusa
per matrici simmetriche.
Naturalmente gli autovalori che calcolo sono proprio quelli che mi interessa-
no, però non gli autovettori.
Perché lo stesso algoritmo che sto utilizzando per questa matrice mi fornisce
autovettori che non sono i miei, cioè quelli del mio sistema.
Però si vede subito che si può scrivere:
Dove questi (quelli in blu) sono gli autovettori che vengono fuori dal calcolo e
questi (quelli in arancione) sono quelli del mio sistema e quindi questi ultimi li
cavo banalmente dividendo ogni elemento di della matrice per la radice di
.
Quindi con questo piccolo artificio è possibile, in forma chiusa, calcolare (in
maniera più comoda) gli autovalori ed autovettori.
TIPI DI ALGORITMI
Come funzionano questi algoritmi?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
137
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Si può far vedere che siccome le rotazioni delle matrici non cambiano gli auto-
valori, durante queste rotazioni, i termini sulla diagonale, guarda caso, sono
proprio gli autovalori cercati.
Questa è la logica con al quale funzionano i cosiddetti metodi, detti algoritmi,
di diagonalizzazione della matrice.
Successivamente c’è un altro algoritmo, grazie al quale, una volta determinati
gli autovalori mi determina gli autovettori.
2. L’altro tipo di logica matematica, che mi permette di risolvere il problema, è
quella della triangolarizzazione della matrice.
Quello che si fa, questa volta, è trovare delle matrici di rotazione che annulla-
no uno per volta tutti i termini di un triangolo di una matrice.
[FIG.1]
Se è questa la matrice, uno per volta, si annulleranno tutti i termini che si tro-
vano in basso risp. alla diagonale principale.
Anche in questo caso rimarrà diverso da zero il triangolo superiore, ma il fatto
importante è che sulla diagonale principale, ancora una volta, troveremo gli
autovettori.
Metodi iterativi
Questi metodi si applicano se e solo se non si applicasse questa semplicissima (e pic-
cola) trasformazione al nostro sistema e per questo hanno delle logiche abbastanza
diverse.
Perché?
Perché non riescono ad annullare i termini di una riga e di una colonna e quando si
effettuano moltiplicazioni successive, termini che erano prima nulli, diventano di-
versi da zero.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
138
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Allora ci sono dei criteri di convergenza, ma con tutto ciò, bisogna vedere quando si
considera zero un elemento della matrice (questo rimane cmq un fatto concettual-
mente molto complicato).
Una volta risolti autovalori ed autovettori, possiamo subito scrivere come si presen-
ta l’integrale generale dell’eq. del moto; questo perché quelli che abbiamo trovato
finora sono integrali particolari di un’eq. differenziale del moto, di modo che la
si presenterà nella forma:
33:09 a 33:28
Questa scrittura in realtà somiglia molto alla scrittura che viene fuori dalla espres-
sione del moto forzato del vostro sistema basato sul teorema d’espansione.
Che significa?
Immaginiamo che questo sistema non è più libero ma sia forzato, cioè ci siano delle
azioni forzanti.
Noi possiamo ancora scrivere un’espressione simile a quella vista, nella quale però le
, che nel nostro caso di moto libero, sono le funzioni armoniche di pulsazione
dei modi naturali, naturalmente non sono più queste ma sono delle funzioni che
dipendono dalle cause forzanti.
Quelle che abbiamo detto prima essere indicate come coordinate di normali del no-
stro sistema.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
139
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Ciascuna di queste componenti avrà una deformata che è simile a quella del modo
naturale di vibrare (non è quella del modo naturale di vibrare che è definita a meno
di una costante, stavolta è definita, ma certamente è simile).
Lo stesso tipo di espressione formale io la posso avere anche per il moto forzato, so-
lo che questa volta non sono le funzioni rappresentative dei nodi naturali di vi-
brare ma sono invece delle funzioni che dipendono dalle cause forzanti.
La cosa importante è che anche il moto forzato lo posso esprimere come somma di
componenti in ciascuna delle quali, al di la della funzione con cui viene destata,
(che dipende dalle cause forzanti) la deformata è simile a quella di un modo naturale
di vibrare.
Cioè in altri termini posso determinare il moto forzato andando a vedere le effettive
azioni forzanti di quanto destano una deformata simile al primo modo, di quanto de-
stano una deformata simile al secondo moto e così di seguito.
La somma di tutte queste componenti rappresenta il moto forzato del nostro siste-
ma.
Teorema di espansione
Quanto detto poco fa è riassunto in tale teorema (da dimostrare).
Perché il moto del mio sistema lo vado ad espandere in una somma di componen-
ti, ciascuna delle quali è una deformata simile ad un modo naturale di vibrare. Quin-
di ho espanso il moto del mio sistema.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
140
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Qlq moto del mio sistema lo si posso espandere in tanti moti, nei quali le deformate
sono quelle dei modi naturali di vibrare; cioè questo significa scrivere:
Qlq moto si può scrivere come somma di tante componenti, quanti sono i modi
naturale di vibrare. Per ciascuna di queste componenti la deformata è simile a quella
del modo naturale di vibrare. La funzione dipende ovviamente dalle cause forzanti.
per qlq moto del sistema esistono le funzioni tale da essere verificata la condi-
zione (ovviamente da dimostrarlo).
Assegnato un moto qls bisogna dimostrare che esistono sempre delle tali
da verificare quella condizione ( ).
Per dimostrare questa cosa noi ci serviamo proprio del risultato dell’ortogonalità dei
vettori colonna.
Si è visto prima che in un sistema gli autovettori sono sia m-ortogonali che k-
ortogonali.
Adesso facciamo vedere che gli autovettori sono lineamenti indipendenti, cioè a dire
che non possono essere ricavati gli uni dagli altri mediante combinazione lineare.
Perché?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
141
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
142
DSM 7° lezione – seconda parte 03-11-2010
Cioè questo vuol dire che gli autovettori che noi avevamo, per assurdo, immaginato
che fossero dipendenti, invece abbiamo dimostrato che sono indipendenti.
Questa volta abbiamo un sistema di eq. algebriche non omogenee, quindi in corri-
spondenza di , trovero valori , tale che è verificata questa condizione
(essendo indipendenti tra di loro).
Qlq moto del mio sistema lo posso espandere nel modo descritto. Le non sono
altro che le funzioni del tempo che io ricavo da questo sistema di eq. funzionanti.
Quindi abbiamo dimostrato che un qlq moto del nostro sistema può essere espanso
in componenti, in ciascuna delle quali la deformata è simile a quella di uno dei
modi naturali di vibrare.
Questo teorema d’espansione è alla base del metodo dell’analisi modale che utiliz-
ziamo per la determinazione del moto forzato.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
143
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
E.*
Dove [u] è la matrice modale e ɳ sono delle funzioni che vanno sotto il nome di
coordinate normali del sistema. Questo significa anche scrivere :
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
144
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
E.6
E.7
Dove :
E.8
Si vede subito che questa equazione è indipendente dalle altre perché l’unica
variabile che compare è la (t), e quindi in sostanza abbiamo dimostrato che con
questo cambiamento di variabili che è consentito dal teorema di espansione,si passa
da un sistema ad n equazioni differenziale (ovviamente non omogenee perché
stiamo considerando un moto forzato) passiamo ad n equazioni differenziali
indipendenti fra di loro, le quali possono essere risolte una alla volta e in più si
presentano in una forma che è perfettamente analoga a quella che definisce il moto
di un sistema ad 1 gdl. Naturalmente in questa espressione che noi abbiamo
confrontandola con quella che esprime il moto a 1 gdl, la massa è 1 , il coefficiente
di rigidità è , cioè il coefficiente della variabile non derivata e la F (l’azione
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
145
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Questo fa capire che tale modo di operare,cioè l’analisi modale, rispetto al modo
tradizionale che prevederebbe come il sistema di equazione differenziale non
omogenee andare a determinare un integrale particolare di un sistema di equazioni
differenziali abbia avuto difficoltà molto più semplice, ed è chiaro che una volta che
abbiamo determinato le (t), tramite una stessa espansione conosco la matrice
modale e posso effettivamente risalire subito al moto x(t) del mio sistema che alla
fine mi interessa.
E.9
In questo caso l’azione forzante è una combinazione delle (t), e allora si tratta di
vedere di che tipo sono le (t) perché queste normalmente nei sistemi meccanici,
non sono solo armoniche ma anche sincrone cioè hanno la stessa pulsazione perché
generalmente questa pulsazione comune delle azioni forzanti, o è la velocità
angolare oppure è un multiplo o sottomultiplo della velocità angolare però tutte le
azioni forzanti sono sincrone fra di loro. Di conseguenza se qui ho una somma , le
azioni forzanti armoniche e sincrone, il risultante di questa somma sarà ancora una
funzione armonica di pulsazione pari a quella comune delle azioni forzanti e quindi
mi troverò di fronte ad una equazione che è la stessa di quella del moto di un
sistema ad 1 gdl per una azione forzante armonica.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
146
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Diverso è il caso in cui le azioni forzanti sono di tipo periodico, però anche in questo
caso posso immaginare di dividerle in azioni forzanti comuni con la stessa pulsazione
andando a sviluppare queste azioni forzanti periodiche per poi andarle a
sovrapporre e naturalmente ricavo esattamente la stessa cosa.
Il problema si può porre qual’ora queste azioni forzanti non siano periodiche, in
questo caso la soluzione del moto forzato di un sistema ad 1gdl equivalente a
questo che stiamo studiando, in realtà è un integrale di convoluzione. Inoltre oltre
alla componente forzata ci sarà un moto libero di assegnate condizioni iniziali, anche
il moto libero di assegnate condizioni iniziali per un sistema ad n gld ,la soluzione
qualunque siano le (t) sostanzialmente è nota.
E.10
E.11
E.12
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
147
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Queste sono le condizioni iniziali che ho per il mio sistema,mentre invece per
risolvere il problema ho bisogno dei vettori:
Se adesso vado a pre moltiplicare per l’inversa della matrice *u+, otterrò:
E.13
E.14
Se vado a post moltiplicare tale espressione per l’inversa della matrice *u+,ottengo:
E.15
E.16
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
148
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Se le azioni forzanti non sono armoniche e non sono neanche periodiche cioè sono
azioni forzanti non periodiche , la dovrei risciverlo con la soluzione dell’integrale
di convoluzione che si scrive:
E.17
Allora ricordiamoci che questa azione forzante è una combinazione delle funzioni
,se esse non sono periodiche è ovvio che anche questa combinazione non è
periodica. Si tratta poi di vedere, se sono periodiche , se le pulsazioni delle azioni
forzanti sono commensurabili fra di loro allora la somma è ancora una funzione
periodica, se non lo sono ritorniamo al caso di una funzione non periodica.
Tutto ciò dal punto di vista tecnico non grande rilevanza perché nel nostro caso le
azioni forzanti o sono armoniche o periodiche, e se sono periodiche sono
decomponibili in armoniche le quali possono essere considerate una per volta
ritornando alla soluzione del caso in cui l’azione forzante è appunto un’azione
armonica.
Se sto applicando questo tipo di calcolo ad un sistema torsionali nel quale le azioni
forzanti siano i momenti motori che agiscono sui manovellismi che agiscono sui
motori alternativi a combustione interna, questi z momenti motori saranno tutti
uguali tra di loro, il loro periodo sarà lo stesso per tutti,perché ovviamente sarà di un
giro o di 2 giri a seconda del motore che sia a 2 tempi o 4 tempi, se vado a
decomporre in serie di Fouriè naturalmente otterrò le stesse identiche armoniche
per tutti quanti. Allora posso andare a considerare come agenti sul sistema tutte le z
armoniche dello stesso ordine n, di modo chè tutte queste z armoniche sono
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
149
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Questo già nel caso che abbiamo considerato come esempio, in cui le azioni forzanti
diretti sul sistema non sono armoniche ma periodiche, se poi sono armoniche allora
tanto di guadagnato, per esempio se considero un sistema flessionale , rispetto alla
flessione le azioni forzanti sono le componenti delle forze rotanti e delle coppie
rotanti dovute rispettivamente allo sbilanciamento statico e a quello dinamico dei
rotori che compongono il mio sistema. Queste componenti sono funzioni armoniche
di pulsazione pari alla velocità angolare , allora se ipoteticamente mi volessi
calcolare il moto forzato del sistema mi troverei ancora una volta di fronte a delle
azioni forzanti che sono armoniche che sono anche sincrone fra di loro e
naturalmente nel caso caratteristico, in generale, questa pulsazione comune delle
azioni forzanti e proprio la velocità angolare,in tal caso questa espressione della
, è relativa per azioni forzanti armoniche e sincrone.
E.18
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
150
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
fase che sarà che rimane inalterato proprio perché hanno la stessa
pulsazione.
Questo significa che se sto considerando questo tipo di moto forzato, lo posso
scegliere come mi pare perché dipende dal momento in cui inizio a contare i tempi,
però , e così di seguito.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
151
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
E.19
E.20
Cioè a dire, per andare a determinare quella somma di funzioni armoniche posso
servirmi della rappresentazione vettoriale di quelle funzioni armoniche. Allora devo
andare a riportare dei vettori rotanti i quali ruotano tutti con velocità pari ad che
abbiano un modulo pari a cioè al modulo delle nostre funzioni armoniche, e
abbiano all’istante t=0 un angolo di fase pari a . Adesso, facendo riferimento alla
fig.1. avremo i vettori della somma vettoriale del numeratore:
FIG.1
Alla fine consideriamo la somma dei vettori rotanti rappresentato da R,e cioè dalla
risultante che non è altro che la sommatoria, di questo R devo prendere il modulo e
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
152
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
la sua funzione sarà ancora cos( perché ruoterà ovviamente alla stessa velocità
angolare , e però presenterà un certo angolo di fase che quello che abbiamo
indicato con .
E.21
E.22
Cioè il moto forzato del sistema avrà la stessa funzione dell’azione forzante e come
ampiezza avrà lo spostamento statico per il coefficiente di amplificazione, in questo
caso normalmente lo scrivo come ,ora è l’ampiezza della causa forzante
E.23
E.24
A conclusione di questo discorso del calcolo del moto forzato,dobbiamo dire che
tutto automatizzabile in maniera immediata. Siccome però devo calcolare tutte le
queste operazioni le devo andare a ripetere per . Alla fine ,una volta
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
153
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
Si presenterà così:
Naturalmente come possiamo notare , la funzione con cui questa componente del
moto forzato, che ha un’ampiezza simile a quella del moto naturale con un
coefficiente di rapporto fra le due che è pari a viene
destata con la funzione ,la quale non niente a che vedere con il moto
naturale j-imo, perché quello li che ha una deformazione viene destato con una
funzione che è il cos che non nulla a che vedere con che abbiamo considerato
fino adesso.
Quindi con l’analisi modale calcoliamo il moto forzato come somma di componenti
di moto forzato che abbiano ciascuna deformate simili a quelle del moto
naturale,ma è solo la deformata che è simile a quella di un moto naturale perché la
funzione con cui viene destata naturalmente è completamente diversa da quella
rappresentativa di quel moto naturale.
Alla fine andiamo a vedere come si presenta il moto forzato effettivo del sistema:
Alla fine avrò una somma di funzioni armoniche con ampiezze diverse tra di loro che
hanno tutte la stessa pulsazione ( ) e che però hanno degli angoli di fase le une
rispetto alle altre,queste componenti, che sono che non hanno niente a che
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
154
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
vedere con gli angoli di fase delle azioni forzanti , comunque avrò una somma di
funzioni armoniche sincrone. Allora come mi calcolo il moto forzato?
Faccio la somma di queste funzioni esattamente nello stesso modo con cui ho
ricavato la somma delle ,cioè considerando il vettore rotante.
E.25
E.26
Dove X deriva dalla somma vettoriale di tutte le componenti dopo di che ne ricavo il
risultante ed il modulo di questa risultante è X, dopo di ciò il risultante presenterà
un certo angolo di fase che sarà . Questa volta vi faccio osservare che mentre
prima parlavamo di perché l’angolo di fase era relativo al modo che stiamo
considerando, se considero la , l’angolo di fase è quella del moto e quindi è
relativa proprio alla massa e quindi verrà indicato con . Allora diciamo che con
questo modo di procedere che è caratteristico del caso di azioni forzanti armoniche
con la stessa pulsazione, diciamo che possiamo risolvere il 99% dei problemi reali in
campo meccanico, quindi questa è la logica che applicheremo quando vogliamo
trovare il moto forzato di un sistema ad n gdl.
E.27
E.28
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
155
DSM 8° lezione – prima parte 04-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
156
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Dove , , …, sarebbe:
Allora la somma:
Può essere calcolata vettorialmente, cioè posso riportare con il suo angolo di
fase , con il suo angolo di fase e via discorrendo.
[FIG.1]
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
157
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
N.B.: è quello che viene calcolato per le azioni forzanti, qui invece stiamo calco-
lando il moto, cioè stiamo calcolando come somma di tante componenti
del moto quanto sono le .
Quando è stato effettuato il calcolo dell’azione forzante -esima, quello che è stato
effettuo è stato di prendere tutti i vettori rotanti. Alla fine questa azione forzante -
esima c’ha un certo modulo, che è il modulo di questo risultante (a rigore sareb-
be ), cioè il risultante dell’azione forzante per la coordinata normale -esima.
L’angolo di fase è quello che è stato chiamato , allora questo angolo di fase è lo
stesso della . Quindi la , che compare nell’espressione di , c’hanno angoli di
fase , , …,
Ad es. il primo modulo è stato chiamato (l’1 sta per “componente 1”, ovvero
quella corrispondente al primo modo di vibrare); poi avrò, ad es., una e così di
seguito.
Questi saranno gli vettori componenti del moto , di tutti questi vettori vado a
trovare il risultante che è proprio il moto complessivo , quindi lo posso definire
con la sua ampiezza (l’ampiezza di questo ) e con un certo angolo di fase che è
quello che risulta da questa somma vettoriale.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
158
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
non ha nulla a che vedere con , infatti il primo è relativo al moto della massa
-esima mentre il secondo è l’angolo di fase relativo alla coordinata normale -esima
(o se si vuole all’azione forzante relativa alla coordinata -esima).
[FIG.2]
Quindi questo risultato che otterremo è un risultato di quelli che può essere utilizza-
to a posteriore per un controllo fisico sui numeri che si ottengono dopo avere risolto
un problema da un codice di calcolo.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
159
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
piani di simmetria, allora questa simmetria ha dei riflessi fisici che devono cmq esse-
re rispettati.
Di modo che sapendo questo fatto se io mi sono fatto dei conti su un sistema com-
plesso ma che è in anticipo e simmetrico, questo è un elemento di controllo dei ri-
sultati che si ottengono. Perché questi risultati devono rispettare queste considera-
zioni che si faranno.
Dove:
La prima cosa che bisogna osservare è che già abbiamo trovato un’implicazione del-
la simmetria del sistema. La matrice è particolare, cioè oltre ad essere simmetri-
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
160
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
STEP 1
Andiamo ad applicare direttamente i risultati che sono stati ottenuti.
Per ottenere il valore del determinante basta prendere la prima riga, ad es., e sosti-
tuire ad ogni termine della prima riga il minore complementare.
Questa è l’eq. caratteristica del sistema, ricavata nel modo tradizionale, pur avendo
scritto il sistema di eq. differenziali in termini di matrici, ovviamente tutto ciò è stato
possibile farlo perché il sistema è a 3 GdL. Avrei cmq potuto applicare i risultati che
conosciamo, cioè calcolare la matrice:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
161
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Noi per questo sistema vedremo anche come si calcola il moto libero di date condi-
zioni iniziali. Si sa che il moto libero di assegnate condizioni iniziali contiene tre com-
ponenti corrispondenti ai tre modi naturali di vibrare che sono quelli che noi stiamo
determinando.
Quale tipo di moto libero di date condizioni iniziali avrò per questo sistema?
Allora questo moto libero è somma di tre funzioni armoniche, una di pulsazione ,
una di pulsazione e una di pulsazione .
Quand’è che la somma di tre moti armonici di questo tipo è periodica? E quando
invece non lo è?
Ovviamente no!
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
162
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Quindi questo già mi dice che alla fine se io su questo sistema vado ad imporre un
qls insieme di condizioni iniziali il moto che mi risulta non sarà nemmeno periodico.
Ovviamente questo risultato non ha però nessuna influenza sul moto forzato, per-
ché il moto forzato avviene con delle pulsazioni che sono collegate alle cause forzan-
ti e non a queste del moto libero (dunque, ripeto, questo risultato non ha niente a
che vedere con il tipo di moto forzato che io potrò avere su questo sistema).
In questo modo, in maniera del tutto manuale, abbiamo risolto il problema degli au-
tovalori.
STEP 2
Passo successivo per risolvere completamente il problema dei modi naturali di vibra-
re è costituito dalla determinazione degli autovettori del mio sistema e, una volta
determinati, si dovranno normalizzarli (nel modo che più ci fa piacere).
Devo determinare la e poi devo fare l’aggiunta. Una volta fatta l’aggiunta della
, per autovettore posso prendere una qlq colonna di questa matrice.
Allora di questa matrice qui devo farne l’aggiunta, cioè devo fare la trasposta (e ri-
mane tale e quale) e poi devo sostituire a ciascun termine il minore complementare
perso con il segno (+) oppure con il segno (-) se rispettivamente la somma degli indi-
ci è pari oppure dispari.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
163
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Che le colonne siano proporzionali tra di loro, corrispondentemente al fatto che co-
me autovettore posso prendere una qls di queste colonne, le quali quindi de-
vono essere proporzionali.
Infatti lo sono!
[FIG.3]
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
164
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Allora per il primo modo si può rappresentare una deformata del tipo di quello mo-
strato in [FIG.3].
Allora questo vuol dire che il fatto che il sistema sia simmetrico (per simmetrico si
intende, dal punto di vista dell’inerzia e dal punto di vista dell’elasticità) rispetto ad
un piano, implica automaticamente che le deformate di questo sistema o sono sim-
metriche o sono anti-simmetriche rispetto al piano di simmetria.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
165
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Ricapitolando si nota che in non c’è nessuna inversione di segno e quindi nes-
sun nodo, nella c’è un’inversione di segno e quindi un nodo ed infine in ci
sono 2 inversioni di segno e quindi 2 nodi.
Questo vuol dire che, per quanto riguarda la simmetria, le deformate simmetriche
ed anti-simmetriche si susseguono. Quindi per un sistema che fosse simmetrico ed
avesse GdL, io partirei con una deformata a 0 nodi, simmetrica, poi una deformata
ad un nodo, anti-simmetrica, una deformata a due nodi, simmetrica e così di segui-
to.
STEP 3
La matrice degli autovettori non l’abbiamo ancora normalizzata, ci siamo limitati a
disegnare delle deformate dividendo tutto per il primo termine in modo da avere
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
166
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
che la prima massa si sposta sempre di una quantità unitaria nei vari modi naturali di
vibrare.
In questo modo posso andare a calcolare le tre costanti moltiplicative, per cui devo
moltiplicare rispettivamente tale costante con la prima colonna della , con la
prima colonna della e con la prima colonna della per ottenere gli autovet-
tori , e che rispettino la condizione .
Allora quello che si può fare è prendere tale colonna come autovettore del sistema,
se però voglio normalizzare con la condizione , bisogna andare a moltiplicare
questa colonna per una certa costante, per es. una costante , allora devo porre
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
167
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Allora da:
Posso fare la stessa cosa sia per e e alla fine otterrò la matrice modale
espressa con la condizione di normalizzazione ancora in forma dimensionale:
Quindi per sistemi reali, nei quali i numeri di GdL per sistemi più semplici sono 7 o 8,
per sistemi più complessi anche 100 o 200 è ovvio che questi calcoli fatti nel caso di
3GdL (per fare una verifica della procedura fatta in termini di matrici) non si possono
già a partire per sistemi di 4 GdL.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
168
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
sono gli autovettori che sono stati ricavati, mentre questi che sono stati messi ora
sono degli autovettori normalizzati).
STEP 4
Sul libro se si va a controllare questo ex. (pag. VI.20 es. 6.8) si trova, a questo punto,
la determinazione del moto libero di assegnate condizioni iniziali, cioè si immagina
di imporre uno spostamento ed una velocità iniziale alla sola prima massa del
sistema di FIG.2 e si va a calcolare, nel modo che abbiamo visto, il moto libero di as-
segnate condizioni iniziali.
Non verrà fatto, perché alla fine l’unica cosa interessante (ricordiamoci che per cal-
colarlo però dobbiamo trasformare queste condizioni iniziali in condizioni iniziali in
termini di coordinate normali e poi applicare i risultati dei sistemi ad 1 solo GdL) nei
diagrammi (che si trovano riportati), che rappresentano l’andamento del moto libe-
ro di assegnate condizioni iniziali della massa , e , calcolate nella maniera
ora descritta; in questi diagrammi si vede una cosa che avevamo già detto in antici-
po e cioè il fatto che i moti (liberi di assegnate condizioni iniziali) di queste masse,
siccome contengono tutti e 3 i modi naturali di vibrare ovviamente non sono perio-
dici, proprio perché le 3 pulsazioni naturali non sono commensurabili e quindi la
somma di queste 3 funzioni armoniche mi dà un moto che alla fine non è periodico.
