Panini
Panini
Nunzia Manicardi
FIGURINE PANINI
INDICE
Introduzione
Prima Parte
Seconda Parte
Parte Terza
21. Un Museo unico al mondo
22. La figurina, questa sconosciuta
23. Giochi senza et�
24. Nella Tana del Paladino
25. La stanza sotto i tetti
26. Il ranch del parmigiano-reggiano
27. Ritratto di editore
28. La morte di Giuseppe
29. Cento Panini in cento anni
30. Intervista fra le stelle
Ringraziamenti
Introduzione
"Professore, mi � venuta una bellissima idea!". Nella piccola tipografia di Via dei
Fonditori le macchine a stampa stanno andando a pieno regime. L'odore degli acidi
si mescola con quello dell'inchiostro fresco. Dalla grande porta metallica aperta
sulla strada di periferia entra, nonostante tutto, qualche traccia dell'imminente
primavera. Che cosa c'� di pi� vivo di un libro che sta per nascere?
Il professor Piero Guerzoni, nonostante sia abituato alle mie "bellissime idee", mi
invita con sollecitudine a sedere davanti a lui, dall'altro lato della scrivania di
legno primi novecento (ricoperta di penne biro perennemente scariche). "Mi dica, mi
dica", sorride comprensivo ma guardingo: forse sospetta che voglia sparargli la mia
ennesima puntata sulle malefatte dell'umanit� e sui sistemi rapidi e infallibili
per risolverle.
"Vorrei fare un libro sui Panini". "Oh, perbacco, questa s� che � una bella idea!",
sospira sollevato. "Un libro sui Panini, sulla Panini e sulla figurina", preciso.
("Ecco", vedo che sta pensando "non ha ancora cominciato che gi� si sta
allargando..."). "C'� un problema, per�. Non ne so niente di niente". "Ma come, lei
che � di Modena...". "Lo so che sono di Modena, � proprio per questo che mi �
venuta l'idea. Anzi, non � strano che non sia venuta a nessun altro prima di me?
Comunque, mi ricordo che a figurine giocavamo tutti e che per tutti le figurine,
ancora oggi, sono Panini. E pure i miei figli le hanno comprate e le comprano,
anche se non li vedo pi� fare quelle belle raccolte e tutti quegli scambi che si
facevano una volta. Per�, a parte questo, buio completo. Perch� non mi racconta
qualcosa lei? Non era un suo caro amico, Giuseppe Panini?". "Eh, s�. Era un mio
carissimo amico", ricorda con una certa tristezza il professore. "E' un vero
peccato che sia morto, perch� in fondo era ancora abbastanza giovane, aveva
settant'anni. Ma, sa, con tutte le disgrazie fisiche che aveva avuto...". "Davvero?
Vede, io non ne so niente". "S�, ha avuto tanti guai, eppure era rimasto sempre
entusiasta e pieno di energie. Era una persona straordinaria. Ma se lei vuole
parlare di questa storia non deve parlare solo di lui. Perch� � stata tutta la
famiglia insieme, che ha dato il via alle figurine". "Ma quale famiglia? Vuol dire
il fratello Franco Cosimo, quello che adesso fa l'editore?". "Lui, ma anche
Umberto, che ora segue la propria tenuta in campagna, dove produce il parmigiano-
reggiano e dove colleziona auto d'epoca; e poi Benito, che � morto ormai da tanto
tempo. E le sorelle, ancora tutte viventi". "Ma quanti erano, questi Panini?".
"Otto: quattro fratelli e quattro sorelle. Per�, sopra tutti, lei dovrebbe
ricordare la figura della madre, la vecchia Olga. E poi quella del padre e,
naturalmente, lo spirito dei tempi: dalle campagne emiliane dell'inizio del secolo
alla nascente industria italiana del dopoguerra. Questa, � la storia dei Panini e
delle loro figurine". "Professore, e se venissi... Diciamo domani alle quattro? Con
il mio registratore? Che cosa ne dice?". "Venga, certo. Per me sar� un vero piacere
aiutarla a ricordare".
La copertina sta facendo le sue passate sotto il colore rosso. Il rumore �
terribile, soprattutto per il minuscolo microfono del mio registratore tascabile,
che per� � abituato anche a situazioni peggiori. Lo piazzo sotto il naso del
professor Guerzoni e accendo.
Il racconto dura a lungo e mi lascia sbalordita. Quando finiamo, le
millecinquecento copertine sono gi� da tempo stese ad asciugare. Che bel bucato
primaverile, tra questi ex-campi diventati capannoni industrial-artigianali. E,
stese fra queste lenzuola di carta, come tanti fazzoletti ben spiegati, c'erano e
ci sono ancora le Figurine Panini. S�, ho avuto proprio un'idea gagliarda, mi
compiaccio. Il pi� sar� metterla per iscritto. Le cose sono tante... Come far� a
raccontare la storia di otto fratelli, una madre, un padre, una citt�, una nazione,
un mondo intero, milioni di bambini, miliardi di figurine? Riuscir� a trovare le
parole piccole da far stare in un libro cos� grande?
"Non si preoccupi", mi rassicura il professore. "Le do qualcosa che l'aiuter�.
Tenga, l'avevo in casa, l'ho portato apposta per lei. Questo � un album di figurine
che mi diede Giuseppe un po' prima di morire. Mi disse che un giorno forse sarebbe
stato utile. Poi, sa com'�, gli impegni sono tanti e io finora non ho mai trovato
il tempo di sfogliarlo. Lo faccia lei, se vuole. Potr� sempre scrivere che questo �
l'ultimo ricordo di Giuseppe". E mi allunga un album uguale a tutti gli altri.
"Grazie, professore. Mi servir� se non altro come traccia per parlare delle
collezioni. Ma mi tolga un'ultima curiosit�. Giuseppe, cos� lungimirante, non aveva
mai pensato ad un libro sulla storia della propria famiglia e delle figurine?".
"S�, veramente qualche anno fa credo che avesse avuto l'intenzione di chiedere a
qualcuno di scriverlo. Ma penso anche che sarebbe stato difficile per chiunque
farlo esattamente come avrebbe voluto lui". Ci salutiamo cordialmente, con le sue
copertine alle spalle e il mio album sotto braccio.
Adesso che � gi� quasi notte, e che i figli dormono e qualche ora birichina mi
attende tutta per me, mi siedo al tavolo di cucina - mia abituale postazione di
lavoro - e apro il "libro" di Giuseppe. Che strano, le figurine sono pochissime,
appena trenta. E non sono di calciatori, e neppure di animali o di personaggi
disneyani.
No, l'album che Giuseppe ha lasciato non � uguale a quelli che ci sono nelle camere
dei miei figli. Queste trenta figurine corredate di lunghissime didascalie sono
un'altra cosa, tutta un'altra cosa.
Prima Parte
2. Olga e Antonio
"Venite tutti qua, ragazzi". Otto teste si riuniscono all'istante intorno a quella
di Olga. Ce ne sono di tutti i tipi, da quelle di giovani donne a quelle di
maschietti ancora bambini. Temono quello che la madre sta per dire e che gi� sanno.
C'� freddo, nell'appartamento della casa di Rua Muro, in questo giorno di novembre,
il mese dei morti.
"Vostro padre non c'� pi�, e Dio solo sa quanto avremmo ancora avuto bisogno di
lui. Ma � cos�. Adesso dobbiamo tirare avanti con le nostre forze. Ormai siete
abbastanza grandi e dovete capire. Capite, vero?". Le otto teste fanno cenno di s�,
quasi senza piangere. Anche Olga non piange; intanto perch� non c'� tempo, e poi
perch� non ci sono soldi.
Fuori dalla finestra la nebbia si infittisce, in quella sera di guerra del 9
novembre del 1941. "Cerchiamo di stare uniti e di volerci bene", li congeda la
madre, e il piccolo gruppo familiare si scioglie per tornare alle consuete
incombenze. Cos� si conclude l'omelia funebre per Antonio Panini, l'ignaro
capostipite di una genia di industriali di importanza mondiale. Un male
diagnosticato, per mancanza di diagnosi, come "ulcera" se l'� portato via in poco
pi� di un mese dall'apparire dei primi sintomi.
Antonio aveva 44 anni e per quella sua non piccola famiglia aveva rinunciato ad
ogni velleit� della giovinezza adattandosi volentieri - non sappiamo quanto - a un
posto di famiglio all'Accademia Militare di Modena. Un buon posto, finalmente, dopo
i primi anni coniugali economicamente difficili, ai quali Olga si era adattata -
anche qui non sappiamo quanto - ma sperando in cuor suo, probabilmente, che le cose
prendessero poi un'altra piega, quella che effettivamente presero.
Come in ogni coppia bene assortita, Olga e Antonio erano profondamente diversi:
Capricorno lei, Ariete lui, dicono gli astri. Il padre di lei era un casaro, e
questo la poneva gi� in una posizione sociale abbastanza elevata rispetto a quella
di Antonio, ultimo di tredici figli, tutti sposati, moltiplicati e coabitanti nella
stessa casa paterna.
Era una razza prolifica, ingegnosa, amena e burlona, quella dei Panini; nel volgere
di poche generazioni lasci� la propria impronta genetica in ogni paese al di qua
della Via Emilia, anche su per la montagna. Olga avrebbe voluto studiare e complet�
le elementari fino alla sesta, non poco per una femmina nata all'inizio del secolo,
e con una pagella tutta otto, nove e dieci. Ma i soldi, anche per un casaro,
rimanevano scarsi, e poi non si poteva far studiare solo una figlia e gli altri sei
no. Olga, con grande dispiacere, smise e cominci� a fare la sarta, ma sempre le
rimase la passione per il leggere e lo scrivere; pi� tardi, nell'edicola di Corso
Duomo, avrebbe letto - in quel suo piccolo regno di carta stampata - e anche
composto brevi poesie in dialetto.
Dev'essere stato un grande amore, quello fra Olga Cuoghi e Antonio Panini, entrambi
di Pozza di Maranello; nel 1917, all'epoca del fidanzamento, lui - di tre quarti -
la scruta con sguardo ardente, la posa un po' scomposta, con ingenua seduzione. Del
resto, ha soltanto 20 anni e lei 17. Ma Olga, nonostante l'et�, fissa dritto per
dritto l'obiettivo del fotografo, non Antonio; � seduta composta per� non rigida,
una gamba accavallata, le mani incrociate su un ginocchio, ferma, concentrata.
Diversissimi in tutto, una compenetrazione da fare invidia. I figli erediteranno
questa commistione dei due differenti caratteri: concreti e creativi, pronti a
buttarsi ma con i piedi per terra, le macchine e le poesie, le cose e le parole.
Un anno prima di quell'immagine, nel 1916, Antonio viene chiamato alle armi; il pi�
grande vantaggio che ne ricava � quel brevetto di pilota che avrebbe poi incendiato
la fantasia del figlio Giuseppe, che sull'aviazione militare pionieristica, fino
alla prima guerra mondiale, ha costituito una delle sue collezioni.
Finisce la guerra ma non l'amore di Antonio per Olga, che la lontananza ha reso
ancora pi� incandescente. Lui le scrive, secondo un'abitudine che diventer� di
famiglia. Una lettera, in particolare, quella in cui le preannuncia l'imminente
congedo e il ritorno a casa, � spettacolare, non tanto per le parole - sono sempre
le "solite" di tutti gli innamorati del mondo - quanto perch� gliele scrive
all'interno del corpo delle lettere di una gigantesca parola "FINE", con una
soluzione che piacerebbe a un grafico del nostro tempo.
Appena quattro mesi dopo si sposano, e Olga gi� aspetta. Dal 9 febbraio 1921 all'8
ottobre 1931, a Pozza di Maranello, nella casa del patriarca Panini, mettono
insieme otto figli equamente distribuiti fra maschi e femmine i cui nomi
manifestano, con un crescendo fuor di discussione, il crescere della fede di
Antonio nel Fascismo: Veronica (1921), Norma (1922), Maria Luisa (1924), Giuseppe
(1925), Edda (1927), Benito (1928), Umberto (1930), Franco Cosimo (1931).
Nel 1932, forse perch� nella casa di Pozza ormai non ci si sta davvero pi�, si
trasferiscono al Pallamaglio di Maranello, il posto dei diseredati, un casermone
popolare di ringhiera, con le botteghe al pianterreno. Certo dev'essere un brusco
risveglio nella realt� per Olga, la figlia del casaro. In quegli anni oltretutto
Antonio � praticamente disoccupato, anche perch� non ha in mente altro che la
politica.
Si vanta di aver fatto la marcia su Roma, ma quasi sicuramente non � vero. Una
figlia racconta di aver saputo che fosse diventato fascista per ripicca, perch� i
"rossi" gli avevano incendiato una macchina agricola. Fatto sta che Antonio non fa
neanche carriera nel Partito Fascista, perch� forse bisogna avere quel pelo sullo
stomaco che ai Panini, gente bonaria, sembra difettare. E pensare che avrebbe tante
qualit� da mettere a frutto, non ultimo il fatto di essere, per quei tempi, quasi
un "laureato": ha la patente di guida per le automobili, per le macchine a vapore,
per i camion, il brevetto di pilota, parla anche un po' di francese. Ma sono tempi
difficili dove la cultura, di per s�, conta poco. Mentre Olga - accudendo i figli,
con la pancia costantemente piena - cuce per racimolare qualcosa, Antonio si limita
a fare nell'officina di famiglia qualche lavoretto occasionale che, con la sua
abilit�, riesce a concludere sempre pi� in fretta del previsto, per poter essere
pagato subito.
A met� degli anni '30 capisce che deve darsi da fare sul serio; trova lavoro a
Modena e va avanti e indietro tutti i giorni in bicicletta. Poi trova anche una
nuova casa per la famiglia, a Saliceta San Giuliano, pi� nelle vicinanze del
capoluogo, finch� non riesce a portare tutti in citt�, in una casa in pieno centro
storico, che allora � semplicemente "la" citt�.
La strada � Rua Muro, l'appartamento � grandissimo, ma i Panini possono
permettersene solo met�. L'altra met� va ad un'altra famiglia.
Per avere quella casa Antonio ha detto al proprietario di avere quattro figli e
infatti, i primi giorni, sono soltanto quattro i piccoli che vengono trasferiti l�;
gli altri restano a dormire da amici e parenti. Poi, un po' alla volta, alla
chetichella, vengono "immessi" anche gli ultimi quattro. Al padrone di casa,
naturalmente, non sfugge quell'andirivieni di bambini sempre diversi; prima li
scambia per amichetti di altre famiglie, poi capisce che non devono essere l�
soltanto in visita. Li agguanta uno ad uno: "Ma tu, di chi sei?". "Di Panini". "E
tu?". "Di Panini". "E tu?". "Di Panini". Arrivato all'ultimo, non deve neanche pi�
chiedere. Il bambino sussurra: "Di Panini...". Seccato oltre misura, il
proprietario va a cercare Panini per chiedergli una spiegazione, ma gi�
intenzionato a cacciarlo via: "Tu mi hai imbrogliato, perci� devi andartene. Mi hai
detto che avevi soltanto quattro figli...". E qui Antonio tira fuori lo spirito di
famiglia: "No, guardi, io non posso assolutamente andar via; ma vado a casa e
ammazzo quattro figli". La cosa finisce in una risata e i dieci Panini si radicano
in quella casa, che per sempre considereranno la casa di famiglia. Il lavoro di
Antonio all'Accademia Militare come famiglio (cos� viene chiamato il personale
civile) garantisce alla famiglia una relativa sicurezza economica e un relativo
prestigio sociale prima insperati. Cos�, bench� il tenore di vita rimanga modesto,
si riesce sempre a mangiare (anche perch� Olga continua a cucire).
L'ambizione � di arrivare a quota nove figli, come richiesto dal Duce per concedere
il sospirato sussidio familiare ma fors'anche per dare una dimostrazione pratica di
adesione ai valori della famiglia fascista. Olga e Antonio ci provano, tuttavia il
nono Panini non vuol saperne di unirsi ai fratelli. Niente sussidio, per� il Duce -
o chi per lui - si dichiara nel complesso soddisfatto ed Olga riceve la medaglia
d'oro in qualit� di "madre di famiglia numerosa" ("hanno diritto all'Impero i
popoli fecondi che hanno l'orgoglio e la volont� di propagare la loro razza").
Antonio, orgoglioso, fa immortalare la sua bella "famiglia italiana". L'immagine,
scattata poco tempo prima della sua morte, riassume lo spirito dei tempi: a
sinistra, Antonio in divisa da squadrista, le gambe un po' larghe, le mani sui
fianchi; Olga � alla sua destra, ma ben distaccata (il Partito non gradisce le
smancerie), con la divisa da massaia rurale (in realt� la giacca, da uomo, le �
stata prestata per l'occorrenza da un conoscente, impiegato all'Erario). Sempre
senza sorridere, esibisce anche la medaglia da massaia. Davanti a loro, gli otto
figli. Da sinistra: tre balilla (Franco, Umberto e Benito), un avanguardista
(Giuseppe), due giovani italiane (Edda e Maria), due giovani fasciste (Norma e
Veronica).
Per� il padre non � un fanatico, bens� una persona sensibile, che ai figli non
procura soltanto divise ma anche libri, ricordando una massima non a tutti nota:
"Uno zuccone � sempre uno zuccone". E, con implicito collegamento di idee: "Cercate
di non essere servitori degli altri".
Li educa con severit�, rigidamente, con il massimo rispetto dell'onest� e della
propriet� altrui. Una volta Benito trova qualche soldino per terra, caduto
probabilmente da una tasca. Dopo essersi azzuffato con l'amico che � con lui, per
decidere chi li abbia trovati per primo, li porta con aria trionfante al padre, che
lo sottopone a un vero e proprio interrogatorio. "Un'altra volta, se trovo
qualcosa, non la porto pi� a casa", piagnucola il bambino. D'altra parte, in quei
tempi non � che si trovi facilmente qualcosa per strada... I vicini di casa sono
delle persone non proprio raccomandabili e i loro figli dei ladruncoli; la
coabitazione � un vero peso morale, per i Panini, ma con quell'appartamento troppo
grande � indispensabile. Una porta divide quei due mondi, con ingressi
indipendenti. Giuseppe va al mercato con uno dei ragazzi dell'altra famiglia e ne
torna disgustato: il compagno faceva finta di farsi cadere qualcosa, poi appoggiava
la mano sul bancone e... "Non ci vado pi�, con quelli l�", dichiara Giuseppe ai
suoi.
I Panini crescono sani e belli; Norma diventa addirittura una campionessa di
atletica, vincendo gli 800 metri piani ai campionati regionali del 1938 e
classificandosi sesta a quelli italiani. Anche la sorella Veronica gareggia sui
campi di atletica. Franco Cosimo (che anch'io, come tutti i suoi familiari,
chiamer� d'ora in poi semplicemente Franco), ancora di nove anni, gonfia invece il
torace in una posa di gruppo alla colonia elioterapica-fluviale fascista di San
Damaso, alle porte di Modena. Nel 1940 Norma, ad appena 18 anni, sposa il dottor
Giulio Cesare Lolli, uno stimato agronomo. Tutto sembra andare per il meglio quando
all'improvviso, dopo aver finalmente ottenuto quegli assegni familiari ai quali
prima non aveva avuto diritto, Antonio muore.
3. La madre
Olga resta sola e da quel momento diventa "la madre". � la fine del 1941, sta
cominciando il secondo anno di guerra, � vedova, senza un soldo, senza lavoro, in
un mezzo appartamento in affitto, le restano sette figli quasi completamente a
carico; ed ha appena 41 anni.
L'Accademia Militare, impietosita, le procura un posto da sarta-tuttofare, che gi�
allevia un po' il panico iniziale; le due figlie pi� grandi si arrangiano come
possono, anche facendo lavori ai ferri per qualche negozio del centro, perch� non �
mica facile trovare qualcosa in quegli anni dolorosi per tutti. Edda, la quinta del
gruppo, ultima delle femmine ma prima dei tre maschietti, assume le redini del
governo domestico in assenza della madre al lavoro: bada ai fratelli minori, li
sorveglia, rassetta la casa, fa la spesa - come e quando pu� - e prepara da
mangiare. Ha dovuto smettere gli studi dopo la quinta elementare e per questo ha
pianto giorni interi, proprio come gi� era successo alla madre e anche al padre. La
maestra aveva tanto insistito con Antonio, l'aveva mandato a chiamare apposta: "Ma
questa � una bambina che dovete far venire a scuola!". Antonio, sconsolato, aveva
allargato le braccia e, scuotendo la testa, aveva mormorato: "Mi piacerebbe, ma non
ce la faccio".
Giuseppe, per fortuna, lavora alla Fiat come operaio, dopo una breve parentesi alla
Ferrari. Ha cominciato ancora prima che il padre morisse, ad appena quindici anni,
tanto che il padre gli aveva detto: "Il giorno che compi sedici anni, alla Fiat ti
passano a un grado superiore e guadagni di pi�". Invece, proprio lo stesso giorno
in cui Giuseppe aveva compiuto sedici anni, Antonio era morto; poche settimane
dopo, lo stesso Giuseppe si ammala gravemente ed � costretto a lasciare il lavoro
per sei mesi per andare a curarsi. Dopo la fine della guerra all'Accademia Militare
c'� l'epurazione e, di conseguenza, la situazione al suo interno cambia
radicalmente. Olga smette di lavorarvi e si dedica all'edicola, che sta cominciando
a decollare ed ha bisogno di qualcuno che se ne occupi in modo stabile nell'arco
della giornata. Da quel momento l'edicola diventa un tutt'uno con lei: ci resta
vent'anni, fino al 1965, quando essa verr� affittata e lei lascer� la casa di Rua
Muro per andare ad abitare sopra l'azienda Panini appena costruita in Via Emilio
Po, dall'altra parte della citt�. Ma fino a quel momento Olga "�" l'edicola: l�
riesce a trasferire il suo universo privato di affetti ed interessi. Circondata dai
figli, nel cuore della sua Modena, ad un passo da casa, Olga diventa - senza
accorgersene - un'istituzione cittadina. Da quella sua casina di carta stampata
piazzata in mezzo alla strada, questa donnina dall'aspetto gradevole riesce a
comunicare non solo con parenti, amici e conoscenti ma proprio con tutti quelli, e
sono sempre di pi�, che si fermano ad acquistare il giornale, anche con i pi�
frettolosi. La citt�, poi, in quegli anni � ancora integra e sana, gonfia di vita e
di progetti. Sotto il portico dell'edicola c'� persino un caff� che resta aperto
fino alle due di notte; l'edicola deve accontentarsi di chiudere "solo" alle
ventidue e trenta. Olga legge, si informa dai giornali e si informa dalle persone,
si interessa di tutto e di tutti, lascia i figli liberi di scegliere la vita che
vogliono ma vegliando sempre su di loro, da vicino o da lontano a seconda delle
circostanze, pronta ai loro richiami. Ma non � mai, assolutamente, oppressiva,
tanto meno per quei figli che la adorano e che la rispettano anche da adulti, come
si usava un tempo.
Quando Giuseppe � gi� un industriale affermato a livello mondiale, ed abita con la
propria famiglia sopra l'azienda, accanto all'appartamentino della madre, si
confida con Edda e le dice: "Stasera, quando torner� a casa tardi, far� piano cos�
non sveglier� la mamma", perch� Giuseppe era molto di compagnia e prima di
rincasare si fermava volentieri da questo e da quello. "Mi tolgo le scarpe, in
punta di piedi... Non sentir� niente". E al mattino: "Sei venuto a casa tardi, ieri
sera, eh?".
Sempre pronta a dare una mano, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non che
uno dicesse "tu devi fare questo, tu devi fare quello", si faceva quello che c'era
da fare. Anche quando i figli prendono il locale di Via Sant'Agata, a poche decine
di metri dall'edicola, da adibire a magazzino per la distribuzione dei giornali,
Olga d� il proprio contributo. In quel locale si comincia a lavorare pure sui
francobolli. Ecco Olga che prepara i francobolli, che li ritaglia dalle buste delle
lettere, che li mescola e li infila nelle bustine da vendere all'edicola.
E poi pi� tardi, negli uffici dell'azienda ed anche nel suo appartamento, eccola
ancora ritagliare altri francobolli dalle buste che i bambini spediscono a "zio
Giuseppe" per avere le figurine che occorrono per completare le collezioni. Siccome
il valore corrispettivo era in francobolli, vediamo Olga scrollare le buste con
ogni delicatezza, raccogliere i francobolli con cura e, per scrupolo, controllare
di nuovo - controluce - che dentro non ne sia rimasto neanche uno... Non aveva
dimenticato la lezione contadina, bench� ogni anno il fatturato raddoppiasse. Non
buttava via niente, controllava tutto, riutilizzava tutto quello che poteva.
Quello dei francobolli era diventato anche uno dei piaceri della sua vita: la sera,
a casa, anche negli anni del benessere, continuava a ritagliare francobolli da
buste di persone sconosciute, a staccarli meticolosamente e ad infilarli in altre
buste trasparenti. La sera, quando la figlia andava da lei, la trovava con una
bacinella piena d'acqua che lavava questi rettangoli colorati e poi li asciugava,
li infilava dentro alcuni vecchi fogli di giornale, li imbustava... ne preparava
pacchetti su pacchetti che, quando � morta, i figli hanno donato ai frati perch� li
rivendessero, secondo le sue volont�.
Aveva persino messo avanti delle collezioni di francobolli per i nipoti, che cos�
hanno ereditato anche loro una delle passioni di famiglia.
Non era una santa, ma una donna modenese di stampo antico, una "r�zdora", cio� la
"reggitrice di casa", quella che - in culture ancora pi� antiche - sarebbe potuta
essere la "grande cucitrice".
I figli la ricordano come una donna dolcissima, sempre sorridente, apparentemente
remissiva; per�, se doveva dire qualcosa a qualcuno, glielo diceva. L'attaccamento
che hanno per lei anche adesso, a tredici anni dalla morte, � straordinario. Sono
tutti d'accordo: � stata lei che ha tenuto unita la famiglia, lei che ha saputo
indirizzarli con la sola forza del suo esempio, lei - infine - la vera artefice
della loro fortuna.
Il microcosmo da lei creato e diretto obbediva ad un'unica regola fondamentale:
"Uno d� quello che pu� dare, senza che gli altri stiano con il dito puntato". Non
c'� mai stato niente che li abbia divisi perch� la madre aveva loro insegnato ad
andare d'accordo: tutti per uno, uno per tutti. E anche con gli estranei.
Olga non voleva che si litigasse con nessuno. L� in Rua Muro, in fondo al lungo
corridoio, nella parte di appartamento rimasta a loro era rimasto anche il bagno,
un modestissimo gabinetto la cui importanza era evidentemente notevole, per una
famiglia di dieci persone; quel gabinetto, essendo l'unico dell'appartamento,
doveva per� servire anche a quelli che abitavano dall'altra parte della leggera
divisoria, cio� a quei coinquilini che da subito, oltretutto, si erano distinti non
solo per la scarsa correttezza dei rapporti ma anche per l'irrequietezza dei
numerosi figli. Tutti, ogni volta, a passare per il corridoio, dentro la vita dei
Panini, per anni e anni e anni, ogni giorno, pi� volte al giorno e, probabilmente,
anche ogni notte. Ebbene, Olga - per tutto questo tempo - riusc� ad evitare ogni
discussione. Quando qualcuno dei suoi si lamentava, lei diceva: "Pensate a loro,
poveretti, che devono venire fin qua"...
La madre � sempre stata il fulcro, il punto di riferimento, inamovibile e salda:
una quercia, la defin� la figlia Edda, che da lei aveva ereditato la vena di
talento letterario, in una poesia dialettale a lei dedicata per uno degli ultimi
compleanni. E di sicuro non � frequente che, di fronte a tutto il parentado
riunito, una figlia declami alla madre parole come queste, che pur nella traduzione
in italiano non perdono nulla del loro fascino originario: "Mi piace guardare una
quercia quando � estate, con i suoi rami frondosi che le fanno da cappello. Ha
tanti anni ma sembra che non abbia et�; andandole vicino sento che vuol dirmi
qualcosa. Mi sembra che dica: "Non ero mica cos�, negli anni della mia prima
giovinezza; ero un rametto con poche foglie, che il vento sferzava come una
carezza". La guardo con un che di ammirazione, perch� � forte e grande: nella sua
maest� mi mette addosso una specie di soggezione insieme a un po' di familiarit�.
Mi viene spontaneo di fare un paragone: questa pianta a nostra Madre assomiglia. Ha
tanto sofferto e tanto ha fatto di bene che si merita di sicuro il Paradiso. Come
la quercia noi vogliamo che tu campi tanti anni: con il tuo esempio e con la tua
onest� tu sei il nostro perno, quello che ci tiene insieme e ti ringraziamo per
quello che ci hai donato".
La madre muore nel 1987, a 87 anni. Anche nel morire non fa tribolare: passa dal
sonno quotidiano a quello eterno senza avvisare nessuno. Edda scriver� ancora, ma
questa volta alla "quercia abbattuta": "Mamma, anni fa ti ho paragonata a una
quercia, una quercia maestosa che proteggeva; adesso quei grandi rami non fanno pi�
ombra, c'� rimasto il vuoto. Che smarrimento, i primi tempi! Per�, come la quercia
che non muore mai del tutto, cos� � stato per te. Quel vuoto tremendo non c'� pi�.
Se penso a quello che ci hai lasciato, il mio cuore � colmo di ricordi belli.
L'esempio che ci hai dato con la tua bont� e il tuo sapere ci ha aperto la strada
della vita. La grazia pi� grande, per�, � l'averti avuta come madre. Hai saputo
vivere finch�, in silenzio, hai chiuso la copertina del meraviglioso libro della
tua vita".
La citt� � deserta e silenziosa, non passa nessuno. La neve, che continua a cadere,
ha cancellato le strade, ma non riesce a fermare due ragazzi imbacuccati alla
bell'e meglio. Al termine del portico, addossata a una colonna, in prossimit� del
sagrato del Duomo pi� bianco della neve, c'� una piccola montagna da spalare: la
loro edicola.
� l� sotto, con le sue otto ante rettangolari alte e strette, tutte uguali, tutte
larghe appena 80 centimetri: ma quale sar� quella da aprire?
Umberto e Franco non lo sanno, non resta che provare. Armati di badile, quasi
ancora un gioco per i loro tredici e quattordici anni, tentano la sorte. "Sar�
questa?". "D�i, proviamo", e via a larghi colpi. "E se fosse questa?". Qualche
minuto e: "Neppure". Ne restano sei.
A distanza di cinquantacinque anni (era il 6 gennaio del 1945), Franco e Umberto
non ricordano pi� quale fosse esattamente l'anta giusta, ma alla fine riuscirono ad
entrare. L'interno era minuscolo, fornito di uno striminzito banchettino. Tanto,
non c'era niente da vendere. In quel difficilissimo ultimo inverno di guerra il
regime distribuiva i giornali razionati, e soltanto quelli di propaganda e locali;
pi� che altro arrivava "Il regime fascista" di Farinacci, che era molto legato ai
tedeschi che gli fornivano la carta e veniva da Cremona, poi c'era qualche copia de
"La Gazzetta dell'Emilia" e qualcuna, ancora pi� scarsa, de "Il Resto del Carlino",
che per� aveva soltanto la cronaca di Modena. Gli altri, quelli di Milano, non
arrivavano neppure, anche perch� i trasporti erano molto carenti. Eppure
quell'edicola fu la fortuna dei Panini, da l� ebbe inizio il loro impero
editoriale.
La compra, quasi per caso e dietro suggerimento dei familiari, la sorella Veronica,
che in quel periodo lavora come commessa dattilografa presso uno studio legale e
commerciale. L'avvocato per cui lavora Veronica ha un socio, che ha ereditato
questa edicola dalla propria donna di servizio. Veronica ha l'incarico di badare ai
conti ma, con la guerra, chi l'ha in gestione scappa senza pagare l'affitto, cos�
come scappano i modenesi che potrebbero comprare gli eventuali giornali. L'edicola,
quindi, � in perdita, quasi definitivamente chiusa; l'avvocato non � pi�
intenzionato a tenerla, perch� � pi� che altro una seccatura e basta. "Sai che cosa
devi fare?" suggerisce a Veronica. "Prendila tu. Mio figlio vuole una bicicletta,
tu gli dai i soldi e io ti do l'edicola. I soldi me li dai un po' alla volta,
quando li hai". Veronica ci pensa un po' su, perch� allora si faceva fatica anche a
tirar fuori i soldi per una bicicletta; si consulta con la madre e con i fratelli
poi, per un imperscrutabile disegno del destino, decide insieme con loro -
contrariamente a tutte le evidenze - di prenderla, soprattutto per i "ragazzi": un
piccolo, piccolissimo investimento che avrebbe cambiato la vita di tutti quanti e
che li avrebbe - tra l'altro - resi miliardari. Costa 6.000 lire pagate a rate.
Dell'apertura, quel giorno dell'Epifania entrato nelle leggende familiari, sono
incaricati i due fratelli che ancora frequentano le scuole medie (anche perch�
Franco, che gi� fa il garzone per un edicolante di Corso Canalchiaro, ha una certa
esperienza). Per i primi mesi l'edicola � affidata solo a Franco e ad Umberto, ma
dopo poco ci vanno pure Benito, la madre - quando, col dopoguerra, smette di
lavorare all'Accademia Militare - e la stessa Veronica, nei ritagli di tempo
libero; Edda bada alla casa, Norma � sposata e da tempo non vive pi� con loro,
Maria lavora altrove, cos� come Giuseppe (e, in seguito, anche Umberto).
Durante i primi mesi gli allarmi per i bombardamenti sono pi� numerosi delle copie
di giornali vendute; ogni volta Franco prende su la cassetta dei soldi e scappa a
proteggersi nell'Archivio Notarile che sta proprio l� di fronte, a rifugiarsi
all'interno del grande portone scuro, attraversando a gambe levate Corso Duomo
spazzato dalle prime raffiche. Certe volte i tedeschi parcheggiano i carri armati
sotto il portico, accanto all'edicola, anche loro per proteggersi.
Poi torna la primavera e, con essa, la pace. Lo sgabuzzino ottagonale comincia a
riempirsi di carta stampata, dapprima bianca e nera, ma ben presto anche a colori;
tanti titoli, che trovano posto a fatica sul tavolino esterno collocato sotto il
portico, su due cavalletti, sempre vuoto fino a pochi giorni prima. La gente �
avida di leggere, di conoscere, di riempirsi gli occhi e la testa di parole, di
idee, di opinioni, di notizie, dopo quel lungo inverno durato pi� di vent'anni.
La madre, quasi subito, si accorge che il vento � cambiato e che si comincia a
guadagnare. Raccoglie i figli e dice: "Adesso andiamo a guardarci dentro un po'
meglio". Lei non si interessa di politica: quando esce "L'Uomo Qualunque" di
Giannini, che gli altri edicolanti rifiutano anche per paura di ritorsioni
politiche, lo prende comunicando lapidaria: "Io non voglio interessarmi di
politica, io voglio vendere. Portatelo qui da me". E mentre in tanti vengono a
comprare "L'Uomo Qualunque" perch� ce l'ha solo lei, comprano anche altre cose;
esce in quel periodo, per esempio, "Il Candido". � guidata da una specie di
istinto, non � che faccia programmi precisi. Ma poi, si sa, da cosa nasce cosa. �
proprio quello che sostiene Olga: "Andiamo avanti di qui, che qualcosa salta
fuori". E infatti...
"Ma la sua iniziativa di acquistare e vendere "L'Uomo Qualunque" e "Il Candido" non
piacque ad alcuni gruppi di comunisti che venivano a sequestrare questi giornali
per andare a bruciarli in Piazza Grande, di fronte alla Porta dei Principi del
Duomo", ricorda Franco. "Due o tre volte sono venuti anche da noi. Allora una sera
noi quattro fratelli ci siamo armati di bastoni e abbiamo deciso di aspettarli. Non
potevamo farci portar via i giornali cos�, anche perch� comunque toccava a noi
pagarli. Il danno non era piccolo. Arriv� per� la mamma e ci mand� via: "Tutti a
casa, ci penso io". Aveva paura, giustamente, che potesse succedere qualcosa di
brutto. Noi naturalmente facemmo soltanto finta di andarcene, ma in realt� ci
appostammo dietro l'angolo, a poca distanza.
Quando quelli tornarono per sequestrare i giornali, la mamma - molto
tranquillamente - disse: "Adesso mi fate una ricevuta". Il capo della squadra,
preso alla sprovvista, non seppe cosa replicare; confabul� un po' con gli altri
poi, tutti insieme, si allontanarono, probabilmente per andare in cellula a
prendere ordini. Infatti poco dopo tornarono, presero i giornali e fecero la
ricevuta, sulla quale c'era scritto: "Abbiamo prelevato i giornali", l'indicazione
della quantit� e la firma del responsabile. Poi li bruciarono, come le altre volte.
Con questa ricevuta non solo ci facemmo rimborsare ma andammo anche a denunciare
l'accaduto, che non si ripet� pi�", conclude Franco ridendo.
Alla fine degli anni '40 i Panini, in sostituzione di quella prima edicola ormai
non adeguata alle nuove esigenze, ne costruiscono una nuova, alla quale ne
seguiranno altre tre o quattro fino a quella attuale, data poi in affitto dal 1965
ad altre persone.
"Nel 1945 l'edicola l'aprimmo io e Umberto", prosegue Franco. "Prima ancora, io
facevo il garzone per un edicolante di Corso Canalchiaro e avevo ormai una certa
pratica. In quel periodo io e Umberto andavamo anche a scuola; Benito aveva gi�
smesso e aveva cominciato a lavorare, inizialmente come garzone da un droghiere,
poi da un liutaio e, in seguito, anche presso un distributore di giornali. Era
senz'altro quello di noi che aveva maggiore esperienza di distribuzione. Giuseppe,
dopo essere stato alla Fiat, in quel periodo lavorava a Maranello, poi era andato
nei partigiani; lui non c'entra in questa prima fase. In seguito anche lui � venuto
all'edicola, ma � stato pi� tardi, sicuramente qualche tempo dopo la fine della
guerra. Per�, anche quando nel primo dopoguerra avevano il lavoro vicino a
Maranello, spesso Giuseppe e Umberto venivano lo stesso a Modena da noi. Quando
tornarono definitivamente, intorno al 1948-'49, Umberto apr� un'officina di
motociclette in Rua Muro.
Giuseppe invece si ammal�. Aveva cominciato a star male subito dopo la guerra e, in
seguito, a peregrinare fra vari ospedali: aveva la spondilite, cio� la tubercolosi
ossea. In un primo tempo non seppero diagnosticargliela e gli dissero,
semplicemente, che non aveva voglia di lavorare, ma in seguito la malattia si
manifest� in tutta la sua realt�. Le denutrizioni della guerra, insieme con una
caduta con la fisarmonica in spalla, probabilmente avevano acuito la cosa.
Inizialmente fu curato qui a Modena, dove gli fecero i primi gessi. Io dormivo
accanto a lui e di notte lo sentivo gemere. Poi fu ricoverato a Pietra Ligure e a
Cortina d'Ampezzo. Dal 1949 al 1953, pi� o meno, fu tanto malato da non potersi
muovere dal letto.
Rispetto all'azienda, l'importanza di noi fratelli � stata diversa a seconda del
momento storico e del ruolo assunto di conseguenza all'interno di essa da ognuno di
noi.
� stata come una staffetta: io ho sempre dato il merito a Giuseppe di avere portato
avanti questa iniziativa con coraggio, di aver saputo chiamare noi fratelli
cercando di stabilire fin dall'inizio delle posizioni precise e delle soluzioni
paritarie; avrebbe potuto dire: "Venite a lavorare con me, io sono il padrone, vi
pago bene", invece abbiamo creato quasi subito una societ� nella quale tutti noi
quattro fratelli eravamo soci alla pari. Negli ultimi anni per� lui era rimasto
molto legato soprattutto a Modena: viveva nella citt�, con la citt�, e nella citt�
riceveva e dava gratificazioni, mentre io cercavo costantemente di "uscire", di far
progredire l'azienda specialmente a livello internazionale.
La societ� vera e propria fu costituita non immediatamente, anche perch� io allora
lavoravo in banca e Umberto era in Venezuela (io ho lavorato in banca dal 1953 al
'63, mentre Umberto � stato via dal 1957 al '64). Quando terminavo l'orario in
banca, andavo anch'io a dare una mano, non tanto all'edicola quanto all'agenzia di
distribuzione.
Le sedi dell'agenzia di distribuzione dei giornali sono state tre: in Via
Sant'Agata, in Via Caselline e in Via Castelmaraldo. La prima fu aperta quando
nacque l'agenzia, cio� a met� degli anni '50. L� inizi� la distribuzione della
"Gazzetta dello Sport", che comunque era gi� cominciata qualche mese prima -
intorno al 1953 - anche se per� allora la vendevamo in edicola. Era Benito che se
ne occupava.
Era successo che i vertici della "Gazzetta dello Sport" avevano litigato con il
loro distributore su Modena e provincia, ma non potevano rivolgersi all'altro
presente sul territorio perch� era quello che distribuiva "Stadio", che
rappresentava la concorrenza. Allora Mario Morselli, il corrispondente di Modena
della "Gazzetta dello Sport", propose che potessimo farlo noi. La distribuzione dei
giornali nacque quindi in maniera quasi casuale.
Ben presto cercammo di affiancare alla vendita della "Gazzetta" quella di altri
prodotti di distributori nazionali che affidavano a noi la diffusione sulla
provincia, comprese figurine di altri editori, perch� le figurine non le abbiamo
mica inventate noi". Esse, infatti, nelle edicole italiane erano gi� in
circolazione - con il relativo album - fin dal 1950. In realt� si trattava di una
ripresa, che fu particolarmente notevole in Italia e Germania. Fior� dopo la
decadenza che le figurine, gi� in crisi all'avvento della prima guerra mondiale,
avevano sub�to nei decenni successivi. A partire dal 1950, che a tutti gli effetti
pu� essere considerata la data di nascita della figurina moderna, diventa comune il
sistema di vendere, assieme alle figurine, l'album originale corredato da ricche
didascalie. Altra caratteristica tipica � la tendenza a pubblicare serie costituite
da numerosi pezzi, in genere pi� di duecento. Ma, soprattutto, le figurine si sono
ormai completamente svincolate dal legame con la pubblicit� e con i concorsi e
stanno sempre pi� acquisendo una propria autonomia di mercato, anche se
inizialmente i risultati commerciali sono molto modesti. "Accanto alle figurine
avevamo poi anche una serie di altre riviste che di solito erano un po' gli scarti
degli altri distributori", prosegue Franco. "Con quelle i miei fratelli
cominciarono a fare una serie di prodotti di recupero, che successivamente furono
distribuiti a livello regionale e qualche volta anche addirittura nazionale. Fu
necessario a un certo punto avere una vera e propria sede per la distribuzione,
perch� il giro di lavoro stava cominciando a ingrossarsi (della distribuzione
continuava a occuparsi Benito, che andava alla Stazione delle Corriere a portare i
pacchi per le localit� di provincia; in seguito si occup�, anche direttamente,
della distribuzione delle buste-sorpresa).
Intorno al 1958 ci trasferimmo in Via Caselline e, nel 1959, in Via Castelmaraldo,
dapprima soltanto nelle cantine poi, quando entrai anch'io con una presenza sempre
pi� significativa, prendemmo in affitto pure un appartamento al primo piano, nel
cortile di fronte, dove sistemai l'amministrazione. La nostra idea, comunque, fino
a quel momento fu soprattutto quella della distribuzione.
A partire dalla fine degli anni '50 assunse una certa importanza anche l'iniziativa
delle buste-sorpresa. Praticamente i miei fratelli acquistavano da alcuni editori
dei lotti invenduti di giornalini, libri gialli, fotoromanzi o cose simili, ne
mettevano insieme loro stessi due o tre e li vendevano, raccolti all'interno di una
busta dentro la quale infilavano anche un gingillino, l'equivalente di un piccolo
gadget di oggi. Sulla busta c'era un talloncino con la scritta del valore
commerciale del materiale contenuto all'interno (per esempio: "2 gialli, totale �.
80") sbarrato e sostituito dal prezzo scontato ("2 gialli, totale �. 30").
La faccenda della raccolta dei fiori and� cos�: avvenne quando eravamo ancora in
Via Caselline. Giuseppe acquist� una partita di queste bustine vecchie per cercare,
anche in questo caso, di farne una vendita di recupero. Fu per� una cosa
fallimentare: Giuseppe firm� un mucchio di cambiali e poi non riusc� a vendere.
Aveva chiesto in giro dei soldi in prestito, gliene avevamo dati anch'io e la
mamma: fu un mezzo disastro. Era proprio il soggetto che era sbagliato. Il lotto
era molto consistente, credo di un milione e mezzo o due milioni di bustine, per
tre, quattro o forse anche cinque milioni che lui non aveva, pensando di poterle
vendere e recuperare e invece... Un grande successo fu "Italia '61", uscita nel
1960. Fu un successo nazionale, con figurine di altri editori che per� diede dei
vantaggi anche a noi perch� - almeno a livello provinciale - ne avevamo la
distribuzione. Contemporaneamente Giuseppe, nell'autunno del 1960, compr� a Milano
delle figurine di calciatori, ne mise quattro dentro una bustina aggiungendo, ogni
tanto, anche una figurina speciale chiamata "valida" (100 valide davano diritto a
un pallone di cuoio). Ci accorgemmo soltanto in seguito che ci� era assolutamente
illegale, perch� sarebbe stato necessario avere un'autorizzazione del tribunale, ma
noi non ne eravamo affatto al corrente e nessuno, del resto, ce lo fece notare.
Questo per dire che si trattava di una cosa completamente nuova da ogni punto di
vista.
Questa raccolta dei calciatori funzion� molto bene e riusc� a far superare il
problema dei fiori e a far capire che bisognava insistere. Anche le figurine dei
calciatori di "Italia '61" erano stampate altrove (da una societ� di Milano), ma il
nome dell'editore non era neppure scritto, anzi, facemmo scrivere "Edizioni
Fratelli Panini". Era una serie con poche figurine, soltanto cento o duecento,
senza sistematicit�, tant'� vero che non c'era neppure l'album. Venivano vendute in
bustine, ma completamente scollegate le une dalle altre. Non si trattava di una
novit�, perch� le figurine dei calciatori erano vendute gi� anche negli anni '50,
per� allora non c'era ancora il boom del calcio.
Nell'autunno del '61 Giuseppe venne a casa mia e mi disse: "Voglio mettermi a fare
figurine anch'io, perch� se ci sono le figurine vuol dire che c'� qualcuno che le
fa, e se c'� qualcuno che le fa vuol dire che si possono fare... Insomma, andiamo a
vedere come si pu� fare". "Va bene, allora ti do una mano", risposi. Cos�, nel
tempo libero che mi restava dalla banca, e soprattutto il sabato, andavamo in giro
io e lui con la foto di Bolchi in tasca (Bruno Bolchi era un giocatore dell'Inter;
facevamo vedere la sua foto perch� era l'unica di cui disponevamo). Di sabato in
sabato, sempre con Bolchi. Il primo sabato andammo da Sirio Cattani, titolare della
Tipografia Mantovani di Modena. Gli facemmo vedere delle figurine ma lui ci ferm�
subito: "No, queste sono stampate in litografia". "C'� un litografo, allora?", gli
chiedemmo. Ci voleva la stampa litografica; addirittura si sentiva parlare di off-
set, che per noi era arabo. "S�, c'� il litografo che si chiama Bertolini". Andammo
da Bertolini, che ci conferm�: "S�, s�, queste cose qui sono il mio lavoro, per�
bisogna fare il fotolito". "E che cos'� il fotolito?", chiedemmo. "� la separazione
dei colori" e ci spieg� il procedimento. "E a Modena ce ne sono che lo fanno?".
"No, a Modena non c'� nessuno, dovete andare a Bologna o da Badolati a Parma".
"Secondo lei, chi � il migliore?". "Ma, io lavoro bene con Badolati". Cos� il
sabato successivo, quando la banca era chiusa, andammo a Parma.
A Badolati rivolgemmo la solita domanda, facendogli vedere la fotografia di Bolchi,
bella grande in bianco e nero, e una figurina a colori, una accanto all'altra: "Da
una fotografia come questa, in bianco e nero, si pu� ricavare una figurina a
colori?". "S�, perbacco. Venite sabato prossimo e vi faccio vedere". Il sabato
successivo ci mostr� la figurina di Bolchi a colori, esattamente come la volevamo,
e allora ci dicemmo: "Ci siamo".
Avevamo tutto quello che ci serviva: sapevamo dove prendere le fotografie perch�
avevamo questo buon rapporto con la "Gazzetta dello Sport" e con l'agenzia
fotografica Olympia, specializzata in servizi e materiali sportivi, che lavorava
per questo giornale e che stava nello stesso cortile in Via Galilei a Milano, la
quale ci avrebbe fornito le foto che ci servivano (grazie soprattutto alla
collaborazione dei loro fotografi Chiarini e Liverani); le fotolito le facevamo a
Parma; la stampa a Modena, con Bertolini.
Stampammo cos� il primo foglio di figurine, in formato 50x70: ci stavano
esattamente 90 figurine. Per l'album inizialmente andammo a Milano e lo facemmo
stampare alla stamperia Giola, perch� allora a Modena non c'erano i mezzi.
Successivamente entr� nella vicenda anche il tipografo Paolo Artioli, allertato da
Bertolini che gi� lavorava per lui. Artioli, che aveva spirito imprenditoriale,
afferr� subito l'importanza della cosa. Quando vide che il lavoro cresceva con una
spinta inarrestabile, impiant� con Bertolini una litografia che prese il nome di
Arbe, dalle prime sillabe congiunte dei loro cognomi. La prima raccolta stampata da
noi stessi fu quella del calcio '61-'62. Quella dell'anno precedente, come gi�
detto, anche se recava il nostro nome non era stata stampata da noi, perch� solo
pochi mesi prima non avevamo ancora neanche concepito di poter fare una cosa
simile".
Cos� Franco; ma chi potrebbe raccontarci ancora meglio quello che � successo era
Giuseppe, che purtroppo non c'� pi�. I personaggi di questa storia, infatti, sono
tanti; ognuno per� non l'ha vissuta tutta ma soltanto in parte, in una parte che �
stata - a seconda dei ruoli, dell'epoca e delle circostanze - pi� o meno lunga e
significativa. La mia difficolt� maggiore � questa: cercare, raccogliere,
ricomporre, far combaciare, incollare i frammenti. In questa mia ricerca, un
giorno, vengo premiata da un insperato colpo di fortuna: la tesi di laurea in
scienze politiche di Luca Ferri, gi� responsabile dei settori informatici delle
Edizioni Panini. Sfogliando il suo lavoro dal titolo molto bello ("Figurina e
infanzia perenne: storia di un'industria"), spunta un fiore dal deserto:
un'intervista che Ferri fece a Giuseppe nel '96, qualche tempo prima che morisse. E
in quell'intervista Giuseppe ricostruiva, con le proprie parole registrate e
trascritte dall'interlocutore, la storia della "sua" Panini, impreziosita con altre
rade parole che lui stesso aveva lasciato scritte presso la locale Camera di
Commercio, quando ne era presidente. Eccole.
"Quarto di otto fratelli, sono nato a Maranello il 9 novembre 1925. Ben presto per�
ci siamo trasferiti a Modena. Essendo in tanti, bisognava darsi da fare per
campare, perci� sono entrato presto nel mondo del lavoro: conseguita la licenza di
avviamento professionale presso l'Istituto "Fermo Corni", sono stato assunto
dapprima come operaio alla Ferrari e, dopo un anno, alla Oci Fiat dove, con la
qualifica di tornitore, sono rimasto fino al 1943.
A guerra finita, ho aperto con mio fratello Umberto una piccola officina nei pressi
del paese natale, a Maranello, ma gi� dal gennaio 1945 la famiglia aveva acquistato
un'edicola di giornali a Modena, in Corso Duomo. Ed � proprio l�, sotto i portici,
che � avvenuto il mio incontro con le figurine. Nel 1947 sono stato costretto a
chiudere l'officina a causa di una malattia alla colonna vertebrale. Ma con
l'edicola, per fortuna, abbiamo mangiato la minestra tutti i giorni; per� eravamo
in tanti e, avendo notato la facilit� di vendita sia dei libri gialli, prezzati a
duecento lire, sia della bassa editoria in busta sorpresa, un bel giorno decido di
provarci anch'io. � andata cos�: io ero purtroppo ricoverato in ospedale per un
problema alla spina dorsale. Viene a trovarmi mio fratello Benito con un amico e mi
comunica: "� successa una cosa incredibile, hanno buttato la "Gazzetta dello Sport"
in mezzo alla strada, a Modena non c'� pi� nessuno che la distribuisca!". Mi
racconta anche che Mario Morselli, il giornalista corrispondente della "Gazzetta
dello Sport" che era anche il droghiere di Piazza Grande, aveva indicato
all'ispettore del giornale la nostra edicola, suggerendogli: "Vai l�; ci sono tanti
fratelli, probabilmente qualcuno pu� interessarsi della distribuzione". Ci penso un
po' su e alla prima telefonata di mio fratello gli dico: "Prendila subito, non
stare neanche a discutere. Quando arrivo a casa ci daremo da fare".
Infatti, dopo essere tornato a Modena, nel 1956 avvio con Benito una piccola
agenzia di distribuzione di giornali, riviste, libri e figurine. Cominciamo con la
"Gazzetta di Modena" e, naturalmente, con la "Gazzetta dello Sport", poi ben presto
ci allarghiamo anche ad altri. Ma da un punto di vista prettamente economico non
era ancora sufficiente e quindi continuiamo a darci da fare, cominciando a
rifornire l'edicola di piccoli accessori come "Le favole favole", che erano album
da disegnare.
A questo punto nasce l'idea delle bustone sorpresa. Pensai a questo: il "Corriere
della Sera" di ieri oggi non serve pi� a niente, invece un libro giallo anche di
due anni fa, per una persona che non l'abbia mai letto, � sempre nuovo. Ci mettiamo
quindi a imbustare fotoromanzi, albumetti per ragazzi e tutto ci� che non aveva una
vera e propria scadenza, compresi anche dei resi di figurine che mi capita
casualmente di acquistare dall'editore Nannina di Milano: erano delle raccolte
invendute che inserisco in una busta assieme a un palloncino.