Non viene fatto perché da un lato è soltanto un questione di calcoletti di scarsa rile-
vanza e dall’altro lato, come al solito, quello che ci interessa di meno, è sempre il
moto libero di assegnate condizioni iniziali; perché, salvo casi particolarissimi, non
ha rilevanza tecnica mentre quello che ha rilevanza tecnica è naturalmente il moto
forzato.
STEP 5
A questo punto, a questo sistema nel quale abbiamo risolto il probl. degli autovalori,
degli autovettori e abbiamo normalizzato gli autovettori con la condizione di norma-
lizzazione , il che ci consente di annullare tutti i denominatori
di una serie di coefficienti, che poi compaiono nel calcolo del moto forzato, e sono
ovviamente la (che appunto abbiamo posto unitaria).
Dopo fatto tutto ciò, su questo sistema, andiamo ad ipotizzare delle azioni forzanti:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
169
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Si può dire però che il sistema addirittura non oscilla di moto forzato?
Ovviamente no!
Il fatto che la risultante di quelle tre forze sia nulla non ha nessuna rilevanza sul fatto
che esista un moto forzato. Il moto forzato esiste perché, pur essendo la risultante
complessiva uguale a zero, le tre forze agiscono su 3 masse diverse e quindi è chiaro
che, essendo queste masse collegate da flessibilità, il moto forzato c’è lo stesso.
Allora anche in questo caso, naturalmente, queste forze agenti sono state scelte non
a caso ma proprio per il fatto che fanno chiaramente vedere che anche se la risul-
tante di tutte le forze agenti sul sistema è uguale a zero in realtà il moto forzato ce
l’hai lo stesso.
Di che cosa si può considerare rappresentativo questo sistema con le sue forze a-
genti?
Proprio di una cosa che è stata accennata più volte e cioè del moto forzato di un si-
stema torsionale quando le azioni forzanti sono le armoniche del momento motore.
170
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
sfasati fra loro di un angolo ; se io li vado a decomporre in armoniche alla fine ot-
terrò su ciascun manovellismo tutte le armoniche, su un altro manovellismo tutte le
armoniche e su un altro ancora tutte le armoniche.
l’armonica di ordine 2 del primo cilindro, l’armonica di ordine 2 del secondo cilindro
e così via.
Allora tutte queste armoniche sono tutte sincrone, hanno una pulsazione che è u-
guale ad ed è stato accennato prima che il loro angolo di fase relativo è uguale
ad volte .
Allora che cosa può succedere (in funzione del valore di , cioè dell’ordine
dell’armonica)?
Allora anticipiamo che le armoniche disposte a stella, cioè quelle che si trovano e-
sattamente nella situazione di queste forze prese in esame, si chiamano armoniche
secondarie. Il motivo è dovuto al fatto che avendo una risultante nulla non com-
paiono nel momento motore risultante.
Cioè se io immagino che l’albero sia infinitamente rigido queste armoniche sono
disposte a stella e la loro somma è nulla, quindi all’uscita del motore, nel momento
motore risultante, non si trovano più.
Invece quando sono sovrapposte, cioè quando (il loro angolo di fase) è uguale a
(k volte 360°), allora in questo caso tutte queste armoniche stanno una
sull’altra. Naturalmente queste hanno una risultante e questa risultante, trattandosi
di armoniche, è volte l’ampiezza di un’armonica.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
171
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Stiamo dimostrando che il moto del sistema io lo posso avere anche con le armoni-
che secondarie, cioè con armoniche che abbiano una risultante uguale a zero, per-
ché il sistema è flessibile e quindi, corrispondentemente, se io considero il moto for-
zato di un impianto torsionale le armoniche principali, certamente, possono destare
questo moto forzato ma lo faranno anche le secondarie, perché le secondarie si eli-
derebbero se il motore fosse rigido, ma il motore non lo è (infatti può oscillare tor-
sionalmente).
Quindi anche le armoniche secondarie che hanno una risultante complessiva uguale
a zero, esattamente come queste tre forze che agiscono su questo sistema e che
hanno una risultante uguale a zero, possono destare moti torsionali forzati.
Quindi (questa è una cosa da ricordarsi fin da ora ma che cmq verrà ripetuta molte
altre volte) le armoniche secondarie si chiamano così, NON perché non suscitano o-
scillazioni torsionali forzate secondarie ma SOLO perché non compaiono nel mo-
mento motore risultante.
Detto ciò, andiamo a vedere come è possibile determinare il moto forzato di questo
sistema quando sono presenti le azioni forzanti .
Quanto vale ?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
172
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Si fa la somma vettoriale!
N.B.: j è la colonna
173
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
[FIG.4]
Dove:
174
DSM 8° lezione – seconda parte 04-11-2010
Avrò un moto forzato che sarà una funzione armonica di pulsazione perché som-
ma di 3 funzioni armoniche con la stessa pulsazione .
Quindi mentre il moto libero era un moto di assegnate condizioni iniziali e che, come
avevamo visto, era un moto non periodico. Tutto questo non ha nessun riscontro sul
moto forzato; le cause forzanti sono armoniche e quindi il moto forzato sarà armo-
nico della stessa pulsazione.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
175
DSM 9° lezione 05-11-2010
Domanda: se consideriamo una unica massa ed essa aveva 3 gdl l’equazione del
moto era analoga (all’esercizio della 8° Lezione parte seconda)cioè l’analisi modale è
possibile applicarla?
Si, ed infatti possiamo andare a considerare la fig.1, con un'unica massa estesa,
vincolata in questo modo, possiamo immaginare di avere nel piano questi 3 gdl ,
naturalmente è chiaro che in questo sistema dovremmo andare a determinare le
masse che saranno m,m( per quello che riguarda x,z) mentre per la ɸ avremo .
Fig.1
176
DSM 9° lezione 05-11-2010
Una volta fatto questo mi posso anche dimenticare com’è fatto il sistema, e posso
andare ad applicare tutti i risultati che abbiamo ottenuto, con i valori delle matrici
delle inerzie e dei coefficienti di rigidità, dopo di che posso applicare l’analisi modale
Esistono dei sistemi per i quali posso avere due modi naturali di vibrare distinti che
abbiano però la stessa pulsazione naturale. Questi vanno sotto il nome di Sistemi
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
177
DSM 9° lezione 05-11-2010
Naturalmente gli altri lo sono perché gli altri autovettori che ricavo per questo
sistema la pulsazione naturale sarà diversa da questo coincidente e quindi
l’ortogonalità con gli altri autovettori di questi autovettori di quei moti r ed s è
garantita la dimostrazione che abbiamo già fatto ,quella che non è garantita è la
reciproca ortogonalità tra e .
Per capirte come possiamo avere un sistema che abbia delle pulsazioni doppie e
cioè modi distinti con la stessa pulsazione naturale, possiamo considerare un
sistema di questo genere fig.2 un telaio con all’interno due masse , che
siano vincolate al telaio mediante delle molle:
FIG.2
178
DSM 9° lezione 05-11-2010
E.1
E.2
Facendo riferimento alle due equazioni appena scritte possiamo notare che
compare per ogniuna di esse una sola variabile che ci indica la loro indipendenza e
naturalmente indipendenti anche dagli altri moti .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
179
DSM 9° lezione 05-11-2010
E.3
Invece si vede come queste due equazioni sono accopiate fra di loro,cioè a dire dal
punto di vista pratico che è vero che il sistema è a 4 gdl, ma che questi 4 gdl non
sono indipendenti fra di loro, ma in parte parte cioè sono dipendenti fra di
loro mentre tra loro e dagli altri.
Questo sistema a 4 gdl in realtà non è altro che un sistema a 2 gdl più due sistemi
ad 1 gdl.
Però è altrettanto vero che potrei andare ad applicare i risultati già ottenuto per un
sistema a 4 gdl, e questi risultati li posso direttamente applicare una volta che
abbiamo definito la matrice delle inerzie del sistema corrispondenti alle coordinate
così come compare per i vettori di stato e la matrice dei coefficienti di rigidità.
E.4
E.5
Mentre per quello che riguarda la matrice k dei coefficienti di rigidità la possiamo
scrivere direttamente avendo scritto l’equazione del moto, che il sarebbe il
coefficiente della e quindi è e quindi avremo:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
180
DSM 9° lezione 05-11-2010
E.6
Quindi il disaccoppiamento elastico di questo sistema che abbiamo già rilevato per
le equazioni differenziali del moto, lo possiamo vedere chiaramente quando
scriviamo la matrice k, perché tale matrice la posso dividere in 4 sotto matrici:
D.1
Però niente ci impedisce di trattarlo con il metodo già visto, ed allora questo vuol
dire che noi potremmo regolarmente calcolare gli autovalori e gli autovettori.
Una volta calcolati gli autovalori posso andare a determinare anche gli autovettori,e
la matrice u si presenterà come:
E.7
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
181
DSM 9° lezione 05-11-2010
Che va compilato con lo stesso ordine in cui ho messo il vettore di stato altrimenti
non si capisce,e analogamente gli elementi del vettore di stato nell’ordine sulle
righe.
Quindi questo sistema qui diventa un sistema a pulsazione doppie,e cioè che per
questo sistema mentre è garantita dall’ortogonalità dei vettori colonna è garantita la
ortogonalità dei due autovettori corrispondenti alle pulsazioni doppie con gli altri
due, questa ortogonalità è garantita dall’ortogonalità dei vettori colonna, quello che
invece non è garantito è l’ortogonalità degli autovettori corrispondenti ai modi che
hanno la stessa pulsazione , cioè gli altri due autovettori sono
ortogonali sia al primo che al secondo di questo D.2,ma non è detto che questi due
siano ortogonali fra di loro.
Gli autovettori sono ortogonali perché il sistema non è un sistema, cioè a dire i gdl
non sono indipendenti fra di loro sono gdl parzialmente disaccoppiati. Allora quando
il sistema presenta pulsazione doppia dipende dal fatto che il sistema è di per se
staticamente disaccoppiato, in qualche modo, e allora in queste condizioni
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
182
DSM 9° lezione 05-11-2010
Sistemi semidefiniti
In conclusione , un sistema semidefinito non è tale di per se, cioè non si può questo
sistema è un sistema semidefinito; ma si può dire che è semidefinito rispetto ad un
certo studio che vogliamo fare del suo comportamento dinamico. Esempio
caratteristico e fig.3:
FIG.3
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
183
DSM 9° lezione 05-11-2010
Lo stesso sistema lo si può studiare nei confronti delle velocità critiche flessionali
cioè del comportamento dinamico flessionale che nasce in questo sistema quando lo
pongo in rotazione ed è ovvio che in questo caso come c.g. dovrei andare a
considerare gli spostamenti di quelle masse, per esempio su di un asse orizzontale o
verticale e se sono masse estese anche le rotazioni in questi due piani.
Allora rispetto a queste nuove c.g. i vincoli ci sono perché il sistema è vincolato dal
punto di vista flessionale,e quindi questo stesso sistema per questo tipo di studio
non è più un sistema semidefinito mentre lo era rispetto alle c.g. rotazione cioè
quando lo studiavo dal punto di vista torsionale.
Un qualunque sistema reale non può mai essere semidefinito di per se ,se prima non
ho precisato quale tipo di comportamento dinamico ne voglio studiare e quindi
quali sono le c.g. che definiscono questo comportamento dinamico che voglio
studiare.
Per notare queste particolarità noi studieremo il più semplice sistema semidefinito
che riusciamo ad immaginare e cioè quello costituito da un certo numero di masse
fig.4,che supponiamo libere di scorrere su di un piano senza attrito.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
184
DSM 9° lezione 05-11-2010
FIG.4
E.8
Qualunque sia la funzione nel tempo x(t) nel quale il sistema si comporta come un
tutto unico e cioè a dire le rigidità non vengono deformate,naturalmente questo
tipo di moto è possibili solo per sistemi di questo tipo. Infatti se consideriamo il
sistema ad n masse visto in precedenza posso immaginare un moto che le fa
spostare tutte quante in modo da non impegnare le rigidità intermedie ma
comunque saranno impegnate le due rigidità …. Con quelle esterne. L’altra
considerazione è che se impongo al sistema uno spostamento iniziale del tipo:
E.9
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
185
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
La volta scorsa abbiamo iniziato a parlare di una particolare classe di sistemi conser-
vativi ad GdL che sono i sistemi cosiddetti semi-definiti e che hanno un rilevante
interesse tecnico perché a questo tipo di sistema si possono ricondurre tutti i sistemi
meccanici che vengano considerati nei confronti delle loro oscillazioni torsionali for-
zate.
Se io considero un qls sistema rotante, ad es. un generatore di corrente che sia mos-
so da un motore alternativo e che di conseguenza genera delle azioni torsionali va-
riabili (momento motore variabile periodicamente e quindi un sistema che sarà sog-
getto a delle oscillazioni torsionali forzate).
Di questo sistema potrei anche voler studiare le oscillazioni flessionali che nascono
per tutta una serie di ragioni e allora in questo caso, lo stesso sistema, non è più se-
mi-definito perché, rispetto alla flessione (cioè rispetto agli abbassamenti delle mas-
se che compongono il sistema), i vincoli ci sono perché saranno i cuscinetti
d’appoggio (e tutto il resto).
Quindi un sistema non può essere classificato come semi-definito di per se ma sol-
tanto dopo che se ne sia stabilito quale tipo di comportamento dinamico si vuole
studiare.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
186
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Cmq per sistemi di questo tipo esistono delle particolarità di comportamento rispet-
to al caso più generale, cioè quello dei sistemi che invece presentano vincoli esterni
rispetto alle coordinate generalizzate. Un es. di quest’ultimo casoè dato dai sistemi
massa-molla (che appunto abbiamo studiato) che hanno delle molle di collegamento
con l’esterno proprio nei confronti dello spostamento verticale che è quello che ab-
biamo assunto come generica coordinata generalizzata del sistema.
Allora per studiare queste particolarità, come al solito, abbiamo preso in considera-
zione il più semplice modello che possiamo immaginare che abbia queste caratteri-
stiche e cioè quello costituito da un certo numero di masse, , …, che
siano in grado di scorrere senza attrito e che siano collegate fra di loro da mol-
le, , …, .
[FIG.1]
Allora anche osservando questo sistema si vede subito che esistono delle particolari-
tà, rispetto al sistema generale che abbiamo studiato ad GdL.
187
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Cioè con la stessa funzione di moto per tutte le masse che ovviamente non impegna
le rigidità del sistema, cioè ha una possibilità di moto cosiddetto rigido, dove questa
(costante per tutte le masse) è una qls funzione del tempo.
In questo tipo di moto il sistema si comporta come se fosse rigido. Questo è possibi-
le per un sistema di FIG.1 ma non lo è per il sistema tradizionale ad GdL, per il qua-
le un moto di questo tipo naturalmente è possibile però (le rigidità vengono impedi-
te perché) vengono impegnate le due rigidità estreme di collegamento con la terra.
[9:20]
C’è anche da dire che nella posizione iniziale (come quella mostrata in FIG.1) che
(come al solito) assumiamo a sistema fermo e scarico. Rispetto al sistema tradiziona-
le presenta la caratteristica di essere in una posizione di equilibrio indifferente inve-
ce che in una posizione di equilibrio stabile.
Questo particolare tipo di equilibrio nel nostro sistema ci fa dire, estrapolando dei
risultati che abbiamo ottenuto per i sistemi ad 1 solo GdL, che un sistema di questo
genere deve avere un modo naturale di vibrare, degli modi, che abbia una pulsa-
zione uguale a zero.
Naturalmente ciò non toglie che in ogni caso come tutti i sistemi ad GdL questo si-
stema particolare (semi-definito) avrà modi naturali di vibrare, cioè ci saranno
integrali particolari dell’eq. differenziale del moto e di questi integrali particolari
sappiamo già che devono essere tutti funzioni armoniche, (perché questo l’abbiamo
dimostrato per tutti i sistemi ad GdL e quindi anche per questo) e che una di que-
ste funzioni armoniche deve essere a pulsazione uguale a zero. Quindi ci saranno
modi in cui le pulsazioni naturali saranno, ovviamente, diverse da zero.
Se per questo sistema noi andiamo a scrivere, una volta tanto per esteso (natural-
mente c’è un motivo per cui si fa, cioè non utilizziamo l’impostazione matriciale, ov-
vero la determinazione delle matrici e ) le eq. del moto, troviamo:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
188
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Se da queste espressioni scritte per esteso andiamo a scrivere la matrice dei coeffi-
cienti di rigidità, troviamo una matrice che si presenta in questo modo:
Questa matrice, come si può subito vedere, ha una particolarità e cioè il fatto che se
vado a fare la somma di ciascuna colonna di questa matrice, o equivalentemente di
ciascuna riga, questa somma è nulla. Il che vuol dire che la matrice è una matrice
singolare, ovvero che il suo determinante è uguale a zero.
Il fatto che il suo determinante sia uguale a zero implica, evidentemente, che la ma-
trice , cioè la matrice dei coefficienti di flessibilità, che è:
Questa è, per l’appunto, la ragione per la quale questi sistemi si dicono semi-definiti,
cioè per questi sistemi è possibile definire l’elasticità complessiva del sistema solo
attraverso la matrice dei coefficienti di rigidità e non attraverso la matrice dei coeffi-
cienti di influenza che, appunto, non è definita.
Il fatto che non sia definibile lo si può vedere fisicamente subito, perché se io vo-
lessi determinare, per es., questo sarebbe lo spostamento della massa
quando impongo una forza unitaria sulla massa , senza bloccare niente.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
189
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Per via proprio del fatto che la somma di ciascuna riga e di ciascuna colonna della
nostra matrice è nulla, per via di questo fatto, si può vedere che se io vado a
sommare l’eq. differenziali del moto , tutti i termini che contengono la si an-
nullano e quindi rimangono solo i termini derivati 2 volte, per cui sommando queste
eq. differenziali del moto ottengo che:
Qui, ovviamente, reazioni vincolari non ce ne sono proprio perché il sistema è semi-
definito, forze applicate non ce ne sono e quindi questo significa che istante per i-
stante la somma delle forze d’inerzia .
Quindi anche questo si poteva scrivere senza andare a sommare le eq. del moto ma
semplicemente considerando l’eq. complessivo del mio sistema.
Questa espressione deve, ovviamente, essere verificata per tutti gli integrali partico-
lari, allora si può subito vedere che si hanno due possibilità:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
190
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
191
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
192
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
193
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
A questo punto vediamo cosa succede se, ad un sistema di questo tipo (sistema
condizione 2 del eq. ), vado a considerare il moto libero di assegnate condizioni
iniziali.
Cioè se vado ad imporre al sistema due vettori (non ho fatto altro che imporre delle
condizioni iniziali):
Io so che il moto del sistema avrà tante componenti quante sono i modi naturali di
vibrare, nelle quali componenti le deformate sono simile ai modi naturali di vibrare.
Allora se con le componenti dei modi naturali di vibrare elastici non ci può essere
quantità di moto, questa quantità di moto iniziale che io ho dato al sistema non pos-
so che ritrovarla nella componente rigida del moto. Cioè a dire che quando tutto il
sistema si muove, per via di queste condizioni iniziali che gli ho assegnato, si muove-
rà con tutte varie oscillazioni, con tutte le componenti dei modi naturali, ma la
quantità di moto sarà presente nella sola componente rigida.
Se indico con la velocità del baricentro, siccome nella componente rigida tutte le
masse oscillano nello stesso modo e quindi con la stessa velocità (che sarà quella del
baricentro ) questa quantità di moto sarà:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
194
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Cioè a dire che il baricentro, dopo l’applicazione di queste condizioni iniziali, avrà
una velocità che sarà pari alla quantità di moto iniziale diviso la massa complessi-
va del mio sistema:
Che nel moto di assegnate condizioni iniziali, il baricentro del mio sistema si muove-
rà di moto rettilineo uniforme.
Posso ricavare che la , ovvero lo spostamento iniziale del baricentro, sarà uguale:
In questo caso una di queste componenti, cioè quella corrispondente al modo natu-
rale di vibrare rigido, la si può andare a calcolare senza applicare il metodo
dell’analisi modale, cioè applicando soltanto queste considerazioni di carattere e-
nergetico.
Di conseguenza questo moto rigido, che è il moto del baricentro dl sistema, cioè
l’ lo si potrà scrivere come:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
195
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Cioè, quindi, questa componente rigida, che in sostanza è né più né meno il moto
del baricentro, la definisco in questa maniera come un moto rettilineo uniforme.
Considerazioni analoghe a queste si possono fare anche per il moto forzato, nel sen-
so che, si immagina che sul nostro sistema agiscono ora delle azioni forzanti, come
al solito, immaginate sincrone e siano del tipo:
Si può dire che un integrale particolare dell’eq. differenziale del moto è, sicuramen-
te, un integrale corrispondente alla componente rigida del moto forzato.
Si può scrivere che la componente rigida del moto forzato, cioè la (compo-
nente rigida del moto forzato) si potrà scrivere come , che dove essere uguale per
tutte le masse, per la stessa funzione delle cause forzanti, cioè:
La componete rigida del moto forzato non può che essere una funzione di quel tipo,
visto che tutte le cause forzanti sono armoniche e sincrone.
Allora se si considera l’equilibrio complessivo del sistema, che cosa si deve avere?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
196
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
La somma delle forze d’inerzia, la somma delle reazioni vincolari e la somma delle
forze agenti; la somma di queste grandezze deve essere uguale a zero.
Adesso in questo caso le forze d’inerzia ci sono, le forze agenti ci sono ma non ci so-
no le reazioni vincolari, cioè si può scrivere un’espressione del tipo:
Bisogna fare la somma delle (mostrate nel sistema sopra) che sono tutte fun-
zioni armoniche e sincrone tra di loro e quindi la somma la si può scrivere
in questa forma:
Quindi:
Dove il secondo membro non è altro che la somma vettoriale di tutte le forze agenti,
cioè per calcolarla bisogna prendere i vettori che hanno modulo e angolo di fase
, ne calcolo il risultante, ne prendo poi il modulo e l’angolo di fase di tale risultan-
te è , che ovviamente è lo stesso che ritrovo nel moto forzato.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
197
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
E quindi troverò che , cioè la componente rigida del moto forzato, è uguale a:
Esattamente la stessa cosa che ho fatto nel caso del moto libero di assegnate condi-
zioni iniziali. Cioè, senza dover applicare il teorema di espansione, ho calcolato la
componente rigida del moto forzato per azioni forzanti armoniche e sincrone.
Allora qui si possono osservare una serie di cose, immaginiamo che quei vettori
siano per es. quei tre vettori che avevamo preso per le azioni for-
zanti per il sistema a 3 GdL che abbiamo studiato:
Erano tre vettori che erano disposti a stella, in quel caso la componente rigida del
moto forzato è nulla perché la somma di questi vettori vengono zero, quindi non a-
vrò componente rigida del moto forzato; se quella somma non è più uguale a zero,
naturalmente, avrò componente rigida del moto forzato.
198
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Si osservi, come è ovvio, che non avviene ad una pulsazione nulla ma ad una pulsa-
zione , quindi è effettivamente una oscillazione rigida, che avviene in questo caso,
con una pulsazione la quale è proprio (in questo caso) quella comune a tutte le
cause forzanti.
Quindi in generale diciamo che questa componente rigida del moto forzato è una
funzione armonica con tutte le masse che oscillano con la stessa ampiezza e
l’ampiezza è data dalla quantità ma quest’oscillazione delle masse con la stessa
ampiezza è in opposizione di fase con la somma delle forze agenti.
Ha una rilevanza tecnica questa componente rigida dell’oscillazione del moto for-
zato?
La risposta è si!
Allora si immagini che si stia studiando un fenomeno di questo tipo e che si voglia
andare a collegare tutte le varie componenti delle oscillazioni (compresa questa) che
nascono delle oscillazioni forzate con le sollecitazioni che nascono nei vari tronchi
torsionali del nostro sistema.
Allora si potrebbe dire che se questa è una componente rigida, cioè tutte le masse
oscillano (sia pure con una pulsazione ) con la stessa ampiezza, non si avranno de-
formazioni.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
199
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Se adesso questa componente la vado a sommare a quelle elastiche trovo una de-
formazione che non è più soltanto quella elastica ma si sposta di una certa quantità
costante rispetto all’asse detto zero cioè, se si ha una deformata del tipo di FIG.4,
immaginando di considerare il seguente sistema a 2GdL:
[FIG.3]
[FIG.4]
[FIG.5]
[FIG.6]
Ovvero una retta parallela a quella di [FIG.5] ma spostata verso il basso della quanti-
tà espressa da quella di [FIG.6].