L'operazione ha successo tant'� che non riesco a star dietro alle richieste. Ora
non so se la signora Nannina sia ancora in vita, ma mi ricordo quanto mi ringrazi�,
perch� in pratica le tenevo dietro l'azienda, avendo trovato il modo di vendere
tutte le loro figurine. L'unico disastro che ricordo � quello di una raccolta del
1958 dedicata ai fiori e alle piante; quella fu l'unica volta nella mia vita che
firmai delle cambiali per pagare dei debiti.
Nel 1960 la Nannina va in stampa con le figurine dei calciatori, senza nessun album
allegato e di qualit� piuttosto scadente: � il boom". Particolare curioso: queste
figurine, che costituiscono la collezione intitolata "Gol" dalla quale ha inizio
l'ascesa imprenditoriale delle figurine Panini, sono stampate in un primo momento,
come ricorda altrove lo stesso Giuseppe, "anche in formato pi� grande cartonate e
vendute senza album". Ma il successo � scarso e quindi, dopo una prima
distribuzione, la Nannina cerca di potenziarne la diffusione abbinandole ad un
album di formato adeguato, cio� molto grande. In questo album gigante i giocatori
sono ordinati non in base alla squadra di appartenenza, come sar� nelle successive
figurine Panini, ma secondo il ruolo; inoltre non c'� pari dignit� fra le squadre,
come invece sempre cureranno di fare i Panini, dato che quelle maggiori hanno un
numero di figurine superiore a quello delle altre.
In seguito la Nannina ritorna al formato abituale, quello pi� piccolo, ricavato
dagli stessi originali della serie gigante. Stessa cosa fa con l'album. � allora
che intervengono Giuseppe e Benito, che commissionano alla Nannina una nuova
tiratura di figurine giganti cartonate ma con un retro diverso (stampa in nero
rispetto all'originale verde e maggiore asciuttezza grafica) e senza l'album. Per
queste figurine ordinano poi delle apposite bustine alla Isa (Industrie Sacchetti &
Affini) di Bologna, le imbustano in proprio
e... partono verso il successo. "Tutte le settimane arriva un camion di fogli
interi che provvedo a tagliare appoggiandomi a un tipografo, per poi mescolare
tutte le figurine con la zangola", prosegue Giuseppe nel suo racconto
autobiografico.
"L'idea della zangola mi viene in mente guardando la ruota che contiene i numeri
del lotto e che � perfetta per la mescola delle figurine. La zangola � molto simile
a una palla da rugby ruotante intorno a un asse centrale orizzontale, che poggia su
due cavalletti. Girando, mescola circa 10.000 figurine. Uno dei miei mescolatori
era uno studente universitario che si era fatto un telaio da ciclista e che, mentre
studiava, non solo pedalava 15 giri avanti e 15 indietro, come gli avevo
prescritto, ma - troppo concentrato nello studio - stava fermo delle mezze ore e
pedalava in senso contrario; insomma, era una vera e propria mescolatura.
Una volta mescolate, porto le figurine direttamente a casa. Le portavo a casa delle
persone che imbustavano per me a domicilio; ho coinvolto persino i carcerati,
nonch� gli istituti di orfanelli e i vecchietti del ricovero. Addirittura la Suora
e il Direttore del vecchio ricovero di Modena mi dicevano: "Voi non avete mica
un'idea del bene che fate a dare le figurine da imbustare, perch� adesso chi si
comporta bene viene messo a imbustare e prende dei soldi e chi non si comporta bene
non viene messo a imbustare e, di conseguenza, niente soldi".
Mi raccontavano che c'era chi si alzava al mattino pieno di entusiasmo per andare a
imbustare, perch� poi quando venivano i figli a trovarli non avevano bisogno di
chiedergli dei soldi. Con quello che guadagnavano si compravano il loro sigaro, il
loro bicchierino o, semplicemente, avevano qualche soldo in tasca. La tariffa era
di 35 centesimi l'ora. Insomma, si sentivano indipendenti e rimanere sei, sette ore
a imbustare figurine gli garantiva l'autonomia. Inoltre gli infermieri dicevano che
attraverso le figurine riuscivano a far diventare i loro anziani ospiti pi�
ordinati e pi� puntuali, anche con la minaccia di non dargli pi� il permesso di
imbustare.
L'operazione di imbustatura consiste nel prendere le figurine e nel metterle a
mucchietti di 4 in ogni bustina, che altro non erano a quei tempi che dei piccoli
sacchettini chiusi con un po' di colla. Parte del successo delle figurine � infatti
legato alla formula: album+bustina+figurina. Era un trinomio sconosciuto prima
degli anni '50, quando chi voleva delle figurine andava in edicola a comprare delle
fascette, fatte con della velina, che contenevano le figurine, oppure comprava dei
prodotti, ad esempio quelli della Liebig, e trovava delle bustine o dei buoni; la
figurina era pi� un mezzo promozionale che un prodotto a se stante.
Nel 1961, nel magazzino sito adesso in Via Castelmaraldo, esce la mia prima
raccolta, intendo dire prodotta direttamente e non semplicemente acquistata:
"Calciatori 1961-'62". Porta il marchio "Edizioni Panini" ed � dedicata al
campionato di calcio.
Ho cominciato senza avere la minima idea di come si faceva a produrre una raccolta
di figurine. Mi ricordo ancora che, mentre andavo su per le scale, pensai: "Se ci
sono delle figurine vuole dire che c'� qualcuno che le fa, e se c'� qualcuno che le
fa perch� non le posso fare io?".
Da qui inizio a interessarmi alla cosa e comincio andando a vedere quello che fanno
gli altri. Poi, distribuendo la "Gazzetta dello Sport", provo a sfruttare le mie
conoscenze nell'ambiente giornalistico-sportivo e riesco ad avere accesso alla loro
agenzia fotografica e, di conseguenza, a tutte le foto dei calciatori. Acquisto
cos� le fotografie per poi farle ritoccare, perch� vanno pubblicate a colori,
mentre quelle sono in bianco e nero. Le porto quindi da un tipografo e poi dagli
stampatori che trasformano a colori, sempre manualmente, la foto in bianco e nero.
Molte volte per� manca la squadra completa e abbiamo solo quattro o cinque
giocatori, come nel caso del Parma. Ci procuriamo allora delle fototessere dei
giocatori disegnandoci sopra la divisa ufficiale; spesso utilizziamo il busto di un
giocatore particolare anche per parecchi altri (i ritoccatori a volte li usavamo
anche per fare le figurine, come scherzo, agli amici che si sposavano). Nella prima
raccolta � quindi molto facile trovare lo stesso busto sotto la testa di giocatori
diversi; � successo sicuramente per Corso e Rivera. � un'operazione tutt'altro che
facile, non tanto per fare diventare bianconera e neroazzurra una maglia rossonera
quanto per riuscire a mantenere diritte le strisce del nero.
Della prima raccolta, quella dei Nannina, vengono vendute circa 3 milioni di
bustine a 10 lire cadauna, ottenendo un guadagno di circa 10 milioni, che sono
quelli che mi permettono di avviare tutta la macchina industriale; 10 milioni nel
1960 sono una cifra. Il successo poi continua e, nel 1961, il guadagno tocca i 15
milioni per arrivare a 29 l'anno seguente; nel 1963 abbiamo il capitale per
comprare un terreno e iniziare a costruire un nuovo insediamento industriale. Esso
diventa operativo in parte gi� nel 1964 e definitivamente nel 1965.
Nel 1963 fondo la societ� Edizioni Panini, che � rimasta fino al 1988 un'azienda
tipicamente familiare e che, a partire dal 1970, ha un export crescente che
raggiunge livelli elevatissimi. Nel 1988 la famiglia Panini cede la propriet�
dell'azienda della quale, comunque, rimango presidente onorario.
I nostri risultati li abbiamo ottenuti con un prodotto che pu� considerarsi non
proprio stagionale, ma senz'altro legato a precise scadenze. La "Gazzetta dello
Sport", infatti, che sulla scorta delle mie chiacchierate fece uscire una raccolta
sul ciclismo, prest� poca attenzione al periodo e fu un flop. Il ciclismo � uno
sport estivo e in estate le scuole sono chiuse. Se le scuole sono chiuse le
figurine non si vendono perch� in agosto, a Rimini, in spiaggia, le figurine non le
vogliono neanche a spingerle.
Le figurine hanno una loro stagione. Io uscivo e distribuivo sempre le figurine tra
Natale e l'Epifania di modo che, il giorno 7, quando riaprivano le scuole, tutta
l'Italia fosse servita.
Ci sono delle ragioni a sostegno di queste scadenze, perch� una raccolta che esce
nel mese di ottobre ha, al massimo, un mese di vita. Il Natale, con le sue vacanze
scolastiche, interrompe tutte le iniziative anche da un punto di vista psicologico,
e non bisogna dimenticare che si comincia a pensare al Natale dal 5 o 10 dicembre.
Da quella data in poi si pensa solo al Natale e tutte le altre cose vanno nel
dimenticatoio; � difficile che una raccolta uscita in ottobre riprenda le vendite
in gennaio. Infatti, se si ricomincia a uscire in gennaio i bambini, che tornano a
scuola pervasi da un'ansia e da una voglia di qualcosa di nuovo, percepiscono la
stessa raccolta di figurine uscita a ottobre o novembre come qualcosa di vecchio.
Anche il calcio segue la stessa teoria e quindi i miei concorrenti si buttavano
sull'autunno perch� sapevano che noi non saremmo usciti comunque, indipendentemente
dal soggetto. La raccolta che usciva il 7 gennaio aveva sempre successo e il nostro
album era sempre il pi� ricco di notizie e la figurina sempre la pi� curata. Di
questo se n'erano accorti anche i distributori, che aspettavano le collezioni
Panini, certi di un sicuro e consistente guadagno. La concorrenza c'era, perch� la
Panini non era la pi� vecchia casa editrice di figurine; tale primato spettava alla
Euroflash, discendente delle Edizioni Lampo, gi� attiva nel 1955 nel campo degli
inchiostri. In quell'anno la Lampo inizia anche a stampare, mediante l'utilizzo di
una macchinetta a manovella di propria fabbricazione, raccolte per conto terzi.
Poi, resasi conto del potenziale mercato, verso il 1958-'59 esce con il proprio
marchio, precedendoci di qualche anno, anche se per la Lampo la produzione di
figurine rimane qualcosa di secondario e questo � confermato dalla mancanza di
regolarit� dell'uscita delle raccolte. Se escludiamo questa casa editrice, per�,
non mi ricordo di concorrenti di qualche rilevanza.
Quando iniziammo, tuttavia, cercammo quasi subito di dar vita anche ad alcune
iniziative promozionali come, per esempio, quella delle "valide". Verso la fine
degli anni '40 il governo aveva preso posizione sul commercio delle figurine a
causa del concetto di figurina rara. Le persone comperavano i prodotti che
contenevano le figurine legate alla vincita di grossi premi, per vincere i quali
era sufficiente trovare una figurina particolare. Possiamo dire che l'Antitrust era
gi� in azione e si decise, al fine di evitare concentrazione d'acquisto su
particolari prodotti, di proibire quel tipo di concorsi; tale vincolo � tuttora
esistente. In conclusione, non si pu� assegnare un premio legato alla figurina,
mentre si possono invece usare le figurine per accumulare punti per poi ricevere un
omaggio.
Pensammo allora di inserire nelle nostre raccolte delle figurine con la scritta
"valida", cosa nuova per l'epoca, stampata sul retro delle figurine vere e proprie.
Raccogliendone circa un centinaio si poteva richiedere la maglietta della squadra
del cuore, un paio di scarpe da calcio o un pallone. Il fatto della stampigliatura
sul retro di una figurina normale dava la possibilit� del doppio utilizzo della
figurina stessa: attaccarla all'album o conservarla come valida ed eventualmente
fornire valore aggiunto negli scambi con gli amici.
Ma, da un punto di vista industriale, la prima innovazione che ci permise di fare
un salto di qualit� nella produzione delle nostre raccolte fu senz'altro quella
relativa alla fase dell'imbustatura, oltre a tutte le altre riguardanti stampa e
mescola. Per fare le bustine, dopo tre anni di attivit�, mi rifornivo da tre
sacchettifici che cominciavano a segnare il passo rispetto alla mia capacit� di
produzione, del resto ancora inferiore alla domanda.
A quei tempi avrei potuto produrre, anche a mano, un milione di bustine di figurine
al giorno ed era un numero enorme, ma i tre sacchettifici non sarebbero riusciti a
fornirmi quotidianamente un milione di bustine.
Sul fronte della stampa le cose andavano meglio, avendo sottoscritto un contratto
con il mio stampatore di Modena. Avevo dato a lui l'incarico, lasciandolo libero di
subappaltare l'attivit� di stampa ad altri colleghi stampatori, fossero essi di
Parma, Cremona o Bologna. "A me non importa niente", gli avevo detto. "Il contratto
lo faccio con te. Puoi scaricare le fatiche a chi ti pare, basta che tu sia
puntuale nelle consegne e nel lavoro". Era la tipografia Bertolini di Modena e
questo � stato gi� un grosso aiuto.
Poi le figurine stampate venivano restituite alla nostra azienda che aveva preso
degli scantinati nel centro di Modena, dove purtroppo si lavorava in collaborazione
con i topi, per effettuare la mescola, non pi� affidata agli studenti. Avevamo un
centinaio di famiglie che lavoravano a domicilio e c'erano tre o quattro ragazzi
che portavano fuori le figurine e giravano per la "confezionata", cio� per
l'imbustatura. Noi poi controllavamo, ogni tanto, qualche bustina qua e l� per
vedere se erano fatte bene, perch� c'era qualche confezionatore che, invece di
mettere quattro figurine, ne metteva tre. E, se si sbagliava, si sbagliava apposta,
perch� poi c'era qualche giornalaio che si vedeva offrire delle bustine a met�
prezzo. Questo poteva succedere perch� noi contavamo le figurine da imbustare e non
i sacchettini necessari al confezionamento, cio� le bustine.
Quindi l'ideazione e la realizzazione delle Fifimatic ha rappresentato per noi un
grosso passo avanti, permettendoci di automatizzare una delle fasi pi� dispendiose
- da un punto di vista di organizzazione del lavoro - e di eliminare le bustine
pirata. Anche se queste ultime, in realt�, erano una piccolissima percentuale,
praticamente ignorabile, se escludiamo un discorso di principio.
Infatti le Fifimatic permettono il confezionamento automatico delle bustine,
sfruttando un sistema di chiusura particolare che, attraverso un leggero strato di
collante, consente di saldare a freddo le due parti della bustina, dopo aver
inserito le figurine all'interno. Ma � molto pi� semplice capire la macchina
osservandola al lavoro che non attraverso le mie parole". Parole che, purtroppo,
furono anche le uniche e le sole. A questa intervista, del 3 ottobre 1996, ne
sarebbero dovute seguire altre, secondo una ben precisa scaletta. Ma non ci fu pi�
tempo: Giuseppe mor� esattamente quindici giorni dopo.
Essere ragazzi durante la guerra non � facile e neppure bello. "Sono cose che non
si possono raccontare perch� non ti credono neanche", dice Veronica.
Per un certo periodo lei va ad aiutare uno che macella clandestinamente fuori
Modena, a Villanova. Nel taglio � bravo, per� non sa n� pesare n� fare i conti cos�
ci pensa Veronica, che in cambio si porta a casa un po' di preziosissima carne. Una
volta le dice: "Signorina, se viene marted� dopo pranzo ho un bue da ammazzare".
Lei naturalmente si precipita ma, non appena arriva, l'uomo le annuncia sconsolato:
"Me l'hanno portato via". Dopo averlo macellato, l'aveva lasciato appeso
all'interno di una baracca in mezzo a un campo, ma di notte l'avevano preso.
Veronica capisce che la cosa pu� diventare pericolosa e, a malincuore, smette di
andare a Villanova. Ci andava in bicicletta, avanti e indietro per tanti
chilometri, con quella carne proibita nascosta in una vecchia borsa; una volta,
dentro le buche dei bombardamenti, for� prima una poi l'altra gomma e prosegu� per
ore in un qualche modo, durante il coprifuoco, dopo essersi tolta le scarpe per
poter spingere meglio sui pedali.
Edda, la piccola "r�zdora", compra un finocchio e ci mangiano in otto, in nove; non
c'era nient'altro, eppure non si ricordano di aver mai patito la fame. Mette a
bollire dell'acqua con dei fagioli e ci butta dentro quello che trova, rievoca
adesso con un po' di stupore.
I Panini sanno accontentarsi e dividersi in parti uguali, senza litigare, anche
quello che non c'�. Anzi, Giuseppe e Umberto spesso invitano a cena amici
addirittura pi� sfortunati di loro. Lo dice sempre anche la madre: "Non state a
guardare chi ha molto. Voltatevi indietro, c'� anche chi sta peggio". Cos�, nel
mezzo appartamento di Rua Muro non ci sono soltanto Olga e i ragazzi ma anche i
parenti che stanno a Maranello e che vengono a studiare in citt�, e persino quelli
che a volte vengono per lavorarci. C'� posto per tutti... Giuseppe trova qualcuno e
lo porta in casa: "Vieni ben su a mangiare un piatto di minestra".
Non si ricordano, adesso, che cosa mangiassero quelli che venivano, per� si
ricordano che venivano sempre volentieri. Poco tempo fa Veronica ha comprato un
tavolo da un negoziante e, quando gli ha dato il suo indirizzo, lui le ha chiesto:
"Conosce Umberto Panini?". "Certo che lo conosco, � mio fratello". "Ah, � suo
fratello? Io venivo sempre a cena a casa vostra". Veronica l'ha guardato: "E che
cosa mangiava, poi?". "Qualcosa c'era sempre", ha rammentato il negoziante.
Umberto, in seguito, le ha spiegato che quell'uomo, da ragazzo, era di una famiglia
ancora pi� numerosa e ancora pi� povera della loro, non si sa in quanti dentro
un'unica camera, senza niente. Aveva ragione la madre: c'era chi stava peggio.
In casa Panini ci sono letti dappertutto. Quando Giuseppe torna a casa, la sera, si
mette a sedere sul proprio e i pi� piccoli - Umberto, Benito e Franco, con la
"chioccia" Edda - gli si fanno intorno. Doveva essere, gi� allora, un affabulatore
straordinario. I fratelli lo ascoltano incantati, mentre racconta dei fatti
accaduti durante la giornata o forse anche di cose inventate, perch� aveva, gi�
allora, una gran fantasia. C'� una panca, ai piedi del suo letto. I fratelli stanno
rannicchiati alcuni l� sopra, altri su un diverso letto, ad ascoltarlo. Parla,
parla, insegna loro tante cose. Anche le parole incrociate, che a quei tempi -
ancora negli anni '30 - sono una novit� assoluta, soprattutto a Modena. Lui ha
imparato a farle da un suo amico, che poi gli presta le riviste tutte riempite a
matita. Giuseppe cancella pazientemente ogni parola e poi se le rif� per conto
proprio (spesso soltanto a memoria, per moltiplicare pi� volte il piacere del
gioco), trasmettendo ai fratelli ammirati la difficile, misteriosa arte
dell'enigmistica, di cui sarebbe diventato un maestro e che ognuno di loro ancora
coltiva, con risultati che sbalordiscono gli estranei. Per quella passione nata l�,
in quelle sere da ragazzo, Giuseppe - come autore di giochi - avrebbe adottato pi�
tardi il nome segreto di "Paladino". Quello che, con trasferimento dalla parola
all'immagine, sarebbe diventato poi il marchio dell'azienda: un cavaliere con la
lancia in resta.
Giuseppe segna e cuce la linea di divisione fra le due parti della famiglia: le tre
sorelle maggiori e la sorella minore con i tre ultimi fratelli. Lui, nel mezzo, li
incerniera con la sua figura calma e coinvolgente. Per le grandi, che lo guardano
dall'alto della loro maggiore et�, lui � comunque l'uomo di famiglia; per i
piccoli, che lo ammirano dal basso, lui � senz'altro l'uomo di famiglia.
Si stabiliscono fin da allora, da quei primi anni ancora intessuti d'infanzia,
ruoli e posizioni all'interno della famiglia, che poi diventeranno ruoli e
posizioni del lavoro e della vita sociale. Ruoli indiscussi, basati sul contesto
familiare, dove ognuno riesce a collocarsi e a trovare un proprio spazio e una
propria funzione. Ad armonizzarli, a stemperare gli eventuali contrasti, provvede -
come sempre - la madre.
E viene l'ora, per Giuseppe, di andare militare; ma l'8 settembre � gi� passato,
lui preferisce andare fra i partigiani, che sono stanziati appena a ridosso di
Maranello, sulle colline basse ai bordi della citt�. Gli altri fratelli restano a
Modena perch� Olga decide di non sfollare, come fanno in tanti, forse per non
perdere il suo posto di lavoro all'Accademia.
Giuseppe, mi dicono, � un partigiano un po' all'acqua di rose, ma probabilmente
rende i suoi servigi anche lui, soprattutto grazie al fatto di conoscere il tedesco
quel tanto che basta per fare un po' l'interprete. Umberto pensa per� che non abbia
mai partecipato ad azioni militari, nonostante Giuseppe gli avesse confidato di
aver sparato anche lui, qualche volta, ma non si sa bene a chi o a che cosa. I
partigiani a cui si unisce sono quasi tutti amici e parenti. Dopo la Liberazione
Giuseppe comincia a darsi da fare per realizzare quello che si sta delineando come
il sogno della sua vita, il suo modo di intendere il lavoro e la realizzazione
personale: mettersi in proprio. I lavori alla Ferrari e alla Fiat come operaio
degli anni precedenti resteranno infatti episodi isolati. Ma per il resto, per
tutta la vita, Giuseppe lavorer� in modo autonomo e indipendente, come piace a lui
e come, forse lo ricorda, gli aveva detto di fare il padre.
Il primo tentativo avviene intorno al 1946-'47, quando apre un'officina di
riparazioni di biciclette a San Rocco di Spezzano, sempre nei dintorni della
Maranello delle origini familiari.
L'officina � uno stanzone lungo e basso, attrezzato in modo rudimentale. Giuseppe
chiama con s� Umberto, secondo un copione che si ripeter� in continuazione: un
Panini chiama, gli altri accorrono. Sempre che la richiesta sia interessante per
tutti, beninteso, perch� i Panini dimostrano - pur nella loro bonariet� - di avere
personalit� ben spiccate e di non essere affatto disposti a vivere a rimorchio di
nessuno, sia pure un fratello maggiore. Umberto va perch� � altrettanto interessato
all'iniziativa intrapresa da Giuseppe: lui ama i motori delle motociclette ma per
iniziare, in quell'incerto dopoguerra, possono andar bene anche le biciclette. Cos�
la famiglia si divide per due o tre anni, tanto dura la permanenza dei fratelli a
San Rocco di Spezzano, interrotta ogni tanto da qualche rientro a Modena durante il
quale anche loro danno una mano in edicola.
Dopo qualche tempo li raggiunge la sorella Maria, soprattutto per essere vicino al
fidanzato che abita nei pressi. Maria, come gi� la madre, come gi� Edda, accudisce
i fratelli e prepara loro da mangiare.
Lena, che diventer� la moglie di Benito, li conosce in quegli anni e ne ha un
ricordo molto vivace: "Eravamo pi� che amici, quasi fratelli. Benito per� l'ho
conosciuto molto pi� tardi, perch� allora lui era rimasto a Modena. In quegli anni,
quando eravamo ancora ragazzini, stavo molto con Umberto, perch� mio padre gli
insegnava qualcosa del mestiere. Mi ricordo, per esempio, che gli spieg� come si
faceva a raddrizzare le ruote della bicicletta. La Maria badava ai fratelli. Faceva
il pane poi, per portarlo al forno, passava davanti a casa nostra e, al ritorno,
chiamava mia madre e gliene dava un pezzo. Per noi era prezioso, perch� in quel
periodo il pane non lo si trovava mica facilmente. Una o due volte le si rovesci�
la cesta, allora venne dentro da noi a farlo un'altra volta perch�, evidentemente,
la farina riusciva a trovarla. Ma comunque hanno passato dei momenti bestiali, i
Panini, in cui non avevano proprio niente, altro che farina.
Questi fratelli erano divertentissimi; mettevano il soprannome a tanti, ad alcuni
dicevano delle cose terribili, ma sempre per scherzo, e tutti ridevano, compresi i
diretti interessati.
Io e Umberto ci scambiavamo i giornalini, ma la mamma non voleva che io stessi
sempre a leggerli, cos� a volte si arrabbiava, me li strappava e li gettava nella
stufa. Umberto, quando gli dicevo che non potevo restituirglieli, mi sgridava: "Se
torni a farti strappare i giornalini, io ti tiro i capelli e ti butto per terra" e
mi afferrava per le treccine. Ma senza farmi male, naturalmente". Dopo qualche
tempo Giuseppe, Umberto e Maria passano ad abitare nella bella villa di un dottore
di Spezzano grazie all'imposizione della coabitazione per cui c'� l'obbligo, per
chi ha delle case vuote, di affittarle a chi non le ha. Si trasferiscono
successivamente a Ubersetto, un po' pi� verso Modena, con un'altra officina;
Umberto d� una mano per poco tempo, perch� quasi subito trova lavoro a Modena come
meccanico saldatore in una ditta abbastanza affidabile. Per un po' fa anche lui,
come aveva fatto suo padre - sebbene in direzione contraria -, avanti e indietro in
bicicletta, poi ritorna definitivamente a Modena. Giuseppe lo segue dopo poco
tempo.
Gli anni di Spezzano sono quelli della giovinezza spensierata, i primi vent'anni o
ancora meno, in una provincia modenese tornata a vivere dopo la guerra. Giuseppe e
Umberto si fanno amare da tutti: sono giovani, simpatici, pieni di volont�, due bei
ragazzi piuttosto ben disposti verso l'amore.
Fanno amicizia con Carlo Chiavarino, un adolescente di Spezzano che studia in
seminario e che gira con loro, con la sua lunga tonaca nera e il cappello pure esso
nero, che un giorno gli fanno volare sopra i tetti. Anche lui durante la guerra ha
fatto un po' il partigiano, approfittando del permesso di girare in bicicletta - e
di quella sottanona - per portare messaggi e sigarette ai partigiani. Nasce
un'amicizia che durer� tutta la vita.
Vanno a suonare nelle feste da ballo dei dintorni, Giuseppe con l'inseparabile
fisarmonica, Umberto con la tromba; l'ultima volta che l'aveva usata era stato per
le parate di regime alla colonia eliotropica-fluviale di San Damaso, quella dove
Franco aveva gonfiato il petto.
Si balla nelle case coloniche, sul selciato del letamaio appositamente ripulito;
Giuseppe, in particolare, � molto corteggiato. Quando c'� lui, ha il "cerchio"
intorno, sia che racconti barzellette o qualche storia, sia che suoni. Ama
moltissimo la musica, che esegue ad orecchio. Ha imparato a destreggiarsi sullo
strumento frequentando il "Patronato dei Figli del Popolo" situato in un antico
palazzo del centro di Modena. La banda, formata da tanti ragazzini come lui, era
guidata da un certo Palmieri, anche lui edicolante, che con tanto entusiasmo
cercava di trasmettere la sua passione a quelle anime candide. Fece presa
soprattutto su Giuseppe, accompagnato da Umberto e Benito (ma non da Franco, che
sempre si rifiut�), che trascorreva l� gran parte del tempo libero, cercando di
imparare tutto quello che poteva insegnare uno che non sapeva quasi niente...