È cambiata la in quell’albero?
La non è cambiata perché l’inclinazione della retta è sempre la stessa, quindi non è
cambiata la coppia e non è cambiata la .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
200
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
La cosa che invece è cambiato è il nodo, infatti nel passaggio dalla [FIG.4] alla [FIG.6]
il nodo si è spostato verso sinistra.
Naturalmente si!
Perché il nodo corrisponde alla sezione che non si muove, per cui è la sezione più
sollecitata a torsione alternata.
Allora il fatto che il nodo si trovi nella posizione mostrata dalla [FIG.4] o da quella di
[FIG.6] (quest’ultima in conseguenza della componente rigida del moto forzato) può
avere rilevanza non sul valore della sollecitazione forzata (che dipende solo da
[FIG.5]) ma sulla posizione del nodo e cioè sull’individuazione della sezione
dell’albero più sollecitata a fatica per torsione alternata.
Questo significa dire che la rilevanza della componente rigida del moto forzato, che
per altro posso avere solo se la somma delle azioni forzanti è diversa da zero, può
anche essere un rilevanza di tipo termico, per es., come abbiamo appena visto, lo è
nelle oscillazioni torsionali forzate.
Abbiamo detto che se abbiamo un manovellismo sul quale agisce un momento mo-
tore, questo momento motore lo vado a decomporre in serie di Fourier e cioè in una
somma di armoniche; ebbene queste armoniche, abbiamo detto, sono fondamen-
talmente di due tipi.
Cioè a dire:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
201
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
1. Per le prime, cioè le armoniche del momento motore che sono sovrapposte
per gli -cilindri, avendo tutte la stessa direzione e verso le abbiamo definite
come armoniche principali perché, in sostanza, sono le uniche che noi ritro-
viamo nel momento motore risultante.
2. Le altre, cioè quelle la cui disposizione vettoriale è a stella, le abbiamo definite
come armoniche secondarie perché, se consideriamo l’albero motore rigido
(cioè il sistema è infinitamente rigido dal punto di vista torsionale) queste ar-
moniche secondarie si elidono tutte all’interno del motore e quindi, avendo
risultante uguale a zero, non le ritrovo più nel momento motore risultante.
Facciamo un piccolo collegamento fra questo risultato (questa definizione) che ab-
biamo ottenuto e il discorso della componente rigida del moto forzato.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
202
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Quindi anche in questo caso posso andare facilmente a calcolarmi la componente ri-
gida del moto forzato, ricordandomi che questa componente rigida del moto forzato
la possono dare le sole armoniche principali e non le armoniche secondarie.
N.B.: Il prof. l’ha accennato adesso perché c’è un collegamento diretto tra le due co-
se, noi adesso stiamo studiando sempre in generale i sistemi conservativi ad GdL.
Dopodiché verranno fatte una serie di applicazioni, però in questo caso il collega-
mento fra questa applicazione che faremo delle oscillazioni torsionali forzate con
questo risultato generale dei sistemi ad GdL è un collegamento immediato.
Con questo abbiamo visto quali sono tutte le particolarità di questi sistemi conserva-
tivi ad GdL. Ora completato questo studio generale sulla modellistica dei sistemi
conservativi, cominciamo a parlare delle applicazioni tecnicamente più significative
di questa logica di modellazione dei sistemi meccanici.
Oggi questo si sta modificando fortemente per via, ovviamente, del continuo au-
mento (per lo sviluppo della tecnologia) della velocità dei sistemi rotanti.
Questo rende, non solo, sempre più probabile il fatto che il campo di velocità molto
alto di un impianto possa intersecare il campo delle critiche flessionali ma rende
sempre più frequente il fatto che gli impianti vengano volutamente costruiti in mo-
do da funzionare non più all’esterno del campo delle critiche flessionali ma con una
intersezione; cioè per esempio con una velocità di regime che sia compresa fra due
velocità critiche flessionali.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
203
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Tutto questo rende estremamente importante dal punto di vista tecnico avere la ca-
pacità di prevedere quali sono le velocità critiche flessionali di un sistema rotante e
quale sarà il comportamento di questo sistema (sempre dal punto di vista flessiona-
le) in corrispondenza delle sue varie velocità angolari possibili.
Il problema delle critiche flessionali e più in generale dei fenomeni flessionali che
nascono quando si pone un sistema in rotazione ha cominciato ad essere studiato
nel 1870 da Rankine e da altri, i quali in sostanza con i mezzi dell’epoca e anche con
apparecchiature di tipo sperimentale che venivano realizzate ad hoc, cercarono di
comprendere quale fosse il motivo per cui un sistema posto in rotazione cominciava
a vibrare flessionalmente e in quali condizioni queste vibrazioni flessionali potevano
diventare pericolose.
A quell’epoca il sistema (cioè diciamo il modello che si costruiva) era un modello che
in sostanza era un sistema quasi statico, cioè praticamente si considerava una trave
appoggiata (un solido alla Bernoulli-Eulero) e si caricava questa trave appoggiata con
delle forze che erano quelle corrispondenti alle forze centrifughe rotanti che nasce-
vano per gli sbilanciamenti degli oggetti montati sul nostro sistema (rotante).
Molti autori come lo stesso Reynolds e altri (fino a Creeg agli inizi del ‘900) scrissero
che, sulla base di questo tipo di impostazione dell’interpretazione dei fenomeni fles-
sionali dei sistemi rotanti, queste velocità critiche in realtà non erano dei fenomeni
di risonanza.
Questi studiosi non avevano capito a che cosa erano dovuti questi fenomeni, sono
stati necessari 50 anni prima che si lo si capisse. Infatti il primo approccio, quello di
Rankine, risale al 1869, passando per quello di Creeg, nei primi del ‘900, e per tanti
altri che hanno seguito questo tipo di logica (sbagliata) per esaminare il problema.
Perché passò tutto questo tempo prima che si riuscisse a capire che alla base c’era
un’impostazione del problema sbagliata?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Questo si incominciò a capire quando le turbine a vapore, che inizialmente (alla fine
dell’800), andavano via via sostituendo i motori alternativi sugl’impianti di propul-
sione navale, cominciarono a essere fatte sempre più piccole e a velocità maggiori, e
per di più, incominciarono ad essere utilizzate anche le turbine a gas che avevano
cmq velocità maggiori.
Tutto questo avvenne, fondamentalmente, dalla fine del primo decennio fino a tutto
il secondo decennio del ‘900. Allora si cominciò a vedere che, non solo questi risulta-
ti che si ottenevano con queste “formulette magiche” (come ad es. la formula dei
2/3) e che sembravano approssimati negli ultimi 20 o 30 anni non erano poi più tanti
approssimati, ma si cominciò ad osservare che c’erano dei fenomeni completamente
diversi che nascevano [non il fenomeno di velocità critica che vede delle forti vibra-
zioni (magari l’albero che si rompe, ecc.) ma c’erano cmq dei fenomeni oscillatori di
questi rotori posti in rotazione, si sta parlando dei moti di precessione], i quali con
quel tipo di approccio non riuscivano ad essere messi in evidenza, cioè non venivano
proprio fuori dal calcolo (però esistevano).
Allora si cominciò a capire che questa impostazione del problema era proprio con-
cettualmente e fisicamente sbagliata. Il primo che scrisse una memoria con un ap-
proccio corretto del problema fu Jeffcot.
In questa memoria, che poi è diventata celebre a distanza di anni (risale al 1919),
nonostante Jeffcot sia stato il primo a costruire e a realizzare un modello fisico del
comportamento flessionale di un sistema rotante, che non solo desse dei valori mol-
to più approssimati nel calcolo delle critiche ma spiegasse anche tutti quei compor-
tamenti dei moti di precessione che si hanno a velocità diverse da quelle critiche,
nonostante ciò, per i successivi 30 anni (cioè addirittura fino alla fine degli anni ’50)
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
205
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
la stragrande maggioranza dei libri di meccanica applicata (in giro per il mondo) trat-
tavano ancora il problema con l’approccio precedente del solido di Bernoulli-Eulero
(continuando a sbagliare concettualmente).
Quando si capì che l’approccio vecchio era sbagliato (perché si cominciò a vedere
che i risultati con l’aumento delle velocità angolari non erano più confrontabili con i
risultati sperimentali (alla fine non ci somigliavano neanche più)) si rispolverò questa
vecchia memoria di Jeffcot e si capì che l’approccio corretto era quello di considera-
re le velocità critiche flessionali di un sistema rotante come un tipico fenomeno di
risonanza.
Ma dal punto di vista della definizione, al di là del fatto che si tratta di un fenome-
no di risonanza, che cos’è una velocità critica flessionale?
Dare una definizione analitica non è una cosa facile, però la definizione più corretta
è una definizione di tipo fisico, cioè a dire:
Nel fare questo esperimento (immaginario) per la definizione delle velocità critiche,
dobbiamo anche dire una cosa.
Di queste forti vibrazioni del rotore della macchina che sto considerando, come me
ne accorgo?
Il rotore ovviamente non lo vedo perché è chiuso all’interno della carcassa della
macchina e quindi me ne accorgo per il fatto che queste vibrazioni vengono tra-
smesse ai supporti, dai supporti alla cassa della macchina e dai supporti della cassa
vengono al basamento; quindi è da qui che mi accorgo materialmente di queste vi-
brazioni.
206
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
sticati e cioè dei modelli che via via andavano abbandonando delle approssimazioni
che erano state fatte per i modelli precedenti.
Perché?
Perché la rilevanza tecnica del problema aumenta con il passare del tempo per
l’aumento delle velocità angolari (come dicevo) e per la necessità, entro certi limiti
(per le macchine, per gli impianti più moderni che ruotano ad alte velocità angolari)
di far ruotare queste macchine a regime proprio all’interno del campo delle velocità
critiche.
I sistemi rotanti sono dei sistemi (diciamo pure) conservativi a molti GdL. Immagi-
niamo di considerare un rotore vincolato sull’albero, questo in sostanza è un solido
esteso il quale si può considerare abbia 4 GdL.
Cioè una volta stabilito che la rotazione non ha rilevanza perché il sistema è rotante
e che lo spostamento lungo l’asse del sistema non si può avere; la posizione del ro-
tore nello spazio è determinata univocamente da quattro coordinate generalizzate
che possono essere 2 spostamenti del baricentro (ortogonale all’asse) e 2 rotazioni
intorno a 2 assi anch’essi ortogonali all’asse di rotazione.
Quindi ognuno di questi rotori ha 4 GdL, il che significa che se considero un sistema
ad masse, cioè un sistema ad rotori rotanti, questo sistema avrà GdL (quindi
il numero dei GdL in genere è molto elevato per sistemi di questo genere).
Quindi le loro componenti, cioè le azioni forzanti (anche in questo caso sono nor-
malmente armoniche e sincrone, perché sono le componenti dello sbilanciamento
statico che dà una forza centrifuga rotante e dello sbilanciamento dinamico che dà
una coppia rotante che ruotano con la stessa velocità angolare ) sono armoniche
di pulsazione proprio pari alla velocità angolare (quindi sono sincrone con la velocità
angolare).
Dal punto di vista del modello, che può rappresentare un comportamento di questo
genere, diciamo pure che in campo meccanico è quello più difficile da fare; non a ca-
so per capire questo tipo di comportamento dinamico e con quale modello rappre-
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
207
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
sentarlo (vedi Jeffcott) ci sono voluti 50 anni dalla prima volta che si è cominciato a
studiare.
Quindi dal punto di vista della modellistica, questo fenomeno meccanico (questo
comportamento flessionale dei sistemi rotanti) è sicuramente il più difficile da stu-
diare.
Ovviamente partendo dal più semplice, cioè un unico rotore (tipico modello di Jef-
fcott).
Lo studio sarà particolareggiato non solo perché servirà poi a costruire dei modelli
più complessi, cioè ad es. i sistemi a più rotori (che sono quelli poi che veramente si
applicano ai sistemi reali), ma anche perché da questo studio (da questo modello
semplice) si può dedurre il comportamento del sistema non solo in corrispondenza
della critica o delle critiche ma in corrispondenza di qls velocità angolare e cioè si
possono studiare i fenomeniche vanno sotto il nome di Whirling e Wobling che rap-
presentano i moti di precessione del rotore.
Da questo modello, una volta studiato tutti i comportamenti che sono di grande ri-
levanza dal punto di vista fisico; dovemmo poi passare ai modelli più complessi.
Per es. che cosa succede se invece di considerare i rotori come masse estese si
considerano come masse concentrate?
La risposta è si!
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Perché è possibile far vedere che in certe condizioni le velocità critiche, o per meglio
dire la prima critica del sistema reale, (con questa approssimazione) la vado ad ap-
prossimare per difetto.
Allora se il campo di funzionamento della mia macchina sta al disotto di questo valo-
re e so che il valore reale sta più sopra, il problema tecnico è già risolto senza andare
a scomodare modelli complessi (ma soprattutto sistemi analitici di soluzione molto
più complessi).
Quindi la soluzione di questo tipo di modello semplificato mi può dare a volte una ri-
sposta definitiva.
Supponiamo che non è la via giusta, allora bisogna togliere alcune delle semplifica-
zioni che si sono fatte.
La prima qual è?
Dire ad es. che i supporti sono rigidi. Allora vediamo che succede se a posto dei sup-
porti rigidi si mettono dei supporti elastici (ottengo degli altri valori più approssima-
ti).
Se con questa ipotesi mi risolvo il probl. ho finito e non bisogna fare altro;
Se non me lo risolvono, devo andare a costruire un modello più sofisticato.
Il sistema ad dischi!
Il quale come si vedrà rappresenta il modello più sofisticato che esiste di comporta-
mento dinamico di un sistema rotante. Questo particolare modello, oltretutto, non
si trova implementato da nessuna parte e quindi la formulazione analitica che lo ri-
solve bisogna auto-implementarla (la dobbiamo implementare noi). Quindi bisogna
farlo solamente se è strettamente indispensabile sulla base dei risultati che sono
stati ottenuti con modelli semplificati.
Oppure in alternativa, si può utilizzare a questo modello del sistema ad dischi che
è molto complesso sia dal punto di vista analitico che dal punto di vista della solu-
zione matematica (che si farà!).
Esiste anche un'altra possibilità, cioè esiste un metodo iterativo che va sotto il nome
di metodo della matrice di trasferimento il quale consente, partendo da un valore di
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
209
DSM 10° lezione – prima parte 10-11-2010
Esempio:
Diciamo che se io ho un sistema a 10 volani, questo sistema avrà 40 GdL e avrà 40
velocità critiche.
Mi interessano tutte?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
210
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
Modello di Jeffcott
Jeffcott considerò un rotore esteso disposto in un punto qualsiasi di un albero, supportato agli
estremi da dei supporti che, lui rappresentò mediante delle molle
Fig 1
Fig2
E i due valori in rosso, sono appunto le rigidità sull’asse verticale e su quello orizzontale del
supporto, cioè a dire che, per una qualsiasi direzione, la rigidità del supporto sarebbe il segmento
in nero. Che cosa rappresenta un oggetto di questo genere su un sistema reale? La cosa più simile è
un cuscinetto a strisciamento lubrificato con olio di pressione, nel quale naturalmente però,
l’andamento della pressione radiale, dalla quale, naturalmente, dipende la rigidità radiale che
vado a considerare, è lontanissimo da quell’andamento di tipo
ellittico. Infatti, in genere, se io considero un cuscinetto a
strisciamento
Fig 3
con olio interposto fra il perno e la ralla fissa del cuscinetto,
l’andamento è un andamento di tipo a lobi (vedi fig3); l’andamento
della pressione radiale da cui, appunto, dipende la rigidità, cioè la
rigidità del sistema dipende dalla pressione radiale all’interno
dell’olio. Come vediamo, è molto diversa da quella ipotizzata da
Jeffcott. Ha rilevanza, sui risultati, tale fatto? Avrebbe rilevanza sui
risultati di tipo numerico, perché fra l’altro, quell’andamento
dipenderebbe dalla viscosità dell’olio, dalla pressione dell’olio, dalla
temperature, e dalla velocità periferica relativa del perno; è molto
meno rilevante se noi non vogliamo determinare i valori di tale
sistema, ma vogliamo spiegare certi comportamenti. Questi
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
211
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
comportamenti sono legati non alla variabilità radiale della rigidità(dipendente dalla pressione),
ma sono dipendenti dal fatto che un supporto abbia rigidità diversa su due assi ortogonali, cioè in
sostanza abbiamo rigidità radiale variabile. Come poi è variabile ha rilevanza sui risultati
numerici, ma non ne ha sui risultati che si ottengono sul comportamento complessivo del nostro
sistema; questo spiega il perché di questa semplificazione, oltre al fatto che se, naturalmente, si
vogliono ottenere dei risultati in forma chiusa non è possibile andare a formulare un espressione
per quell’andamento radiale, tenendo conto anche di tutti i parametri da cui quell’andamento
radiale dipende, cioè come dicevamo, dalla viscosità dalla temperatura dell’elio ecc….
La SECONDA ipotesi semplificativa è che l’albero sia privo di massa, cioè che la massa dell’albero
sia trascurabile rispetto alla massa del disco, in sostanza, che non si considerano i momenti
d’inerzia di massa dei vari pezzi di albero intorno ad un asse della sezione dell’albero. Questa è un
ipotesi molto più accettabile, perché normalmente, se noi, ad esempio, consideriamo un albero di
turbina con dei dischi, la massa dei dischi è sicuramente superiore alla massa dei tratti di albero
che collegano i dischi di almeno un ordine di grandezza. Quindi, tale ipotesi è sicuramente
accettabile.
Quindi se, per studiarlo, consideriamo tale sistema come se fosse fermo, come prima cosa devo
stabilire una terna di riferimento
Fig 4
Questo è un sistema costituito da un corpo rigido: il disco, ovviamente lo si considera
indeformabile, ed è vincolato alla terra con degli elementi elastici che sono le 4 molle e l’elasticità
dell’albero. Per sistemi di questo tipo, indicato con G il baricentro, la terna che si sceglie è una
terna triortogonale con l’asse x verticale, l’asse y orizzontale e l’asse z coincidente con l’asse di
rotazione. Le C.G. che possiamo scegliere, per un sistema di questo tipo, non sono univocamente
definite ma cmq, normalmente si scelgono la x, la y e la z, cioè gli spostamenti del baricentro, e le
tre rotazioni θ, φ , e ψ intorno ai tre assi coordinati. Quindi le 6 C.G. che scegliamo per individuare
la posizione del disco sono i 3 spostamenti e le 3 rotazioni. Le rigidità saranno , , ,e .
Tale sistema, dal punto di vista del modello che esso rappresenta, è, come dicevamo, un corpo
rigido vincolato elasticamente; su questi vincoli elastici c’è da fare una considerazione, e che cioè,
se considero i piani (x,z) e (y,z), con z asse di rotazione, sia la massa (il disco), e sia l’elasticità del
sistema è simmetrica rispetto a tali piani; se faremo in tempo a studiare anche il comportamento
dinamico di un corpo rigido vincolato elasticamente,dallo studio di questo comportamento, dalla
simmetria che abbiamo appena definito, si ricava che il sistema delle 6 equazioni differenziali del
moto, corrispondenti ai 6 g. d. l. che abbiamo definito, in realtà non è un sistema ma si disaccoppia,
cioè avremo un sistema di 2 equazioni che riguardano i moti x e φ, un altro di due equazioni che
riguardano i moti di y e θ, e due equazioni indipendenti che riguardano i moti z e ψ; questo, lo
ripetiamo, lo si può far vedere se si considera la dinamica di un corpo rigido vincolato
elasticamente, andando a considerare i 2 piani, (x,z) e (y,z), come piani di simmetria. In sostanza
da cosa dipende questo disaccoppiamento? Dipende dal fatto che, quando c’è un piano di
simmetria, questo fatto ha dei risvolti sui valori dei coefficienti di rigidità del sistema, e cioè, i
coefficienti di rigidità relativi al piano di simmetria sono disaccoppiati dai coefficienti di rigidità
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
212
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
nel piano ortogonale al piano di simmetria. Da questa considerazione, che fa sì, che alcuni di questi
coefficienti di rigidità, in virtù della simmetria, siano nulli, alla fine quella che si ottiene è una
matrice a bande, e cioè una matrice di questo tipo
E1
Da questa struttura si vede subito che le prime due semimatrici formano due sistemi di equazione
disaccoppiati e che, a loro volta sono ancora disaccoppiate dalle due equazioni indipendenti viste
nei termini e . Dal punto di vista fisico, il disaccoppiamento delle equazioni relative ai
termini e , fra di loro e fra le altre, dipende dal fatto che se (x,z) e (y,z) sono i piani di
simmetria, l’asse z, comune fra i due, è un asse di simmetria, quindi i moti corrispondenti all’asse
z, che sono z e ψ, ovviamente devo essere indipendenti fra loro e dagli altri, proprio perché z è un
asse di simmetria. Detto ciò, iniziamo da e : se andassimo a scrivere le 2 equazioni del moto
che cosa otterremo? Otterremo per
E2
Il secondo
E3a
Questi 4 coefficienti di rigidità che abbiamo scritto si potrebbero anche calcolare, ma naturalmente
non ce ne importa niente, e come si dovrebbero calcolare? Tenendo conto della flessibilità
dell’albero, e tenendo conto dei valori delle rigidità delle molle che sono in serie alla rigidità
dell’albero. Bene, dal sistema (E3), che è un sistema a 2 g. d. l., ovviamente noi la soluzione la
conosciamo già, l’abbiamo già visto come si determinano auto valori e auto vettori per un sistema
a 2 g. d. l.( sul libro troviamo tutto lo svolgimento ma non si porta all’esame). In sostanza,
risolvendo tale sistema, già sappiamo cosa otterremo, perché il sistema è a 2 g. d. l., quindi
otterremo 2 pulsazioni naturali ed in corrispondenza di esse dovremmo ottenere le corrispondenti
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
213
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
E ricaveremo:
E5
Che significa e ? Allora, vediamo, tradizionalmente, nel campo delle critiche flessionali, le
ω non si indicano più con ω1 e ω2; rappresenta la pulsazione del modo naturale di vibrare, nel
quale la x è prevalente rispetto alla φ, mentre rappresenta la pulsazione del modo naturale di
vibrare nel quale la φ è prevalente rispetto alla x. Quale dei due è più grande? Naturalmente non
lo sappiamo,perché, ovviamente dipende dai valori che andiamo ad inserirci. Quindi, sappiamo
solo, dagli indici, qual’è la deformazione prevalente del modo di vibrare, ma non sappiamo quale
sia la più grande. Però, vale sempre il risultato che abbiamo ottenuto per i sistemi ad n g. d. l., cioè
se le andiamo ad ordinare in ordine crescente la più bassa non ha nodi e la seconda ha un nodo;
quindi, questo vuol dire che se risulta
E6
Fig5
Il rapporto, tra X e Φ, è definito positivo, e tale rapporto è rappresentato dalla distanza in fig5, e
cioè è la distanza del centro di oscillazione dal baricentro del sistema.
La seconda deformata sarà
Fig6
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
214
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
La stessa identica cosa succede per il sistema (E3a), permutando, naturalmente, x con y, e φ con θ.
Da questo secondo sistema, esattamente nello stesso modo, noi ricaveremo
E7
Osserviamo che il fenomeno è esattamente lo stesso, ma, naturalmente, ne i valori che compaiono
nelle (E7) sono uguali a quelli che compaiono nelle (E4) ed (E5), ne le deformate che compaiono
nelle (E7) sono uguali a quelle che compaiono nelle (E4) ed (E5); perché nell’altro piano,in realtà, i
coefficienti di rigidità cambiano, e di conseguenza cambiano i valori, sia delle pulsazioni naturali,
sia di quei rapporti che definiscono le deformate.
Allora in totale, ed è questo ciò che ci interessa, è che se noi risolviamo i 2 sistemi indipendenti tra
loro, che rappresentano il comportamento dinamico del nostro sistema fermo, noi ricaviamo 4
pulsazioni naturali, , , , e ; in che ordine stanno tra loro? Naturalmente, non lo
sappiamo, così come non sappiamo se è effettivamente minore di o viceversa, non
sappiamo nemmeno dove si vanno a posizionare i due valori che abbiamo ricavato per l’altro
sistema: possono essere intermedi, tutti al di sopra, tutti al di sotto; non lo sappiamo perchè,
naturalmente, dipenderà dai valori che saranno assegnati al nostro sistema.
Questo è il comportamento dinamico del modello di Jeffcott a sistema fermo, ovviamente potrei
applicare i risultati che abbiamo già ottenuto, calcolare il moto libero di assegnate condizioni
iniziali, il moto forzato (non ci interessa niente); ci interessa solo il tipo di comportamento che
abbiamo appena fatto.