Eppure la cosa funzion� e fu un grande dono, quello che l'edicolante Palmieri fece
a Giuseppe, perch� la musica - da allora e per sempre - divent� la sua inseparabile
compagna. Ma fu anche, in quel periodo, qualcosa di pi� e di diverso; infatti, tra
i vari modi per fare qualche soldo, ci fu anche l'"Orchestra Panini". C'� un bel
quadro del pittore modenese Vaccari che li rappresenta. Si vede Giuseppe che ancora
suona il bassotuba (inizialmente fu questo il suo strumento, che poi dovette
abbandonare per le difficolt� respiratorie), Benito alla batteria, Umberto alla
tromba, che alternava alla chitarra. Franco, l'unico che non aveva voluto suonare e
al quale sarebbe stato destinato il clarinetto, avrebbe commentato parecchi anni
dopo: "Se avessi fatto come volevate voi, adesso saremmo ancora qui ad andare nelle
balere!".
L'"Orchestra Panini" gira infatti nelle balere povere del dopoguerra modenese. Lo
fa con esiti artistici piuttosto dubbi tanto che si ricorda, a questo proposito, un
episodio piuttosto significativo. Una volta suonarono cos� male che il padrone del
locale, quando fu il momento di pagarli, si trov� costretto a dire: "Tenete, questi
sono soldi rubati!". Al che, con la solita battuta pronta, i Panini gli risposero
in coro: "Be', anche se li ha rubati...". Suonavano veramente male, a quanto
sembra, ma con slancio e divertimento contagiosi; avevano anche una propria sigla
musicale. Il loro sogno era quello di metter su addirittura un'orchestrina jazz, ma
poi non se la sono mai sentita. Nelle "grandi occasioni" avevano anche dei
suonatori molto validi che li affiancavano - e a volte ne coprivano gli sbagli -,
un po' come degli alter ego. Erano dei loro amici, come Giuliano Leoni, che poi
and� a lavorare anche lui alla Panini. Pure Leoni suonava la fisarmonica ed era
molto bravo, poi ce n'era un altro che invece suonava la tromba.
Giuseppe, questo nostro suonatore di fisarmonica, � dunque un bel ragazzo alto e
moro, sempre con la battuta pronta. Si va al bar e non si sa che cosa fare? Arriva
lui e c'� il programma gi� fatto. � un trascinatore. "Mamma mia, ragazzi", ricorda
Carlo "era un fuoriserie. Gli altri erano trainati, erano dei vagoni; lui era la
macchina, la locomotiva".
Carlo conosce questa "locomotiva" del tutto casualmente. Deve preparare il presepe
per il suo paese e, per far andare la luce elettrica, gli servono delle batterie.
Va a prenderle e se le carica sulla bicicletta. Lungo la strada si ferma un attimo
a casa di Giuseppe, che gli hanno indicato come meccanico, per chiedere come debba
fare per i collegamenti elettrici. Giuseppe � ancora a letto che suona la
fisarmonica; sul comodino, qualche libro un po'... spinto. Niente di proibito, per
carit�; ma anche l'immagine di una bella ragazza pu� turbare la tranquillit� di un
giovanissimo seminarista. Giuseppe infatti, e con lui anche un po' Umberto, si
prese poi la colpa di quella tonaca gettata via. "Ma che cosa fai? Che cosa vuoi
andare a fare nei preti?", gli chiedeva Giuseppe mentre suonava. Carlo era proprio
nel momento della decisione, incerto se continuare o no; un muratore che coabitava
con Giuseppe nella villa di Spezzano non ebbe dubbi: "� stato Giuseppe Panini a
svestirlo da seminarista". Comunque siano andate le cose, Carlo gliene fu sempre
debitore.
Continuavano ad essere tutti molto poveri, naturalmente. Il primo maglione Carlo lo
ha da Umberto, che glielo presta per una gita; il primo paio di scarpe nuove glielo
paga Giuseppe, il giorno del matrimonio. Carlo avrebbe ricordato quel regalo anche
a distanza di pi� di trent'anni quando, in occasione di un anniversario di
matrimonio di Giuseppe, gli mise in mano un paio di scarpine d'oro.
Li chiamava "gli americani" perch� davano, erano generosissimi. Per qualche tempo
lui e Umberto girano insieme in motorino: in cerca di moglie, come ammette
candidamente. Vanno alle sagre di paese, alle fiere, alle prime feste dell'Unit�;
la "stagione della caccia" si apriva ufficialmente il 19 marzo, giorno di San
Giuseppe. Hanno entrambi il "Cucciolo", un motorino del dopoguerra; uno dei due -
quasi sempre quello di Carlo - regolarmente si rompe lasciando a piedi il
proprietario che viene recuperato fortunosamente dal compagno. Mai una volta,
ricorda Carlo, che Umberto si sia fatto ripagare, in un qualsiasi modo, carburante,
riparazione e soccorso. Con quel motorino una volta fanno anche un giro nell'Alta
Italia, insieme con un amico. Carlo, veramente, ha il "Galletto" della Guzzi, e
l'amico addirittura la Lambretta. Cos� all'amico dicono: "Tu, che vai pi� forte,
parti e va' avanti, che noi ti seguiamo". E, anche se il "Cucciolo" non � altro che
un motorino attaccato a una bicicletta, si va lo stesso... Quando Carlo parte per
il viaggio di nozze, oltre al regalo delle scarpe gli prestano anche la macchina
fotografica. Veramente � della sorella Norma e di suo marito, ma gliela chiedono
apposta, perch� lui possa portarsi a casa i propri ricordi. Bello e con una
personalit� prorompente, Giuseppe trova senza difficolt� una ragazza che gli piace,
fra le tante che lo vorrebbero. � di Spezzano, ma il fidanzamento non dura a lungo,
forse perch� Giuseppe comincia ad ammalarsi e in un paese piccolo, in quegli anni,
essere malati � considerato un po' come un disonore.
Nei primi tempi, inoltre, la malattia di Giuseppe non � riconosciuta dai medici.
Gi� quando sta ad Ubersetto - ma anche prima della guerra - � in salute soltanto
apparentemente, ha i primi sintomi, ma quando va dai medici gli dicono: "Scusi, sa,
ma lei � uno sfaticato, non le sembra di aver poca voglia di lavorare?". Ha la
tubercolosi ossea.
Giuseppe e Umberto, allora, tornano a Modena dove si ricongiungono alla famiglia,
ricominciando a vivere nella casa di Rua Muro. Siamo intorno al 1949 e sono sempre
tutti e sette insieme, con la madre. Veronica sta per lasciare definitivamente
l'impiego come dattilografa per occuparsi a tempo pieno dell'edicola con Olga;
Maria fa la magliaia e sta per sposarsi; Benito lavora nell'edicola; Edda bada alla
casa; Franco studia.
� cresciuto, Franco. Il pi� piccolo del gruppo, impegnato anch'egli nel dare una
mano con i giornali, dimostra di avere una gran voglia di continuare a studiare e
di affermarsi. La famiglia decide di appoggiarlo, di provare a dargli
quell'opportunit� di miglioramento sociale che agli altri � stata negata. Le
sorelle, infatti, hanno dovuto tutte abbandonare gli studi dopo le elementari;
Giuseppe e Umberto hanno fatto il triennio dell'Istituto professionale industriale
"Fermo Corni"; Benito non ha voluto saperne di continuare nemmeno dopo le
elementari. I Panini sono quindi orgogliosi di questo fratello grintoso che non
vuole cedere, lo incoraggiano a continuare, compatibilmente con le possibilit� di
famiglia e del tempo. Franco, pur lavorando di giorno, frequenta un corso serale
dell'Enal (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori), gratuito, che gli d� il diploma
di ragioniere: un diploma di valore incalcolabile, in quello scorcio di dopoguerra.
E succede il miracolo: Franco viene assunto al Banco San Geminiano e San Prospero.
Dev'essere stato un gran giorno, quello, per Olga, venuta a Modena con otto piccoli
tra le braccia dal Pallamaglio di Maranello! Franco rimarr� per sempre l'orgoglio
di famiglia, un orgoglio riconosciuto da tutti i fratelli. Forse un piccolo aiuto
pu� anche darsi che sia venuto, da qualcuno di quei pezzi grossi della banca o
della curia che al mattino si fermano a comprare il giornale da Olga e che
scambiano tanto volentieri quattro chiacchiere con lei, che hanno imparato a
benvolere come tutti i suoi figli. Ma � giusto che la fortuna ogni tanto conceda un
briciolo di se stessa a chi lo merita e ne ha bisogno. Perch� Franco � veramente
bravo e, in banca, � destinato a fare carriera. Non sa ancora, neppure lui, che il
destino ha in serbo una carta differente.
Si sposa Maria, che fa la magliaia; si sposa Edda, con Loreno di Castagneto di
Pavullo, dell'Appennino modenese, che per� lavora con gli zii a Maddaloni, in
provincia di Caserta, a preparare salumi. Edda parte con lui nel 1952 e rester� a
Maddaloni per dieci anni, finch� Giuseppe non scriver� anche a lei: "Torna, la
fortuna � qui. Abbiamo bisogno di te e di tuo marito per le figurine".
Nello stesso 1952 Umberto trova lavoro come meccanico alla Maserati Motociclette, e
gi� un pezzetto dei suoi sogni sembra realizzarsi; non sa, anche lui, che i motori
entreranno nella sua vita con ben maggiore prepotenza e soddisfazione.
Ma, come gi� era capitato all'epoca della morte del padre, soltanto una decina di
anni prima, quando le cose per i Panini sembrano mettersi per il meglio succede
qualcosa di brutto che rimette tutto in forse, che riapre vecchi dolori, che
rispolvera antiche paure. Questa volta � la malattia di Giuseppe: Giuseppe sta
male, appena tornato a casa i sintomi si sono aggravati, non riesce pi� a stare
alzato, passa le giornate a letto.
La prima malattia grave coglie Giuseppe a soli sedici anni, quando prende la
pleurite. Il padre � morto da poche settimane e lui sta lavorando alla Fiat come
operaio. La pleurite � la conseguenza di un colpo di freddo, a causa di una tromba.
Giuseppe, che suona un po' anche quello strumento, deve eseguire l'attenti durante
la visita alla Fiat di un gerarca fascista. Quando estrae la tromba dall'astuccio
si accorge per� di non trovare il bocchino, rimasto a casa per una sfortunata
coincidenza. Inforca la bicicletta e, nell'umido e freddo dicembre modenese, si
precipita a cercarlo cos� com'�, senza niente di pesante addosso, tutto trafelato
per la paura di non fare in tempo. Dopo pochi giorni il medico gli riscontra una
pleurite. Lo ricoverano in Romagna, nel sanatorio di Montecatone, che si trova nei
pressi di Imola. Ci passa sei mesi, e non saranno che i primi di una interminabile
serie.
Edda lo va a trovare; prende il treno fino a Bologna, poi una corriera che la porta
a Imola. Si ritrova davanti al lunghissimo stradello di Montecatone, circa quattro
chilometri che fa a piedi, come quasi tutti facevano allora. A Montecatone i
sanatori veramente sono tre: uno per i soldati, uno per gli uomini e uno per le
donne. Giuseppe � ben curato, la sorella riparte contenta che almeno abbia da
mangiare a sufficienza. Al ritorno, lungo lo stradello, le offre un passaggio in
automobile un signore di Varese che � andato a trovare il figlio: "L'ho visto per
l'ultima volta". Perch� � un militare e i militari, quando li portavano a
Montecatone, voleva dire che erano ormai mezzi morti. Infatti, in fondo allo
stradello, Edda ha visto il cimitero pieno dei loro corpi.
Adesso � stato tutto rimodernato: non ci sono pi� i tre sanatori ma un ospedale
dove si fa terapia riabilitativa grazie all'impegno delle tre "F" modenesi (Fini,
Ferrari e Figurine Panini), che hanno formato una cordata su proposta di Giuseppe,
il quale gi� in precedenza aveva acquistato parte della struttura.
Finiti i sei mesi, nella primavera del 1942 Giuseppe torna a casa, apparentemente
in buona salute. I guai, come abbiamo visto, ricominciano nel dopoguerra.
C'� un precedente, per�, sempre durante la guerra, al quale le sorelle
attribuiscono la prima avvisaglia o forse addirittura l'origine della malattia
successiva. Una sera i tedeschi vengono a prenderlo per portarlo a suonare da
qualche parte. Lui, in compagnia di una zia, attraversa i campi con la fisarmonica
in spalla ma � buio, scivola o inciampa e cade in un fosso. La fisarmonica gli
batte sulla schiena e gli d� un gran colpo che lo lascia per un po' senza fiato.
Come si fa a spiegare una cosa simile ai soldati tedeschi in tempo di guerra?
Giuseppe si rialza, si rimette in spalla - come pu� - la fisarmonica e va a
suonare. Suona tutta la notte, � bravo e lo fanno suonare a lungo, anche se il
dolore � atroce e lui soltanto un ragazzo. "Bench� dopo qualche giorno il gonfiore
fosse sparito, forse dentro il male aveva cominciato a lavorare", congetturano
Veronica ed Edda.
Quella che, a distanza di qualche anno, sembra dapprima scarsa voglia di faticare e
poi un semplice blocco della vertebra, � invece una tubercolosi ossea. I medici di
Modena la curano come possono, � una malattia grave e infrequente, forse le terapie
all'inizio non sono le pi� adeguate. Passano lunghi mesi durante i quali Giuseppe
viene curato soprattutto con l'immobilizzazione a letto e con una serie di gessi.
Il giovane si sottopone a queste prove con pazienza, ma il tormento � grande.
Subito dopo aver fatto il primo gesso, Giuseppe ottiene il permesso di uscire di
casa per una passeggiata; � una bella giornata di sole, va a sedersi nel prato del
Foro Boario, a respirare un po'. Si siede sull'erba, inesperto com'�, e dopo
qualche minuto si inerpicano sotto il gesso lunghe file di formiche. Le sorelle,
che l'hanno accompagnato durante la passeggiata, si sono portate dietro gli arcolai
della lana per lavorare un po' anche mentre sono fuori casa; Giuseppe si avventa su
uno di questi, ne strappa una stecca e comincia a grattarsi, dimenandosi e
contorcendosi disperatamente. Ha un tale tormento che i medici saranno costretti
poi a togliergli il gesso; sotto troveranno le piaghe. Lo ricoverano all'ospedale
Santa Corona di Pietra Ligure, che lui chiama Santa "Scarogna"; vi resta due anni,
sempre immobile a letto. Neppure l� sanno come curarlo, per� si sta diffondendo la
penicillina cosicch� riescono almeno ad arrestare l'avanzata della malattia.
Purtroppo, sei o sette vertebre sono gi� state intaccate.
Giuseppe non si abbatte, sembra che la malattia non riguardi lui ma un altro.
Accetta la sofferenza, non cerca di opporsi ad essa. E la sofferenza lo sfiora, lo
invade, lo dilania, ma lo rispetta: non riuscir� a cambiarlo. Lo accompagner� per
tutti gli anni successivi, presenza silenziosa e costante che gli render� la vita,
che lui tanto ama, ancora pi� profonda e appassionante. � il 1950 e Umberto compie
vent'anni; Giuseppe gli scrive una lettera in cui elogia la giovinezza e la salute
fisica. "� vissuto tanto proprio perch� aveva questa gran voglia di vivere", dice
adesso il fratello.
A Pietra Ligure Giuseppe mette su un'organizzazione formidabile, sempre senza
potersi muovere dal letto; i ricoverati, costretti anche loro a lunghi periodi di
inattivit�, reagivano costruendo oggetti vari, come gondole ricavate da corni di
animale o cose simili, che poi rivendevano ai parenti o a qualche visitatore
sorpreso e forse impietosito. Giuseppe li convince a farsi portare presso il
proprio letto tutti questi prodotti di artigianato ospedaliero perch�, magari, uno
non venda una gondola a un prezzo inferiore a quello di un altro. � lui che si
occupa della vendita, cercando di spuntare il prezzo migliore, poi divide il
ricavato.
Allestisce anche una sorta di totocalcio, con alcune borse agganciate intorno alle
sponde del letto. Vende cartoline. Vende francobolli. Quando i parenti, sempre
tramite lettera, lo avvisano della loro venuta, riesce a procurare loro il posto
per dormire. Fuori dell'ospedale, naturalmente; e lui � immobilizzato a letto...
Sempre stando sdraiato a letto, suona la fisarmonica. "Mi ricordo di quando mi
raccontava di essere stato ricoverato in Liguria", dice Fabrizio Venturelli,
responsabile della segreteria di Giuseppe Panini alla Camera di Commercio di Modena
negli anni in cui egli ne fu presidente. "Diceva che anche allora aveva una gran
voglia di fare e che le giornate gli sembravano sempre troppo corte; per esempio,
si era costruito una specie di rudimentale telaio di legno (un'asse con dei chiodi
sui quali intrecciava dei fili colorati di lana) che poteva utilizzare stando
sdraiato a letto e con il quale aveva fatto uno scialle per la madre, che l'aveva
conservato con affetto. "E", diceva ancora "quando venivano le dieci di sera e
spegnevano le luci, per me era un dispiacere perch� avevo ancora tanto da fare". Il
fatto � che lui si era creato, anche l� in ospedale, un'infinit� di interessi e di
piccole attivit�. Si dava degli obiettivi. Anzich� deprimersi, come avrebbero fatto
altri, lui reagiva".
Lo aiuta moltissimo l'amore per Maria, che ha conosciuto in corriera durante un
viaggio per curarsi. Lei � una parrucchiera di un paese della provincia di Modena,
sta andando a Milano per lavoro. Scoppia un amore con la "a" maiuscola per il quale
Maria segue Giuseppe in tutte le tappe della sofferenza; si trasferisce anche lei a
Cortina, dove lavora come parrucchiera in un negozio del paese fino a quando per
Giuseppe, ormai, non � ora di tornare a casa, dove si sposeranno nel 1956.
I fratelli vanno a trovarlo pi� volte, anche con mezzi di fortuna perch� i soldi
continuano a scarseggiare e il viaggio � lungo. Una volta ci vanno in bicicletta,
in pi� tappe, chiedendo ospitalit� per la notte nelle canoniche lungo la strada.
Un'altra volta ancora prendono il treno, con l'amico Carlo Chiavarino, che per
l'occasione recupera dei berretti dell'Azione Cattolica, cos� sul treno tutti li
scambiano per poliziotti.
Intorno al 1954 Giuseppe accetta senza esitare di sottoporsi nell'ospedale di
Cortina a un'operazione davvero avveniristica; gli trapiantano nella schiena degli
ossi di vitello. L'operazione, con poche probabilit� di successo, riesce e
Giuseppe, dopo una lunga riabilitazione, pu� finalmente riprendere a camminare e a
condurre una vita normale, anche se altre disgrazie riguardanti la salute fisica lo
attenderanno dietro l'angolo, disgrazie che si abbatteranno su di lui soprattutto
negli anni '80 (un aneurisma all'aorta che lo ridusse in fin di vita; operazioni
alle coronarie, un intervento per l'applicazione di by-pass, un altro ancora
perfino a un ginocchio); l'ultima, nel 1996, lo condurr� alla morte a 71 anni per
arresto cardiocircolatorio, alla vigilia di un nuovo intervento all'aorta.
Dopo l'operazione di trapianto riesce, un po' alla volta, anche a fare a meno del
busto ortopedico; solo, sulla schiena, gli resta la spina dorsale ingrossata in
corrispondenza della parte trapiantata.
Si considera un miracolato e quando affronta l'argomento, anche a distanza di anni
e anni, non esita a dichiarare: "Ogni anno in pi� � stato un regalo. Ricordatevi
che, quando morir� io, morir� comunque un uomo felice, perch� ho realizzato la mia
vita pi� di quanto avessi potuto sperare". Effettivamente Giuseppe ha affrontato
quell'operazione di trapianto senza garanzie di riuscita e, nella disgrazia, �
stato fortunato. Una sera, parecchi anni dopo, a una cena a Sassuolo in compagnia
di illustri medici, essendo saltato fuori proprio il nome del chirurgo che l'aveva
operato e che era stato anche l'inventore di quel tipo di trapianto, Giuseppe
raccont� la propria storia ma tutti i presenti, pur con grande cortesia,
rifiutarono di credergli. Un gran professore di fama internazionale gli obiett�:
"Lei sta raccontando una cosa non vera". "No, no, � vera". "� impossibile, noi
sappiamo con certezza che sono state fatte soltanto tre operazioni di quel genere e
che due dei trapiantati sono morti subito dopo". "S�", conferm� Giuseppe "e il
terzo sono io". Si alz� in piedi e, sorridendo in faccia ai medici attoniti, si
slacci� la camicia e mostr� la lunghissima cicatrice.
7. Fondi di magazzino
Dunque il distributore della "Gazzetta dello Sport" su Modena e provincia non � pi�
intenzionato a tenerla, in quella met� circa degli anni '50. Viene allora proposta
ai Panini, che la prendono in esclusiva. La vendono sotto il portico, su di un
tavolino. Il lavoro aumenta e, come aveva previsto Olga, da cosa nasce cosa.
I Panini prendono tutto quello che trovano, anche ci� che rimane invenduto e quello
che le altre due agenzie modenesi di distribuzione rifiutano: si gettano a
capofitto nel lavoro, giorno e notte, cercando di scartare il cattivo e di tenere
il buono. Come ha raccontato Franco, ben presto aprono un localetto in Via
Sant'Agata, sempre nelle vicinanze della loro edicola, che terranno per due o tre
anni, e lo adibiscono a magazzino-agenzia di distribuzione.
Si dedicano anche ai francobolli, una passione che durante il periodo della guerra
era stata trasmessa a Benito da un cugino; Benito poi l'aveva passata a Giuseppe,
che da allora ci si era sempre dedicato, persino da ammalato. Giuseppe � nel giro
filatelico, viene considerato - anche fuori Modena - un apprezzato intenditore. Non
� difficile, per lui, preparare bustine di francobolli a poco prezzo che poi
rivende direttamente in edicola o ad un giornalaio che rifornisce i negozi
interessati. Contagia anche la madre che, come abbiamo visto, fino alla morte
continuer� a staccare, lavare, asciugare e imbustare francobolli.
Il piccolo "centro d'attivit�" dei Panini si trasferisce poi in una strada
limitrofa, Via Caselline. L� preparano un angolo della stanza appositamente per i
francobolli. Circondano quest'angolo con alcuni cartoni e all'interno - come dentro
una grande scatola - li mescolano prima di infilarli nelle bustine. E poi comprano
qua e l�; c'�, per esempio, un distributore di Parma che recupera tutti i giornali
invenduti e ne fa delle buste che vende sottocosto, che loro fanno girare tra i
giornalai. Il guadagno � minimo, per� qualcosa anche l� si prende, qualcosa che va
ad aggiungersi agli altri piccoli guadagni. Nel negozietto di Via Caselline si
avvicendano Veronica e Benito; la madre sta soprattutto in edicola, dove le d� una
mano anche Franco, quando finisce l'orario di lavoro in banca. Giuseppe si rimette
in salute e poi si unisce agli altri. Umberto � in Venezuela, Norma � sposata e
bada ai cinque figli, Edda � a lavorare con il marito a Maddaloni, Maria fa la
magliaia. Giuseppe e Benito acquistano anche figurine invendute e le propongono con
una nuova formula, abbinandole in una busta a qualche giornaletto anch'esso
invenduto e ad un gingillino, con anticipatoria funzione di gadget. Non solo
riescono a vendere tutto, ma si trovano ad avere delle richieste senza pi� avere
figurine a disposizione per soddisfarle.
Giuseppe, ce l'ha raccontato lui stesso, intuisce subito che quella delle figurine
pu� diventare una cosa grossa. Compra - facendosi anche prestare dei soldi dai
parenti - una collezione che ha per soggetto i fiori e la fa vedere con entusiasmo
all'amico Carlo Chiavarino. Ne � entusiasta anche lui, tanto che ne acquista subito
una serie tutta intera. Altroch�: un buco nell'acqua. Per� ormai Giuseppe ha capito
che l'idea della figurina � vincente e che � stato soltanto il soggetto prescelto
ad essere sbagliato. Ma sul fatto che le figurine si possano vendere anche da sole
non ha pi� dubbi.
La delusione della collezione dei fiori � la molla che lo fa scattare. Ormai si �
accorto che per i bambini le figurine possono diventare una passione trascinante:
saranno quelle del calcio, nel 1960-'61, che sfonderanno.
Nel frattempo le cose per la famiglia Panini stanno procedendo bene su tutti i
fronti e da Via Caselline si passa in altri locali pi� spaziosi, una serie di
cantine in un cortile interno in Via Castelmaraldo 32. � il 1959.
In questa agenzia-laboratorio artigianale, non molto dissimile da quelli dove nella
vicina Carpi sta nascendo l'industria della maglia, dentro le buste si buttano -
quando ce ne sono - anche le figurine.
Ma Giuseppe freme: non pu� aspettare di utilizzare le giacenze, ha bisogno delle
figurine e deve averle. Se le far� lui.
Si accorge anche del problema delle "doppie", che rende frustrante per il bambino
la prosecuzione della raccolta. Le "doppie" sono legate a una concezione miope del
foglio di stampa, per cui la stessa figurina compare sempre nello stesso posto e
cade dentro la bustina sempre all'interno della stessa sequenza. Cos� Giuseppe
compra i sacchi delle figurine invendute e gi� tagliate e, con l'aiuto dei
fratelli, li apre e li sbatte contro il muro dell'agenzia. Le figurine, scagliate
con violenza, si mescolano nello svolazzare a terra. Ci pensa poi il badile, a
rimestarle ben bene. Gi�, perch� le prime figurine vengono mescolate dai Panini con
il vecchio badile contadino. E pensare che siamo all'inizio degli anni '60. Cos� �
cominciata, questa storia che ha dell'incredibile. Vent'anni dopo i Panini
fattureranno pi� di 160 miliardi di lire l'anno.
Poi bisogna infilare le figurine nelle bustine e, all'inizio e per qualche anno,
questo � un lavoro che viene fatto completamente a mano, proprio come si fa con i
francobolli. Solo che le bustine delle figurine diventano ogni giorno di pi�; si
chiamano delle donne, alcune delle quali reclutate nel contesto familiare, che nel
corso degli anni, fino a quando nel 1965 non si aprir� l'azienda di Via Emilio Po,
diventeranno una decina.
Per� non sono sufficienti, perch� il lavoro aumenta sempre pi�; cos� i Panini danno
le figurine da imbustare anche all'esterno, soprattutto a gruppi di signore anziane
e a famiglie, che le preparano stando a casa propria: sono i primissimi anni '60,
gli anni del boom del lavoro a domicilio, e con le figurine avviene esattamente
quello che avviene con le maglie a Carpi. Le danno anche all'interno di alcuni
istituti di assistenza pubblica con sede a Modena, come quello per i sordomuti. Le
danno perfino ai carcerati, ma qualche volta non mancano spiacevoli sorprese. Come
quando viene introdotta la novit� delle "valide", le figurine-punto che -
collezionate in un certo numero - danno diritto a un premio. � un premio tutto
sommato modesto, adeguato ai bisogni di un bambino: un pallone, una maglia da
calciatore. I carcerati, per�, evidentemente nascondono un cuore fanciullo, nel
senso che dalle bustine da loro confezionate le valide spariscono spesso e
volentieri. I Panini lo fanno presente al direttore del carcere che, per niente
sorpreso, osserva: "Ma che cosa volete aspettarvi? Chiamatevi fortunati che a voi
rubano solo quelle...".
"Alla fine degli anni '50, quando ho conosciuto Benito e mi sono fidanzata con lui,
il lavoro stava cominciando a crescere ma era, ancora, una piccola cosa: piccola,
piccola, piccola. Quando per� ci siamo sposati, nel '61, gi� cominciava ad alzarsi
su come lievito. Avevano un certo Gino che li aiutava; non era proprio svelto del
tutto, ma a stare con loro era progredito moltissimo ed era diventato capace di
svolgere alcune incombenze. Anch'io qualche volta ho dato una mano a imbustare; lo
facevo portandomi il lavoro a casa, mentre invece mia sorella lavorava con loro in
quella specie di garage".
Per mescolare, e bene, tante figurine il badile per� si rivela quasi subito
insufficiente; � la volta allora della zangola, il recipiente dove il casaro versa
il latte, per scuoterlo con una specie di mestolo finch� non diventa burro. Nella
zangola dei Panini non c'� il burro, ma l'intera collezione da scompaginare per non
privare i bambini della gioia onesta della scoperta. Alla zangola viene applicata
una manovella e, gira e rigira, si prepara l'"impasto" per riempire le bustine. Le
quali, naturalmente, vengono riempite e chiuse a mano (pi� o meno come si fa con i
tortellini) o, tutt'al pi�, con l'aiuto di un aggeggino meccanico, una specie di
piccola impastatrice domestica, dentro la quale si infilano le due parti della
bustina, unite soltanto da un lato. Passando dentro la macchina, la pressione le
"salda" facendo incastrare i lembi secondo un certo tratteggio. Non si pu� fare
altrimenti: non esistono macchine apposite. Non ancora, almeno.
Non fino a quando, richiamato e convinto apposta da Giuseppe a restare per
progettare e costruire le macchine di cui hanno bisogno per industrializzare la
produzione, nel 1964 non torner� Umberto dal Venezuela.
8. L'inizio dell'avventura
Al principio degli anni '60 gli Artioli sono proprietari della pi� importante
azienda grafica di Modena, dalla quale sono usciti anche i famosi "Annuari" della
Scuderia Ferrari. La ditta Artioli � in contatto con la litografia di Ivo Bertolini
e di suo zio, che curano per gli Artioli la realizzazione di alcuni lavori.
Ivo Bertolini riceve quindi da Giuseppe Panini l'incarico di provvedere a stampare
in proprio le prime figurine, ma non � una cosa semplice anche perch�, come abbiamo
visto, egli non dispone dei macchinari adatti. Bertolini va allora da Paolo Artioli
e gli spiega: "Ho conosciuto delle persone che vorrebbero fare una collezione di
figurine. Sono disposti ad investire". "Chi sono?". "Si chiamano Panini. Hanno
un'edicola in Corso Duomo, per� hanno delle idee...". "Be', senti, presentameli e
poi vediamo". Artioli, per fortuna, almeno sa gi� che cosa sia una collezione di
figurine, dato che - alcuni anni prima - aveva stampato qualche serie su
commissione della Liebig. Ma, proprio per questo, sa anche che, tolti uno o due
editori, non c'� nessun altro che le stampi in proprio, anche perch� non esiste un
mercato della figurina: ci sono figurine di fiori, di animali, ma si tratta di
iniziative limitate e di scarso risalto. Le parole di Bertolini, di conseguenza,
non lo esaltano; tuttavia, con buon fiuto degli affari, decide di andare a vedere
personalmente di che cosa si tratta.
Arriva in Via Castelmaraldo e, in un cortile interno di una vecchia casa, trova
l'"ufficio" dell'agenzia di distribuzione Panini. La faccenda non viene mica decisa
su due piedi; si fanno alcune prove, perch� effettivamente si tratta di una cosa
senza precedenti. I Panini vanno nello stabilimento di Artioli ed � allora,
appunto, che gli portano quella famosa fotografia in bianco e nero di Bolchi: "Ma
questa, si potrebbe passare a colori per vedere che risultato ci darebbe?". Artioli
e Bertolini si mettono al lavoro e, tramite i primi fototipisti di quegli anni '60
- sembra quasi assurdo pensare che la fotolito sia nata cos� tardi, qui a Modena e
in tutta Italia in genere, ma � proprio andata cos� -, mettono Bolchi a colori. Il
risultato entusiasma i fratelli: "Ah, come viene bene! Allora, sareste
disposti?...". "Fate un piano di quello che volete fare e dopo vediamo",
suggeriscono Artioli e Bertolini, ancora prudenti. "Noi vorremmo fare album di
questo tipo", cominciano a spiegare i Panini, che hanno gi� le idee abbastanza
chiare. Allora Artioli e Bertolini si convincono di avere a che fare con persone
non prive di un certo capitale, evidentemente quello messo da parte con i primi
guadagni ottenuti dalla distribuzione della "Gazzetta dello Sport". La cosa, anche
finanziariamente, pu� essere interessante. Decidono di provare.
Paolo Artioli � giovane, sui trent'anni, e Ivo Bertolini ha due anni di pi�; amano
il loro lavoro, vivono in un'epoca piena di fiducia nell'avvenire, non si tirano
indietro. Ma n� il padre di Paolo n� lo zio di Ivo, gente di un altro tempo,
credono a questa iniziativa. Inutile dire che i titolari delle rispettive aziende
sono loro.
Le figurine vengono comunque stampate all'interno delle aziende di famiglia, perch�
sono le uniche che abbiano i macchinari. Non c'� una grande autonomia, per�, perch�
ci sono anche degli altri lavori da fare, lavori urgenti e pi� sicuri, legati ad
altre attivit� industriali e commerciali che in quel momento stanno nascendo in
territorio modenese, come - per esempio - quella delle ceramiche di Sassuolo. Tra
il d�pliant delle piastrelle e le figurine non ci sono dubbi: vincono le
piastrelle, e le figurine aspettano pazientemente il loro turno, in coda, nei
ritagli di tempo. Del resto, questa della figurine non � ancora un'attivit� che si
possa far da sola: chi � che ci crede, in quegli anni? Paolo e Ivo si guardano in
faccia e decidono: "Che cosa facciamo, a questo punto? Apriamo un'aziendina per
conto nostro". Ed � proprio quello che fanno, senza perdere tempo. Anche perch�,
dopo un anno o due di questa vita, i Panini sono riusciti ad acquistare il terreno
in Via Emilio Po per crearvi un proprio stabilimento, all'interno del quale possono
dare in affitto a Paolo e ad Ivo un capannone per la stampa delle figurine.
Artioli e Bertolini restano con i Panini la bellezza di dieci, dodici anni, poi
smettono perch� Umberto crea all'interno dell'azienda un proprio reparto grafico,
che dirige lui stesso.
Ma il distacco fra i Panini e la coppia Artioli-Bertolini � del tutto indolore; i
rapporti rimangono estremamente cordiali, non ci sono motivi di attrito, anche
perch� nel frattempo sono emerse nuove possibilit� di affermazione professionale
pure per loro. Ognuno va per la propria strada, rimanendo amico degli altri.
E l'amicizia � stata davvero importante, cementata anche dalle esperienze dei
viaggi all'estero, alla ricerca dei mercati. Paolo Artioli andava volentieri con i
Panini, perch� quando c'era da trovare delle soluzioni tecniche avevano bisogno
della sua presenza e per lui si trattava di un arricchimento di esperienze. Ci sono
stati dei momenti molto belli che lui ricorda volentieri, come quella sera a Brema,
nel freddo nord della Germania, quando Giuseppe, in un'accogliente "rathaus" piena
di odori e voci tedesche, tir� fuori la sua fisarmonica che portava sempre con s� e
riusc� ad attirare tutti i presenti. "La semplicit� di quell'uomo era
straordinaria", dice Paolo. "E anche quella di Umberto. Dovunque andassero, in
qualunque parte del mondo, in mezzo a persone di prestigio, che parlavano lingue
per noi per lo pi� incomprensibili, loro riuscivano a farsi capire anche dal punto
di vista umano, a instaurare un dialogo che non fosse solo d'affari, a stabilire un
contatto cordiale, quasi intimo. Erano uomini tra gli uomini, senza fronzoli, senza
sovrastrutture, e gli altri lo capivano.
La figurina va senz'altro abbinata a Giuseppe, che ne ha avuto l'intuizione, anche
se inizialmente � stato Benito ad occuparsene; Umberto � riuscito a trovare il modo
per renderla industriale; Franco ha saputo creare l'impero commerciale. Giuseppe le
sue intuizioni diceva di averle avute mentre era ricoverato a Cortina: rifletteva,
guardava la gente intorno a lui, considerava quale e quanta necessit� provassero di
avere qualcosa di cui occuparsi; forse si rese conto dell'importanza di avere una
passione, che per alcuni - bambini e adulti - sarebbe potuta essere anche la
figurina. Pu� darsi che sia successo proprio perch� in quel periodo era distante
dal mondo del lavoro: se fosse stato tutto il giorno dentro l'edicola,
probabilmente non avrebbe avuto n� il tempo n� l'opportunit� di ragionare sulle
nuove occasioni che gli si stavano profilando.
Noi siamo sempre andati d'accordo, loro mi hanno stimato e io ho stimato loro, e ho
anche trovato logico che - ad un certo punto - Umberto abbia fatto la scelta di
mettersi in proprio, anche perch� ormai aveva acquisito tecnologie e competenze.
Bertolini e io creammo allora una nuova azienda e, quando i Panini decisero di fare
da soli, ci lasciarono tutto il tempo di costruirla. Oggi, che Ivo � morto, sono
socio con suo figlio, che conduce l'azienda mentre io mi occupo del Poligrafico
Artioli, la mia azienda di famiglia. Stampiamo e facciamo il finissaggio, ma non di
figurine, perch� con le figurine ho chiuso; la mia esperienza � stata quella con i
Panini.
Sono stati bravi; hanno saputo dimostrare che si pu� partire anche dal niente.
Quando si sono rivolti a me, evidentemente avevano gi� un piccolo capitale, perch�
nei pagamenti sono sempre stati precisissimi. All'inizio sono partiti cos� in
piccolo che non � che ci volessero grandi somme, comunque... Se avessero dovuto
comprare i macchinari, forse non ce l'avrebbero fatta. Io ci ho creduto, ci ho
messo i macchinari e la cosa ha funzionato, tanto che sono stato ripagato in pochi
anni, e bene. Per�, in partenza, sarebbe potuta anche essere un'iniziativa
destinata al fallimento, magari dopo un solo anno... Gli inizi non sono stati
facili, i primi fogli erano appena 50x70, i primi album - addirittura - li facemmo
stampare a Milano perch� non eravamo ancora pronti, la distribuzione era
organizzata direttamente da loro. In seguito arrivammo ad alcuni milioni di
figurine al giorno; quando sono venuto via io, si facevano gi� 500-600.000 bustine
al giorno. Credo che si sia arrivati anche a pi� di 4 milioni di bustine, cio� a
pi� di 16 milioni di figurine al giorno.
I Panini sono stati davvero bravi, inoltre, a saper gestire tutto quel mondo che
ruotava intorno a loro. Se lei avesse visto quanti camion, quante persone venivano
a Modena a rifornirsi direttamente; ricordo un camionista che veniva ogni due
giorni da Napoli e ad ogni viaggio caricava 50-60 quintali di questa roba. Veniva
in fretta, cos� guadagnava; sapeva che, appena tornato a casa, gliel'avrebbero
"bruciata" subito. E cos� facevano tanti altri. In poco tempo i Panini hanno
convinto tutti a lavorare su questa cosa".
9. Venezuela, addio
In quella rigida mattina di fine gennaio del 1957 sono pochi i passeggeri che
stanno per imbarcarsi per il Venezuela. Umberto raccoglie la sua valigia e si avvia
sulla passerella. Non avrebbe mai creduto di finire a fare l'emigrante anche lui;
non si vede, a dir la verit�, nei panni dell'emigrante. Con il consueto buonumore
lancia un ultimo sguardo all'Italia alle sue spalle; quella davanti a lui �
un'avventura, una sfida, una delle tante prodezze del ceppo Panini. E chi l'ha
obbligato, poi? Il lavoro l'aveva. Ma da tante persone aveva sentito dire che da
qualche altra parte avrebbe fatto molto pi� in fretta, con la sua abilit� di
meccanico, a guadagnare quel piccolo capitale che avrebbe potuto permettergli di
comprarsi un'edicola tutta per s�. Quella di Corso Duomo stava cominciando a
funzionare, i giornali da vendere erano ormai parecchi. Erano lontani i tempi del
finocchio in brodo diviso tra nove persone. Il primo pensiero, veramente, l'aveva
fatto sul Canada, ma ci voleva qualcuno, dall'altra parte, che ti mandasse a
prendere. E chi? Allora aveva pensato all'Australia, per� gli avevano detto che era
indispensabile conoscere l'inglese. Detto fatto: si era iscritto a un corso di
inglese, uno dei primi. Ma imparare l'inglese quel tanto da poter conquistare
l'Australia si era rivelata un'impresa non facile, nelle giornate da meccanico alla
Maserati Motociclette e con l'edicola da aprire alle sei del mattino e da tenere
dopo la chiusura della fabbrica fino alla dieci di sera. Il Venezuela era sembrata
la scelta migliore: c'erano gi� tanti italiani, l�, e poi lo spagnolo non era
l'inglese.
Umberto si accomiata e il suo non sa se sia un addio oppure un arrivederci. Lo
attendono ventidue giorni di navigazione, dentro quell'Oceano sconosciuto.
A met� del viaggio compie gli anni, ventisette. Fa cattivo tempo, quel giorno; la
nave, piccola e indifesa, barcolla tra le onde. Gli altri passeggeri stanno chiusi
in cabina, cercando di difendersi come possono, con lo stomaco a pezzi. Ma Umberto
no: nella altrettanto piccola sala da pranzo mangia tutto solo, forse ripensando ai
suoi, al di l� dell'acqua.
Quand'ecco una musica improvvisa, non un gran che - intendiamoci - , piuttosto un
mormorio di melodie di moda, per� sempre un fluire di vita nel silenzio. Umberto
alza gli occhi dal piatto e trova alle sue spalle tre anziani suonatori (con la
faccia un po' rantolante, poveretti, forse non vedevano l'ora di tornarsene anche
loro in cabina): sono dei vecchietti, hanno un violino, una chitarra, cantano.
Davanti a una tortina, sulla nave piccolina, quell'orchestrina - che Fellini
avrebbe sicuramente amato - festeggia il compleanno di Umberto e le note di "Tanti
auguri a te" si spargono sul mare, anche se l'urlo delle onde le ricopre. Gentile
omaggio, cortese consuetudine del capitano ai viaggiatori in odor di genetliaco.
Cos�, con la sua giovinezza ancora intatta, con i suoi sogni nella valigia, con il
suo destino di italiano degli anni '50, accompagnato forse anche dall'"orchestra
Panini" oltre che da quella di Fellini, Umberto sbarca in Venezuela.
"No, lei deve pagare anticipato". "Ma io sono una persona onesta, non si preoccupi.
Ho gi� trovato il lavoro e, non appena prendo la paga, le do i soldi della
settimana". "Niente da fare. O mi paga subito o se ne va. Io non ho niente contro
di lei, per� dicono tutti cos� e poi, dopo qualche giorno, se ne vanno di nascosto,
e chi li vede pi�?".
L'affittacamere di Caracas � inflessibile, Umberto prova ancora a convincerlo per�
non c'� niente da fare: pagamento anticipato. Ma i soldi, che a Modena erano
sembrati sufficienti, se ne sono gi� andati tutti durante il lungo viaggio: il
portafoglio � vuoto e Umberto non sa che cosa fare. � vero che il lavoro ce l'ha,
come fabbro; appena sbarcato dalla nave non ha avuto che l'imbarazzo della scelta,
proprio come gli avevano assicurato; e anche per la lingua nessun problema, qui
sono praticamente tutti italiani... Ma i soldi per pagare la camera ancora non li
ha guadagnati.
Sconfortato, si siede sul bordo del letto, mentre il padrone lo lascia solo perch�
decida il da farsi. Tanto vale risistemare le proprie cose, per essere pronto per
ripartire: Umberto apre la valigia - la sua casa, fino a quel momento - e tira
fuori tutto, compresi gli indumenti che non ha ancora indossato e che deve pur
mettersi, se non vuole sembrare un vagabondo e alienarsi cos� la simpatia di un
altro affittacamere pi� disponibile. Nel sistemare la biancheria di ricambio cade a
terra, con un tonfo sommesso, un rotolino di carta. Incuriosito, lo raccoglie e si
accorge che c'� scritto sopra qualcosa: "Da aprirsi solo in caso di bisogno". La
calligrafia � della mamma. Sorpreso ed emozionato, Umberto lo svolge con ogni cura:
dentro, al posto delle parole che si aspettava, ci sono 50 dollari. 50 dollari!
Anche a questo aveva pensato, sua madre. E come aveva fatto, poi, a mettere insieme
una tale cifra... Tra le calze ancora ben piegate trova un'altra carta: una
lettera, questa volta. Sempre con la calligrafia della madre, indirizzata a "mio
figlio Umberto, da leggere in avvenire quando sarai lontano": "Caro figlio,
ricordati che sei Italiano! Denigrare la tua Patria sarebbe come offendere la casa
dove sei nato. Come straniero devi rispetto alla terra che ti ospita; osserva le
sue leggi, i suoi costumi. Evita discussioni di qualsiasi natura per non avere noie
con gente che non conosci a fondo. Nel lavoro metti tutta la tua attenzione, ma non
esagerare nelle ore perch� il riposo ha le sue esigenze e potresti compromettere la
salute. Pensa al riposo come a un balsamo alle tue fatiche, perci� non sprecarlo in
cose inutili. Conserva con cura la tua roba e il tuo denaro che ti costa fatica e
grande sacrificio. Aiuta il tuo prossimo nelle tue possibilit�, ma attento agli
adulatori; potrebbero trarti in inganno. Pensala come credi, ma tienti lontano da
discussioni di politica e di religione. Ascolta per� sempre volentieri i buoni
consigli per trarne profitto. Quando ti assale la malinconia pensa all'immensit�
del creato e che, bench� distanti, vediamo lo stesso cielo e ci riscalda lo stesso
sole. Dio � grande e onnipotente. Pensa al domani, che sar� estremamente migliore.
Sera e mattina ricordati di elevare un pensiero al Signore, trovati dei buoni
compagni e, potendo, recati con loro alla Santa Messa alla domenica. Ricordati
della tua famiglia, della tua ragazza che ti aspetta, e di tua madre, che ti ha
sempre nel cuore e pensa gi� al tuo ritorno. Dio ti benedica. Tua madre".
Nella notte sudamericana colma di profumi Umberto non � pi� solo. Ripiega quel
piccolo tesoro e si avvia per andare a pagare l'affittacamere; ma ripensa anche a
quell'altro tesoro, laggi� nella Modena nebbiosa, a quella stella che - adesso ne �
sicuro - non l'abbandoner� n� adesso n� mai. Il domani torna a splendere di
meravigliose promesse.
Dopo qualche tempo Caracas gli va stretta. Sembra di essere in Via Emilia, ci sono
soltanto italiani, italiani dappertutto. Insomma, uno attraversa l'oceano, sfida la
sorte, e poi... Decide di andare a Maracaibo, dove ci sono i pozzi petroliferi, le
grandi compagnie, dove trivellano giorno e notte, con macchinari immensi,
modernissimi. L� c'� bisogno di manodopera specializzata e c'� anche da imparare un
sacco di cose, invece che passare la giornata a fare inferriate. Detto fatto,
Umberto parte. Non c'� il treno, potrebbe prendere l'aereo: e con quali soldi? Ma
poi ha un asso nella manica: il suo motorino, un Iso che si � caricato sulla nave
in previsione di poter sfruttare al meglio la propria indipendenza. Lo so che
sembra un'invenzione letteraria ma quell'Iso scooter, che fa - s� e no - gli 80
all'ora, � davvero venuto in Venezuela con lui, anche perch� - diciamoci la verit�
- come avrebbe potuto Umberto abbandonare il proprio motorino? Da Caracas a
Maracaibo ci sono 700 chilometri, di pianure e giungle sterminate, mica i campi
coltivati con le case coloniche a poca distanza l'una dall'altra. Ma sa dove
mettere le mani, in caso di necessit�, e vuole seguire la sua strada: la strada di
Maracaibo, appunto.
Divide il viaggio in due tappe, ed � un'altra impresa notevole, a quella velocit�
da record, immaginiamo su carrettiere non proprio lisce e sicure. Quando scende la
notte, non ha esitazioni; bench� fiducioso nel prossimo, e abituato a rapporti
onesti, dove il furto � soltanto una parola letta sui giornali e riferita a paesi
lontani, riaffiora in lui il previdente e prudente istinto contadino: non si sa
mai, pensa, anche se a malincuore. Cos� adocchia una capannuccia di frasche lungo
la strada e la sceglie come riparo notturno, ma prima si lega il motorino a una
gamba con una lunga corda che si � appositamente portato dietro da Caracas. La
nasconde nell'erba e dorme, pronto a tutto.
Maracaibo � una vera pacchia, per un meccanico esperto e volonteroso. Nel giro di
pochi anni Umberto, da nessuno che era, diventa qualcuno, lavorando alle
perforazioni su macchinari tecnologicamente molto avanzati. E si sposa, con la sua
ragazza modenese. Il matrimonio avviene per procura, poi Adriana0 lo raggiunge,
anch'ella attraverso quell'oceano ormai diventato un po' "di famiglia". Hanno una
figlia, si comprano una bella casetta, sono stimati, ben inseriti: ma lontani da
casa, con un clima che per Adriana non si rivela il pi� adatto e che non �
compensato dalle tante gratificazioni che Umberto coglie dal lavoro.
La sua fama come meccanico � ben giustificata; lo cercano in tanti e gli episodi si
sprecano. Si rivolge a lui, disperato, forse un ultimo dell'anno, un ricco
nordamericano tutto elegante, rimasto a piedi all'improvviso con l'automobile. Ma
anche Umberto quella sera � tutto elegante; deve uscire con la moglie - un'uscita
pi� unica che rara, per quella famiglia impostata sulla sobriet� di vita - e non
pu� accontentare il cliente. Quello insiste, insiste tanto che Umberto cede. Con
una specie di intuito scatenato forse dall'insofferenza per la situazione, sferra
un colpetto sul carburatore del macchinone e il motore si rimette subito in moto.
Lui si stesso si meraviglia. "Che cosa ti devo?", chiede il nordamericano dopo una
lunga profusione di ringraziamenti. "Mi dia 100 bolivar". "Come, 100 bolivar per
una martellata?", si meraviglia l'altro, gi� dimentico del grosso favore personale
che gli � appena stato fatto. "Mi sembra un'esagerazione". "Per�, sa, io sono
venuto via da casa, stavo uscendo, ho dovuto lasciare mia moglie che mi
aspettava...", tenta di spiegare Umberto, a sua volta indispettito. "Ma se tu
dovessi farmi la fattura, che cosa ci scriveresti?", insiste l'altro. "Eh, ci
metterei: per una martellata, un bolivar; per averla saputa dare, 99 bolivar. Vede?
Il conto torna...". Il nordamericano scoppia a ridere e gli d� allegramente i 100
bolivar. La battuta non � di Umberto, che per� � stato svelto a ricordarla e a
metterla in pratica, con quella stessa cordiale sveltezza - tutta "Panini" - che sa
mettere nel lavoro e con cui si sta costruendo la sua piccola fortuna. Da Modena,
via mare, giungono intanto, senza interruzione, fiumi di lettere, le lettere
chilometriche che la gente di un tempo si scriveva pur avendo fatto solo le scuole
elementari, e spesso neanche quelle. Lettere dove si parla di piccole cose e grandi
sentimenti, lettere che sono come catene, fragili come il cristallo ma dure come
l'acciaio, che legano pi� di quanto la distanza non divida.
Scrive la madre, e scrivono i fratelli. Gli scrive, un giorno, il solo Giuseppe, e
nella busta c'� dentro qualcosa che, a prima vista, Umberto neppure riconosce. Sono
figurine, un pacchetto di figurine bianche, ancora pi� bianche in quell'universo di
oro nero dove tutti vivono e che riempie polmoni e portafogli e ricopre peli del
naso, ciglia, sopracciglia, per alcuni anche i ricordi. Umberto sfoglia quelle
figurine bianche che subito diventano nere. Sorride, alle parole del fratello:
"L'America l'abbiamo trovata qui. Torna, abbiamo bisogno di te; dobbiamo inventare
delle macchine per fare queste". Ma fuori dalla finestra della bella casetta di
Umberto le macchine sono altre, gigantesche, incombenti: quale macchina pu� volere
Giuseppe da lui, per quei rettangolini di carta che non si sa neppure a chi e a che
cosa potrebbero servire?
Passano sette anni, davvero tanti. Il desiderio di rivedere la madre � sempre pi�
forte, e anche Adriana vuole tornare almeno per un po', e poi la bambina non � mai
stata in Italia, mai con i suoi parenti, quella piccola Panini sconosciuta nata
nell'altro mondo. Umberto per� indugia, forse in cuor suo sente che un ritorno, per
quanto a termine, potrebbe cambiare qualcosa di quell'esistenza che gli piace tanto
e per la quale si � cos� sacrificato, proprio adesso che ne sta raccogliendo i
frutti. L'idea di acquistare un'edicola propria � ormai svanita, � il lavoro che
sta facendo che gli piace. Cos� scrive alla madre, provando a convincerla a venire
lei a Maracaibo. Ma Olga fiuta il "tranello": se sar� lei ad andare, Umberto non
torner� mai pi�. Gli scrive allora una delle sue lettere magiche: "Se vengo io, ti
vedo solo io; se vieni tu, ti vedono tutti".
Il viaggio di ritorno in aereo dal Venezuela all'Italia dura appena undici ore:
tanto � cambiato il mondo, in quei sette anni, e anche la vita di Umberto. Una
volta tornati, com'era prevedibile, Adriana sceglie di restare con la bambina: "Va'
tu", dice al marito, "io ti aspetto".
E lui riparte. Non ha intenzione di mollare quel suo mondo sudamericano che tanto
lo affascina, pi� di quelle figurine che i fratelli - durante il soggiorno modenese
- hanno continuato a sventolargli sotto il naso, senza riuscire a convincerlo a
unirsi a loro. Certo, si � reso conto di persona che si tratta di un affare, forse
di un grosso affare, ma possono andare avanti anche senza di lui, in fondo, l� in
quell'agenzia. "Agenzia" in realt� era un parola troppo grossa, per definire quei
locali rasoterra, quelle cantine dove alcune donne imbustavano a mano quintali di
figurine. Erano un po' magazzino, un po' laboratorio artigianale, stanzette chiuse
come operosi alveari. Negli spazi aperti del suo Venezuela, solo, senza la
famiglia, Umberto continua ancora un po' ad accarezzare il suo sogno privato. Ma
sente che un destino pi� grande di lui lo richiama a occupare il suo posto. Ritorna
a Modena, per non ripartire pi�.