A questo punto imponiamo la rotazione al sistema, cioè applichiamo al sistema una velocità di
rotazione Ω
Fig 7
Che cosa succede? Quando applichiamo tale velocità, dobbiamo ricordare che il nostro rotore
(come qualsiasi rotore) non ha potuto essere bilanciato in maniera perfetta, il che vuol dire che ha
avuto uno sbilanciamento statico e uno dinamico, che come sappiamo si possono rappresentare
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
215
DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
Fig8
Se C è la traccia dell’asse di rotazione, cioè il centro geometrico del disco, il baricentro G si troverà
ad una certa distanza dall’asse di rotazione; distanza che va sotto il nome di sbilanciamento
residuo, e che si indica con . A seguito di tale sbilanciamento statico residuo nascerà una forza
centrifuga
La quale ruoterà, ovviamente, con la stessa velocità angolare del nostro disco; e naturalmente,
questa forza avrà 2 componenti, sull’asse x e sull’asse y, che saranno quelle in rosso di fig8. Qual è
la conseguenza di questo fatto? È che, se andiamo a considerare le equazioni differenziali del moto
esaminato prima, la 1° delle (E3) la scriverò
E8
E questa è la prima cosa che succede, cioè a dire, nascono delle azioni forzanti che prima non
c’erano. Così come c’è questo vettore rotante dovuto allo sbilanciamento statico, c’è anche lo
sbilanciamento dinamico, e quindi ci sarà un altro vettore rotante, indichiamo in questo modo
Fig9
Sempre ruotante con velocità angolare , e il modulo di questo vettore possiamo porlo nella forma
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
Questo vettore è dovuto allo sbilanciamento dinamico, e cioè al fatto che l’asse centrale d’inerzia
(chiamiamolo z per il nostro rotore) non coincide perfettamente con l’asse geometrico di rotazione
ma è ruotato rispetto a questo di una piccolissima quantità. Sappiamo dalla meccanica che esso si
può rappresentare nel modo di fig9, e cioè è proporzionale a , e ovviamente secondo un
coefficiente A che è proprio lo sbilanciamento dinamico, e quindi anche questo qui avrà due
componenti, una in seno e l’altra in coseno sull’asse x e sull’asse y. Adesso, se consideriamo la 2°
equazione delle (E3) presenta un termine noto che sarà questa componente, quindi si avrà
E9
C’è da dire però un’altra cosa: il sistema, adesso, a causa di queste azioni forzanti, non ruota più
centrato sull’asse ma ruota deformato, perché, evidentemente, quelle azioni forzanti generano una
deformazione. Che vuol dire che generano una deformazione? Che generano una rotazione e
una rotazione , intorno agli assi, e di conseguenza nasceranno 2 componenti di velocità, ,
intorno all’asse delle y, e intorno all’asse delle x. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che, adesso
tale rotore è soggetto alla sua velocità angolare, e poi ad una velocità e ad una . Se adesso
andiamo a considerare la velocità angolare e la velocità , intorno all’asse x, sappiamo che nasce
un effetto giroscopico; tale effetto si traduce in una coppia sull’asse ortogonale, che è l’asse delle y,
quindi si traduce in un ‘my’, che va inserito nell’equazione di equilibrio alla rotazione intorno
all’asse y. Quindi nella (E9) dobbiamo inserire l’effetto giroscopico che nasce da , quindi
E10
Allora, fino ad ora abbiamo visto che: a sistema fermo, avevamo un sistema di equazioni
differenziali non completo, omogeneo; adesso il sistema diventa non omogeneo, perché ci sono
delle azioni forzanti, completo, perché c’è una derivata prima ( ), ed inoltre non è più a coefficienti
costanti, perché compare . Quindi il sistema (E3) è di 2 equazioni differenziali, del 2° ordine,
complete, non omogenee, parametriche.
Ci accorgiamo anche, che nella (E10) compare , questo non figura tra le 2 variabili del sistema
(E3), ma figura in (E3a); quindi se vado a scrivere queste altre 2 equazioni
E11
Ci accorgiamo che stavolta non abbiamo più 2 sistemi indipendenti, perché in uno compare e
nell’altro , e quindi siamo passati dai 2 sistemi di equazioni che rappresentavano il sistema fermo
(E3 ed E3a), a un unico sistema di 4 equazioni differenziali, che, ripetiamo, sono del 2° ordine,
complete, non omogenee, parametriche con parametro , non solo, ma le azioni forzanti (riportate
in rosso nelle E9, E10 ed E11), come vediamo, sono tutte armoniche e sincrone fra di loro di
pulsazione .
A questo punto questo è il sistema che rappresenta l’equilibrio dinamico del nostro rotore in
rotazione a velocità angolare . Possiamo definire, immediatamente, che cosa sono le velocità
critiche: sono le velocità di risonanza fra le cause forzanti e le pulsazioni del sistema, cioè le
pulsazioni del sistema omogeneo associato. Allora, se consideriamo il sistema omogeneo associato
avremo 4 equazioni differenziali ecc… ecc… parametriche di parametro che significa questo?
Che le
E12
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DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
Quindi le pulsazioni saranno funzioni di , cioè il nostro sistema omogeneo associato (a quello che
rappresenta il comportamento del sistema: quello formato dalle 4 equazioni….) deve avere 4
pulsazioni naturali, ma queste, siccome il sistema è parametrico di parametro , cioè guarda caso
proprio la velocità angolare, saranno funzioni di . E quando avrò la risonanza? Cioè, quando avrò
la velocità critica, o le velocità critiche del sistema? Quando la pulsazione delle cause forzanti
uguaglierà uno di questi 4 valori. Le cause forzanti sono armoniche e sincrone, e la loro pulsazione
è proprio pari alla velocità angolare. Questa è la condizione che esprime le velocità critiche del
nostro sistema, Cioè la risonanza tra le azioni forzanti e i moti naturali di vibrare:
E13
La difficoltà, rispetto alle risonanze che noi siamo abituati a trattare nei sistemi a molti gradi di
libertà, consiste nel fatto che qua le non sono costanti, ma sono a loro volta funzioni di , e
quindi le velocità critiche si hanno quando la velocità del sistema (che è la pulsazione, anche, delle
cause forzanti) uguaglia una delle pulsazioni naturali del sistema a quella velocità angolare.
Questa è la logica che si ricava dal modello di Jeffcott, e che evidenzia, come cosa fondamentale, le
velocità critiche come un fenomeno di risonanza, perché, naturalmente osserviamo che, qualunque
sia la j che stiamo considerando, se abbiamo tale fenomeno di risonanza, per esempio ,
tutte e 4 le C.G. hanno un’ampiezza, teoricamente, infinita, e quindi da questo si capisce che
avremo delle forti vibrazioni sul sistema, e che a lungo andare possono portare alla rottura del
sistema. Come è possibile, allora, che i sistemi di oggi, che sono tutti a velocità angolare sempre
molto elevate, lavorano molto spesso all’interno del campo delle velocità critiche? Come mai il
sistema non si rompe? Non si rompe, perché il sistema, non solo è dissipativo, ma poi, l’istaurarsi
di oscillazioni di ampiezza elevata richiede un certo tempo, cioè richiede la persistenza, per un
certo intervallo di tempo, dell’uguaglianza (che mi da la risonanza) tra la velocità e la pulsazione
naturale. Che significa questo? Significa che se noi, per esempio, lavoriamo con un sistema fra la
prima e la seconda critica, il problema è che noi non ci dobbiamo fermare sulla prima critica, ma se
in accelerazione o in decelerazione, ci passiamo molto rapidamente, non ce ne accorgiamo proprio,
perché non c’è il tempo perché si istaurino queste oscillazioni molto pericolose di forte ampiezza.
Però, perché questo sia possibile materialmente, devono succedere due cose: 1° - la velocità di
regime del sistema sia più o meno sempre la stessa, in modo da farla andare a piazzare fra la prima
e la seconda critica, cioè non deve essere fortemente variabile; per esempio, se stessimo
considerando un generatore di corrente alternata, la frequenza di vetta deve essere 50 Hz e di
conseguenza la velocità deve essere sempre quella, rigorosamente, allora in questo caso, già
sappiamo esattamente a quale velocità deve andare costantemente l’impianto, il problema ci darà
solo nell’avvio e nella fermata; però in tutti questi impianti possiamo fare in modo che sia
l’accelerazione sia la decelerazione siano molto veloci.
Per risolvere il sistema, ovviamente, la prima cosa da fare e considerare l’omogeneo associato e
determinare le pulsazioni naturali, cioè in pratica togliamo le 4 azioni forzanti, imponiamo un
certo tipo di soluzione ( e così di seguito), mi riconduco poi ad un sistema di equazioni
algebriche, annullo il determinate dei coefficienti. Tutto questo non lo facciamo, lo troviamo
espressamente sul libro, sono metodi noti, lunghi, molto lunghi, quindi non vale la pena, perché
tanto quello che otteniamo in fine lo sappiamo: quando andiamo a fare il suddetto determinante
dei coefficienti otteniamo una biquadratica in in funzione di . Quindi otteniamo una relazione
che ci lega a . (Questo già ci da un idea della complessità analitica di soluzione di sistemi di
questo genere, infatti ricordiamo che stiamo parlando del modello di Jeffcott più semplice possibile
ad un solo rotore, quindi già ci rendiamo conto che questi tipi di ragionamenti, dal punto di vista
analitico sono molto pesanti.) Alla fine, dicevamo, otteniamo l’equazione (E13), che naturalmente
possiamo andare a diagrammare, cioè possiamo portare su un diagramma, l’andamento delle 4
pulsazioni naturali del nostro sistema in funzione della velocità del sistema .
Tali diagrammi vanno sotto il nome di DIAGRAMMI DI CAMPBELL
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DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
Fig10
Da questo studio analitico, che abbiamo evitato, si ricava che tali curve hanno degli asintoti, ed in
particolare hanno 4 asintoti, un asintoto è l’asse delle ascisse poi ce n’è un altro che ha equazione
, poi un altro ancora con equazione , ed infine un altro ancora con
equazione . Risparmiamo il calcolo di come si ricavano i 4 asintoti, in quanto basta far
tendere all’infinito. Del nostro diagramma, in realtà, 4 punti già li conosciamo, perché quando
è uguale a zero, e cioè quando il sistema è fermo, abbiamo già ricavato le pulsazioni naturali che
saranno rappresentate dai punti in nero marcati sull’asse delle ordinate. In che ordine stanno i 4
valori ricavati a sistema fermo? Non lo sappiamo, perché, naturalmente, l’abbiamo detto prima,
che quei valori , , ecc…, che abbiamo determinato stanno fra loro in una posizione che noi
non conosciamo perché dipende dai valori che noi assegniamo alle rigidità e alla flessibilità
dell’albero. Mettiamoli in un ordine qualsiasi che non è detto che sia corretto per il motivo appena
detto. Le curve si presentano come in fig10 e ricordiamoci che rappresentano l’andamento delle 4
pulsazioni naturali del nostro sistema in funzione della velocità angolare.
1° osservazione ( che viene fuori ovviamente dal calcolo): le curve sono simmetriche rispetto all’asse
delle ordinate, cioè a dire, un certo valore in corrispondenza di è lo stesso per , e questo è un
fatto ovvio, perché è chiaro che il sistema o lo facciamo ruotare in un verso, o lo facciamo ruotare
nel verso opposto, ad una certa velocità angolare ha sempre la stessa pulsazione naturale.
2° osservazione : c’è un'altra simmetria, che volutamente non abbiamo disegnato, perchè è molto
meno evidente dal punto di vista fisico, e cioè queste 4 curve con i rispettivi asintoti sono anche
simmetriche rispetto all’asse delle ascisse, se però sull’asse delle ascisse noi non indichiamo – ,
ma indichiamo invece .
Iniziamo a capire una cosa, che tipo di moto avremo lungo queste curve? Allora, prendiamo ad
esempio la prima, cioè quella che passa per il punto , allora noi sappiamo che, in
corrispondenza di velocità nulla, avremo un moto con una prevalenza della ; che succede se
diamo velocità ….54.22…. ? succede che non abbiamo più solo , perché adesso lungo la curva,
per , i 4 moti sono accoppiati tra loro, ma quello che si può dedurre è che, se era la
deformazione prevalente (in corrispondenza di velocità nulla), si mantiene deformazione
prevalente lungo tutta la curva, cioè a dire, in un punto qualsiasi di questa curva avremo, per quel
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DSM 10° lezione – seconda parte 10-11-2010
corrispondente moto naturale, una certa deformata in cui avrò valori diversi da zero per tutte e 4 le
coordinate, ma di questi valori quello prevalente è sempre la ; lo stesso naturalmente succede per
le altre curve.
Adesso iniziamo a vedere una prima utilizzazione possibile, immaginiamo di avere il sistema che
sta ruotando ad una certa velocità angolare (in rosso in fig10), a questa velocità angolare avremo
4 valori, segnati in rosso in fig10, delle pulsazioni naturali. Cosa può succedere? Può succedere che
il nostro sistema, che sta ruotando, sta poggiato su un basamento, che tale basamento vibra, e che
vibra ad uno di questi 4 valori, allora succede che il sistema va in risonanza, perché, queste
vibrazioni esterne vengono trasmesse dal basamento ai supporti, dai supporti alla macchina e
quindi al rotore; e quindi viene eccitato a vibrare da una causa forzante che ha una pulsazione pari
a una sua propria pulsazione naturale, e quindi va in risonanza, quindi il rotore comincia ad
oscillare con ampiezza elevata. Però notiamo che il rotore sta ruotando a velocità angolare , se la
risonanza la ho, per esempio, con il modo rappresentato dall’ultima curva, la pulsazione forzante
(presa ovviamente sull’asse delle ordinate [vedi fig10]) è diversa da ; questo a che mi serve? Mi
serve proprio per dire che il sistema sta in risonanza, vibra fortemente, vibra pericolosamente, ma
non si tratta di una velocità critica, perché nella velocità critica la pulsazione della causa forzante è
, e quindi il moto forzato che io rilevo ha pulsazione pari alla velocità angolare, invece nel nostro
esempio la pulsazione del moto forzato è diversa dalla velocità angolare.
Adesso vediamo come si determinano le critiche, abbiamo la (E13), e quindi non dobbiamo far
altro che tracciare la retta a 45°(in blu in fig10), e andare a vedere quali sono i punti d’intersezione
con le 4 curve, in questi punti avremo le velocità critiche del sistemi. Ci accorgiamo che, nel nostro
caso, le velocità critiche (i puntini blu in fig10) sono solo 3 a differenza dei modi di vibrare che
sono 4. Perché? Perché l’asintoto dell’ultima curva ( ) si trova al di sopra della retta
, cioè ha un angolo maggiore di 45°, cioè
E14
Cioè sto considerando un disco sottile, per il quale il suo momento d’inerzia di massa rispetto
all’asse di rotazione è più grande rispetto al momento d’inerzia di massa diametrale; se il rotore
fosse un cilindro allungato, per esempio, succederebbe l’inverso, ed allora la retta (
avrebbe un coefficiente angolare minore di 1, un inclinazione minore di 45°, si sposterebbe al di
sotto della retta ( ) e avremo un ulteriore intersezione, quindi un ulteriore velocità critica.
In conclusione: se il rotore è un disco sottile, è vero che ha 4 modi naturali di vibrare, ma ha solo 3
velocità critiche; se il rotore è allungato avrà 4 velocità critiche. Come si può estrapolare questo
discorso ad un sistema ad n dischi? Allora se un disco ha 3 o 4 critiche, un sistema ad n dischi avrà
un numero di critiche da un minimo di 3n ad un massimo di 4n; il minimo di 3n l’avremo se tutti
gli n dischi sono sottili; il massimo di 4n l’avremo se tutti i rotori sono allungati. Se avremo,
entrambi, rotori sottili e rotori allungati, oppure rotori sottili molto vicini tra loro, che nel loro
complesso è come se facessero un rotore allungato, allora il numero di velocità critiche sarà
compreso tra 3n e 4n.
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
[FIG.1]
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Come sistema fermo, abbiamo visto che il comportamento dinamico di questo si-
stema è caratterizzato da 2 sistemi di 4 eq. differenziali ciascuno, più 2 eq. indipen-
denti tra di loro. Questo dipende dal fatto, come si è detto, che in sostanza a rotore
fermo il sistema non è altro che un corpo rigido vincolato in modo elastico alla terra.
Questi vincoli elastici non sono altro che la flessibilità dell’albero, ovviamente messa
in serie con le rigidità delle molle.
Questa fatto conduce, come abbiamo visto, ad un disaccoppiamento dei modi natu-
rali di vibrare del sistema e ad un disaccoppiamento, ovviamente, delle eq. differen-
ziali del moto (quindi in sostanza il sistema risulta simmetrico sia al piano che al
piano ). In conseguenza di questo fatto le eq. del moto si disaccoppiano nel modo
che si diceva prima.
Cioè i moti nel piano (piano di simmetria) che sono la e la rotazione intorno
all’asse , sono dipendenti tra di loro e naturalmente danno luogo ad un sistema di
due eq. differenziali indipendenti dagli altri.
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
rigidi ma perché tutte le azioni forzanti sono ortogonali all’asse e quindi non hanno
componenti né lungo né intorno .
Quindi in pratica ai fini di questo studio, questo significa, che lo studio si riconduce
allo studio di quei 4 GdL, e ed e che si accoppiano tra di loro nel modo ap-
pena visto.
È stato visto come è possibile risolvere questi 2 sistemi di eq. differenziali che sono
né più e né meno che due sistemi corrispondenti, ciascuno, al moto di un sistema a
2 GdL conservativo (e dei quali si conoscono già i tipi di soluzione).
Quindi dal primo sono stati ricavati 2 pulsazioni naturali che abbiamo indicato con
ed , intendendo la prima quella che ha una deformata ad prevalente e la
seconda che è quella che ha una deformata a prevalente.
Sono state quindi ricavate queste 2 pulsazioni dei modi naturali e in corrispondenza
di ognuna di queste abbiamo ricavato la deformata (a meno di una costante) e quin-
di il rapporto .
Lo stesso abbiamo fatto per l’altro sistema, cioè quello - , e allora in conclusione
dallo studio del sistema fermo abbiamo ricavato 4 modi naturali di vibrare i quali so-
no per l’appunto accoppiati due a due.
Nel momento in cui impongo una velocità di rotazione , a questo sistema, che
cosa succede?
1) Succede che tanto per cominciare le eq. differenziali non sono più omogenee
perché nascono delle azioni forzanti che, su x, intorno ad y e su y, intorno ad
x, non sono altro che le componenti della forza centrifuga rotante dovuta allo
sbilanciamento statico e le componenti del momento rotante dovuto allo sbi-
lanciamento dinamico.
Queste componenti sono tutte funzioni armoniche di pulsazione proprio pari
alla velocità angolare . Allora le nostre 4 eq., tanto per cominciare, diventa-
no NON più OMOGENEE ma diventano rappresentative di un moto forzato in
cui le azioni forzanti sono armoniche e sincrone di pulsazione proprio pari alla
velocità angolare.
2) Mentre prima si avevano 2 sistemi di eq. differenziali indipendenti tra di loro,
ora, a causa delle azioni forzanti e quindi dal fatto che il sistema non ruota più
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
sul suo asse ma ruota deformato (cioè nascono per es. una ed una
dovuta proprio alle azioni forzanti) in conseguenza anche di questo fatto a-
vremo delle componenti di velocità, e , rispettivamente intorno all’asse
e intorno all’asse .
Queste velocità (tenendo conto del fatto che tutto il sistema ruota ad una velocità
angolare ) componendosi con mi danno degli effetti giroscopici e cioè, in partico-
lare, mi danno delle coppie giroscopiche di richiamo (nel senso che tendono a ripor-
tare il sistema deformato sull’asse di rotazione, e quindi in sostanza nella sua posi-
zione indeformata). Quella dovuta ad ed a agirà sull’asse ortogonale e quella
dipendente da e da agirà sull’asse ortogonale (e cioè sull’altro asse).
Quindi questo vuol dire che nei due sistemi di eq. differenziali, nell’eq. che rappre-
senta la , ci sarà un termine che contiene e nell’eq. che invece contiene la , ci
sarà un termine in (che sono per l’appunto queste coppie giroscopiche).
Quindi non avrò più 2 sistemi di 2 eq. differenziali ma avrò invece un unico sistema
di 4 eq. differenziali.
Per di più non sarà più omogeneo perché ci sono le cause forzanti armoniche e sin-
crone di pulsazione pari alla velocità angolare ed inoltre non è più nemmeno a coef-
ficienti costanti (perché queste coppie giroscopiche valgono oppure e
quindi nei coefficienti del nostro sistema compare come parametro proprio la velo-
cità angolare).
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Cioè se io vado a fare il determinante dei coefficienti, cioè vado a scrivere l’eq. ca-
ratteristica del sistema omogeneo associato (a questo), questa eq. si potrà scrivere
come oppure, se si preferisce, .
Se si va a dare un’occhiata allo sviluppo analitico di questi calcoli (che si trovano sul
libro) quello che si vede è che è più facile ricavare la che (è
cmq la stessa cosa). [16:25]
Diagramma di Campbell
Queste 4 funzioni, che rappresentano le 4 pulsazioni naturali al sistema in moto, si
possono andare a diagrammare ed ottengo quello che va sotto il nome di diagram-
ma di Campbell, cioè un diagramma nel quale sono appunto riportate le (pulsa-
zioni naturali) in funzione della velocità angolare .
Queste 4 curve avranno, in particolare, dei punti di intersezione con l’asse delle or-
dinate, cioè dei punti di intersezione per , cioè a sistema fermo, che già sap-
piamo quali sono perché sono proprio le pulsazioni naturali a sistema fermo che ab-
biamo determinato in precedenza con i 2 sistemi di 2 equazioni.
In che ordine queste pulsazioni naturali , , ecc. siano disposte sull’asse delle
ordinate, naturalmente, non lo si può sapere perché per poter dire in quale ordine si
trovano si dovrebbero fissare i parametri del sistema, cioè:
la massa;
il momento d’inerzia di massa diametrale del disco;
il momento d’inerzia di massa polare del disco;
le rigidità del sistema (dell’albero più le 4 rigidità);
Se non si hanno questi dati non si può sapere in che ordine vengono fuori queste 4
pulsazioni.
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
[D.1]
In realtà 4 punti di queste curve già si conoscono perché sono, in un qls ordine (per-
ché non sappiamo qual è l’ordine) i 4 valori che abbiamo determinato a sistema
fermo, ad es. potrebbero essere, come mostrato in figura, in questo ordine:
, , e la (funzioni naturalmente della ).
Quello che c’è da dire è che per questo tipo di sistema che stiamo considerando (e
cioè per il disco sottile e quindi per un’inclinazione dell’asintoto ) se
io vado a determinare, dal diagramma D.1, le velocità critiche del sistema che per
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
definizione sono quelle velocità angolari dell’albero che uguagliano una delle pul-
sazioni naturali, non perché velocità angolari dell’albero ma perché pulsazioni delle
cause forzanti a quella velocità (cioè la velocità angolare dell’albero coincide con la
pulsazione delle cause forzanti).
Quindi scrivere che una certa significa scrivere una condizione di riso-
nanza [22:30].
Allora queste critiche si possono determinare con una retta a di eq. e al-
lora si vede che per questo sistema che si sta considerando (e cioè per il disco sotti-
le) si hanno solamente 3 intersezioni con le 4 curve. Di conseguenza per un disco
sottile, pur avendo 4 modi naturali di vibrare, si hanno solamente 3 velocità critiche.
Si vede subito che se il rotore fosse invece allungato, l’asintoto obliquo avrebbe
un’inclinazione minore di e si andrebbe a spostare al disotto della retta e
quindi si avrebbe una quarta intersezione.
Ovviamente questo ragionamento può essere esteso ad rotori nel senso che avrà
un numero di velocità critiche compreso tra e .
Sarà pari a , se gli rotori saranno tutti sottili e sufficientemente distanti l’uno
dall’altro, invece se gli rotori sono tutti allungati oppure se alcuni dei rotori sot-
tili sono molto vicini l’uno all’altro, invece nei casi misti il numero di critiche sarà
compreso tra un minimo di ed un massimo di .
Cioè a dire: se ho un sistema che sta ruotando ad una velocità angolare , si sa che a
quella velocità angolare esistono 4 modi naturali di vibrare che sono quelli indicati
dall’intersezione della verticale passante per con le varie curve.
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DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
guale ad uno di quei quatto valori. Allora in questo caso, ancora una volta, il sistema
va in risonanza (cioè comincia a vibrare con ampiezze elevate).
Come ci accorgiamo che si tratta di una causa esterna al rotore e non di una veloci-
tà critica?
1) Causa esterna:
Perché se per es. la pulsazione della causa forzante, quella corrispondente al
punto M (cioè quella data dall’intersezione della retta obliqua passante per
l’origine (di eq. ) con la pulsazione naturale corrispondente al pun-
to M), va in risonanza con questo modo naturale di vibrare, il moto forzato
(cioè la vibrazione che io rilevo) avrà la stessa pulsazione della causa forzante
che è diversa invece dalla velocità angolare (che è invece ).