"Ma guardi che non esiste, � soltanto una proposta". "Lo so benissimo, ma io la
compro lo stesso". Nel grande salone della fiera di D�sseldorf l'incaricato soppesa
con espressione incerta l'italiano che gli sta davanti. Forse pensa anche lui che
"gli italiani sono tutti un po' matti". Per� matto non gli sembra, quel giovane
cos� simpatico, sorridente, gentile. Si misurano per un po' con lo sguardo, poi
entrambi tornano a volgere gli occhi verso quel foglio appeso al muro: la macchina
che Umberto vuole comprare. "Voi la proponete e io la compro", ribadisce l'italiano
sempre pi� convinto. Sotto il foglio c'� scritto: "Proposta Nebiolo per una 4
colori pi� 1 in volta". Proprio quello di cui i Panini hanno bisogno: una macchina
che pu� stampare contemporaneamente la figurina sui due lati, cio� l'immagine sul
davanti e la didascalia sul retro. Un sogno, che pu� far risparmiare un sacco di
passaggi e quindi un sacco di tempo, un sacco di denaro. Pu� voler dire produrre di
pi� in meno tempo e con minor spesa. No, Umberto non � per niente matto. Quella
macchina ha contribuito parecchio alla loro fortuna. Dopo aver comprato pronta
cassa il foglio, cio� la proposta ancora soltanto in progetto, si tratt� di
realizzarla e non fu facile, perch� era pur sempre un sogno che andava trasformato
in realt�. La costru� la stessa ditta proponente, in accordo con Umberto; ci volle
un po' di tempo, prima che fosse a punto perfettamente, ma poi si part� alla
grande.
Umberto e le sue macchine costituiscono una storia nella storia, e sono del resto
il motivo per cui Giuseppe lo richiama dal Venezuela. "Ho goduto della grande
libert� di poter esprimere me stesso al massimo livello", ammette Umberto. Che per�
ci tiene a precisare: "Ma io ho dato la stessa possibilit� agli altri fratelli". �
vero: nessuno si intrometteva nel ruolo altrui. Ognuno era un re nel proprio
piccolo regno e tutti i regni congiunti e concordi fecero un unico grande impero.
Tuttavia, per i fratelli che tecnici non sono, quando si tratta di sganciare i
soldi che servono ad Umberto per acquistare nuovi macchinari, tutta questa
necessit� non sempre appare giustificata. "Ne hai gi� tante, di macchine... Perch�
vuoi comprarne ancora?", quasi Umberto sia un ragazzino alle prese con una sua
collezione privata da ingigantire per diletto. Allora Umberto, amante della quiete
familiare ma ben intenzionato a procedere, manda avanti l'amico e collaboratore
Giorgio Bononcini con l'ingrato incarico di sfondare quella che poi, dopo qualche
resistenza pi� di facciata che di sostanza, si rivela una porta aperta. Per�, nel
momento di bussare a quella porta, un po' di timore c'� sempre. "Umberto vuole
andare a comprare un'altra macchina". "Cosa? Ma sta scherzando?", e Bononcini si
prende la sgridata. Una volta se ne prende una anche tutta per s� perch�,
probabilmente sulle ali dell'entusiasmo di Umberto, pure lui va in Germania ad
acquistare una macchina che costa quasi un miliardo e mezzo. Ancora ride, quando ci
pensa... Spesso, prima di comprare un nuovo macchinario, Umberto deve anche recarsi
all'estero perch�, trattandosi di una produzione molto particolare, bisogna
verificare che ci sia la possibilit� di adattamento al ciclo locale.
Quando � tornato dal Venezuela li ha trovati che rimestavano dentro una zangola,
praticamente un tegame simile a quello che si usava una volta in campagna per fare
il burro. Avevano applicato una manovella e invece del burro mescolavano le
figurine. I nipoti del casaro non avevano trovato niente di meglio per cercare di
evitare le "doppie", ma il sistema sembrava anche a loro un po' rudimentale e,
soprattutto, troppo lento. Umberto lo velocizza motorizzandolo; applica un motorino
di risulta al posto della manovella. E questa fu la prima macchina per le Figurine
Panini.
Ma, con l'aumentare della produzione, aumentano i problemi. � anche in previsione
di questo che Umberto � stato convinto e si � convinto a unirsi ai fratelli: c'�
un'industria delle figurine da creare, un'industria che ancora non esiste. Per
questa industria bisogna adattare e perfino progettare e costruire anche delle
macchine che, come tutto il resto, ancora non esistono. Questo compito spetta a
lui, talento tecnico, giovane energico e creativo. Giuseppe aveva fatto qualche
tentativo, era andato a Torino a comprare una macchina per imbustare, che per� era
servita soltanto come idea: ci vuole Umberto, per aggiornarla e sistemarla. Per
questo, ed altro, Umberto � indispensabile.
I problemi riguardano essenzialmente tre aspetti: stampare, mescolare e imbustare.
Il primo � gi� stato risolto con Artioli e Bertolini e si tratta soltanto di
perfezionarlo; ma il secondo e, soprattutto, il terzo non sono ancora stati
risolti. � evidente che non si pu� proseguire con il sistema della zangola
motorizzata. Il tutto nasce da una constatazione molto semplice, che anche Giuseppe
ha gi� fatto ma che tecnicamente non � stato in grado di risolvere da solo.
Affinch� il gioco delle figurine funzioni, affascini e si moltiplichi, bisogna che
le figurine siano ben mescolate. Non si pu� deludere il bambino, che pu� accettare
la frustrazione di alcune doppie ma non tutte le volte, e non nella stessa
successione.
All'inizio non ci si era neppure resi conto che esistessero le doppie; poi ci si
accorse che nel foglio di stampa le figurine erano collocate sempre nella medesima
posizione, per cui dentro le bustine capitavano spesso le stesse. Era un errore e i
Panini lo capirono. Capirono che bisognava mescolarle, proprio come quando si gioca
a carte, e poi imbustarle. Ben presto Umberto si accorge inoltre che il sistema con
il saldante "a caldo", fino allora utilizzato per unire le due parti della bustina
mediante un filo di politene inserito nei bordi, non va bene, perch� la carta delle
figurine - quando queste diventano autoadesive - pu� facilmente prendere fuoco a
causa della colla. Va in cerca di una soluzione.
Questa si presenta sotto forma di un gelato confezionato; mentre sta per scartarlo,
Umberto riflette che - pur essendo un gelato - ha la carta ben attaccata. Deve
esistere, quindi, anche un sistema con saldante "a freddo" che, se va bene per un
gelato, figurarci se non pu� andar bene per una bustina di figurine.
Si mette allora alla ricerca di chi vende quella carta; � un commerciante di
Torino, ma la colla autosaldante viene dalla Svezia. In un primo tempo Umberto fa
comprare addirittura la colla gi� trattata poi, come al solito, comincia a produrla
in proprio, cosicch� l'azienda diventa del tutto autosufficiente anche rispetto a
questa esigenza.
Ed � la volta della mitica "Fifimatic": � questo il nome - tutto un programma -
dell'imbustatrice automatica inventata da Umberto. Il nome ha una dolcezza e una
delicatezza che fanno stringere il cuore: "fifi" � il nome che i bambini danno a
Modena alle figurine. Le chiamano cos� perch� la parola "figurina", persino quella,
ancora praticamente quasi non esiste, cos� utilizzano un termine privato, del loro
vocabolario infantile. "Matic" invece non ha bisogno di spiegazioni: � l'America di
casa, � la tecnologia della porta accanto, � la contrazione di quel benessere che
gli anni '50 hanno reso anche italiano e che Modena corteggia con discreta
noncuranza. La Fifimatic... e il nome Panini voler� nel mondo.
La Fifimatic � la macchina per il confezionamento: prende le figurine - 4, 5 o 6 a
seconda del programma di lavoro - e le imbusta, poi espelle le scatoline gi�
confezionate con le bustine, anzi, addirittura il cartone pieno di scatole di
bustine, da dare ai distributori. Per ottenere la mescolanza delle figurine a lungo
desiderata e in precedenza non realizzata dagli altri editori, il foglio viene
tagliato in tanti fogli pi� piccoli che poi vengono sovrapposti secondo la
"mescola" che si deve fare, poi di nuovo tagliati e poi di nuovo sovrapposti in un
caricatore in modo che, praticamente, in ogni scatola ci sia una raccolta completa.
Vengono stampate tutte le figurine, ognuna nella stessa identica quantit� delle
altre, senza imbrogli, anche se non c'� l'obbligo legale di dimostrarlo perch� in
Italia ci si basa soltanto sulla fede pubblica (Umberto Panini si ricorda soltanto
il caso della Svezia, in cui fu necessario dichiarare che in ogni scatola c'era una
raccolta completa, perch� la vendita delle figurine l� fu paragonata al gioco della
lotteria, che in quel paese non era ammesso).
Per costruire la sua Fifimatic Umberto impiega cinque o sei mesi; prima se la
studia ben bene, facendosi aiutare da un artigiano, un fustellatore di nome
Vandelli detto "Zamenhof " (come il polacco inventore dell'esperanto, ma non perch�
anche lui fosse un cultore di tale lingua, bens� perch� abitava nella strada a
quello dedicata...), che � considerato anche lui un inventore, un po' originale e
molto genialoide. I primi tentativi avvengono nella piccola cartotecnica di
"Zamenhof ", poco pi� grande di una bottega. In un angolo Umberto si crea una
specie di ancor pi� piccola officinetta e si d� da fare. L'invenzione � tutta di
Umberto, frutto della sua creativit�, ma Vandelli - con le sue conoscenze tecniche
- gli d� una mano nella realizzazione.
Qualche mese dopo, la Fifimatic � pronta. Con essa Umberto riesce a dimostrare che
il rapporto di produzione delle bustine cambia in modo notevolissimo; per esempio,
da 1 a 10. Per� bisogna cominciare a pensare di farne una serie.
Si lavora poi contemporaneamente sui criteri di mescolanza delle figurine. La
misurazione non risulta una cosa semplice, ma da studiare matematicamente per
cercare l'allontanamento delle fasce uguali, per calcolare le probabilit� di
apparizione delle singole figurine. Si tratta di un problema meccanico per il quale
bisogna studiare l'impostazione, cio� la sequenza delle figurine, il posto che
occupano nel foglio di stampa. Diventa un gioco di probabilit�.
� vero che si � favoriti dal fatto che, se i bambini-compratori sono tanti, le
bustine si "sparpagliano" automaticamente fra pi� mani; ma se una stessa persona
compra quindici o venti bustine? � ovvio che aumentano le probabilit� che trovi
delle doppie. Le figurine Panini per�, come abbiamo gi� detto, sono stampate tutte
nello stesso identico quantitativo, non esistono possibilit� maggiori per l'una o
per l'altra. Cambia solo la posizione nel foglio di stampa e, di conseguenza, nella
bustina, ma non il numero reale n� la probabilit� numerica. Insomma, non ci sono
"feroci Saladini", tra le figurine Panini. � tutto regolare, limpido; i bambini lo
capiscono subito e per questo le vogliono.
Nel frattempo quell'altro "geniaccio" di Giuseppe capisce che bisogna anche che
queste collezioni di figurine siano non solo corredate di un album ma che diano
anche la certezza di poter essere terminate perch�, in quelle che erano state
stampate da altri fino a quel momento, erano state appunto create delle figurine
numericamente cos� rare che risultava difficile, se non impossibile, completare la
raccolta. Le famiglie, di conseguenza, non accettavano che i bambini facessero
collezione di figurine perch� dicevano: "Tanto tu non la finisci mai". Invece
Giuseppe comincia a far stampare degli album nei quali nell'ultima pagina c'�
scritto: "Quando vi manca un certo numero di figurine per completare la collezione,
mandateci l'equivalente in francobolli e ve le spediamo noi" senza che i bambini
stessero ad ammattire e a buttare via soldi, accumulando anche delusioni e - alla
fine - un crescente disinteresse. Anche le famiglie, cos�, si rassicurano e
concedono il permesso di accedere alla collezione. La quale, poi, tutto sommato,
era pi� che altro un gioco. Gioco del collezionare, e gioco vero e proprio da fare,
in varie fogge, con i cartoncini piuttosto spessi con cui inizialmente erano fatte
le figurine. Doveva far divertire, non ammattire.
Ormai i Panini non li ferma pi� nessuno: hanno capito il "trucco" e hanno le
macchine adatte. Comprano il terreno in Via Emilio Po, costruiscono lo stabilimento
e mettono un capannone a disposizione di Artioli e Bertolini, che comprano i
macchinari. I Panini in cambio danno la garanzia che il lavoro c'�. E infatti � una
crescita impressionante: il lavoro assume ben presto una dimensione tale che i
Panini, dopo qualche anno, decidono di prenderselo in toto. � meglio cos� anche per
Artioli e Bertolini, perch� per loro avere un cliente unico sarebbe stato, alla
lunga, professionalmente molto rischioso, mentre per i Panini era esattamente
l'opposto: pi� le macchine andavano, pi� figurine si facevano e meglio era,
naturalmente.
"La nostra era una fabbrica estremamente specializzata: tutto quello che c'era era
esclusivamente in funzione delle figurine e basta", spiega Umberto. "Non si faceva
nulla che non fossero le figurine e tutto nasceva ed era finalizzato ad esse. Una
vera industria monosettoriale.
Ci sono stati dei fattori favorevoli, ovviamente: c'erano i soldi, la volont� di
fare, la forza fisica. Perch� tutto questo richiedeva anche uno sforzo incredibile;
ma c'era questo prodotto straordinario che "spingeva", che ti trainava: ogni anno
raddoppiavamo il fatturato. Circa 165 miliardi negli anni '80. Indubbiamente quelle
che hanno sfondato sono state le raccolte del calcio, per� dopo ne abbiamo avute
altre - di diverso genere - che pure hanno avuto un grandissimo successo. Certo che
il calcio...
Non so fino a che punto noi ci siamo resi conto di quello che stava succedendo e
questo ci ha aiutato a restare noi stessi: la cosa � stata troppo rapida. S�, non
ce ne rendevamo mica conto, � stata una crescita incredibile. Immagini che quando
cominciarono, l� nel nostro capannone, Artioli e Bertolini comprarono una macchina
a 2 colori, nel 1965-'66, con misura di stampa 70x100; nel 1975, dieci anni dopo,
avevamo 4 macchine a 4 colori 110x160! Facevamo anche 48 milioni di figurine al
giorno, dato che potevamo fare circa 8 milioni di bustine contenenti 6 figurine
l'una.
Il bello della nostra azienda era quella caratteristica che oggi si chiama
"flessibilit�", la tanto decantata flessibilit�; noi, se era necessario, ci
fermavamo anche fino alle otto del mattino, dopo aver lavorato tutta notte. Era
un'azienda atipica.
In compenso si avevano dei periodi in cui non c'era niente da fare. Si lavorava, in
un certo senso, a forfait, e alla fine dell'anno si facevano i conti. La quantit� e
la durata del lavoro, infatti, dipendevano dalle necessit� della produzione.
Questo per� soltanto fino a un certo periodo, perch� poi i dipendenti fecero pi�
fatica ad accettare questo modo di lavorare, mentre in precedenza erano molto pi�
disponibili. Dopo c'� stata anche la presenza assidua dei sindacati. Del resto, la
Panini era una realt� produttiva troppo importante perch� i sindacati non la
tenessero in debita considerazione: abbiamo avuto anche 560 dipendenti. E 12 o 13
dirigenti. Troppi...
C'era un'organizzazione di vendita molto importante, con nostri rappresentanti
regionali e, in seguito, anche internazionali; poi ci servivamo delle edicole,
30.000 nella sola Italia. Erano punti-vendita di fondamentale importanza, che gi�
esistevano e nei quali noi ci siamo inseriti. Questa per� era la parte che
riguardava Franco, mentre io mi occupavo soltanto di quella tecnica. Il presidente
� sempre stato Giuseppe. Qualche volta mi � capitato di fare un po' l'ago della
bilancia, cercando di evitare gli eventuali contrasti. Ma in genere siamo sempre
andati d'accordo. Persino quando abbiamo deciso di vendere, inizialmente non la
pensavamo tutti allo stesso modo, ma poi siamo riusciti ad accordarci, anche perch�
ci � capitata davvero un'occasione.
Cominci� con De Benedetti, quando si fece vivo di sua iniziativa. Un fenomeno cos�,
come quello delle figurine, non poteva sfuggire a questi grandi finanzieri. Noi in
fondo eravamo dei "ricchi poveri", perch� � vero che avevamo dei soldi per� nessuno
di noi ne aveva in eccesso: reinvestivamo sempre pi� di quello che guadagnavamo.
Non che ci lamentassimo, � ovvio, perch� si viveva molto decorosamente, ma era pur
sempre un'azienda familiare, con tutto quello che ci� comporta. Quando arriv� De
Benedetti ci chiedemmo: "Che cosa facciamo?". Decidemmo di vendergli il 25% con il
quale non avremmo mai perduto il comando dell'azienda. Ma ormai, per noi, i tempi
per vendere tutta l'azienda erano maturi. C'era anche la faccenda della successione
difficile e numerosa, con 16 eredi. Un'altra soluzione sarebbe stata che uno di noi
fratelli rilevasse gli altri, portando avanti l'azienda da solo, ma nessuno di noi
si sent� di farlo, dato che fino a quel momento eravamo andati avanti cos� bene
tutti insieme.
Maxwell si fece vivo anche per una circostanza particolare: noi stavamo vendendo
figurine al suo rivale, cosicch� lui risolse il problema alla radice, comprando la
fabbrica stessa. Liquid� De Benedetti, poi compr� noi, tranne la quota del 16% (con
un 1% per ogni nostro figlio). Dopo poco, per�, quando ci accorgemmo che si stava
indebitando, decidemmo di vendergli anche questa percentuale residua. Il resto �
cosa nota.
Questa delle figurine � stata un'occasione che abbiamo saputo cogliere e che, come
� nata, cos� � morta. � rimasto per� un ricordo bellissimo, non soltanto a livello
mio personale ma anche per tutti quelli che hanno collezionato le nostre figurine
quand'erano ragazzi e che adesso hanno una cinquantina d'anni. Per loro � stato un
periodo indimenticabile in cui si sono divertiti veramente e in cui si sono anche
sentiti "assistiti": perch� prima praticamente ogni ragazzo era affidato a se
stesso, non era neppure sicuro di poter portare a termine una collezione perch�
c'erano piccoli editori che facevano qualche edizione e che poi, se vedevano che la
cosa non funzionava, mollavano tutto. Noi invece eravamo presenti dall'inizio alla
fine; eravamo, come si dice oggi, affidabili. A questo contribu� molto l'iniziativa
del servizio "figurine mancanti", che � partito fin dalle prime collezioni e non si
� mai interrotto, venendo cos� a costituire una vera e propria caratteristica delle
figurine Panini. Le valide invece, nate nella seconda met� degli anni '60, le
abbiamo smesse nel '72. C'erano anche le bisvalide, le trisvalide, persino le
pentavalide, con il catalogo dei regali; nel complesso ai bambini interessavano
abbastanza per�, con tutti quei premi da distribuire, si era creato un giro troppo
grosso che in parte ci creava dei problemi nel lavoro quotidiano, cos� preferimmo
smettere, anche perch� nel frattempo intervennero delle limitazioni di legge.
Adesso infatti le regole sono diverse: in ogni bustina deve esserci 1 punto di
sicuro. Quindi, se si devono collezionare 50 punti, comprando 50 bustine bisogna
trovarli tutti e 50. Prima, invece, ci si affidava alla fortuna.
Non abbiamo mai avuto disavventure; � stata un'impresa tranquillissima, anche
perch� era un settore dove c'eravamo solo noi. I concorrenti venivano e sparivano
perch� era un lavoro che richiedeva grande organizzazione e che non si poteva
improvvisare. Noi ci siamo inseriti sulla rete gi� esistente di distribuzione dei
giornali, ma la cosa � andata avanti soprattutto per forza propria; oltretutto,
questo non � un prodotto che abbia bisogno di pubblicit�. � il bambino che lo
sceglie. Magari si cominciava a Torino e il giorno dopo a Palermo gi� chiedevano le
figurine. � una cosa incredibile, forse una sensazione, qualcosa che i bambini
sentono e che a noi sfugge.
Quando decidevamo la raccolta e tutti noi "vecchi" eravamo convinti che sarebbe
stata un successo, non la si vendeva; quando tutti noi dicevamo: "Ma chi vuoi che
la compri?", allora vendeva benissimo.
� quasi impossibile mettersi nella mentalit� di un bambino. Facevamo anche delle
inchieste di mercato ma, nel momento in cui si traevano le conclusioni, il bambino
stava gi� facendo il servizio militare. Invece questo � un prodotto immediato. Di
un'immediatezza straordinaria: ci voleva soprattutto della fortuna, per non dire un
altro nome.
E allora, dato che la fortuna non la si conosce, si facevano tante raccolte - con
una tiratura minima da rispettare - in modo da poter avere la possibilit� di
indovinare anche quella giusta. Alcune tornavano in resa e dovevamo anche buttarle
via. Quando per� una raccolta piaceva, ci ripagava abbondantemente di tutti gli
altri tentativi.
Le cose belle sono finite quando si � allargato il tavolo, quando ci si sono seduti
intorno tanti dirigenti... Quando metti a sedere uno su una sedia decisionale, �
ovvio che si senta in diritto di dire sempre la propria opinione, sia anche una
stupidaggine, perch�, se � seduto l�, pensa di esserci perch� comanda e che gli
altri debbano per forza ascoltarlo. Noi invece decidevamo in due minuti. Questo
prodotto, secondo me, voleva essere gestito cos�, in modo rapido e diretto,
immediato.
Indubbiamente � stato il calcio che ha influito in maniera determinante sulla
fortuna delle nostre figurine e per un po' di tempo, infatti, abbiamo prodotto solo
quelle. Nel calcio ci sono tutti gli ingredienti giusti: c'� la diffusione, c'� il
fatto che tutte le domeniche succede qualcosa di nuovo che lo tiene vivo, c'� il
protagonista, c'� il personaggio emergente, ci sono tanti soggetti uno diverso
dall'altro. Tutto questo permetteva di poter tranquillamente fare una serie di 400
pezzi e anche pi�. Questi ingredienti ci sono ancora, ma adesso i bambini non
seguono pi� il calcio con la stessa passione di un tempo. Quelli, gli anni '60-'70,
sono stati gli anni d'oro, a tal punto che fu un successo l'aver inserito anche la
serie C. Prima nessuno ci aveva pensato, ma per il bambino che vive in un paese la
serie C � altrettanto importante delle altre. In questo modo anche lui aveva la
propria squadra nelle figurine, la cercava e la trovava, poteva identificarsi.
Certo � vero che oggi i tempi sono cambiati, per� non credo che tutto sia perduto,
perch� questa delle figurine � una cosa che torna, ciclicamente, come mi hanno
confermato di recente il rappresentante svizzero e quello belga dato che, nei loro
Paesi, ultimamente il mercato ha ripreso a vendere con grandissimo successo.
Per me � stata una bella avventura, mi ritengo l'uomo pi� fortunato della terra. Ho
avuto delle soddisfazioni che non avrei scambiato con nient'altro al mondo. Mi
ricordo, per esempio, di quella volta - a met� circa degli anni '70 - che facemmo
uno dei primi abbinamenti commerciali tra la figurina e un altro prodotto, che in
quel caso era un detersivo in polvere. Era previsto che avremmo messo la figurina
dentro la scatola del detersivo. Il problema qual era?
Il problema veniva da lontano, dal disaccordo che in genere - dappertutto - esiste
tra la parte amministrativa e quella produttiva ogni qual volta ciascuno dei due
tenda a vedere solo l'aspetto di propria competenza. In quel caso la produzione
accett� l'accordo a patto di non abbassare la velocit� delle macchine per favorire
l'introduzione della figurina nella scatola. Quell'azienda faceva 300 scatole al
minuto: si trattava allora di inventare un marchingegno che buttasse dentro queste
scatole le bustine di figurine a 300 pezzi al minuto. "Vado a vedere. Se posso
farlo...", dissi ai miei. Andai a vedere sul posto, ma mi trovai di fronte una
grande ostilit�; praticamente non mi facevano osservare niente, mi permettevano di
andare soltanto la sera. Riuscii ugualmente a progettare e a costruire la macchina
necessaria e finalmente ottenni di provarla. Una sera mi diedero mezz'ora di tempo;
c'erano tutti gli ingegneri schierati, in attesa di verificarne il funzionamento.
Misi in moto questa macchina enorme. In fondo al salone, lontanissime, c'erano le
300 scatole che mi aspettavano. Zum, zum... La macchina part�, le bustine di
figurine partirono e... fecero centro perfetto, tutte e 300 in 1 minuto! Fu una
cosa stupefacente, nessuno fiat�, anche gli ingegneri rimasero a bocca aperta, e io
ancora pi� di loro.
Quando tornai a casa, alle tre di notte, chiesi al mio assistente che mi aveva
accompagnato: "Secondo te, chi � pi� felice tra me e lo Sci� di Persia?". Anche lui
non disse niente, tanto sapevo gi� la risposta".
Ma da dove sar� saltata fuori, questa facilit� creativa per gli affari, le macchine
e l'intelletto che caratterizza tutti i fratelli Panini? Che si possa parlare di
una "razza Panini"? Perch� da qualche parte dovr� pur essere venuta. E infatti,
basta scrostare appena un po' la patina del tempo e qualcosa subito appare che ci
chiarisce un po' le idee.
Accontentiamoci di risalire al vecchio Antonio, al padre di Antonio, marito di
Olga. La famiglia, originaria di Corlo di Baggiovara, si stabilisce a un certo
punto a Pozza di Maranello (sono tutte localit� nelle immediate vicinanze di
Modena, sulla Pedemontana). E qui apre un'officina, dove lavorano tutti i maschi
dei tredici figli del vecchio Antonio, compreso Antonio, il marito di Olga.
S�, perch� il vecchio Panini era un "inventore", e qui la faccenda si fa
interessante; ci sono fotografie, brevetti, documenti. Almeno Umberto, sicuramente,
sa da chi ha preso... In origine l'inventore Panini � un contadino come tanti ma,
al volgere del secolo, apre questa officina di attrezzi agricoli con un'intuizione
non da poco, tenendo anche conto che fa tutto di propria iniziativa, senza soldi
per studiare; d'altronde, per studiare quei primi rudimenti di meccanica allora non
c'erano neppure le scuole. Quell'officina esiste ancora, gestita oggi dal figlio di
un cugino, che fa impianti e attrezzature meccaniche.
E allora, all'inizio del '900, che cosa ci faceva il vecchio Panini con i suoi
figli? Inventava, per esempio, una "pompa irroratrice a grande lavoro contro la
peronospora" e, in data 8 maggio 1900, gi� capiva di riprodurne, su carta intestata
a nome della propria officina, l'immagine fotografica. Stessa cosa per
un'invenzione di dieci anni dopo, il "nuovo torchio idraulico per vinacce", che
"riunisce i vantaggi di una pressatura perfetta e di un grande rendimento di
lavoro, impiegando una piccolissima forza, perch� basta una sola persona, anche non
adulta, per fare tutte le operazioni necessarie". Il d�pliant illustrativo
(indicato nel margine inferiore sinistro come "pubblicit�") prosegue elencando con
precisione tecnica le modalit� di funzionamento e i sei vantaggi che si possono
ricavare dal suo utilizzo e si conclude con l'indicazione di un recapito in Modena
dove poter acquistare il torchio, presso un tal "Panini Giovanni, Via Canalino 6",
a conferma di quel "lavorare in famiglia" che caratterizzer� anche i Panini
successivi. Questa invenzione, probabilmente come tutte le altre, � coperta da
brevetto.