2) Caso delle velocità critiche:
Mentre invece nel caso delle velocità critiche siccome le cause forzanti hanno
una pulsazione (cioè pari alla velocità angolare) anche il moto forzato sarà
della stessa pulsazione e quindi sarà anche lui sincrono con la velocità angola-
re.
Quindi quando io vedo un sistema che ha delle forti vibrazioni flessionali, per capire
se si tratta di una velocità critica oppure se si tratta di un'altra causa che ha genera-
to queste forti vibrazioni, basta che si vada a misurare la pulsazione di queste vibra-
zioni.
Se è pari alla velocità angolare si tratta di una critica se invece non è uguale alla ve-
locità angolare, evidentemente, c’è qlk causa esterna.
Ieri, a titolo di es. di queste possibili cause esterne, abbiamo detto di immaginare
che il nostro sistema sia montato su di un basamento e immaginiamo che questo
basamento stia vibrando con una pulsazione . Quello che può capitare è che que-
sta , che ovviamente si trasmette al rotore (attraverso la carcassa della macchina e
i supporti), sia uguale ad uno di quei 4 valori.
Questa è una possibile causa esterna ma non è l’unica, nel senso che, come causa
esterna (in questo caso) va intesa una causa esterna non alla macchina, che io sto
considerando, ma al rotore (o ai rotori).
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Quando si parla di cause interne al sistema, si parla solamente delle cause dovute
agli sbilanciamenti. Tutte le altre, anche se sono come in questo caso interne alla
macchina, in realtà vanno considerate come cause esterne (perché sono per
l’appunto esterne al rotore).
Jeffcott semplificato
Fatto questo quadro iniziale del comportamento dinamico che viene fuori per quan-
to riguarda le velocità critiche e per quello che riguarda le eventuali possibilità di ri-
sonanza con azioni forzanti che non siano quelle dovute agli sbilanciamenti. Adesso
prendiamo in esame dei rotori di Jeffcott semplificati, rispetto a quello più generale
che abbiamo visto fino a questo momento.
Nel senso che nel caso generale il rotore era posto in un punto qls dell’albero e le 4
rigidità che rappresentano i cuscinetti di supporto del nostro rotore sono tutte di-
verse tra di loro.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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[FIG.2]
Questo succede quando (il disco) è posto nella mezzeria dell’albero e quando le rigi-
dità sono a 2 a 2 uguali.
Perché abbiamo detto, quando è stato fatto un po’ di storia dello sviluppo degli stu-
di sulle velocità critiche flessionali, che una delle caratteristiche del modello inventa-
to da Jeffcott che lo rendeva, sicuramente, molto più attendibile di tutti quelli che lo
avevano preceduto, non era tanto sul calcolo delle velocità critiche quanto sul fatto
che con questo tipo di modello si poteva spiegare il comportamento del rotore ad
ogni velocità angolare, quindi non solo in corrispondenza delle critiche ma ad una
qls velocità angolare diversa da una critica.
Cioè questo tipo di modello era l’unico che riusciva a rendere ragione di un compor-
tamento dinamico che poteva essere dimostrato sperimentalmente.
Dove il primo è il moto del baricentro del rotore intorno all’asse di rotazione, men-
tre il secondo è il moto dell’asse del rotore intorno all’asse di rotazione.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Questi due moti sono stati più volte rilevati sperimentalmente quindi esistono nella
realtà e non potevano essere messi in evidenza e studiati con i modelli precedenti.
Allora noi vogliamo vedere come si comporta il sistema ad una velocità diversa da
una velocità (il prof. qui ha detto angolare e non critica però se legge bene prima a
mio avviso deve essere critica) critica. Cioè noi vogliamo individuare, mediante il
modello di Jeffcott, il comportamento del sistema nei confronti del Whirling e Wob-
bling.
Ora se considero il rotore di Jeffcott originario (cioè quello più complesso), in tale
modello già si sa che i 4 moti possibili (perché la x e la y, la e la sono i 4 moti
possibili del mio rotore corrispondente alle 4 coordinate generalizzate), a velocità
diversa da zero, sono sempre accoppiati tra di loro.
Cioè qls punto di queste 4 curve, esterno all’asse delle coordinate, mi rappresenta
un modo di vibrare del sistema in cui queste 4 coordinate sono accoppiate tra di lo-
ro. Cioè a dire, per quel sistema, il moto di Whirling (cioè la traiettoria descritta in-
torno all’asse di rotazione del baricentro del rotore) e quello di Wobbling (cioè la
traiettoria descritta dall’asse del rotore) sono accoppiati (per quel rotore iniziale).
Perché?
Perché per studiare questi fenomeni devo considerare il sistema forzato, cioè devo
considerare agenti le effettive azioni forzanti, cioè le componenti nella forza rotante
e nella coppia rotante dovuta agli sbilanciamenti.
Allora si dovrebbe andare a trovare questi moti forzati, che sono accoppiati fra di lo-
ro (tutti e 4 insieme). Naturalmente è tutt’altro che facile o per meglio dire, non è
che sia difficile, infatti e facilissimo da fare in forma numerica ma è molto difficile da
ottenere in forma chiusa, cioè in forma analitica, per vedere poi come questi 4 moti
accoppiati cambiano quando cambiano i parametri del sistema.
Allora per questa ragione questi 2 fenomeni del Whirling e del Wobbling si studiano
non sul rotore di Jeffcott originario ma su quello semplificato (FIG.2).
Perché?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
231
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Queste informazioni sul comportamento del sistema alle varie velocità angolari per
il Whirling da una parte, e per il Wobbling dall’altra, possono essere poi estrapolate
non in forma analitica ma a livello di concetto, a quello che sarà poi il comportamen-
to di un rotore completo di Jeffcott (nel quale questi moti saranno accoppiati).
Allora per questo sistema che è simmetrico rispetto al piano , oltre che rispetto ai
piani ed , sappiamo che proprio per questa completa simmetria se il sistema è
fermo, i modi naturali di vibrare sono tutti disaccoppiati tra di loro. Cioè a dire che io
posso scrivere per questo sistema 4 eq. differenziali indipendenti che saranno:
Proprio perché a sistema fermo in virtù della completa simmetria inerziale ed elasti-
ca del sistema rispetto ai 3 piani centrali d’inerzia le eq. del moto sono tutte indi-
pendenti tra di loro e quindi da questo si può ricavare immediatamente le 4 pulsa-
zioni naturali a sistema fermo (espresse sopra a lato).
Adesso in questo sistema che cosa succede se adesso lo faccio ruotare con una velo-
cità angolare . Allora quello che succede è:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
232
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
(Ho applicato direttamente le cose che sono state spiegate la volta scorsa. Quello
che è stato aggiunto, nel caso delle eq. relative alle rotazioni, sono state aggiunte le
coppie giroscopiche e poi sono state aggiunte a tutte le parti le azioni forzanti).
Si vede anche però, che mentre le prime due (quelle evidenziate in verde) sono indi-
pendenti oltre che dalle altre anche fra di loro; le altre due (quelle evidenziate in
blu) che riguarda il comportamento di Wobbling, la e la non sono indipendenti
fra di loro.
Moto di Whirling
Qui ho due eq. che sono quelle di un sistema ad 1 GdL con azione forzante di tipo
armonico. Quindi posso andare a ricavare, immediatamente, le corrispondenti solu-
zioni, cioè la sarà:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
233
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Sapendo che:
Avremo:
(1)
In modo del tutto analogo, permutando gli indici, si può ricavare che la sarà
uguale a:
(2)
Come si può vedere le 2 componenti del moto del centro del disco in sostanza sono
due funzioni armoniche in quadratura (in seno e coseno) che hanno le ampiezze in-
dicate.
Questo significa che il moto di Whirling è in ogni caso (cioè la traiettoria descritta dal
centro del disco) una traiettoria ellittica e poiché la pulsazione di queste sue com-
ponenti è proprio la velocità angolare , questa traiettoria ellittica viene percorsa
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
234
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
con una velocità che è proprio pari ad (cioè la traiettoria ellittica è sincrona, anco-
ra una volta, con la velocità angolare dell’albero).
[D.2]
Cominciamo a stabilire che questo sistema è un sistema che deve avere due punti
all’infinito che sono e . Non sappiamo quale delle due è più grande, mettiamo
che sia più piccola la . Allora l’asintoto di eq. è ovviamente un asintoto
per la , l’altro ( ) sarà l’asintoto per la .
Per tutte e due queste grandezze vanno a zero (ambedue le curve partono da
zero).
Poi per i due rapporti colorati in arancione dell’eq. (1) e (2) ovviamente ten-
dono a -1. Quindi in ogni caso tutte e due le curve devono tendere , ovvero
devono tendere a – .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
235
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Quindi quest’ultimo sarà l’asintoto per tutte e due le curve di e di . Allora la pri-
ma e cioè quella di (a tratto continuo) e la (tratteggiata) avranno un andamento
come visto nel diagramma [D.2].
Allora adesso che cosa ci può dire questo diagramma sul comportamento del no-
stro sistema nei confronti del Whirling?
[FIG.3]
Quindi avrò un ellisse allungata in direzione . Queste due ampiezze, e ,
hanno lo stesso segno e questo vuol dire che questa traiettoria viene percorsa
nel verso della velocità angolare.
Allora immaginiamo una posizione angolare (posizione 1) e andiamo a rappre-
sentare, su questa posizione angolare del disco, la sezione dell’albero sulla
quale il disco è calettato.
Allora il sistema sta ruotando con una velocità angolare (velocità angolare
del disco) e la traiettoria, percorsa da questo punto viene percorsa con la
stessa velocità angolare e nello stesso verso, perché le ampiezze sono tutte
e due maggiori di zero.
Allora nella posizione successiva (posizione 2) le fibre dell’albero sollecitate
saranno le stesse che erano sollecitate nella posizione precedente (posizione
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
236
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
1), cioè le fibre prima sollecitate si saranno ruotate di (perché albero e di-
sco hanno la stessa velocità angolare) tale che nella nuova posizione risulte-
ranno ancora sollecitate.
Per lo stesso ragionamento avremo la stessa situazione ripetersi per le posi-
zioni 3 e 4. Quelle che io sto considerando sono sempre le stesse fibre della
sezione dell’albero.
Allora che cosa si vede?
Si vede che nella posizione 1 le fibre che stanno all’esterno sono tese, nella
posizione 2, 3 e 4 lo saranno ancora.
Cioè le suddette fibre dell’albero, per questo moto di Whirling saranno sem-
pre tese, alternativamente quelle che si trovano dall’altro lato saranno sem-
pre compresse.
La sollecitazione però non è costante lungo il percorso di questa traiettoria,
infatti nelle posizioni 2 e 4 questa è maggiore e nelle posizioni 1 e 3 invece so-
no minori. Cioè la sollecitazione cambierà due volte a giro.
Infatti se vado a rappresentare l’andamento della (dove è la rota-
zione dell’albero) avremo:
[D.3]
Avrò un certo valore medio e poi avrò un andamento che cambia 2 volte a gi-
ro (avrò 2 max e 2 min). Bisogna badare bene che l’andamento non è sinusoi-
dale perché l’albero descrive è un ellisse (però l’andamento è uno del genere
espresso dal D.3). Quindi la sollecitazione comunque rimane sempre dello
stesso segno.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
237
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
[FIG.4] (fare una nuova figura simile alla FIG.3 ma con l’asse maggiore
dell’ellisse in Y e non ad X (come ad es. è rappresentato nella stessa FIG.3))
È giusto osservare ora che per sia la l’eq. (1) e (2) tendono a – .
Come si comporta questo sistema per una velocità teoricamente infinita?
Compie una traiettoria circolare!
Quanto vale il raggio di questa traiettoria circolare?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
238
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
dulo varia due volte a giro. Questo tipo di comportamento va sotto il nome di
Direct Whirling o Moto di Precessione Diretta.
“Diretta” nel senso che il verso nel quale viene percorsa l’ellisse, descritta dal
centro del disco, è lo stesso verso della velocità angolare del disco.
3. Diverso è il caso in questo intervallo e cioè . In questo caso la
e la hanno segni opposti, cioè in particolare la e la .
Questo che cosa vuol dire?
Vuol dire che contrariamente ai casi precedenti la traiettoria descritta dal cen-
tro del disco, che cmq rimane un’ellisse (solo che nella prima parte sarà
un’ellisse allungato in direzione e nella seconda lo sarà lungo la direzione
), viene descritta in verso opposto rispetto alla velocità angolare
(Ci sarà addirittura un punto in quell’intervallo in cui e l’elisse dege-
nera in un cerchio).
[FIG.5]
Cioè se io adesso vado a rappresentare questo ellisse con i suoi semiassi e,
come al solito, vado a rappresentarmi la sezione retta dell’albero sulla quale
è calettato il nostro disco, che cosa succede?
Se indichiamo con (in senso orario) la velocità con cui ruota il disco, la velo-
cità angolare (perché sempre sincrono) con cui viene descritta l’ellisse avrà
verso opposto (infatti è anti-orario).
Allora se si considerano le fibre tese dell’albero nella posizione 1, dopo
che cosa succede?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
239
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
[D.4]
In cui come si può vedere c’è un valore medio però ci sono dei tratti nei quali
la diventa negativa.
Questo vuol dire che in questa situazione questo tipo di moto di precessione
che va sotto il nome di Reverse Whirling o Moto di Precessione Inversa.
Questo tipo di comportamento è un tipo di comportamento particolarmente
pericoloso, perché visto che la sollecitazione dell’albero cambia segno 2 volte
a giro io avrò che tutte le fibre dell’albero sono fortemente sollecitate a fatica
(proprio per questo cambio di segno della sollecitazione).
Questo ragionamento che abbiamo fatto per il Whirling è stato fatto relativamente
ad un sistema semplice, cioè un sistema che è completamente simmetrico. Infatti
per quel sistema siamo stati capaci di separare il comportamento di Whirling da
quello di Wobbling.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
240
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Noi per il sistema semplice abbiamo ottenuto che il Reverse Whirling l’ho per una
velocità del sistema compresa tra le 2 velocità critiche (perché naturalmente e
sono anche le critiche relative ad ed ).
Allora posso immaginare di estrapolare questo risultato, non nel senso di dire che
per un sistema più complesso (come quello non simmetrico) io ho certamente il
Whirling tra due 2 velocità critiche ma che se ho un fenomeno di Reverse Whirling
questo lo posso avere solo nell’intervallo compreso tra 2 velocità critiche.
[D.5]
Posso avere Reverse Whirling per questo sistema, tenuto conto di questa estrapo-
lazione che abbiamo fatto dai risultati del sistema semplice?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
241
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Sicuramente non lo avremo nei campi compresi tra le critiche perché i moti sono ac-
coppiati.
Allora?
Allora questo discorso io lo posso estrapolare al sistema più complesso dicendo che
se esiste (nel caso semplice esiste sicuramente tale tipo di moto, in questo caso in-
vece non si può più avere questa certezza) il Reverse Whirling esiste all’interno di
queste due velocità critiche, perché queste due velocità critiche sono quelle a preva-
lenza di e di rispettivamente, cioè proprio delle coordinate generalizzate che de-
finiscono il Whirling.
Questo è il tipo che si può fare estrapolando concettualmente il risultato del sistema
semplice (questo tipo di ragionamento è verificato anche sperimentalmente).
Moto di Wobbling
(Allora questo tipo di ragionamento che abbiamo fatto in questo caso, cioè andare
ad individuare i campi di velocità in cui ho un fenomeno di Whirling di un certo tipo
e un fenomeno di Whirling di un altro tipo molto più pericoloso).
Lo stesso identico tipo di ragionamento si può fare per quanto riguarda il Wobbling,
cioè per quello che riguarda la superficie rigata percorsa dall’asse del rotore intorno
all’asse di rotazione, solo che naturalmente è un po’ più complicato dal punto di vi-
sta analitico.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
242
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
È più complicato dal punto di vista analitico perché le altre due eq. differenziali rela-
tive a e non sono più indipendenti come succedeva per ed ma sono accop-
piate (anche questo si può risolvere ma non faremo la trattazione analitica).
Però la cosa interessante è questa ovvero la logica che si ricava dalla fine di questa
trattazione è precisamente la stessa di quella che abbiamo dedotto per il Whirling.
[D.6]
Dalla soluzione del sistema di due eq., sopra riportato, in sostanza io troverò due
curve che rappresenteranno la e la in funzione di .
243
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Allora queste 2 curve e devono avere delle intersezioni con l’asse delle
(quello verticale) e quindi avrò degli andamenti mostrati in figura.
Allora siccome il risultato che si ottiene (dalla trattazione che non faremo) è con-
cettualmente uguale a quello che abbiamo ottenuto per il Whirling, che cosa si
può dire?
Che se ho il Reverse Wobbling (che ha gli stessi effetti naturalmente nei confronti
della sollecitazione a fatica dell’albero), questo fenomeno lo avrò all’interno del
campo compreso fra le velocità critiche a prevalenza di e di .
Cioè a dire che in questo caso per rotore sottile, una delle due non c’è (in questo ca-
so quella a prevalenza di ), e quindi per un sistema di questo genere io non posso
avere il Reverse Wobbling.
Cioè quello che si dimostra è che il comportamento nei confronti del Wobbling del
sistema è esattamente lo stesso di quello del Whirling. Allora il baricentro descrive
una traiettoria ellittica; l’asse del disco descriverà, per il sistema simmetrico, una
superficie conica in cui il vertice della superficie conica è proprio il baricentro e una
sezione retta di questa superficie conica è ancora un’ellisse (quindi il comportamen-
to è proprio lo stesso di quello del Whirling (anche se è più difficile da determinare
analiticamente)).
Allora l’asse descrive una superficie conica la cui sezione retta è un’elisse e il vertice
di questa superficie conica sta nel baricentro.
Quindi il ragionamento a proposito del fatto che il verso in cui viene descritta questa
superficie sia lo stesso della velocità angolare o sia opposto alla velocità angolare è
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
244
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
praticamente lo stesso di quello che è stato visto prima e cioè il verso è opposto alla
velocità angolare nel campo compreso tra le due critiche.
In questo caso la seconda critica a prevalenza di rotazione non c’è e quindi questo
campo è nullo e di conseguenza per questo sistema posso avere solo Direct Wob-
bling.
Anche qui io posso immaginare di estrapolare questo risultato al sistema più com-
plesso, infatti se considero quello che succede in questo sistema è la stessa cosa.
Perché ho 3 velocità critiche la prima (quella più bassa in aliquota) è in prevalenza di
, la seconda a prevalenza di , la terza è a prevalenza di e quella a prevalenza di
non c’è.
Quindi anche qui il campo compreso tra le due velocità critiche a prevalenza di rota-
zione, all’interno del quale campo si potrebbe avere il Reverse Wobbling, questo
campo è nullo (non c’è) perché non c’è la seconda critica a prevalenza di rotazione.
Per questo sistema quindi, estrapolando il risultato che abbiamo ottenuto per il si-
stema semplificato, si può dire che per questo sistema Reverse Wobbling non si può
avere mentre il Reverse Whirling (come abbiamo visto) potrei averlo nel campo di
velocità compreso tra la e la (non si è certi se c’è il Reverse Whirling ma se c’è
lo si può avere solo in quel campo di velocità).
Allora tutto questo l’abbiamo ottenuto con un modello che noi abbiamo disaccop-
piato il Whirling dal Wobbling e questo ci ha consentito di ottenere certi risultati che
ci danno ragione del tipo di traiettorie, del verso con cui vengono descritte.
Nel sistema reale che cosa fa questo disco, cioè che tipo di traiettoria percorre e
che tipo di traiettoria percorre il suo asse?
Perché queste che abbiamo determinato sono le traiettorie descritte per il sistema
semplice, cioè quello simmetrico. Nel sistema reale i moti di Whirling e di Wobbling
non esistono separati, sono accoppiati.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
245
DSM 11° lezione – prima parte 11-11-2010
Quindi come si può pensare di immaginare che cosa succede in questo disco quan-
do lo si pone in rotazione (sistema più complesso e non più semplificato ovvero
simmetrico) tenuto conto che questi due comportamenti non sono più indipen-
denti tra di loro ma sono accoppiati?
È una cosa che non può essere né disegnata né esemplificata, ma si può immaginare
una cosa del genere:
Il baricentro del disco sempre una traiettoria ellittica descrive però con questa diffe-
renza, l’asse del disco adesso descriverà sempre una superficie conica però la de-
scriverà intorno alla posizione istantanea del centro del disco e quindi complessiva-
mente l’asse del disco descriverà non più una superficie conica ma nello spazio una
superficie rigata. Perché questa volta non è più un cono che ha vertice nel baricen-
tro ma è un cono il quale istante per istante ha il vertice nella posizione istantanea
del baricentro il quale a sua volta sta ruotando intorno all’asse.
Quindi alla fine su un sistema reale il tipo di comportamento, come si può vedere, è
molto complesso perché è un comportamento che unisce in sé sia i moti sia del cen-
tro del disco e sia il moto dell’asse del disco nella sua posizione che cambia quando
cambia il centro del disco.
Naturalmente questo tipo di traiettoria non è che può essere messa in forma analiti-
ca chiusa (ovviamente) però può essere messa in forma numerica.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
246
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Allora lo scopo che ci proponiamo è questo: che cosa succede, in pratica, se al rotore
del modello di Jeffcott sostituisco una massa concentrata, o equivalentemente, ad
un sistema ad n rotori sostituisco un sistema ad n masse concentrate ? cioè che cosa
cambia nei risultati che ottengo studiando l’uno e l’altro?
Naturalmente per capire che cosa cambia, devo andare a confrontare i risultati che
ottengo nei due casi. Se si riesce a costruire un legame tra i due sistemi , in pratica
ho avuto la possibilità per lo studio di quel sistema reale di applicare prima il
modello semplificato, vedere i risultati che ottengo e alla luce di questi risultati
sapendo in che rapporti sono con quelli reali, vedere se è necessario proseguire con
un sistema più raffinato oppure se i risultati ottenuti possono essere considerati
sufficienti.
247
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Per studiare questo effetto disco e cioè determinare cosa cambia, andiamo a
considerare il modello di Jeffcott semplificato, e cioè nel senso che questo modello
presenta dei supporti che o sono infinitamente rigidi o sono a rigidità radiale
costante come nella figura 1:
Fig.1
Con e
Cosa possiamo dire? Se nel sistema le rigidità sono uguali fra do loro, cioè lungo x ed
y, è evidente che questi due sistemi saranno uguali fra di loro e quindi hanno le
stesse soluzioni e quindi non determinerò più 4 valori delle pulsazioni naturali ma
una e una .(questo quando il sistema è fermo)
248
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Adesso immaginiamo come abbiamo fatto nel caso precedente di imporre una
velocità di rotazione pari a Ω, sappiamo cosa cambia e cioè nel senso che
praticamente devo aggiungere le azioni forzanti che sono le stesse di prima e poi
devo aggiungere le coppie giroscopiche che saranno del tipo e .
La cosa da osservare che queste coppie giroscopiche avranno segno opposto nelle
due equazioni di e di θ per cui queste due equazioni sono differenti fra di loro ed
allora avrò in ogni caso, avendo imposto la velocità di rotazione, un sistema di 4
equazioni differenziali parametriche, con il parametro Ω che è la velocità angolare.
Esattamente nello stesso modo che avevo prima, quindi ho sempre un sistema di 4
equazioni differenziali e quindi avrò 4 soluzioni funzioni di Ω. C’è una differenza e
cioè che a questo punto siccome le intersezioni con l’asse delle ordinate sono solo
due , queste quattro curve devono avere due a due un punto in comune.
Precedentemente avevamo quattro asintoti dei quali uno era l’asse delle ascisse , gli
altri due erano e in questo caso :
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
249
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
D.1
Quindi le curve che devo avere sono 4. Naturalmente in questo caso posso andare a
determinare le velocità critiche facendo la retta ,però ciò che non funziona
come prima è che in effetti abbiamo studiato il comportamento del sistema nei
confronti del whirling e wobling . Nel primo caso posso avere un fenomeno di
revers soltanto all’interno del campo compreso fra le due critiche a prevalenza di x e
y, per quanto riguarda il wobling posso avere il fenomeno di revers soltanto
nell’intervallo compreso fra le due critiche a prevalenza di ɸ e di θ.
Quello che è caratteristico di questo tipo di sistema è che è possibile dimostrare per
via analitica ,proprio perché il sistema è simmetrica rispetto all’asse z , cha ad ogni
punto di queste curve corrisponde un certo tipo di comportamento nei confronti del
whirling e del wobling. E cioè che ogni ramo di queste curve, le curve sono 4 e quindi
8 rami, ognuno dei rami di queste curve può essere caratterizzato da un particolare
comportamento di W-W o diretto o revers.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
250
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
D.2
Quindi ci interessano in questo caso come azioni forzanti solo quelle interne.
Per questo sistema gli intervalli in cui potrei avere dei moti revers sono nulli, e
quindi per questo sistema se le azioni forzanti sono solo quelle interne non posso
avere moti revers. Naturalmente non è che non esistono questi moti anzi esistono
perché se considero un’azione forzante esterna quando la vado ad incrociare e se
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
251
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
ha pulsazione che sta sulla curva revers, quello non genera un moto revers ma è
l’azione forzante esterna e quindi solo in quel caso devo considerare le curve
complete. Se considero le azioni forzanti interne come uniche azioni forzanti, allo
scopo di andare a calcolare o fare dei ragionamenti sulle velocità critiche solo in
questo caso non devo andare a considerare i 4 rami delle curve che configurano dei
moti di tipo revers.
Il D.2 sembra in realtà un diagramma formato da due curve, ma non è così, queste
due curve non sono le curve ma sono 4 rami di 4 curve diverse. In ogni caso i due
punti d’intersezione sono quelli in blu e cioè quelli a sistema fermo.
Effetto disco:
E’ quello che nasce quando mi trovo in una situazione di questo tipo Fig.2
252
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Dal punto di vista fisico differenzia, la presenza della massa estesa del disco rispetto
alla massa concentrata. Dal punto di vista dell’impostazione del sistema mentre
quello di sotto ha 4 coordinate generalizzate, quello di sopra di coordinate
generalizzate ne ha uno soltanto perché per definire univocamente la posizione
nello spazio della massa ho bisogno di una coordinata y e di una x , quindi non mi
servono più le rotazioni.
Allora questo vuol dire che anziché scrive 4 equazioni differenziali per l’equilibrio del
primo sistema posso scrivere:
Visto che in questo caso la rotazione non è una coordinata generalizzata, per
determinare il su questo sistema, dovrei imporre uno spostamento ortogonale in
direzione x=1 e vedere quanto vale la reazione. Altri gradi di libertà non li devo
bloccare , perché altro gdl è la y che è ortogonale e quindi naturalmente è
indipendente .
Mentre per il coefficiente di rigidità che compare nella prima del sistema, quello
si che è diverso, perché devo andare ad imporre uno spostamento sempre unitario
al rotore in direzione x ma devo bloccare le altre coordinate generalizzate in
particolare la rotazione ɸ,cioè devo spostare il rotore parallelamente a se stesso
impedendone la rotazione e quindi la reazione che ottengo è diversa. Nel secondo
caso ho un ,nel primo caso invece ho
Si può vedere subito che queste due grandezze sono legate fra di loro perché se
immaginiamo di volere su questo sistema (cioè quello con il disco) determinare .
Allora dovrei andare ad imporre sul rotore una forza unitaria in direzione x , non
bloccare niente e vedere di quant’è l’abbassamento, ed il k corrispondente è :
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
253
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Allora la , ora quello che c’è da dire è che stiamo studiando le velocità
critiche ed esse sono la risonanza del modo naturale di vibrare flessionale e la
pulsazione delle cause forzanti. Nel caso in cui le cause forzanti sono le componenti
delle forze e delle coppie dovute agli sbilanciamenti questa pulsazione è proprio
uguale alla velocità angolare.
Possiamo dire che il sistema si rompe? Non si rompe perché non c’è nessuna causa
forzante, ma qualcosa di pericoloso c’è e cioè se faccio ruotare il sistema alla
velocità pari alla sua pulsazione naturale,esso ruota deformato senza raddrizzarsi.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
254
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Quindi se il sistema sta ruotando ad una velocità angolare che è pari alla sua
pulsazione naturale allora questa velocità si può considerare critica, cioè nel senso
che il sistema non è capace di reagire ad azioni esterne che cerchino di spostarlo
dalla sua posizione in deformata, ma continua a ruotare con la conseguenza di
queste azioni esterne.
Questo vuol dire che se lo faccio ruotare ad una velocità , e poi immagino
che tramite una flangia o un cuscinetto gli impongo uno spostamento con un dito,
anche se il sistema è molto rigido ad un certo punto si spezza. Questo perché esso
continua a ruotare in posizione deformata e non è capace di resistere a questa forza
esterna.
Adesso dobbiamo legare con le velocità critiche che ricavo per il sistema con
disco.
Possiamo vedere se andiamo a distinguere fra il sistema con il disco e quello a massa
concentrata, che cos’è che cambia? Cambia il fatto che ci stanno le forze
giroscopiche e che poi quello li avendo un’inerzia alla rotazione , presenta anche dei
momenti delle forze d’inerzia e quindi ci sarà (inerzia alla rotazione)che è il
momento delle forze d’inerzia dovute alla massa, e poi ci sarà (effetto
giroscopico) una coppia di richiamo giroscopica con segno meno.
Quindi se sul sistema con disco non appaiono l’inerzia alla rotazione e l’effetto
giroscopico esso si comporta come se fosse a massa concentrata , questo succede
quando e si vanno ad annullare e questo avviene quando :
Sul diagramma D.2 esso è indicato in nero proprio dall’asintoto, questo vuol dire
che quell’asintoto rappresenta anche il luogo dei punti del piano in cui il
sistema con il disco si comporta come se fosse a massa concentrata .
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
255
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
Se ho un sistema ad n masse concentrate, questo avrà due n critiche, due nel piano
orizzontale e due nel piano verticale, ed n nel piano orizzontale e n nel piano
verticale; quindi complessivamente ha due n critiche. Il sistema con le masse
distribuite ce ne ha un numero compreso tra 3n e 4n, allora è più che evidente che
un confronto fra queste due serie di valori cioè 2n valori da una parte calcolati per il
sistema a masse concentrate, 3n 4n valori calcolati con sistemi con i dischi, queste
serie di valori non sono direttamente confrontabili, però ciò che è vero è che per la
prima dell’una e per la prima dell’altra succede questo e cioè per la più bassa
velocità critica
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
256
DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
D.4
In altri termini , se calcolo le critiche per il sistema a masse concentrate, sono certo
del fatto che la più bassa di queste critiche per il sistema a masse concentrate
approssima per difetto la più bassa critica reale del mio sistema, cioè del sistema a
masse distribuite.
Facendo lo stesso ragionamento di prima e cioè se questo valore che è il più basso
che calcolo sta al di sopra del campo di funzionamento, e se il sistema è a dischi
sottili , perché se è a rotori allungati non è più vero, ho già risolto il problema perché
sono certo del fatto che la più bassa critica del sistema reale a dischi si trova ancora
più al di sopra e quindi ancora più al disopra del campo di funzionamento.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 11° lezione – seconda parte 11-11-2010
D3?
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 12° lezione 12-11-2010
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
259
DSM 12° lezione 12-11-2010
Allora questo vuol dire che considerando il disco rotante, se andiamo a tracciare
(come al solito) i diagrammi che rappresentano in funzione di , e cioè i
diagrammi di Capbell, su questi diagrammi la retta che ha l’equazione (E1) costituirà
il luogo di tutti i punti possibili nei quali il disco si comporta come se fosse una
massa concentrata, e quindi con questo sistema in effetti abbiamo legato il
comportamento del disco con il comportamento della corrispondente massa
concentrata. Allora, se per il sistema assial-simmetrico (detto in precedenza), e cioè
con supporti infinitamente rigidi, ovvero a rigidità radiale costante, andiamo a
tracciare il diagramma di Campbell avrò
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
260
DSM 12° lezione 12-11-2010
Fig1
Tenuto conto del fatto che in ogni caso, trattandosi di velocità critiche, e quindi di
risonanze con le coppie rotanti dovute agli sbilanciamenti, e quindi tenuto conto del
diagramma di Campbell che ottengo in queste condizioni che esclude i rami delle
curve per il quale avrei moto reverse, che non è possibile vista la simmetria; allora
l’andamento delle curve si presenta nel modo rappresentato in fig1. Allora questo
vuol dire che, se consideriamo il sistema a disco, il luogo dei punti di quel piano in
cui io non ho l’effetto disco (perché i due fatti che compongono l’effetto disco si
annullano a vicenda) è proprio l’asintoto , che notoriamente è
l’asintoto di una delle curve del nostro sistema. Allora, questo vuol dire che se
andiamo a calcolare, tenendo conto della massa concentrata e non del disco, la
pulsazione naturale, in effetti andiamo a determinare il punto (evidenziato in fig1)
che tiene conto dell’effetto del disco; questo significa dire che l’ordinata di quel
punto, sul sistema con disco, non è altro che la pulsazione naturale del
corrispondente sistema a massa concentrata, e quindi invece di schematizzare il
sistema con un disco, lo schematizziamo a massa concentrata, e ci andiamo
semplicemente a calcolare la , il valore che calcoliamo sul sistema fisico
è l’ordinata di quel punto.
Se andiamo, ora, a considerare le velocità critiche effettive del nostro sistema in
questo caso particolare, cioè per disco sottile, con coefficiente angolare della retta
, maggiore di 1 e quindi inclinazione maggiore di 45°, quindi una sola
velocità critica, se l’andiamo a determinare troviamo il valore cerchiato in fig2
Fig2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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valore cerchiato), e quello individuato dalla ‘x ‘ in fig2, cioè quello che avrei a
sistema fermo. Di che cosa ci accorgiamo? Il valore che calcoliamo per il sistema a
massa concentrata è più piccolo della velocità critica effettiva del sistema, e questo
avviene appunto quando il disco e sottile. Perché il valore ‘x’ è ancora più piccolo?
Per l’ovvia ragione che adesso stiamo considerando il disco, e quando la velocità è
uguale a zero gli effetti giroscopici non ci sono ma ci sono però gli effetti dell’inerzia
rotante, quindi la massa è maggiore di quella che avremo con la massa concentrata,
e quindi il valore ‘x’ e più piccolo di quello individuato dal punto in fig2. I due valori
importanti, però sono quelli individuati dal punto e dal valore cerchiato.
Allora, questo risultato che, ripeto, abbiamo ottenuto per un sistema con vincoli di
tipo assial-simmetrico, e cioè con appoggi o infinitamente rigidi o a rigidità radiale
costante, questo risultato in realtà vale anche nel caso di vincoli non più
assial.simmetrici, perché basta considerare che in quel caso, cioè ad elasticità
diverse dei cuscinetti lungo x e lungo y,con il sistema a massa concentrata non
calcoliamo più un valore ma 2 (uno nel moto flessionale lungo y e uno nel moro
flessionale lungo x). Allora, lo stesso ragionamento lo possiamo fare per il più basso
dei 2 valori calcolati, quindi il più basso dei valori calcolati sarà più piccolo
dell’effettiva velocità critica del sistema. Naturalmente, questo tipo di ragionamento
vale solo sul valore più basso, nel senso che, se noi consideriamo un sistema ad n
dischi, che possiamo schematizzare come sistema ad n masse concentrate,
naturalmente, i valori delle pulsazioni naturali, che calcoliamo per il sistema ad n
masse concentrate (che potranno essere in numero di n o di 2n, a seconda che siano
diverse le rigidità nei 2 piani), non sono confrontabili con quelli del sistema ad n
dischi, perché quelli sono un numero compreso tra 3n e 4n e naturalmente non c’è
una corrispondenza diretta; però lo stesso ragionamento fatto qui lo si può fare per
il più basso dei due valori, cioè, cmq, se si tratta di un sistema che ha tutti i dischi,
possiamo considerarli come se fossero delle masse concentrate, andare a calcolare
le pulsazioni naturali per il sistema a masse concentrate, e la più bassa che calcolo
siamo certi che è la più bassa della prima velocità critica del sistema completo.
Quindi questa estrapolazione è naturalmente molto utile, la quale però vale soltanto
se il sistema è composto da dischi sottili, perché se il sistema fosse un rotore
allungato si vede subito che la retta di equazione (che rappresenta il
luogo dei punti in cui il sistema si comporta come se fosse una massa concentrata) si
sposta al di sotto della retta , e ci da una pulsazione naturale, per il sistema a
masse concentrate, che non è più inferiore alla prima critica ma è superiore alla
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E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig3
Con il disco che ruota parallelamente a se stesso, e cioè in sostanza con delle
componenti di rotazione e che sono uguali a zero, questo con una velocità
teoricamente infinita.
Detto questo, adesso vediamo come si può affrontare il problema della
determinazione delle velocità critiche flessionali di un sistema a masse concentrate.
Quindi immaginiamo di avere un sistema di questo tipo
Fig4
Osserviamo, fin da ora, che non è detto che quelli disegnati in fig4 siano degli
appoggi, così come non è detto che il sistema debba essere isostatico, può anche
essere iperstatico, può presentare delle cerniere lungo l’albero. Ma per adesso,
immaginiamo il caso più semplice in cui abbiamo un albero con un certo numero di
masse concentrate , , …… . Il sistema considerato non è altro che un
sistema conservativo ad n g. d. l. di cui già conosciamo tutto, cioè in effetti sappiamo
che possiamo scrivere (immaginando di considerare piccole oscillazioni e quindi
spostamenti delle masse ortogonali all’asse di rotazione)
E2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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a quello che succedeva nel nostro esempio iniziale dei sistemi ad n g. d. l., che
siccome era ad accoppiamento elastico adiacente aveva una matrice tridiagonale, in
questo caso, quindi, la matrice [K] è difficile da determinare, perché se vogliamo
determinare il , dovremmo imporre uno spostamento unitario alla massa j-esima,
vincolando tutte le altre masse tranne la j-esima e vedere quanto vale la reazione
sulla massa i-esima. Poi dovremmo mettere tanti appoggi a tutte le masse meno la j
Fig5
Fig6
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
265
DSM 12° lezione 12-11-2010
Quindi, ovviamente, è molto più facile calcolare la matrice . Che cosa succede in
questo caso relativamente al problema degli auto valori, degli auto vettori ecc…?
esattamente la stessa cosa, perché per il problema degli auto valori si vede subito
che si scriverebbe nella forma
E4
E quindi questo è un classico problema degli auto valori, esattamente come quello
che abbiamo studiato in termini di K. Per cui, una volta definito il sistema con ma
matrice , non cambia niente. Il problema è che in questo caso, osserviamo che
quello che stiamo andando a determinare sono le x(t), cioè gli abbassamenti; quindi
quando noi stabiliamo un certo vettore colonna, un certo autovettore (quando
l’abbiamo calcolato), questo autovettore , rappresenterebbe gli abbassamenti
del modo di vibrare j-esimo di quelle masse, cioè quello che noi stiamo calcolando
sono i modi naturali di vibrare del sistema rappresentato in fig4.
Sulla base che abbiamo detto, lo stesso procedimento ci consente di determinare le
velocità critiche perché le velocità critiche sono numericamente uguali, proprio, a
questi valori delle che stiamo determinando, cioè delle pulsazioni dei moti
naturali. Nel caso delle velocità critiche, che sono numericamente uguali ai valori
di pulsazioni naturali nel piano che noi determiniamo, in questo caso, che cosa
rappresenta un autovettore ? Non sono più gli abbassamenti, ma sono i raggi
delle traiettorie circolari che descrivono le varie masse, quindi c’è questa
equivalenza tra modi naturali di vibrare nel piano con i loro abbassamenti, oppure
velocità critiche (nel senso che abbiamo detto la volta scorsa) con i raggi delle
traiettorie circolari. In ogni caso quello che definisce questi due comportamenti, che
in realtà dal punto di vista fisico sono due comportamenti completamente diversi,
ma quello che li definisce sono: le che possono essere intese, sia come pulsazioni
naturali, sia come velocità critiche; e i corrispondenti che possono essere intesi,
sia come linee elastiche degli abbassamenti, sia come raggi delle traiettorie circolari
durante la rotazione, cioè a dire, praticamente alla fine o calcoliamo i modi naturali
di vibrare, o le velocità critiche, alla fine quello che dobbiamo trovare sono gli auto
valori e gli auto vettori del sistema; e poi questi li posso leggere in uno dei due modi
indifferentemente.
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Fig7
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig8
Fig9
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig10
E quindi dire che i cuscinetti sono appoggi, significa immaginare che le rotazioni, in
corrispondenza di questi appoggi siano sufficientemente piccole da non recuperare
completamente il gioco; cioè una volta che l’ albero si è messo nella posizione
disegnata in rosso in fig10 avremo completamente recuperato il gioco, se
aumentiamo la deformazione, ovviamente diventa un incastro. Quindi stiamo
immaginando delle oscillazioni piccole in corrispondenza degli appoggi e quindi che
il gioco non venga mai completamente recuperato. Questo per trovare un legame
fisico tra lo schema che facciamo e la realtà.
Detto questo immaginiamo che i vincoli di estremità siano degli appoggi e vediamo
come si può procedere per determinare la matrice . Quando non c’erano i
calcolatori e questi calcoli andavano fatti a mano, il problema non era tanto facile,
allora in sostanza si utilizzava un metodo di tipo grafico, cioè volendo determinare
, allora sulla massa j-esima si immaginava di imporre una forza unitaria
Fig11
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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andiamo a dividere per , siccome cambia lungo l’albero, in effetti avevamo una
spezzata
fig12
fig13
fig14
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Detto ciò, come facciamo, invece, servendoci come al solito di un approccio di tipo
matriciale che ci consente di andare a raggruppare le caratteristiche del sistema in
matrici, e poi fare delle operazioni su queste matrici per vedere quello che ci serve?
Si procede andando a suddividere il nostro albero in elementi che vanno sotto il
nome di tronchi; questi tronchi che caratteristiche devono avere? Devono essere a
sezione costante, immaginati privi di massa, privi di peso proprio e quindi privi di
massa, e senza forze esterne applicate. Che cosa vuol dire che non devono avere
forze esterne applicate? Che lungo uno di questi tronchi non ci può essere una
massa del sistema, perché ovviamente durante il moto la massa del sistema diventa
sede di una forza d’inerzia, e poi lungo un tronco non ci può essere neanche un
vincolo, perché esso mi darebbe una reazione vincolare che sarebbe un’altra forza
applicata al sistema. Allora se suddividiamo il sistema in tronchi avremo
Fig15
Cioè avremo, per l’esempio che stiamo facendo, un sistema a 4 masse concentrate e
8 tronchi; naturalmente si vede subito, che il numero minimo di questi tronchi in cui
dobbiamo dividere il sistema, per le ipotesi fatte, è n+1, e il numero di tronchi è
proprio pari n+1 quando tutte le masse stanno in corrispondenza delle variazioni di
sezione, cioè se, in riferimento alla fig15, la massa cerchiata in rosso la mettevamo
dove abbiamo segnato la x non avevamo 2 tronchi, ma 1 solo, e così di seguito.
Quindi il numero minimo di tronchi è n+1, se poi ci sono masse lungo tronchi a
sezione costante, come nel nostro caso, ovviamente il numero di tronchi aumenta.
Allora nelle ipotesi fatte, di tronco privo di massa, di tronco scarico (nel senso che
abbiamo detto), in effetti se andiamo ad isolare uno di questi tronchi dal sistema, le
uniche forze che agiscono, su tale elemento, sono le forze interne che il resto del
sistema esercita sul tronco che ho isolato; allora se vado a considerare il tronco i-
esimo
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig16
Cioè quello compreso tra le sezioni e , tale tronco sarà soggetto ad un taglio
e , un momento e : queste sono le azioni che il resto del sistema
esercita sul tronco. Osserviamo che le abbiamo indicate con il loro verso positivo,
che deriva dalla considerazione che quelli sono i versi del taglio e del momento
quando le forze agenti sono le forze peso. Allora sotto le azioni di queste forze il
tronco si deformerà (vedi deformata in fig16). La deformata sarà definita, nel
nostro caso, da un e un , un e un . Questi che cosa sono? Sono le
deformazioni assolute del tronco sotto le azioni su dette, però noi possiamo
immaginare di imporre a tutto il sistema una rotazione ed uno spostamento
, con il che le nuove deformazioni non saranno più quelle assolute ma
saranno quelle relative della sezione di sinistra rispetto a quelle di destra, la
deformata naturalmente rimane uguale (vedi deformata in fig16).
Naturalmente sarà
E5
Non è cambiato niente, tranne il fatto che adesso il sistema si comporta come se
fosse incastrato (vedi fig16 – incastro riportato in rosso), cioè è diventato una
mensola, e naturalmente all’estremità della mensola quello che agisce sarà e .
Ovviamente ci possiamo ricordare dalla lontana scienza delle costrizioni le formule
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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della flessione retta, e cioè andare ad esprimere e (che ricordiamo che sono le
deformazioni relative della sezione sinistra rispetto a quelle di destra) in funzione
del momento e taglio e quindi scrivere
E6
(non ricordiamoci i termini di questa matrice perché sta su tutti i libri di testo).
Naturalmente, E è il modulo di elasticità del materiale (acciaio), è la lunghezza del
tronco, è il momento d’inerzia di area della sezione retta dell’albero rispetto ad un
diametro che in questo caso rappresenta l’asse neutro a flessione. Quindi in
sostanza possiamo legare le deformazioni relative, e (vedi fig16), con le
caratteristiche del tronco che stiamo esaminando. Tale discorso ovviamente lo
possiamo fare per tutti i tronchi, quindi possiamo scrivere
E7
Ogni tronco, dal punto di vista statico, è indipendente dagli altri. Le matrici
hanno tutte l’espressione della matrice che compare in (E6).
Queste matrici sono matrici , i tronchi sono m, e quindi la matrice che compare
in (E7) e una matrice . Notiamo che quest’ultima è una matrice particolare,
perché è tridiagonale essendo le matrici presenti sulla diagonale , quindi gli
unici termini diversi da zero stanno sulla diagonale principale e su quelle adiacenti.
L’(E7) semplificata la possiamo scrivere nella forma
E8
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DSM 12° lezione 12-11-2010
Che cosa ci rimane da determinare per risolvere il problema? Un legame tra la (E8) e
la (E9), cioè fra le forze interne e le forze esterne. Le forze interne sono le forze
esterne sono . Sappiamo che deve esistere tale legame perché se stiamo lavorando
nel campo dell’elasticità lineare le forze interne sono univocamente legate alle forze
esterne, e di conseguenza dobbiamo poter scrivere
E10
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig17
Lavoro delle forze interne a primo membro e lavoro delle forze esterne al secondo
membro. Se andiamo a sostituire: al posto di ci mettiamo che è
simmetrica, e quindi ,e , ma è uguale a , per cui posso scrivere
E12
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 12° lezione 12-11-2010
Come vediamo la logica con cui si procede è sempre la stessa: abbiamo un sistema
complicato e che facciamo? Lo dividiamo in pezzi più piccoli, dei quali riusciamo a
scrivere le condizioni di equilibrio e tutto il resto; dopo di che creiamo delle matrici
che legano fra loro tali pezzi, andiamo a fare le operazioni e alla fine ci
determiniamo direttamente la matrice che ci serve.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig1
Con la difficoltà, però come abbiamo visto, che la determinazione della matrice dei
coefficienti di rigidità (essendo naturalmente quella delle masse diagonale) risulta
molto difficile, perché se già partiamo da un sistema isostatico dovremmo risolvere,
per determinare la [K], n-1 sistemi n-1 volte iperstatici, e ciò ovviamente presenta
delle difficoltà. Abbiamo però visto, in sostanza, che possiamo andare ad esprimere
l’elasticità o la rigidità del sistema, invece che con *K+, con la matrice dei coefficienti
di influenza , o delle flessibilità , che è l’inverso della matrice *K+, e facendo
tale operazione il problema degli auto valori si scrive nella forma
E2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
appoggi ecc…, ma nel caso reale ci troviamo normalmente di fronte ad alberi che
non sono a sezione costante.
La volta scorsa quindi, abbiamo preso in considerazione un albero a sezione variabile
e mediante una logica che è quella tipica del calcolo matriciale, cioè andare a
concentrare in opportune matrici tutte le caratteristiche del sistema (naturalmente
oltre che l’inerzia anche le caratteristiche geometriche ecc…) e poi fare delle
operazioni su queste matrici, in pratica abbiamo diviso il nostro albero a sez
variabile in una serie di tronchi; ciascuno di essi ha la caratteristica di esser privo di
massa (massa trascurabile rispetto alle masse calettate su di esso), poi deve essere
privo di forze applicate, cioè lungo un tronco non ci possono essere ne appoggi, che
darebbero delle reazioni vincolari, ne masse, che darebbero durante il moto delle
forze d’inerzia, e quindi deve essere scarico, e poi deve essere a sezione costante. Se
noi isoliamo uno di questi tronchi sarà soggetto solo alle forze interne, cioè al taglio
e al momento che le parti di albero che abbiamo tolto esercitano sul tronco stesso.