Nel 1925 vediamo il vecchio Antonio in posa orgogliosa, con una decina di medaglie
non identificate appuntate al petto, accanto a uno "scaldino", cio� a un
"dispositivo antigelo per gli abbeveratoi del bestiame, prodotto dalla Officina
Panini". Lo scaldino deve aver avuto successo, perch� poco dopo - in un'altra
fotografia - riappare ancora Antonio attorniato da figli, amici e nipoti, accanto a
"due scaldini dell'ultimo tipo".
Parallelamente all'applicazione del loro genio tecnico, i Panini si dedicano anche
all'attivit� di riparazione di macchine e attrezzi agricoli ma, nonostante il
lavoro non manchi, le bocche - con relativa prole - sono troppe. Ecco uno dei
motivi per cui Antonio, il figlio pi� piccolo, deve cercarsi un'altra strada. Ma,
negli abissi del patrimonio genetico, la razza Panini continuer� a germinare e, al
momento opportuno, salter� fuori davanti agli occhi del mondo intero.
Seconda Parte
"� arrivato una mattina sventolandomi dei cartoncini sotto il naso: "Senti un po',
tu che lavori nella carta stampata, ma come si fa a fare questi affari qua?". Non
sapevo neanche che cosa fossero. Li ha sventolati una seconda volta: "Allora, come
posso fare? Me ne servono degli altri, ma quelli che me li avevano venduti li hanno
finiti. Come si fa a farli?", chiedeva".
Giorgio Bononcini, alla fine degli anni '50, lavora davvero nella "carta stampata",
nel senso che fa il rappresentante di quei fazzoletti di carta un po' crespata che
si adoperano per avvolgere arance e altri frutti (lavora per la ditta Incarta, di
propriet� di Vaccari - che ha anche una zincografica, tuttora esistente - e di
Cattani, tipografo presso la Tipografia Mantovani). Ma questo � pi� che
sufficiente, agli occhi di Giuseppe Panini, per fare di lui un autentico esperto.
L'iniziativa, del tutto casuale, di vendere partite invendute di figurine stampate
da piccoli editori di altre citt� sta dando risultati incredibili. Giuseppe capisce
che bisogna proseguire; ma come si fa, se di figurine non ce ne sono pi�? Le far�
lui stesso, per� non sa come, n� dove. Ecco perch� � venuto a cercare Giorgio, un
amico che se ne intende e che pu� dargli una mano. Giorgio prende tra le mani quei
cartoncini e gli dice: "Proviamo nella tipografia del mio principale, pu� darsi che
l� si possano fare".
La Tipografia Mantovani � anch'essa in pieno centro di Modena, a pochi metri dalla
Ghirlandina, perch� questa storia delle figurine, che far� il giro del mondo, si
svolge tutta - nella sostanza - fra le quattro o cinque strade antiche e un prato
di periferia di una citt� italiana di provincia. Cos� si pu� tranquillamente
raggiungere la tipografia dei primi esperimenti in bicicletta o a piedi e, per
avere un parere tecnico che star� alla base di un'innovazione di portata mondiale,
basta chiedere all'amico con il quale da ragazzi si � giocato a pallone.
Giorgio allora porta Giuseppe dal tipografo Cattani che, come vede le figurine,
esclama: "Non si pu� mica con i piombi, qui ci vuole il clich�". Altro duro colpo
per Giuseppe: che cosa sar� mai il clich�?
Cattani gli spiega che il clich� � alla base di un altro sistema di stampa, quello
della litografia: mentre la tipografia usa i "tipi", cio� piombi e caratteri, la
litografia impiega le pellicole, che trasforma in lastre tipografiche. Il
risultato, in poche parole, � che "la tipografia fa cose piccole, la litografia
quelle grandi". Nel caso delle figurine, che devono essere numerose, ci vuole la
litografia. Si fa comunque una prova tipografica e si vede che le figurine vengono
molto bene. Su indicazione di Cattani ci si rivolge quindi alla Zincografica
Vaccari, che stampa le prime figurine (il famoso Bolchi!). Giuseppe � soddisfatto,
ma rimane il problema che non si pu� mica stampare praticamente una figurina alla
volta.
Si d� da fare e, in breve tempo, trova un litografo a Bologna, che per� ha una
macchina piccola e che, soprattutto, non consegna mai la merce a tempo debito. Ne
trova allora un altro a Milano ma sempre con gli stessi problemi, oltre a quello
della distanza. � questo il momento in cui entra in scena Ivo Bertolini, al quale
si aggiunge Paolo Artioli, e il gioco � fatto. Giorgio Bononcini viene poi assunto
alla Panini a partire dal 1965, dopo tre o quattro anni di collaborazione esterna,
e vi rimane 29 anni, come responsabile dell'ufficio acquisti; l'ha vista nascere,
da un prato d'erba pieno d'acqua, una palude ai margini della citt�. � diventato,
in pratica, il "quinto fratello", come dicevano gli altri quattro.
Giorgio ricorda bene quegli inizi difficoltosi, dovuti al fatto che i Panini gi�
disponevano di un prodotto che sorpassava i mezzi tecnici a disposizione in quel
momento, non solo per loro ma in tutta Modena e anche fuori. Si lavor� per un po'
sempre con foglietti piccoli, da quelli sufficienti per appena 9 figurine fino ad
altri che ne ottenevano un massimo di 30, e con 4 passate di macchina per ottenere
i colori.
Ci fu poi il passaggio alla bicromia e alla quadricromia con grandi macchine, che
consentivano fogli di 110x160, cio� di 300 figurine al colpo: ma erano trascorsi
dieci anni, nel frattempo! E quando si ebbero le macchine all'interno dell'azienda,
si pass� da 1 macchina iniziale piccola a 1 colore solo a 4 grandi macchine a 5
colori. Fu una bella soddisfazione, per chi si vide crescere sotto gli occhi tutto
questo lavoro. La quantit� di figurine prodotte dipendeva comunque dai periodi
perch�, in un certo senso, era quasi un'occupazione stagionale. C'erano anche dei
momenti di magra; d'estate, per esempio, non si stampava niente perch� i bambini
andavano al mare, stavano all'aperto, si muovevano e non avevano pi� n� tempo n�
interesse per le figurine.
Il periodo adatto era sempre quello scolastico, dall'inizio delle scuole fin verso
la primavera, poi si aveva la caduta. E i dipendenti sono stati anche 560. Il
problema era dar da lavorare a tutte queste persone, che erano fisse. Bisognava
fare qualcosa, ma che cosa? Non si poteva preparare il lavoro autunnale troppo in
anticipo, perch� poi potevano subentrare dei cambiamenti imprevisti. Si lanciava un
paio di serie all'inizio di settembre ma quelle grosse, centrali, partivano subito
dopo Natale per finire poi a marzo; verso aprile si metteva dentro qualche altra
cosa, magari per le bambine, e poi basta. "Quello delle Figurine Panini � stato un
fenomeno nato da solo, dalla curiosit� dei bambini. Sono loro, che comandano",
spiega Giorgio Bononcini. "Sia in bene che in male perch�, se una serie non piace
ai bambini, lei ha stampato per niente. Non rimane che spendere dei soldi per
bruciarla. Sa perch� bisogna bruciarla? Perch� altrimenti ritorna in resa e ci si
rimette soltanto. Cos� le serie non riuscite le portavamo all'inceneritore, a
quello di Parma perch� allora a Modena ancora non esisteva. All'inizio,
naturalmente, abbiamo provato a farle girare lo stesso, ma poi ci siamo accorti che
era pi� la perdita che il guadagno. Quindi, rimanenze e invenduto venivano
bruciati. Le serie venivano vendute all'edicolante con il diritto di resa, il che
significa che l'edicolante acquistava, poi restituiva quello che non veniva
venduto, facendosi ridare i soldi. Ecco allora che, per non ridare il denaro e per
continuare la produzione, era necessario avere sempre delle nuove serie pronte, a
meno che uno non smettesse di lavorare e allora andava in resa, e buonanotte.
Quindi, se un edicolante comprava 130 e vendeva 100, il 30 rimanente lo rendeva
all'editore, che doveva pagarlo o sostituirlo: se l'editore - quel 30 - non
riusciva a venderlo da nessun'altra parte, doveva bruciarlo. Provare a spostarlo su
un altro mercato - anche estero, sfruttando la didascalia plurilingue - spesso non
cambiava niente lo stesso: perch�, quando una serie non andava, non andava; non
c'era niente da fare.
E non sempre era facile indovinare la fortuna di una serie. Quando fu comprata
quella del personaggio televisivo Heidi, per esempio, eravamo tutti perplessi: "Ma,
questa bambina...". Dopo due giorni che erano fuori, le figurine erano introvabili.
Era piaciuta, questa bambina che faceva commuovere. Mi ricordo una figurina dove
c'era lei che prendeva in mano un uccellino e si metteva a piangere. Il giorno
dopo, piangevano tutti i bambini. La forza di quell'immagine... E, come quella, ce
ne sono state molte altre, ma era comunque difficile prevedere perch� quelle s� e
altre no.
I motivi a volte sembravano inspiegabili. Allo stesso modo, tra i calciatori alcuni
piacevano pi� di altri, e non si capiva il perch�. Abbiamo pubblicato tante serie
della Walt Disney, con un po' di fatica perch� prima c'era un altro editore di
Milano al quale poi siamo subentrati noi ottenendo l'esclusiva. Siamo partiti con
Topolino, che per� non � andato molto bene. Paperino invece s�. All'inizio non
abbiamo capito perch�; poi, facendo le serie, ci siamo resi conto che Paperino - e
cos� anche Pippo - piaceva perch� perdeva sempre mentre Topolino, per il motivo
opposto, piaceva poco. Abbiamo pubblicato anche alcune favole classiche e qualche
romanzo d'avventure, ma piacevano pi� ai bambini grandicelli che non ai piccoli.
Al piccolo piace l'immagine, e piace farsi leggere dalla madre. Quello delle
figurine, comunque, � soprattutto un gioco, al quale si mescola un po' di
didattica. Al di l� dei contenuti delle immagini, � importante il fatto che con le
figurine il bambino impara a leggere i numeri e non li dimentica pi�, perch� �
motivato a trovare la collocazione del singolo pezzo all'interno di una serie.
Oltretutto in questa operazione il bambino � totalmente autonomo, dato che pu�
"pelare" la figurina da solo e attaccarsela con le proprie mani senza sporcare
perch� � autoadesiva.
Ma la figurina, ripeto, � soprattutto un gioco, un gioco basato sullo scambio, un
gioco che diventa una forma di comunicazione e di socializzazione tra bambini. E
che costa poco; se uno vuole, pu� comprare anche tutta la raccolta subito,
spendendo una certa cifra ma, pure comprando poche bustine alla volta, con il
sistema degli scambi si "moltiplicano" le figurine a disposizione, spendendo
praticamente la met�.
Una volta si faceva anche il gioco di lanciarle contro il muro: vinceva chi si
avvicinava di pi�. Questo, per�, era un gioco che esisteva anche prima delle
Figurine Panini. Ce n'erano tanti altri, che adesso sono andati perduti.
S�, le Figurine Panini hanno avuto molto successo, ma abbiamo fatto anche dei
grossi pianti. Le serie con i calciatori sono sempre andate bene, per� non si
poteva vivere con i calciatori tutto l'anno, allora si cercavano dei soggetti che
si pensava potessero piacere. Si compravano i diritti, spesso all'estero, e si
faceva la serie.
All'inizio, veramente, per quello che riguarda il calcio credo che i Panini non
sapessero neanche che esistesse una Federazione Gioco Calcio poi, quando
gliel'hanno detto, hanno pagato e preso l'esclusiva.
La concorrenza? Ce n'era, anche perch� le figurine, com'� noto, non le hanno mica
inventate i Panini. Per� non era molto agguerrita poich� alcune ditte che le
facevano, come la Nestl� o alcune case di biscotti, continuavano a tenerle legate a
premi o a prodotti. Sui mercati esteri i concorrenti pi� temibili erano gli
spagnoli, che per� facevano un prodotto alquanto scadente; e poi loro usavano
ancora il "cartonaccio" pesante e la colla quando gi� le nostre erano leggere e
autoadesive. Sono stato proprio io ad andare in Germania a comprare la macchina per
farle autoadesive. � stato all'inizio degli anni '70 e quella macchina costava 1
miliardo e 300 milioni. A momenti mi licenziavano... ma andava bene cos�. Anche le
collezioni esistevano gi�, per� duravano degli anni; era poi molto difficile
completarle perch� nel pacchetto c'era un'unica figurina e spesso, oltretutto,
capitava di ritrovare sempre la stessa. Nella nostra bustina, invece, c'erano sei
figurine, e ben mescolate. Se uno poi avesse comprato un'intera scatola di bustine,
avrebbe avuto di sicuro l'intera raccolta. Era anche possibile, con pochissima
spesa, mandare a richiedere le figurine mancanti, cos� il completamento della
collezione era garantito in ogni caso.
Controlli legali non ce n'erano o, tutt'al pi�, c'era la richiesta della garanzia
nella fede pubblica per� noi stessi dichiaravamo, nell'ultima pagina dell'album,
che "le raccolte Panini si completano sempre".
In genere il materiale lo si trovava gi� tutto pronto, soltanto da ingrandire o da
ridurre. Talvolta si trattava di illustrazioni di un testo. Ma c'erano anche delle
litografie che possedevano montagne di immagini - per esempio, animali - e andavamo
a comprarle l�. Oppure si mandava il fotografo a riprendere in giro, anche perch�
non si poteva riprodurre sempre la stessa tigre di Roma; c'erano comunque delle
apposite agenzie che svolgevano questo servizio.
Si pagavano le royalties oppure si comprava "una tantum", indipendentemente dal
possibile venduto.
Certo che - almeno nei limiti del possibile - facevamo le nostre inchieste di
mercato, prima di stampare: ma la figurina � una cosa che sfugge. Bisogna
innanzitutto parlare con i bambini, pensare con la loro testa, non fare le cose che
piacciono ai grandi: tanto, quelle a loro di sicuro non piacciono. Noi ormai
eravamo degli esperti e riconoscevamo abbastanza facilmente quello che poteva
essere di loro gradimento. Abbiamo fatto i nostri sbagli e abbiamo imparato da
quelli: dopo averne fatto uno si va piano, prima di farne un altro; ci si pensa su,
si guarda.
Fare dei test... sembra facile, ma non lo �. Poi magari, quando arrivano i
risultati, il gusto dei bambini � gi� cambiato.
All'estero sono andato un po' dappertutto, credo che abbiamo venduto in oltre 35
paesi stranieri. In alcuni, per�, come la Russia o il Giappone, non siamo riusciti.
Abbiamo venduto in Australia, ma mai in India. Si � fatto un discreto lavoro in
Africa, soprattutto in Egitto e in Sudafrica, e poi in Marocco, a Gibilterra, in
Spagna, in Europa dappertutto, negli Stati Uniti, un po' nell'America del Sud, a
Panama. E ancora in Turchia, in Grecia, in Jugoslavia (un mercato bellissimo, anche
se non avevano molti soldi), in tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo
(soprattutto a Malta). Si vendevano delle serie internazionali legate, per esempio,
ai campionati mondiali di calcio; quelle si potevano davvero vendere dappertutto.
Perch� il pi�, dopo aver creato i macchinari e aver riempito l'Italia di figurine,
� stato andare a cercare i mercati, sempre nuovi mercati. Per trovarli, Franco
Panini ed io abbiamo girato un po' in tutto il mondo. Prima di partire si cercavano
delle persone che lavorassero gi� sul posto nel campo editoriale o in quello dei
prodotti per bambini e che facessero da referenti. Andando noi stessi direttamente
in giro, facevamo poi abbastanza presto; guardavamo certe cose, chiedevamo chi le
aveva fatte, poi lo contattavamo e gli facevamo delle proposte. Ci comportavamo
cos� anche con i responsabili delle agenzie di distribuzione, che hanno sempre
bisogno di testate nuove.
Il bambino � un consumatore; quando una cosa gli piace, la vuole subito. C'era
anche il problema, allora, di soddisfare la richiesta in tempo. Ci sono
30.000 edicole in Italia, ognuna legata a una rete distributiva: bisognava arrivare
a tutte, il pi� in fretta possibile.
Nonostante i legami con i mercati esteri, tutta la produzione di figurine veniva
sempre fatta qua a Modena. Erano le didascalie plurilingue, che permettevano di
venderle anche fuori. Pure l'album veniva stampato qua per�, se non c'era tempo a
sufficienza, poteva anche essere stampato nel paese a cui era destinato, a cura del
rappresentante locale della Panini che si occupava inoltre, e soprattutto, delle
didascalie e dei testi in genere perch� cos� il risultato - e il controllo - erano
pi� rapidi e sicuri.
Ripetere oggi quello che � successo allora � difficile. � cambiata la mentalit� del
bambino stesso: si � abbassata l'et�, impara prima, ha altri mezzi che gli
permettono di vedere, di rivedere, di possedere. Allora la figurina era,
soprattutto, un modo - altrimenti impossibile - per trattenere l'immagine".
Anche oggi Panini � sinonimo di figurina, di sport e di campioni. Prova ne sia che
trasmissioni televisive come "Quelli che il calcio" o conduttori come Fabio Fazio e
politici come Walter Veltroni non mancano occasione di citare le figurine Panini
per vari motivi.
Walter Veltroni, quando nella prima met� degli anni '90 era direttore de "L'Unit�",
per lanciare il giornale fece con noi l'operazione "Figurine Panini". Arriv� a
quasi 600.000 copie vendute (570.000, per l'esattezza); dava in offerta tre giorni
alla settimana, a chi acquistava il giornale, le bustine con le serie storiche dei
calciatori, insieme con l'album. Fu un successo straordinario, verticale, non pi�
ripetuto dalle successive offerte di altri prodotti in omaggio con il quotidiano.
Ma le figurine Panini restano legate anche ad iniziative internazionali, come
succede in Brasile, a Rio de Janeiro, dove si fanno incontri di calcio "Vecchie
glorie contro Panini Figurine". Le mitiche figurine Panini per diverse generazioni
hanno rappresentato gioco e divertimento ma anche un approccio nuovo, diverso, per
la cultura e certe sue espressioni (fumetti, cartoni animati, cinema, televisione)
e per lo sport. Essendosi sempre proposte di presentare gli sportivi come campioni
di altruismo e di generosit�, esse hanno costituito un utile e prezioso veicolo di
informazione e formazione dei giovani. Bench� quella delle figurine possa essere
considerata una forma di cultura minore, pure essa risulta efficace tanto, se non
pi�, di ogni altra, anche come modo, mezzo, occasione per acculturarsi.
� stato un successo, quello delle figurine Panini, che si pu� paragonare a quello
ottenuto da "Grand Hotel" quando usc� nel 1948; entrambi ebbero il merito di
avvicinare alla carta stampata tanti giovani che poi sono cresciuti e, anche se non
a tutti, forse a qualcuno questo approccio � servito per prendere dimestichezza con
altri tipi di carta stampata, come primo gradino per accedere poi ad altri giornali
e ai libri.
Coerentemente con questi presupposti e con queste finalit�, i fratelli Panini hanno
sempre investito in sponsorizzazioni che a volte hanno rasentato il mecenatismo,
concorrendo a favorire lo sport da un lato e la cultura da un altro. Cos� � nata -
soprattutto per volont� di Benito e di Giuseppe - la famosa Panini Volley, la
squadra di pallavolo pi� volte campione nazionale e internazionale. Cos� anche �
nata - questa volta per volont� di Franco Cosimo - la Divisione Libri, nel 1978,
all'interno della Panini Figurine. Iniziative entrambe caratterizzate dal desiderio
di incidere sulla realt� culturale e sociale, con particolare riferimento ai
giovani e al loro rapporto con la cultura d'appartenenza.
I fratelli sono sempre andati d'accordo. Certo, qualche volta Franco e Giuseppe
erano un po' come due galletti e volevano prevalere l'uno sull'altro: allora
Umberto, e con lui le sorelle, faceva l'ago della bilancia. Ma erano in fondo
discussioni senza acrimonia, costruttive, direi inevitabili quando si lavora
insieme su di una medesima realt� produttiva, e non hanno mai lasciato strascichi
di rancori o acrimonie. Lo spirito di gruppo dei Panini ha sempre prevalso, come �
successo in genere in tutte le famiglie imprenditrici modenesi, dove le fortune
sono state fatte insieme da tutti i membri del gruppo. Quando hanno capito che la
loro forza d'insieme stava per disgregarsi, che all'orizzonte si profilavano delle
dispute per regolare la successione tra i numerosissimi eredi, hanno voluto salvare
la famiglia; non volevano litigare, cos� hanno colto l'occasione e hanno venduto a
De Benedetti, che in quel periodo cercava di inserirsi. Poi, per tutta una serie di
motivi, ebbero timore di perdere tutto, perci� conclusero con Maxwell in tempi
rapidissimi. Cos� fin� la storia delle figurine per quello che riguarda i Panini:
finita quell'esperienza, ognuno di loro riprese la propria strada".
Alla conquista del mondo s�, quindi, ma portandosi dietro le proprie radici, che
nel caso dei Panini vuol dire tutta la numerosa famiglia, impegnata a diversi
livelli nella produzione delle figurine. Non � un caso che, secondo una formula pi�
volte collaudata in territorio emiliano, sopra l'azienda ci vada a vivere la
famiglia del proprietario: casa e bottega, insomma. Anche se la "bottega", in
questo caso, � leader mondiale. Cos� nella palazzina di Via Emilio Po, simbolo -
agli occhi della citt� di provincia - di "chi ce l'ha fatta", ci sono anche tre
appartamenti: uno per Giuseppe, uno per Edda e uno, pi� piccolo, per la madre.
Quest'ultimo � collocato tra gli altri due, quasi in un ulteriore gesto - se mai ci
fosse bisogno di dimostrarlo ancora - di affetto e protezione.
Ma anche Veronica, nonostante abitasse altrove con il marito, era molto presente
nella vita della fabbrica e della famiglia: "Al mattino sbrigavo un po' di faccende
in casa mia, facevo la spesa poi, con la bicicletta, andavo l�; mangiavo con la
mamma e restavo fino a sera, quando ritornavo a casa. Anche mio marito, del resto,
era impiegato nell'azienda. Uno dei miei incarichi era quello di occuparmi delle
letterine che spedivano i bambini per avere le figurine mancanti. Spesso mi aiutava
la mamma, che si divertiva a mettere da parte i nomi e i cognomi pi� strani:
Culetto Rosa, Melalav� Domenica (ma noi toglievamo l'accento...), Guadagno Sabato.
Devo dire che ci siam fatte proprio delle belle risate.
Io ero l'unica delle sorelle a lavorare dentro la fabbrica. Le altre tre lavoravano
sempre per la Panini ma per conto proprio, un po' dall'esterno, anche perch�
dovevano badare ai figli mentre io invece, che non ne avevo, tutto sommato avevo
pi� tempo a disposizione: Maria portava le figurine a domicilio, dai rivenditori;
Norma spediva ai bambini quelle mancanti; Edda raccoglieva i francobolli oppure
sbrigava qualche lavoro di segreteria. Hanno cominciato a lavorare per l'azienda -
e con loro anche i mariti, tranne quello di Norma che faceva l'agronomo - quando il
lavoro � diventato pi� grosso e c'� stato bisogno dell'aiuto di tutti. Le cognate
invece non sono mai venute anche perch� i nostri fratelli non hanno mai voluto
mischiare la vita privata con il lavoro. Pure la mamma diceva sempre: "Le donne
tenetele a casa a far da mangiare. Non mettete le donne in mezzo agli affari". Noi,
sorelle e cognati, eravamo soltanto dipendenti; i soci erano loro quattro fratelli
maschi. Andava bene cos�, non abbiamo mai avuto nessuno screzio. E, naturalmente,
al momento della vendita dell'azienda noi non abbiamo avuto alcun ruolo perch� non
eravamo parte in causa. Comunque va bene cos�: a noi non manca niente lo stesso e
abbiamo meno pensieri.
L'azienda � stata venduta sana sotto tutti i punti di vista. Oggi per� � vero che
ci sono meno bimbi e che questi bimbi hanno tante altre cose da fare e da comprare.
Cos�, se adesso le figurine vanno forse meno bene, i motivi non sono dovuti alla
Panini. E invece, soprattutto negli anni scorsi, a volte si � parlato della Panini
magari facendo qualche critica, come se fosse ancora nostra, e questo ci �
dispiaciuto.
Siamo venuti su come un'azienda artigianale; i dipendenti erano anche loro quasi di
famiglia. Dopo per� � cambiato tutto. Ma prima c'era confidenza, ci si conosceva
tutti. Chi aveva bisogno - a seconda delle necessit� - veniva aiutato. Molti
dipendenti hanno comprato casa grazie all'aiuto della Panini, che anticipava parte
della liquidazione. Allora, a quei tempi, era possibile... Ma in seguito �
cresciuto troppo il numero: 560 persone sono tante, se una mattina ne mancavano -
faccio per dire - 50, era quasi lo stesso. E poi erano troppi anche i dirigenti,
che spesso non andavano molto d'accordo fra di loro". "Noi comunque non abbiamo mai
avuto delle pretese: quello che viene, viene", aggiunge la sorella Edda. "E cos�
abbiamo cresciuto anche i nostri figli. I nostri nipoti stanno ad ascoltare queste
storie a bocca aperta".
Buonanotte, Panini. Ti lascio ai tuoi sogni, a quell'ultima luce che ormai anche
qui dovr� pur spegnersi, almeno per questa notte. E grazie di tutto, anche per
quelle due scatole che mi hai infilato sotto il braccio, dell'Uomo Ragno e degli X-
Men. I miei figli ne saranno contenti, soprattutto il pi� piccolo che � ancora
nella fascia delle indagini di mercato. Ma � davvero per loro, che sono cos�
felice? Non � a me, che piace sentire questi tesori fra le mani?
Ma in che misura il calcio incide sulla produzione e sulla vendita delle figurine,
Panini e non solo?
Lo chiedo a Luca Ferri: "In Italia nella stagione 1995-'96, che � quella che io ho
analizzato dettagliatamente, sono state commercializzate complessivamente 70
collezioni di prodotti che rientrano, per cos� dire, nel collezionabile editoriale:
34 realizzate da Panini e 36 da societ� concorrenti. Sul totale, 42 sono collezioni
di figurine da raccogliere in album (21 Panini e 21 le concorrenti), 11 sono
collezioni di "cards" (6 Panini e 5 le concorrenti), 6 sono collezioni di "caps",
cio� di cartoncini di forma circolare non adesiva, con svariati soggetti, che
possono venire sparati da speciali pistole oppure che rimpiazzano le figurine nei
loro stessi giochi (4 Panini e 2 le concorrenti) e, infine, 11 sono collezioni di
oggetti vari come gli Stick & Stack, che sono figurine autoadesive sagomate che
hanno la caratteristica di potersi attaccare e staccare a piacimento mantenendo
inalterata la caratteristica autoadesiva (3 tutte Panini) oppure penne.