Quindi sotto l’azione di tali forze subirà una deformazione, questa deformazione
invece che in termini di deformazioni assolute, delle due sezioni di estremità del
tronco, possiamo esprimerla in termini di deformazioni relative, della sezione di
sinistra rispetto alla sezione di destra, e in queste condizioni il tronco si comporta
come se fosse una mensola, incastrata a destra
Fig 2
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
279
DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
Dove i termini della matrice , che vengono forniti dallo studio che si fa in scienza
delle costruzioni sul fenomeno della flessione retta, contengono soltanto il modulo
di elasticità di Young , la lunghezza del tronco , e che sarebbe il momento
d’inerzia di area della sezione retta del nostro tronco, che ovviamente è una sezione
circolare, rispetto all’asse neutro a flessione, che ovviamente è un diametro per la
flessione retta. Quindi, in pratica, per ogni tronco la matrice , è una matrice
nota; ripetendo lo stesso ragionamento per tutti i tronchi in sostanza abbiamo
scritto una relazione del tipo
E4
E poi abbiamo la relazione nota che lega gli abbassamenti , delle sezioni in cui sono
situate le masse, tramite la matrice dei coefficienti di flessibilità (che è quella che
vogliamo determinare) con le forze
E6
Forze esterne immaginate applicate nelle sezioni in cui sono situate le masse. Per
poter applicare il principio dei lavori virtuali ci serve una ultima relazione che leghi le
forze esterne con le forze interne; relazione che ovviamente noi sappiamo che esiste
se stiamo nel campo dell’elasticità lineare, e sappiamo che è univoca, per cui in
sostanza noi possiamo scrivere
E7
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
Fig3
andare a rappresentare i diagrammi del momento e del taglio (vedi fig3), e da questi
diagrammi in corrispondenza ordinatamente delle sezioni sinistre degli m tronchi, se
per es. scegliamo il tronco segnato con un trattino rosso in fig3 possiamo leggere
ordinatamente i valori di taglio e momento nei diagrammi disegnati sotto (valori
segnati in rosso in fig3). Tutti questi valori ordinatamente rappresentano la colonna
j-esima della matrice ; dopo di che basta, avendo tutti i legami che ci servono in
termini di matrici di collegamento fra le varie caratteristiche delle forze e delle
deformazioni, possiamo andare ad applicare il principio dei lavori virtuali, e cioè
scrivere che il lavoro, delle forze per gli abbassamenti , deve essere uguale al
lavoro delle forze interne per le corrispondenti deformazioni , corrispondenti nel
senso che queste deformazioni sono quelle che corrispondono, naturalmente, agli
abbassamenti . Applicando questo principio dei lavori virtuali abbiamo ricavato
l’espressione della matrice , dei coefficienti di flessibilità, che si presenta nella
forma
E8
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
281
DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
Allora immaginiamo di aver fatto questo calcolo, cioè sempre nella logica di andare
ad approssimare sempre meglio (se è necessario) i risultati ottenuti con il calcolo più
semplice possibile. Noi siamo partiti dal sistema che vogliamo studiare, abbiamo
considerato qst macchina, abbiamo immaginato che i supporti di questa macchina
siano degli appoggi, che cioè consentano delle piccole rotazioni corrispondenti agli
spostamenti che noi immaginiamo si possano avere (cioè stiamo supponendo che
non vengano mai recuperati i giochi all’interno dei cuscinetti di estremità), abbiamo
considerato un sistema isostatico, e su questo sistema abbiamo sostituito i dischi di
questa macchina con delle masse concentrate. Allora abbiamo anche immaginato
che i supporti siano infinitamente rigidi, cioè che i cuscinetti abbiano una rigidità,
non solo costante lateralmente, ma infinita addirittura. Allora con questa procedura
abbiamo determinato la matrice , a questo punto applichiamo un qualsiasi
algoritmo per il calcolo degli auto valori e degli auto vettori, e come soluzione di
questo algoritmo, quello che ci interessa, dal punto di vista tecnico, è la , la quale
sappiamo che è la prima vel critica di questo sistema e sappiamo che approssima
per difetto la prima critica del sistema reale. Immaginiamo che questo valore della
prima critica calcolato sia effettivamente al di sopra del campo di funzionamento,
però sia di poco al di sopra, cioè sia vicino al campo di funzionamento della
macchina. Qual è la prima ipotesi semplificativa che abbiamo fatto in questo tipo di
ragionamento? Quella appunto di dire che i supporti avevano una rigidità infinita.
Allora cosa succede se i supporti non hanno una rigidità infinita? Sapendo che la
pulsazione è la radice di k su m, se la rigidità non è infinita, cioè ha un valore più
piccolo, noi andiamo a diminuire la rigidità complessiva del sistema; e quindi il
valore che avremo dal calcolo è in eccesso rispetto al valore che otterremo se
considerassimo un elasticità dei supporti ( perché in realtà i supporti non sono
infinitamente rigidi ma sono elastici), allora questo vuol dire che anche se il valore
che abbiamo calcolato in questo momento sta al di sopra del campo di
funzionamento (se sta poco al di sopra), il valore reale che dovrebbe tenere conto
dell’elasticità dei supporti starà un po’ al di sotto, e quindi potrebbe capitare nel
campo di funzionamento. Allora possiamo come prima ulteriore approssimazione, o
come primo abbandono di ipotesi semplificative, possiamo tenere conto della
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282
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effettiva rigidità dei supporti, cioè introdurre la rigidità dei cuscinetti di supporto. Il
nostro sistema, a questo punto sarà
Fig4
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singoli tronchi, e che cosa sia a destra o a sinistra di questi tronchi, naturalmente
non ha nessuna rilevanza. Quindi la (E4-E5) rimane inalterata per quello che riguarda
i tronchi interni, ma non per i tronchi di estremità, perché? Per una ragione molto
semplice, perché adesso se vogliamo considerare il vettore delle deformazioni, ,
questa volta, nei due tronchi di estremità le deformazioni non sono più nulle, perché
noi avremo un abbassamento in corrispondenza del vincolo di sinistra, e un
abbassamento in corrispondenza del vincolo di destra. Quindi, questo vettore , lo
devo andare a scrivere in questo modo
E9
284
DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
nel punto estremo della diagonale, che saranno rispettivamente il collegamento fra
e , e fra e , quindi la matrice si presenterà in questo modo
E11
Allora, stesso ragionamento del caso precedente, cioè a dire, adesso noi
immaginiamo di voler calcolare la colonna j-esima di questa matrice, cosa dobbiamo
fare? Quello che abbiamo fatto prima, cioè andare a determinare momento e taglio,
cioè applicare la forza , andare a fare i diagrammi di momento e taglio,
leggerci nelle sezioni sinistre degli m tronchi ordinatamente il momento e il taglio.
Naturalmente, queste non cambiano rispetto al caso precedente, però questa
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285
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286
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Fig5
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sono i moduli delle forze che agiscono sulle masse. Allora, analogamente, se queste
sono le forze agenti, noi possiamo calcolare i moduli delle reazioni e ,
considerando le forze d’inerzia come carichi del sistema. Di conseguenza possiamo
andare a calcolare i valori e da andare a mettere nella deformata e che sono,
ovviamente, e ; quindi possiamo definire in modo completo la deformata
del nostro sistema.
Immaginiamo di avere fatto tutti questi conti in modo più raffinato possibile e via
discorrendo, e cioè fino a qui, tenendo conto, sempre per un sistema isostatico,
della possibilità che i vincoli non siano infinitamente rigidi, ma siano invece, elastici.
Un modello come quello che stiamo rappresentando, in realtà, che cosa
rappresenta? Rappresenta un sistema meccanico? La risposta è no, rappresenta al
più una macchina, cioè per esempio una turbina, noi possiamo pensare di
schematizzare in quel modo. Ma un sistema non è una macchina, è invece, il
complesso costituito da una serie di macchine, motrici o utilizzatrici, che sono,
appunto, messe in serie tra loro.
Per esempio se consideriamo un generatore di corrente possiamo immaginare che
esso sia costituito
Fig7
288
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con un giunto a cono (giunto a cono: due superfici coniche accoppiate tra loro
strettamente e per attrito viene trasmesso il moto da una all’altra) certamente non
riusciamo ad avere una rotazione; se invece per esempio usiamo un giunto, che va
sotto il nome di ‘giunto ammortizzato’(in cui la superficie di collegamento è in
gomma), una piccola rotazione relativa la consente; lo stesso se consideriamo un
giunto cardanico ecc…. Cioè dovremo andare ad esaminare com’è materialmente
realizzato, sull’impianto, il sistema di collegamento fra le macchine che lo
compongono, e poi andare a rappresentare i singoli collegamenti (i collegamenti
sono i cerchi in rosso in fig7) con uno dei modelli di vincoli intermedi che
conosciamo; vincoli che consentono la rotazione, che consentono lo spostamento,
ecc… prendiamo in esame il caso più semplice, cioè immaginiamo delle cerniere
(queste sono i collegamenti cerchiati in rosso in fig7) che consentono una piccola
rotazione. A questo punto, gli appoggi di estremità sono sempre degli appoggi?
Questo è da vedere, dipende dal vincolo intermedio, e dipende da quanto sono
distanti tra loro l’ultimo appoggio di una macchina e il primo appoggio della
macchina successiva, perché se sono molto vicini, in realtà non sono più degli
appoggi ma vanno considerati come degli incastri. Allora, in conseguenza di questo
fatto, un sistema reale, del tipo che abbiamo rappresentato ( ma ovviamente se ne
possono pensare 100000), normalmente, non è mai un sistema isostatico, ma è
iperstatico.
Quello che abbiamo fatto fin ora è andare a vedere, tenuto in conto l’ipotesi di
masse concentrate, nel modo più sofisticato possibile quanto vale la prima
pulsazione naturale, cioè la prima velocità critica di una sola delle macchine che
compongono il sistema di fig7. Questo che abbiamo fatto fin ora serve o non serve a
niente? Cioè, se abbiamo un sistema intero in cui i moti delle singole macchine sono
accoppiati fra loro, quello che stiamo considerando è prima la turbina ad alta
pressione, poi quella a bassa pressione ed infine il generatore, cioè fino a questo
momento siamo in grado di determinare le critiche per le suddette macchine.
Immaginiamo di averle calcolate
E14
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
289
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quindi il minimo di uno di questi valori, infatti questo valore rappresenta un limite al
di sotto del quale certamente non ci sono critiche dell’intero sistema. Perché? Il
discorso è che quando prendiamo una di queste macchine, per cui abbiamo
calcolato separatamente le velocità critiche, e l’andiamo ad inserire all’interno di un
sistema, aggiungiamo dei vincoli, e quindi la rigidità complessiva della macchina è
aumentata. Di conseguenza della serie di valori (E14), che naturalmente nel loro
complesso non significano niente perché dovremmo calcolare i valori corrispondenti
a tutto il sistema, quello che ci interessa è il più basso dei 3 valori calcolati, e
siccome tutte e tre le macchine, da quando le considero fuori dal sistema a quando
le considero all’interno del sistema, sono diventate più rigide, il minimo dei valori
che abbiamo calcolato certamente è un limite al di sotto del quale non ci può essere
una critica dell’intero sistema proprio per via di questo irrigidimento che abbiamo
nel passaggio da una singola macchina (immaginata per esempio isostatica) a un
sistema nel quale questa macchina ha dei vincoli in più e quindi diventa nel
complesso più rigida. Quindi la spiegazione è questa: le macchine si irrigidiscono e
quindi di tutte queste 3 serie di valori ( badiamo che come serie non hanno senso:
per esempio se ci andiamo a calcolare le pulsazioni naturali dell’intero sistema,
immaginato iperstatico, questa serie di valori non è confrontabile con quelle tre
serie che abbiamo stabilito macchina per macchina, cioè corrispondono modi di
vibrare completamente diversi), se considero il valore più piccolo esso rappresenta
un limite al di sotto del quale non ci sono critiche dell’intero sistema.
Domanda di un ragazzo: noi abbiamo detto che alcune macchine oggi lavorano tra
un intervallo tra 2 velocità critiche, in questo caso come facciamo a procedere?
Risposta prof: No, non è possibile, cioè facendo un esempio pratico: consideriamo
un turbo compresso automobilistico, una macchinetta di qualche decina di
centimetri e di un kilo di peso complessivo, che ha al suo interno una turbina
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
alimentata dai gas di scarico e coassiale con questa turbina un compressore che
sovralimenta il motore. Sappiamo che quest’oggetto oggi ha una velocità di
rotazione media intorno ai 150000 giri/minuto, e ovviamente, questa velocità si
trova sicuramente al di sopra della prima critica, e naturalmente, deve essere al di
sotto della seconda critica. Ordini di grandezza: progettati con una prima critica di
40-50000 giri/minuto, e una seconda critica che supera i 200000. Quindi come
vediamo c’è una forte differenza tra il valore della prima critica e della seconda
critica, questo ovviamente per allargare il campo di funzionamento. I primi
turbocompressori costruiti erano fatti in questa maniera
Fig8
Questo è uno schema, molto semplice ed è quello più ovvio. Abbiamo le due giranti
su uno stesso albero, e quest’ultimo è appoggiato agli estremi. Inizialmente quando
li costruirono, i primi che li costruirono, fra i quali anche la Ferrari, la quale li
cominciò a costruirli da se, perché l’unica ditta tedesca che cominciò a fare questi
turbocompressori li vendeva a delle cifre stratosferiche, e di provarli come prima
cosa sulle macchine di formula 1. La principale sofisticazione che fu presa in
considerazione e fu studiata, per costruire questo apparecchio, era sui supporti.
Perché naturalmente, siccome le velocità erano fortissime, questi supporti
dovevano essere dei cuscinetti lubrificati (con olio in pressione) molto piccoli e
quindi erano di difficile realizzazione. Il problema fu risolto con dei cuscinetti con
una ralla intermedia, cioè come se fossero dei doppi cuscinetti ( e ancora si fa così),
cioè in pratica: il perno, poi la lubrificazione, poi la ralla intermedia (che è un anello),
poi altra lubrificazione, ed infine la ralla esterna. Le prime serie che la Ferrari costruì,
dopo 30 minuti di funzionamento esplodevano (fortunatamente era un oggetto
molto piccolo quindi non cerano grossi danni). Allora di che cosa si resero conto? Del
fatto che questo oggetto con i regimi molto alti di rotazione che possedeva, in effetti
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
doveva lavorare molto al di sopra della prima critica e molto al di sotto della
seconda, però ciò non succedeva, perché queste due critiche erano relativamente
vicine tra loro, e quindi il campo di velocità in cui questo oggetto poteva lavorare
senza rompersi era molto ridotto. Allora cosa fecero? Cambiarono il disegno di
quest’oggetto, cioè quelli che vediamo oggi non sono fatti più come in fig8 ma sono
fatti così
Fig9
Cioè con i due rotori a sbalzo, ed una coppia di appoggi intermedi. Questo è un caso
in cui il problema delle critiche flessionali condiziona, non il progetto, ma addirittura
il disegno dell’oggetto, perché cambiarono in questo modo? Se andiamo a disegnare
le deformate per questi due sistemi che devono avere un nodo, notiamo che esse
sono come quelle rappresentate in rosso in fig8 e fig9, quindi ci rendiamo subito
conto che la deformata di fig9 implica una rigidità molto maggiore dell’altra; quindi
questo tipo di disegno in sostanza consentì di: abbassare la prima critica, innalzare il
valore della seconda, e quindi aumentare fortemente il campo di velocità. La
velocità di questi oggetti nn è regolabile, quindi in questo modo si aumentò di molto
il campo di funzionamento di questi oggetti (infatti adesso sono tutti fatti come in
fig9). Questo è interessante perché è un caso reale in cui il problema della dinamica
flessionale del sistema condiziona, non il progetto in generale o la costruzione, ma
condiziona fortemente proprio il disegno dell’oggetto.
A questo punto, sia nel caso in cui abbiamo un sistema che ruota ad una grossa
velocità angolare (quindi lo dobbiamo far funzionare nel campo tra la prima e la
seconda critica), sia anche nel caso in cui i risultati non sono sufficienti (perché per
esempio il valore che abbiamo calcolato è molto vicino al campo di funzionamento e
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E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Fig10
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
sostanza, il numero delle iperstaticità del nostro sistema. Bene, noi nel caso
precedente avevamo definito una relazione che legava le forze interne , con le
forze esterne . Le forze esterne sono sempre , le forze interne sono sempre
(cioè momento e taglio nelle sezioni sinistre degli tronchi). Questa relazione
l’avevamo scritta così
E16
Adesso immaginiamo di scrivere esattamente la stessa cosa per il sistema base che
abbiamo creato. Osserviamo che sul sistema base esistono 2 insiemi di forze: uno è
l’insieme di forze che agiscono in corrispondenza delle masse (che naturalmente
sono ), l’altro è quello delle (cioè delle reazioni iperstatiche che non
conosciamo). Quindi se vogliamo scrivere l’espressione di , cioè il momento e
taglio nelle sezioni sinistre degli tronchi, alle quantità a secondo membro della
(E16) dobbiamo aggiungere , quindi
E17
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
Naturalmente così come non sono note le , non è nemmeno nota la , però,
tenendo conto della (E18), noi possiamo riscrivere il termine in rosso della (E17) in
questo modo
E19
Questo significa che abbiamo trovato, a meno della determinazione di , così come
nel caso precedente, un legame fra le forze interne e le .
Ora parliamo delle forze interne: le forze interne sono quelle che agiscono sul
sistema effettivo, cioè con i suoi vincoli. Oltre a queste forze interne , esistono
anche delle forze interne che agiscono, invece, sul sistema di fig11, dove
abbiamo tolto i vincoli e messo le reazioni; lo stesso vale anche per le deformazioni;
cioè noi avremo delle deformazioni , per il sistema effettivo ( e nella sezione
di sinistra degli tronchi) e un per il sistema reale ( e per il sistema reale).
Quindi, adesso, come al solito non facciamo lo sviluppo dei calcoli (lo troviamo sul
libro), però la cosa che bisogna fare è quella di determinare la matrice , e si può
far vedere che in sostanza tale matrice è possibile andarla a determinare in funzione
di 3 sole matrici, cioè della , della e della , in che modo? Applicando,
appunto il principio delle forze virtuali. Cioè, questa volta, il lavoro delle forze
per le effettive deformazioni , noi lo andiamo ad uguagliare, non al lavoro delle
, ma al lavoro delle , cioè delle forze interne che abbiamo, non sul
sistema reale (cioè le ), ma che abbiamo sul sistema base. Alla fine, cosa
dobbiamo ottenere? Dobbiamo ottenere, ovviamente, che il lavoro delle reazioni
iperstatiche deve essere uguale a zero. Alla fine si fa tutta questa operazione, si
determina l’espressione di , e poi secondo la stessa logica già utilizzata in
precedenza si determina l’espressione della .
Questa volta la su detta matrice si presenta in questa forma
E20
Il primo termine a secondo membro è la matrice che abbiamo già determinato per il
sistema base, che è un sistema isostatico. Quindi la (E20) rappresenta l’espressione
della matrice dei coefficienti di flessibilità di un sistema iperstatico (nn facciamo la
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
296
DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
Quindi come vediamo, in pratica, per risolvere il problema (ed è questo che è
importante ricordarsi), basta calcolare, sul sistema iperstatico, solo 3 matrici: la ,
che già sappiamo calcolare, la , che ugualmente sappiamo calcolare, e la ,
che è equivalente alla considerando però come forze agenti, non l’insieme delle
forze applicate dove sono le masse, ma l’insieme delle reazioni iperstatiche .
Con queste 3 solo matrici, combinate in vario modo, è possibile poi alla fine
determinare la matrice per il sistema iperstatico.
Si può far vedere che l’ultimo sviluppo possibile (ma quello non lo facciamo proprio,
perché tutti qst calcoli sono presenti su ttt i libri di analisi numerica) sarebbe quello
di considerare, non più i vincoli infinitamente rigidi, ma come abbiamo fatto nel caso
precedente, i vincoli flessibili. Ovviamente, vale esattamente la stessa
considerazione per quello che riguarda i moti e quindi modi naturali di vibrare nel
piano verticale, e nel piano orizzontale; nel senso che, nel caso in cui l’elasticità di
qst vincoli sono diverse nei 2 piani, noi dovremmo calcolare 2 serie di valori e come
al solito prendere il valore più basso di queste 2 serie (come valore di riferimento al
di sotto del quale non ci sono critiche). C’è un pò di complicazione, si procede come
nel caso di prima, cioè si mettono sempre le reazioni al posto dei vincoli, soltanto
che nelle e vanno, questa volta, considerati, rispettivamente, gli
abbassamenti in corrispondenza dei vincoli e le reazioni di questi vincoli. Tutto il
resto procede nello stesso modo, con una serie di passaggi matematici però (nn ce
lo guardiamo proprio) è solo importante che sappiamo che si può fare e che su
buoni libri di elastomeccanica l’espressioni di ttt qst matrici sono ampiamente
riportate.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
298
DSM 13° lezione – prima parte 17 – 11 - 2010
abbiamo bisogno, non solo della prima critica, ma abbiamo bisogno di una prima
critica determinata in maniera più raffinata, e anche di una seconda critica calcolata
sempre in maniera raffinata. Allora quando succede questo si deve per forza
ricorrere al sistema ad dischi, cioè considerare il sistema come esso è, con tutti i
suoi gradi di libertà ecc. oppure utilizzare i valori, che si sono ottenuti nel sistema a
masse concentrate, come valori di tentativo per un metodo iterativo che non calcola
le critiche tutte insieme ma le calcola una per volta, e che quindi può essere
utilizzato per raffinare il calcolo sui primi due valori che sono quelli che interessano
dal punto di vista tecnico.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
299
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
Fig.1’
Si vede subito che nel fare questa operazione cioè concentrare la massa dei tronchi
in corrispondenza del baricentro in realtà, stiamo praticamente raddoppiando il
numero dei tronchi e stiamo aumentando il numero di gdl del sistema di un numero
pari proprio al numero di tronchi.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
300
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
Un altro modo che tiene conto delle masse di questi tronchi,è quello di andare a
ripartire la massa di ciascun tronco metà nella sua sezione di sinistra e metà in
quella di destra. Infatti se consideriamo il primo tronco della fig.1, avrò una mezza
massa aggiuntiva nella sua sezione di destra e una a sinistra, per il secondo tronco la
metà massa la vado a ripartire metà a sinistra dove c’è già la massa del sistema e
quindi c’ho una piccola massa aggiuntiva, e metà nella sezione di destra, e così via.
Sistema ad n dischi
Fig.2
Si presenta come al solito come un modello di Jeffcott, ma con più dischi calettati su
un rotore.
Per questo sistema valgono tutte le ipotesi identificative del modello di Jeffcott, e
cioè il fatto che i vincoli abbiano una rigidità radiale di tipo ellittico e quindi
definibile con due rigidità, una nel piano orizzontale e una nel piano verticale, inoltre
che i tronchi di albero del nostro sistema abbiano masse trascurabili rispetto ai
dischi e che in sostanza se prendo come terna di riferimento la terna (x,y,z) , alla fine
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
301
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
Che cos’è ?
302
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
1000 sono sempre piani di simmetria. Quindi accoppiamento statico fra i due piani,
cioè a complemento di quelli che vengono espressi dai coefficienti di rigidità non ce
ne sono, ma c’è soltanto un accoppiamento di tipo dinamico.
Dove rappresenta lo sbilanciamento dinamico del disco i-esimo del quale sto
considerando l’equilibrio.
303
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
Ma com’è evidente questo in tal caso non lo possiamo fare , perché come facciamo
a costruire un diagramma di Campbell con 4n variabili!!!
Una volta imposta questa similitudine, la prima cosa da fare per vedere i risultati che
si ottengono è andare a scrivere il vettore di stato dell’intero sistema. Per la massa i-
esima come vettore di stato, per la sola massa i-esima, abbiamo preso
allora a questo punto invece di prendere nell’ordine , andiamo a
mettere nel vettore di stato di tutto il sistema prima tutte le x poi tutte , poi tutte
le y e infine tutte le θ, di modo che il vettore di stato si presenta nella forma , e vi
faccio osservare che ho già effettuato il cambiamento e cioè ho già messo come
funzioni le funzioni seno e coseno di per tutte le grandezze e quindi quelle che
compaiono qui dentro sono le ampiezze e allora scriveremo:
Con questo ordine del vettore di stato , se vado a riscrivere tutto il sistema di
equazioni differenziali in termini di matrici, troverò, per le matrici delle masse del
sistema , la quale la potrò dividere in 4 e ottengo:
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
304
DSM 13° lezione – seconda parte 17 – 11 – 2010
dinamico e quindi queste due in rosso sono nulle, mentre quelle in blu sono matrici simmetriche.
Le che ci calcoliamo sono le velocità critiche, e quindi gli auto valori che ricavo da
questo sistema, sono proprio le velocità critiche del mio sistema. Naturalmente
anche qui per calcolare le dovrei scrivere che il determinante è uguale a 0 e
quindi scrivere che: . Questo è il problema degli autovalori per
questo sistema dal quale ricaverei le 4 n velocità critiche del sistema, ovviamente la
difficoltà sta nel fatto che la matrice delle k non è nota e quindi si pone un problema
simile a quelli già visti,ma non è proprio uguale perché qui come coordinate
generalizzate non ci sono solo gli spostamenti, ma anche le rotazioni, però il
problema sostanzialmente è lo stesso cioè devo passare dal problema degli
autovalori scritti in termini di k, al problema perfettamente analogo degli autovalori
scritto in termini di , dopo di ché devo andare a vedere come calcolare questa
matrice dei coefficienti di flessibilità del sistema (N.B. questo non va fatta tutta
quanta insieme, perché siccome la matrice k si presenta così, se immagino di fare
l’inversa della matrice k cioè la , questa inversa, tenuto conto del metodo delle
sottomatrici, si presenta nello stesso modo cioè quelle in blu diverse da zero e
quelle in rosso uguale a zero. Dal punto di vista fisico si spiega perché come non c’è
accoppiamento elastico sui 2 piani in termini di k, ovviamente non c’è
accoppiamento elastico neanche in termini di , quindi la matrice che devo
calcolare si riduce al calcolo delle due matrici in blu dove la prima mi condurrà alla
determinazione e l’altra che mi ricondurrà al calcolo ).
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
Sistema a dischi
Ieri, dopo aver completato tutte le possibilità che una modellazione del sistema
flessionale, di masse concentrate, ci consente, cioè dopo aver eliminato, via via,
tutte le semplificazioni possibili relative allo studio delle velocità critiche flessionali,
siamo passati ad esaminare il modello più sofisticato, del quale al momento
disponiamo, per il calcolo delle critiche di un sistema rotante; e cioè abbiamo preso
in considerazione l’eliminazione dell’ultima semplificazione (che le masse siano
concentrate. Quindi il passaggio successivo, che abbiamo cominciato a trattare ieri,
è quello del sistema ad dischi, che noi abbiamo rappresentato nel solito modo, e
che è ne più e ne meno che una estensione del modello di Jeffcott
Fig1
Anche qui, così come nel modello di Jeffcott, noi abbiamo immaginato che i supporti
fossero rappresentati mediante due molle sulle quali, al momento, non abbiamo
fatto nessun ipotesi semplificativa. Per questo sistema, nella lezione precedente,
abbiamo, in sostanza scritto, l’equazioni dell’equilibrio dinamico, direttamente
quando il sistema viene posto in rotazione ad una velocità , e andando ad
assumere come terna di riferimento sempre una terna che abbia gli assi x ed y,
rispettivamente verticale ed orizzontale, e l’asse z coincidente con ; nn abbiamo
fatto altro che applicare il principio di d’Alembert a ciascuno dei dischi nello stesso
modo in cui facemmo per il modello di Jeffcott. La differenza, rispetto al sistema che
presenta un solo disco, in sostanza, è costituita solo dal fatto che quando abbiamo
scritto le reazioni elastiche del sistema, per scrivere l’equilibrio (in termini di
moltiplicato per la variabile dell’equazione del nostro sistema), ci siamo accorti del
fatto che in realtà queste reazioni elastiche sono costituite da una somma di reazioni
elastiche; somma che è dovuta al fatto che siccome il sistema è, dal punto di vista
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
E2
Quindi si vede subito, in sostanza, che questo è un classico problema degli auto
valori. Questa matrice [K], strutturata in questo modo, rispecchia quello che
dicevamo un momento fa a proposito del disaccoppiamento dei moti che avvengono
nel piano (x,z) con quelli che avvengono nel piano (y,z), nel senso che, queste matrici
incrociate, per esempio quella in 3° riga, 2° colonna: [ ], è uguale a zero
corrispondentemente al fatto che x ed y sono variabili in questi 2 piani ortogonali di
simmetria e quindi non possono avere un influenza statica-elastica l’uno sull’alto; e
naturalmente lo stesso vale per le altre. Queste sottomatrici che abbiamo scritto per
la matrice [K] hanno il significato che abbiamo già detto, e in sostanza, ci dobbiamo
ricordare che
E3
E cioè a dire, per il teorema di reciprocità, tutti i coefficienti incrociati, sia rispetto
alle variabili, sia rispetto all’indice delle masse che stiamo considerando debbono
essere uguali. Di conseguenza le sottomatrici quadrate che compaiono in [K], non
solo sono simmetriche, ma anche le sottomatrici quadrate in rosso ( che sono quelle
relative al piano (x,z) e il piano (y,z)) saranno simmetriche. Naturalmente, come
abbiamo detto ieri, la difficoltà consiste in 2 cose sostanzialmente:
La prima è che ci troviamo davanti ad una matrice delle masse che non è più una
matrice diagonale, e quindi (come già sappiamo dal calcolo di auto valori e auto
vettori) in sostanza quando la [M] non è una matrice diagonale gli algoritmi per il
calcolo degli auto valori, della matrice composta da [M] e [K], è meno facile, cioè
dovremo utilizzare algoritmi meno semplici o addirittura iterativi rispetto a quelli
che abbiamo visto in generale per i sistemi ad g. d. l. quando il sistema era ad
accoppiamento elastico adiacente, qua invece si tratta di un accoppiamento elastico
completo; per la verità è semicompleto per il fatto che le due matrici cerchiate in
rosso nella (E2) sono uguali a zero.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
La seconda difficoltà è costituita dal fatto che la determinazione di [K] non può
certamente essere fatta determinando uno per uno gli elementi che la compongono
sulla base dei coefficienti di rigidità, perché è ovviamente una cosa del tutto
impossibile.
D’altra parte noi già sappiamo che nel momento in cui trattiamo dei sistemi
flessionali non ci conviene esprimere l’elasticità del sistema tramite la matrice *K+,
ma ci conviene farlo tramite la matrice . possiamo, quindi, subito premoltiplicare
l’espressione (E2) per l’inversa di *K+, cioè , quindi otteniamo
E4
In sostanza si vede subito che questo è ancora un problema degli auto valori,
soltanto che però, questa volta, gli auto valori che calcolo (che naturalmente sono
quelli che vanno a secondo membro) non sono più gli , ma sono . Però
naturalmente questo non cambia niente dal punto di vista della soluzione del
problema degli auto valori. Quindi questo vuol dire che dal punto di vista analitico,
visto che ci conviene servirci della matrice praticamente quello che viene dopo
(cioè l’algoritmo di calcolo) è già noto. Il problema naturalmente è andare a vedere
come si presenta la e ovviamente sarà l’inversa della *K+; ora si vede subito che
se andiamo ad effettuare la matrice inversa con il metodo delle sottomatrici, la
struttura della sarà esattamente uguale a quella della [K], infatti avremo in
sostanza
E6
Esattamente, quindi, con la stessa struttura e non solo, in realtà ciascuna delle
sottomatrici che compaiono nella (E6), che sarebbero , ciascuna di queste è
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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Andiamo a vedere dal punto di vista fisico ciò che stiamo facendo: quello che stiamo
studiando è la flessibilità nel piano (x,z); ora, questa flessibilità nel piano (x,z), in
realtà, l’abbiamo già studiata nel momento in cui, per il sistema a masse
concentrate abbiamo determinato la matrice . allora in particolare dobbiamo
tenere conto che in questo caso, noi abbiamo già ipotizzato inizialmente il fatto che i
vincoli siano elastici, e quindi ci dobbiamo ricordare, nel caso che abbiamo
considerato a masse concentrate, come abbiamo determinato la matrice nel
caso di vincoli mobili, allora in quel caso che cosa avevamo scritto? Avevamo scritto
un espressione del tipo
E8
311
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
In questa espressione la è proprio uguale alla che compare nella (E8), cioè
si presenta nella forma
E10
Esattamente quella che abbiamo già visto per il sistema a masse concentrate
quando i vincoli sono elastici; proprio perché ( lo ripetiamo) nella determinazione di
questa matrice delle flessibilità parziali, non ha nessuna rilevanza che cosa c’è alle
sezioni di estremità del tronco del sistema del quale andiamo a fare l’equilibrio, cioè
il tronco del sistema sarà sempre soggetto solo ed esclusivamente alle
corrispondenti forze interne che le parti che abbiamo tolto del l’albero esercitavano
su esso; quindi non ha nessuna rilevanza il fatto che all’estremo del tronco ci siamo
una massa concentrata o un disco. Quello che, naturalmente cambia è ,
perché? Perché essa deve essere quella che collega le forze interne alle
E11
Chi sono, in questo caso le forze esterne ? Sono quelle che andiamo ad applicare
nelle sezioni dove stanno le masse per le quali vogliano calcolare la . Però adesso
le C.G. sono quelle che compaiono in parentesi graffa nella (E2); allora le forze
generalizzate sono quelle corrispondenti a queste coordinate generalizzate, cioè noi
avremo
E12
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
312
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
Divisa in due gruppi di n colonne, per il primo gruppo, cosa dobbiamo fare per
determinare 1 colonna? Applichiamo una e andiamo a determinare
momento e taglio nelle sezioni sinistre degli m tronchi; e questa è la parte di questa
matrice che avevamo già calcolato per il sistema a masse concentrate. Adesso, però,
c’è un secondo gruppo. Quindi nella colonna j-esima del primo gruppo avremo per
‘ , , , …’, esattamente nello stesso modo con il quale abbiamo definito
la matrice per il sistema a masse concentrate, cioè cosa dobbiamo fare?
Prendiamo il sistema, applichiamo la verticale diretta secondo x, andiamo a
fare i diagrammi di taglio e momento e sulle sezioni sinistre degli m tronchi vado a
leggere quanto valgono i valori; tali valori sono la colonna j-esima di qst primo
gruppo della . Nello stesso identico modo andiamo a calcolare il secondo
gruppo. Cioè se adesso vogliamo la colonna j-esima del secondo gruppo (in realtà
non è la colonna j-esima sarebbe la colonna n+j, ma per semplicità chiamiamola j)
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
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DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
Questa calcolata per il sistema base, cioè quello in cui noi avevamo sostituito ai
vincoli iperstatici le corrispondenti reazioni, meno una certa quantità rappresentata
dal termine sottrattivo (secondo termine al secondo membro della (E14)). Tale
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
314
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
Fig2
315
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
della (E14)). Tale termine è funzione di 3 matrici, come abbiamo già visto: , ,
e la . Quest’ultima per comodità chiamiamola , ed è quella che lega le
alle
E15
Osserviamo che se i vincoli iperstatici sono degli appoggi le reazioni sono delle forze,
e quindi la matrice è esattamente la stessa che abbiamo già calcolato per il
sistema a masse concentrate; calcolata nel piano (x, ), cioè per calcolarne la
generica colonna dobbiamo porre =1, facciamo il diagramma del momento e del
taglio, ci calcoliamo le 2 reazioni di estremità, e otteniamo la generica j-esima
colonna della matrice .
Quindi, come vediamo, in questo tipo di trattazione per il sistema ad n masse c’è
una difficoltà di calcolo maggiore, però in sostanza, le matrici caratterizzanti il
sistema, cioè quelle che contengono in varie forme le caratteristiche elastiche del
sistema, le possiamo andare a determinare in maniera relativamente semplice, e
soprattutto, in maniera non diversa da quella che abbiamo visto per il sistema a
masse concentrate che nel suo complesso è molto più semplice di questo; però il
modo di andare a determinare tali matrici è molto simile e in alcuni casi è proprio lo
stesso. Cioè se abbiamo fatto un piccolo codice di calcolo che ci determini la matrice
per un sistema iperstatico a masse concentrate, lo stesso codice lo posso andare
ad applicare con un'unica differenza e cioè quella sulla matrice , perché in
questa matrice devo aggiungere le su dette n colonne in più. Quindi in pratica
dobbiamo fare solo questa aggiunta al codice, perché ttt il resto nn cambia.
Una volta fatto ciò ci siamo determinati tale matrice , dobbiamo fare adesso la
stessa identica operazione per l’altra sottomatrice che compare nella (E6) e cioè la
. Cioè questa volta, se noi abbiamo rigidità diverse nei due piani, lo stesso
identico calcolo dobbiamo andarlo a fare anke nell’altro piano, evidentemente, per
determinare la seconda parte della matrice complessiva del nostro sistema.
Quindi possiamo separatamente determinare, esattamente con le stesse relazioni la
matrice , dopo di che applichiamo un algoritmo per il calcolo degli auto valori.
E.Acampora-S.Afeltra-R.Isernia
316
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317
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
è che le determiniamo tutte insieme, è che qst prime 2 o prime 3 velocità critiche,
che sono quelle di interesse tecnico, vengono determinate con questo tipo di
modello nel modo più raffinato possibile, cioè nel modo che prevede il minor
numero di ipotesi semplificative possibile.
318
DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
wobling, saranno accoppiati fra loro, cioè a dire se andiamo a vedere che cosa
succede nel modo di precessione complessivo di questo sistema non simmetrico
vediamo che il centro del disco descrive una traiettoria che sarà sempre ellittica,
dopo di che, l’asse del disco descriverà una superficie rigata, andando a considerare
istante per istante la posizione del centro del disco dovuta a qst traiettoria. Quello
che interessava era capire: quand’è che qst fenomeni per il disco non simmetrico
possono essere di tipo revese, cioè con velocità opposta a quella di rotazione? Che
cosa abbiamo detto? Nn si può sulla base dei risultati che abbiamo avuto per il
sistema simmetrico dire, su un sistema nn simmetrico, se noi abbiamo oppure no il
moto reverse, nn si può dire con certezza; però quello che si può dire è che: siccome
il moto di reverse whirling abbiamo visto che avviene fra le due velocità critiche
corrispondenti alla x e alla y, nel sistema nn simmetrico, se si ha, può avvenire in un
campo di velocità che sarà compreso fra le 2 critiche a prevalenza di x e a prevalenza
di y; allora questo significa dire che noi nn possiamo affermare che ci sia un moto
reverse, però possiamo dire che se c’è sta in quell’intervallo; ritorniamo a noi: quello
che il vostro collega mi sta chiedendo è come si estende ulteriormente qst tipo di
ragionamento ad un sistema nel quale i dischi sono n? se consideriamo per esempio
il whiriling, allora noi avremo che a ciascuna dei treni modi naturali di vibrare che
abbiamo determinato per qst sistema (ma in realtà nn li abbiamo determinati
perché nn abbiamo tracciato le curve) corrisponde sicuramente la prevalenza di una
delle C.G.. allora, consideriamo il disco j-esimo, ci saranno sicuramente 2 modi
naturali di vibrare (cioè in realtà anke 2 velocità critihe) che sono a prevalenza della
x o della y di quel particolare volano; allora un moto di reverse, se c’è (ma in qst
caso ovviamente è ancora meno possibile immaginare se c’è o nn c’è) si verifica in
quell’intervallo di velocità critiche. Questa è l’estrapolazione al sistema ad n dischi
dei risultati che abbiamo ottenuto per il sistema semplice. Ovviamente è
assolutamente indimostrabile. Lo si può fare solo numericamente.
Naturalmente, nn l’abbiamo detto ma è ovvio, insieme agli auto valori noi
determiniamo anche gli auto vettori i quali rappresentano le deformate in
corrispondenza delle varie velocità critiche, deformate che qst volta sono
indisegnabili, perché naturalmente comprendono spostamenti x, y, rotazioni e .
Si può vedere soltanto qual è il tipo di deformazione prevalente, ma nn più di
questo. Si possono rappresentare oggi con dei filmati, cioè si danno le funzioni ad
uno di qst programmi mobili, si rallenta il moto e si vede come si deforma il sistema;
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DSM 14° lezione – prima parte 18 -11-2010
però nn si capisce molto. Quello che conta è il valore della vel critica il tipo di
deformata è poco comprensibile.
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Domanda- Visto e considerato che nei casi reali, molti sistemi di questo tipo in realtà
non ruotano in un campo di velocità al di sotto delle velocità critiche , ma in un
campo di velocità che interseca il campo delle velocità critiche e che probabilmente
vede la velocità massima compresa tra la I° e la II° critica (turbo-compressore).
Ma come facciamo ad essere sicuri che nel campo di quelle due critiche non ho dei
moti revers?
Per ragioni proprio di comportamento fisico del sistema, difficilmente i moti revers
si verificano per un sistema che ha molte critiche fra le prime, in genere si verifica ad
una velocità molto più elevata;ma al di là di questo fatto avremmo da un lato la
possibilità di controllare,per esempio una velocità vicino alla velocità di regime quali
sono le corrispondenti deformate,cioè qual è il moto effettivo del sistema,
calcolandoci il moto forzato a quella velocità, e da questo moto forzato a quella
velocità potremmo capire subito se si tratta di un moto diretto o revers, però questo
non è necessario perché potrebbe esserci in quel campo di velocità, fra queste
prime due critiche un moto revers solo se per puro caso queste due critiche (I° e II°)
dovessero corrispondere a deformazioni x e y prevalenti per lo stesso disco, ma
ovviamente questo sarebbe un caso, perché ho un sistema ad n dischi e quindi il
fatto che le prime due critiche siano proprio a prevalenza di x e y per lo stesso disco
è un fatto improbabile, però anche questo può essere controllato perché insieme a
questi due valori delle prime due critiche, in sostanza ho anche i corrispondenti
autovettori e dai corrispondenti autovettore vedo qual è il moto prevalente per
queste due,e quindi posso controllare subito se in una lontana ipotesi se questo
fatto si potrebbe verificare.
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Il vantaggio è che le operazioni su matrici che vengono fatte con questo metodo,
sono delle operazioni fatte su matrici molto piccole il cui ordine non dipende dal
numero di masse ( o di dischi ) che compongono il nostro sistema.
Se questo succede,allora questa vibrazione quindi tutte le varie forze che nascono
devono dare una compatibilità con i vincoli del sistema; se questa compatibilità
esiste allora vuol dire che effettivamente il sistema sta vibrando in un suo modo
naturale di vibrare , se la compatibilità con i vincoli non è rispettata, vuol dire che
quella vibrazione non è un modo naturale di vibrare e quindi in conclusione , si da a
questo sistema una pulsazione di tentativo,si fa vibrare il sistema con quella
pulsazione e si va a controllare l’equilibrio per vincoli esterni. Se l’equilibrio è
verificato, tanto di guadagnato, se non è verificato s’incrementa con un certo valore
cioè con il passo il valore della pulsazione d’ingresso , si rifanno tutti i conti e si rifà il
controllo.
Consideriamo la trave appoggiata con n masse e immaginiamo che questa trave stia
vibrando nel piano della lavagna con una pulsazione e immaginiamo che questa
sia propria una pulsazione naturale del sistema.
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
FIG.1
cioè una massa all’estremità sinistra, un tronco a sezione costante fino ad arrivare
all’incastro con la massa successiva.
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Fig.2
Siccome il sistema sta oscillando, la massa diventa sede di una forza d’inerzia e il
modulo di questa forza d’inerzia agente nella sezione i sarà .
Si vede subito che posso legare le deformazioni relative , in modo più o meno
analogo che abbiamo già visto nel caso del calcolo della , ed in particolare nel
calcolo della matrice ,posso legare le deformazioni relative della sezione di sinistra
relative a quelle di destra, le posso andare a legare con le forze agenti, cioè a dire
posso andare a legare queste ( , )a e la forza applicata .
Tenuto conto di queste due cose , posso andare a legare concettualmente, quello
che succede(dalle forze agenti e dalle deformazioni) nella sezione di sinistra del
nostro elemento, con quello che succede nella sezione di destra.
Alla fine nei termini di questa matrice compare la massa del sistema, le
caratteristiche del tronco,cioè la lunghezza , il diametro e così di seguito; cioè
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Allora questa matrice in rosso che indichiamo con che è una funzione, cioè
dipende da va sotto il nome di matrice di trasferimento del tronco i-esimo,
perché consente di passare dal vettore di stato, cioè quello che definisce la
condizione della sezione di sinistra, al vettore di stato, cioè quello che definisce la
condizione della sezione di destra. Quindi consente di trasferirsi lungo il tronco dalla
sezione di sinistra a quella di destra. Questa relazione la si può scrivere per tutti gli
m tronchi del sistema, dico m perché non è detto che il numero di tronchi sia
proprio pari al numero di masse perché si possono avere delle variazioni di sezione e
quindi quando si verifica ciò bisogna passare sulla variazione di sezione dove è il suo
vettore di stato e cioè avere una matrice di trasferimento in più.
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Fig.3
Scriviamo che :
Se l’incastro è il tipo di vicolo che abbiamo sul nostro sistema, nella sezione 0
devono essere e ; mentre invece nella sezione m devono
essere e .
E quindi scriverò :
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Diag.1
Dopo di che faccio una interpolazione lineare e come valore successivo di tentativo
prendo quello dell’interpolazione lineare, poi torno indietro divido il passo per dieci
per esempio, fino a quando non trovo l’inversione di segno del determinante.
Quando ho raggiunto una approssimazione che ritengo sufficiente , il valore
interpolato rappresenta proprio la . Questo vuol dire che se sono partito da un
valore di che dispongo già , ed è vicino al valore reale della pulsazione naturale
del nostro sistema, ovviamente devo fare un numero minori di interazioni per
attingere questa inversione di segno e quindi per determinarmi il valore più
approssimato della pulsazione naturale.
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DSM 14° lezione – seconda parte 18 – 11 – 2010
Fig.4
E cioè :
Quindi per capire quale determinante devo calcolare per fare il procedimento
iterativo ,devo andare a stabilire quali sono le condizioni ai vincoli del mio sistema.
Il vantaggio di questo metodo sta nel fatto che consente di tener conto anche dei
dischi e quindi questo lo avvicina dal punto di vista della precisione ,al sistema ad n
dischi che abbiamo già visto.
Immaginiamo che la massa concentrata sia un disco fig.5,la presenza del disco ci fa
aggiungere, nell’equilibrio del nostro sistema, le coppie giroscopiche (
questo quando ciò succede quando i sistemi hanno vincoli o infinitamente
rigidi o a rigidità radiale costante) e l’inerzia rotante ( ).
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Fig.5
Come possiamo notare l’equilibrio del sistema cambia,e quindi cambia la matrice di
trasferimento e cioè cambiano gli elementi che compaiono all’interno di quella
matrice di trasferimento.
Questa matrice è sempre del tipo 4x4, ma l’unica cosa che è variabile è proprio la
cioè la pulsazione alla quale sto immaginando che vibri il nostro sistema. Tutto il
resto e cioè quello che viene dopo rimane inalterato.
Questo tipo di metodo può segui cioè può utilizzare le migliori approssimazioni
possibili e cioè quella del disco esteso, dell’elasticità dei vincoli, con una sola
limitazione e cioè che il sistema deve essere o a rigidità radiale infinita o costante.
Ma dal punto di vista tecnico non mi servono tutte, ma soltanto le prime due o le
prime tre è chiaro che questo sistema è molto conveniente rispetto ai precedenti.
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Allora considero sempre il sistema a masse concentrate, poi mi prendo i primi due
valori che calcolo con il sistema a masse concentrate, e li utilizzo come valori di
primo tentativo per calcolare la prima e la seconda critica.
FIG.6
Posso pensare di passare prima da questa sezione qui a questa , e poi da questa a
questa , mediante due passaggi successivi.
Quindi il primo passaggio serve a passare dalla parte sinistra alla parte destra della
massa, il secondo passaggio dalla parte sinistra di un tronco alla parte destra di un
tronco. Nel primo passaggio succede che, essendo la massa diversa da zero, e visto
che il tronco non c’è, posso andare a fare questo passaggio mediante una matrice di
trasferimento che va sotto il nome di matrice punto perché mi consente di
spostarmi dalla sinistra alla destra di un punto,perché la massa è puntiforme.
Questa matrice punto la ottengo ponendo uguale a zero la lunghezza del tronco,
quella che ottengo è la matrice che mi consente di passare da qui a qui.
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A titolo di curiosità, adesso che abbiamo visto come si presenta e come si applica
questo metodo della matrice di trasferimento in un sistema meccanico e cioè per il
calcolo delle critiche flessionali, consideriamo una paletta di turbina che può essere
considerata come un solido incastrato come in fig.7.
Fig.7
Formalmente le pale della turbina sono a sezione decrescente dalla base all’apice ,
sono per ovvie ragioni di congruenza dei triangoli di velocità sono svergolate. Quali
sono i modi di vibrare di un sistema di questo genere? Sono dei modi in cui la
paletta contemporaneamente si flette ma si torce anche , quest’ultimo avviene
perché durante la vibrazione nel baricentro delle varie sezioni in cui posso
immaginarla divisa,in questi baricentri si generano delle forze d’inerzia.
Queste forze sono del baricentro e il baricentro è spostato rispetto all’asse neutro a
torsione e quindi si genera una coppia di queste forze rispetto all’asse neutro a
torsione e quindi il sistema contemporaneamente vibra flessionalmente e si torce
anche, i modi sono flesso-torsionali accoppiati.
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