Le diverse collezioni vengono distinte in 3 categorie a seconda dei soggetti
raffigurati: "educational" (didattica), "entertainment" (intrattenimento) e
"sport". Variano da un minimo di circa 100 figurine l'una fino a un massimo di
circa 600. Quelle dedicate ai calciatori dei principali campionati italiani sono
sempre sopra le 400 e la collezione "Calciatori", che � la pi� numerosa, si
posiziona intorno alle 600; quelle riguardanti altri soggetti si collocano, nella
stragrande maggioranza dei casi, al di sotto delle 250.
La domanda per le figurine proviene prevalentemente da bambini e adolescenti tra i
5 e i 15 anni.
Secondo una ricerca Doxa sempre del 1995 sui ragazzi dai 5 ai 13 anni, dal titolo
"Junior '95", il 68,5% dei soggetti nella fascia dell'et� in questione compra
figurine da collezionare in un album (l'inchiesta considera il mercato nella sua
globalit�, non soltanto la produzione Panini). La maggior parte ne acquista una
sola raccolta, mentre il 47,2% ne acquista due o anche pi�. Le collezioni di
figurine, poi, interessano i maschi in misura di poco superiore a quanto
interessino le femmine: 75,1% contro 61,6%. La composizione della domanda per
sesso, per�, acquista una pi� marcata caratterizzazione se riferita alle singole
collezioni. Risulta che i collezionisti di figurine dei calciatori sono per il 90%
maschi, mentre le figurine dei personaggi di Walt Disney e di altri cartoni animati
e telefilm sono prevalentemente acquistate dalle femmine (55,6%).
Dai dati dell'archivio aziendale Panini impariamo che il 64% dei consumatori di
collezioni sul calcio conosce il prodotto attraverso amici o parenti e solo il 18%
attraverso la pubblicit� televisiva. Per le collezioni Disney, invece, la
percentuale di conoscenza attraverso parenti o amici � pari al 32%, mentre quella
attribuibile alla pubblicit� televisiva si attesta al 31%.
La domanda di figurine delle collezioni dedicate ai principali avvenimenti di
calcio ha inoltre un andamento particolarmente stabile, con tassi di variazione
(calcolati, nell'inchiesta Doxa Junior, per le stagioni '94-'95 e '95-'96 rispetto
a ciascuna stagione precedente) pari rispettivamente a - 1% e + 1,6%.
In concomitanza di eventi particolari, quali ad esempio la Coppa del Mondo, il tema
del calcio suscita una maggiore attenzione nei bambini. Avvenimenti di questo tipo,
caratterizzati da una propria ciclicit�, appaiono incidere sulla domanda delle
figurine ampliandone il consumo, anche se inducono una leggera flessione sulle
collezioni relative ai campionati nazionali.
Fenomeno tutt'altro che inspiegabile se teniamo conto che, in vista dell'uscita
della collezione dedicata all'evento internazionale, gli editori - negli anni in
cui si disputano tali tornei - ritirano le proprie raccolte sui campionati locali
in anticipo rispetto agli anni cosiddetti normali.
Come � facile capire, la fortuna commerciale di una collezione di figurine � in
genere difficilmente prevedibile al momento della sua programmazione, in quanto
dipende strettamente dall'interesse generato dall'avvenimento a cui � dedicata e
inoltre, naturalmente, pi� � elevato il numero delle collezioni commercializzate e
pi� si riduce il rischio legato all'attivit� produttiva; per il calcio, comunque,
questo rischio � di per s� particolarmente basso.
Un altro vantaggio, sempre legato alle collezioni dei calciatori, � nella tipologia
dell'avvenimento di riferimento: i campionati si ripetono annualmente con le stesse
modalit�, suscitando un ampio e costante interesse presso la propria fascia di
pubblico.
Un'altra serie di collezioni che possiede caratteristiche analoghe anche se meno
marcate � quella legata ai film a cartoni animati della Disney (di cui la Panini
detiene l'esclusiva dei "characters" per le figurine). Inoltre i film di Walt
Disney escono generalmente due volte l'anno e una delle due coincide con le vacanze
scolastiche di Natale, accompagnate sempre da un forte lancio pubblicitario".
Come in tutte le storie, anche in quella dei Panini passano gli anni. L'esempio di
Olga e Antonio, e anche della madre da sola, di quella indomita dolce matriarca che
ha saputo sempre tenerli uniti, ha gettato semi profondi. Gli otto figli
ripropongono, pi� o meno, il medesimo modello familiare: famiglie solide, compatte,
numerose.
Tutti e otto i fratelli e le sorelle Panini si sposano: Giuseppe ha 4 figli, Franco
5, Umberto 4, Benito 3, Norma 5, Maria 3, Edda 2, Veronica nessuno anche se li
avrebbe voluti tanto volentieri.
In tutto fanno 26 nipoti, 16 dei quali eredi diretti dei quattro fratelli soci in
azienda. Un'eventuale successione si presenta problematica.
Non sono stanchi, i fratelli Panini, per� sono passati ormai trent'anni da quando �
iniziata l'avventura delle figurine: trent'anni in cui, giorno per giorno, pur
volendosi bene, stimandosi e avendo un progetto comune, hanno dovuto
inevitabilmente adattarsi gli uni agli altri, smussare alcuni aspetti del
carattere, cedere, aspettare, arrabbiarsi, accarezzare qualche desiderio
professionale autonomo.
Benito se n'� gi� andato da tempo. Franco � sempre pi� attratto dal mondo
dell'editoria; qualcuno lo sente mentre si dispiace: "Ma che editori siamo? Editori
di figurine...". Giuseppe � assorbito dalla passione per la modenesit� che si
esprime attraverso le sue collezioni e le iniziative per valorizzarle, i suoi
incarichi pubblici, il tentativo di gettarsi in politica. Umberto ha i suoi motori,
e forse � quello che si pone meno problemi.
La fine degli anni '80, dal punto di vista dell'economia, non � pi� quella dei
decenni precedenti; la Panini Figurine ha sempre il suo meraviglioso fatturato
intatto, ma forse bisogna ogni giorno di pi� spremersi le meningi per stare al
passo di un mercato governato da leggi a volte oscure, non pi� quelle semplici
della domanda e dell'offerta.
La figurina deve accodarsi al carrozzone del cinema e della televisione, perde un
po' dell'autonomia che aveva acquistato proprio con i Panini, � in concorrenza con
altre immagini, altri prodotti e, soprattutto, altri bambini. E il bambino stesso
si presenta cambiato, cos� come il suo rapporto con il mondo della figura: adesso
non � pi� impegnato e affascinato dal trattenere un'immagine statica, bens� dal
lasciare scorrere un'immagine in continuo movimento, anzi, un'immagine che lui
stesso pu� manipolare, condurre, trasformare, deformare, secondo i propri desideri
e i propri ritmi. La figurina, istante cristallizzato di un tempo calmo, di lunghe
osservazioni, di meditazioni senza fretta, si scosta un po', per far posto al
turbinio di nuove suggestioni.
L'avvenire dei Panini, e di tutti i loro discendenti, � solidamente al sicuro;
hanno saputo affermarsi, dimostrare a se stessi e al mondo intero il proprio
valore, creare dal nulla, e anche divertirsi, restare uniti, sfidare le lusinghe
del dio denaro rimanendo ancorati alla realt� di una provincia ricca di affetti
personali e ancora sufficientemente gratificante.
La Panini � stata ed � l'azienda leader nel settore: che cos'altro desiderare di
pi�, quale altra meta porsi? Quale altra meta, soprattutto, che sia tanto forte e
entusiasmante da essere sentita come prioritaria rispetto a quelle differenze
individuali che, ormai pi� che le somiglianze, sembrano emergere all'interno del
gruppo dei fratelli? La cronaca riporta notizie di famiglie di imprenditori
travolte da litigi, da lotte intestine, da spartizioni fratricide: 16 nipoti sono
tanti. Anche senza litigare, quale futuro attender� un'azienda priva di un'unica
testa, com'era sempre stata quella dei quattro fratelli insieme? Perch�, come dice
spesso Franco, "i soldi si possono dividere, le aziende no".
Nel 1987 si presenta Carlo De Benedetti con un'offerta. I fratelli si consultano e
convengono che l'ingresso di un "esterno", e di un esterno come De Benedetti, possa
essere un buon intervento di tipo finanziario-imprenditoriale-manageriale per fare
un salto di qualit� strutturale.
De Benedetti compra il 25% dell'azienda. In realt� ci si rende conto in tempi
abbastanza rapidi che per lui si tratta di un investimento finanziario: compra,
cio�, rapidamente e, all'occorrenza, potrebbe rivendere con la stessa rapidit�.
� la volta, allora, appena un anno dopo, dell'uomo d'affari inglese Robert Maxwell,
che si presenta con proclami rassicuranti, con grandi progetti tutti finalizzati -
a quanto sembrava - a un rilancio dell'azienda su scala ancora pi� ampia,
manifestando l'intenzione di comprarla tutta. Gi� i fratelli Panini avevano
dispiacere all'idea di cedere l'azienda, che per loro aveva voluto dire tanto; �
vero che ne avrebbero ricavato un bel po' ma, da un punto di vista sentimentale,
nessuna cifra sarebbe mai stata sufficiente. Le dichiarazioni di Maxwell sul futuro
della Panini leniscono un po' questo dolore, lasciando presagire un futuro
altrettanto roseo, un'attenzione diretta e personale a quello che era stato non
solo il gioiello di famiglia ma anche la loro stessa vita.
Maxwell poi � lui stesso un editore, ha tanti altri interessi in giro per il mondo,
anche in tanti Paesi - come l'Estremo Oriente e l'Africa - dove la Panini non era
mai penetrata. Si pensa che l'inserimento in un gruppo editoriale internazionale
possa anche aiutare la Panini a entrare in certi mercati, a fare dei prodotti a
minor prezzo, a creare delle sinergie... In poche parole, si pensa di lasciare
l'azienda in buone mani. Cos� i Panini decidono di vendere a Maxwell.
Maxwell gode in quel periodo di grande credibilit� da parte di numerose banche;
liquida con larghezza sia De Benedetti che i fratelli Panini, che sono soddisfatti
e per l'ammontare della cifra e per le modalit� di pagamento: vengono praticamente
pagati sull'unghia. Da questo punto di vista, quindi, si pu� dire che la vendita
dell'azienda sia stata un successo. Non cos� sar�, per�, per il futuro che
l'attende. Manca ogni programmazione di sviluppo aziendale, l'organico dei
dipendenti � sovradimensionato, si riempiono gli uffici oltremisura di direttori e
dirigenti, gente straniera che con le maestranze ha poco a che spartire, rendendo i
rapporti di lavoro ancora meno produttivi: nel giro di tre anni la Panini comincia
ad andare veramente male.
Anche la pallavolo ne risente; sono anni drammatici, sotto il profilo sportivo.
Giuseppe continua a occuparsene facendosene carico personalmente e cercando di
procurare sponsorizzazioni: prima la Philips, poi la Banca Carimonte, ma non
servono a rilanciare la squadra ai livelli precedenti. Pure nel caso della
pallavolo c'� la precisa volont� di salvare un patrimonio sportivo; Giuseppe
potrebbe vendere tutti i giocatori, tenersi il ricavato della vendita dei
cartellini, chiudere la squadra in attivo e non parlarne pi�. Invece, con i soldi
di alcune forzate cessioni, rimette insieme un sestetto, preoccupandosi anche
dell'ingaggio degli anni successivi. Poi vende a Giovanni Vandelli; a malincuore
dal punto di vista personale, ma volentieri perch� egli fornisce delle garanzie di
voler proseguire nell'attivit�.
E Vandelli (che in precedenza si � occupato per tanti anni della Reggiana Calcio) �
tuttora proprietario e presidente della squadra di pallavolo, che si � chiamata
dapprima Daytona Volley, dal nome dell'azienda ceramica che egli possiede, e poi,
attualmente, Unibon Casa Modena, a seguito di un accordo di sponsorizzazione con
Casa Modena (salumi ex-Ciam).
Negli anni della cessione dell'azienda e del gruppo sportivo Antonio Panini, figlio
di Giuseppe, ha una trentina d'anni, sette od otto dei quali passati a lavorare
all'interno della Panini. Che cosa si ricorda, di quegli avvenimenti? Quali sono
stati i motivi della cessione, quali le difficolt� che a un certo punto un'azienda
nata e cresciuta su di un gruppo familiare di stampo tradizionale pu� incontrare
sulla strada dell'imprenditoria contemporanea?
"� capitata un'occasione e loro, come tante altre volte, hanno saputo coglierla in
quanto tale. Poi, dopo la cessione del 25% a De Benedetti, si sono resi conto
direttamente di che cosa significasse avere dei soci esterni.
Non si poteva pi� fare il consiglio di amministrazione su per le scale, come tante
volte capitava, o indire riunioni anche di una certa importanza in modo informale e
condurle "alla buona", tra familiari e collaboratori stretti. Avere un socio
esterno significava anche questo: una maniera di governare pi� professionale, pi�
formale. Secondo me, era finito un ciclo fisiologico", commenta Antonio.
Un ciclo fisiologico... Probabilmente � vero: erano partiti con una grande spinta,
con una grande voglia di fare, armati solo di iniziativa privata, si erano divisi
in maniera particolarmente felice i compiti, avevano compiuto insieme un percorso
di trent'anni, erano arrivati a un punto di traguardo e l� si erano trovati di
fronte a un complicato passaggio di mano, non tanto delle quote da un punto di
vista societario quanto dei ruoli all'interno dell'azienda.
C'erano, s�, un direttore generale, dei direttori di funzione, un responsabile del
personale, un responsabile acquisti e tanti altri personaggi, ma le presenze di
Franco, come capo di tutto - dopo che Giuseppe si era gradatamente ritirato per
dedicarsi ad altre cose -, e di Umberto, in officina a sovrintendere tutte le
questioni tecniche, erano presenze molto particolari, molto influenti,
insostituibili; era la propriet� dentro l'azienda.
Era una grande famiglia, al cui interno rientravano anche i ruoli delle persone che
vi lavoravano. Persone, collaboratori che erano nati praticamente insieme con
l'azienda e che identificavano il ruolo con la propria persona e viceversa.
� questo un problema, del resto, tipico di tutte le aziende che passano da un tipo
di gestione familiare a un tipo di gestione manageriale. Ci si trova tutti
spiazzati, vengono a mancare i punti di riferimento non solo professionali ma anche
esistenziali; e se prima era possibile risolvere ogni questione parlando a tu per
tu, guardandosi negli occhi, tirandosi anche due parolacce, se prima era possibile
da entrambe le parti condividere un dolore, una delusione o una qualche felicit�
professionale o anche domestica, sentirsi capiti, visti, rimproverati, apprezzati
per quello che si � veramente - non l'ingranaggio ma l'individuo, non un cartellino
ma un nome e cognome e, soprattutto, una faccia -, adesso non � pi� possibile.
Il capo � un altro, comunque un altro; un "diverso", un'entit� non avvicinabile.
Pu� anche darti una pacca sulla spalla (anche se non lo far� mai), ma � comunque un
altro da te. � un altro dentro, perch� il mondo lo vuole cos�: distante ed
efficiente, estraneo ed alieno, cordiale e separato; immagine di un potere
imperscrutabile, di una lontananza che il secolo al tramonto sempre pi� getta in
faccia al dipendente. Dipendente non solo di lavoro ma anche di spazi, di affetti,
di esistenza.
Non era pi� possibile condurre la Panini nel modo Panini; non lo era per i
fratelli, non lo era per nessun altro. � lo stesso destino che, in un certo senso,
attendeva negli stessi anni un altro modenese a capo di una grande industria: Enzo
Ferrari. Anche lui cedette, salvando il salvabile; ma il suo modo di gestire
l'azienda fin� con lui, n� mai nessuno � riuscito a rimpiazzarlo. E forse nessuno
si � mai posto il problema di farlo.
Ci fu quindi questo momento di disorientamento, prima della scelta. Che cosa
facciamo, che cosa non facciamo?
"Io ero il pi� vecchio tra i figli degli eredi, cio� tra i figli dei fratelli
maschi", continua Antonio. "Avevo trent'anni ma anche un sacco di cugini, il pi�
giovane dei quali aveva appena undici anni. Chi avrebbe deciso per lui, e che cosa?
E lui, una volta grande, che rapporto avrebbe avuto con me e con gli altri cugini?
Io ho lavorato dentro l'azienda per sette od otto anni e ho imparato tante cose,
per� mi sono reso conto che diventava un problema. Bisognava che i fratelli
rimanessero l� ancora parecchi anni per ridisegnare certi ruoli, modellandoli su
persone estranee alla famiglia ma molto, molto competenti e molto dentro la realt�
professionale dell'azienda, oppure...".
E poi non c'era pi� lo stato di necessit�, quella coesione particolare, pi� forte
del cemento, che lega le persone che - tra mille difficolt� - perseguono uno scopo
comune; gli altri avrebbero ereditato una cosa gi� fatta, un bene acquisito, un
capitale, un'azienda. Ma la voglia di fare? Di andare a vedere l� pi� avanti,
sempre di pi�, quella voglia che aveva fatto tornare Umberto dal Venezuela, che
aveva fatto s� che Franco si licenziasse da un ambitissimo posto in banca, che
aveva ridato nuova linfa vitale al corpo ancora dolorante di Giuseppe, che aveva
spinto Benito ad alzarsi tutte le mattine alle quattro? Ci sarebbe stata ancora,
quell'energia comune e in comune?
Era venuta meno la spinta propulsiva. Era l'ora del passaggio: dal momento eroico -
quello della creazione, dello sforzo, che porta tutto sommato facilmente a una
visione unitaria fra pi� soggetti - a quello della stabilizzazione; dal momento in
cui la meta comune prevale sulle aspettative individuali a quello in cui
l'individuo vuole affrancarsi dal gruppo. Col tempo, infatti, emersero pi� le
differenze che le somiglianze tra i fratelli, non per motivi oggettivi ma per
naturale evoluzione delle cose.
"Tutti andavano d'accordo, loro per primi, e sicuramente all'inizio ancora di pi�.
Perch� � evidente che alla fine, se anche di quattro avevano fatto un'unica
propriet�, ciascuno aveva poi il proprio modo di vedere certi dettagli, certi
risvolti. Anche noi cugini siamo sempre andati molto d'accordo, ma certi modi
diversi di vedere le cose si sarebbero allargati ancora pi� capillarmente: da 4 a
16!".
Antonio Panini ha ben presente il momento della cessione: "Maxwell capit� in quel
periodo in cui ci si poneva anche il problema della ridefinizione dei ruoli. Era
una cosa che poteva fare soltanto qualcun altro, qualcuno che non fosse un Panini,
ma una nuova propriet� che - non avendo legami n� rapporti profondi con le persone
che vi lavoravano - guardasse solo all'utile, con un occhio non necessariamente
cinico o spietato ma sicuramente pi� neutrale, che non tenesse conto di tanti
risvolti personali e sentimentali. Non era indispensabile che questo nuovo
referente fosse ancora modenese e neppure italiano; bastava che sapesse calarsi,
per�, in questa realt�. Ma con la gestione Maxwell, com'� noto, non fu cos�.
Chi si occup� dell'impero di Maxwell dopo la sua morte vendette poi la Panini a una
cordata finanziaria della Bain Gallo Cuneo Investements, di cui faceva parte anche
De Agostini. Questi nuovi proprietari fecero un ottimo lavoro di pulizia e
rivalutazione dell'azienda. L'elemento trainante era la De Agostini, che aveva dei
soci finanziatori: hanno comprato bene, spendendo relativamente poco, e poi hanno
rivenduto all'americana Marvel Comics, un gruppo che possiede moltissime propriet�.
Poi, recentemente, c'� stato l'acquisto di Merloni e la Panini � ridiventata
italiana.
Gi� la De Agostini aveva messo in azienda un amministratore delegato di origine
argentina, Aldo Hugo Sallustro, che � rimasto anche quando la propriet� � passata
alla Marvel e poi alla Merloni e questo, secondo me, � stato un fatto molto
positivo. Di solito un nuovo proprietario si preoccupa soprattutto di cambiare le
persone che occupano le posizioni chiave, sostituendole con le proprie, mentre gli
altri livelli di personale normalmente non vengono modificati.
Sallustro invece rimase; � lui, adesso, il leader indiscusso della Panini. � uno
che ha "capito il trucco"; perch� in realt�, poi, andar d'accordo con le persone
della nostra zona non � difficile. Noi modenesi, noi emiliani, fondamentalmente non
siamo litigiosi. Perch�, s�, � vera la faccenda della forza familiare dei Panini,
ma � anche vero che i fratelli, quando hanno cominciato, hanno trovato un sacco di
persone che hanno dato loro una mano: collaboratori stretti ma anche operai, gente
brava, laboriosa, che ci ha messo tanta iniziativa personale, che ci ha dato la
pelle, meccanici, tecnici... � la collaborazione di tutte queste persone, che ha
generato la Panini. All'inizio, con la De Agostini, Sallustro ha dovuto fare un
gran repulisti perch� l'azienda era sovrastrutturata (anche perch� allora, pur
essendo quello delle figurine un lavoro semi-stagionale, sindacalmente non si
potevano fare assunzioni a termine; cos�, quando c'era bisogno, si assumevano
persone che poi rimanevano pure quando non sarebbero pi� servite). La Panini era,
sostanzialmente, l'antitesi di quello che deve essere un'azienda funzionante. Aveva
una discreta autonomia per quanto riguardava l'acquisto di diritti e licenze, per�
non aveva soldi n� progetti editoriali. Andava avanti pi� che altro per forza
d'inerzia.
Il gruppo che faceva capo alla De Agostini ha lavorato nella direzione opposta: ha
ridotto i costi, lasciato a casa un po' di personale in esubero, ristrutturato
alcuni reparti e ricominciato a comprare licenze e diritti piuttosto significativi.
Hanno dato una bella svolta, stabilizzando l'azienda sul numero di circa 500
dipendenti, che � anche quello attuale.
Oggi la Panini continua a fare figurine, legandosi anche alle nuove esigenze del
mercato, di cui � sempre leader mondiale. In questi ultimi anni per� deve vedersela
con qualche concorrente americano, europeo, persino italiano. Gli stessi cambi di
propriet� hanno generato gruppi e gruppuscoli fuggiaschi, pi� o meno realizzati
professionalmente, che non volevano pi� aver niente a che fare con i nuovi
proprietari oppure che hanno colto l'occasione per prendere il volo. E questo ha
voluto dire trasferire alla concorrenza delle competenze acquisite, un patrimonio
di esperienze.
Pi� ancora, comunque, � interessante chiedersi quali siano i limiti, oggi, del
mercato delle figurine, e quali le eventuali potenzialit� di quest'oggetto-
prodotto".
In campo all'Hotel Ritz, quel 15 ottobre 1988, ci sono due squadre: da una parte la
Panini, con i due proprietari Franco e Umberto (Giuseppe � rimasto a Modena per
motivi di salute), il direttore generale Alfredo Roma e i due legali; dall'altra la
Maxwell, con il proprietario Robert, il figlio Kevin e i legali.
Dodici anni dopo, chiedo ad Alfredo Roma: "Dottor Roma, mi racconti della cessione
dell'azienda".
L'ex-direttore generale ed ex-amministratore delegato della Panini � appena
rientrato dalla capitale; in aereo, naturalmente. A parte il fatto che il volo era
gi� una sua passione personale in quegli anni, i casi della vita hanno voluto che
recentemente abbia assunto la carica di presidente dell'Enac (Ente Nazionale
Aviazione Civile), l'ente da poco nato dalla fusione del vecchio Registro
Aeronautico con Civilavia. Oggi, come allora, la vita e la carriera di Roma sono
quindi costellate di aerei, grandi e piccoli, pubblici e privati. "Ma su quello che
vi port� al Ritz, come c'eravate finiti?". "Quando i fratelli Panini dichiararono
la loro disponibilit� a vendere a Maxwell, io contattai suo figlio Kevin, che mi
disse che sarebbe venuto a Modena al pi� presto per vedere di persona. Arriv� pochi
giorni dopo, il 29 luglio 1988. Giunse all'aeroporto di Bologna con la sorella, su
di un jet a sei posti. Andai a prenderlo e lo accompagnai qui a Modena. Guard�
tutto e trov� ogni cosa in ordine, tanto che telefon� immediatamente a Londra al
padre. Robert Maxwell mi invit� ad andare da lui al pi� presto: "Le firmo una
lettera di intenti e la rimando a casa la sera stessa". Fu proprio quello che
capit�. Partimmo alle quattro del pomeriggio da Bologna sempre con un aereo
privato, arrivammo a Londra e, in elicottero, atterrammo nel centro della citt�,
dove c'era la sede dei suoi uffici. Lo incontrai, chiacchierammo un po', non pi� di
un'oretta, poi firm� la lettera. Era tempo, per me, di tornare in Italia. Gli dissi
che avrei potuto farlo con un aereo di linea, senza arrecargli disturbo. "Niente
affatto", replic� lui "ho promesso di riportarla indietro e lo far�". Non avendo in
quel momento altri aerei a disposizione, mi rimand� in Italia con un Boeing 727, un
aereo normalmente da 180 posti. Questo era tutto costruito su misura e
personalizzato, con un salotto enorme, una camera da letto matrimoniale e altre
cose del genere. C'ero solo io, una persona di equipaggio, i due piloti e un
motorista. Poco dopo mezzanotte arrivammo all'aeroporto di Bologna con questa
"bestia": e non so se e quanto si stupirono i presenti vedendo scendere me solo...
Presi la mia macchina e tornai a Modena.
Il giorno dopo telefonai a De Benedetti: "Se volete vendere anche la vostra
parte...". Era un prezzo elevatissimo, molto superiore a quello di mercato. Mi
sembra che per l'azienda Maxwell avesse offerto un valore globale di 150 miliardi,
a fronte dei 130 ai quali era stata valutata. E allora anche De Benedetti e la
Mondadori, che insieme detenevano il 30%, decisero di vendere". "Che peccato, per�.
Non sarebbe stato possibile, per i Panini, tenersi la propria azienda? Come mai
erano arrivati alla decisione di vendere? Lei che cosa ne pensa, dottor Roma?".
"La caduta degli dei, si potrebbe chiamare", commenta Alfredo Roma. "Sono tante le
ragioni per cui non solo l'azienda Panini ma anche molte altre realt� modenesi (per
esempio: Ferrari, Maserati, Fini) sono cadute in mano altrui.
C'� innanzitutto un problema generale, dato dal fatto che quella modenese �
un'imprenditoria molto giovane, nata da un'economia prevalentemente agricola, che
si � sviluppata soprattutto dopo la fine dell'ultima guerra e che, in seconda
generazione, non ha saputo mantenere quella tradizione che invece avevano
soprattutto le grandi famiglie del Piemonte e della Lombardia. Perci�, spesso, in
seconda generazione i figli non sono stati all'altezza dei padri perch� non erano
preparati neanche culturalmente; il risultato � stato che le aziende sono uscite.
Anche nel caso dei Panini... Non � che avessero bisogno di denaro, quando hanno
venduto.
L'unico era Giuseppe, perch� aveva fatto dei grossi investimenti immobiliari;
sarebbe potuto uscire soltanto lui, per� ha detto: "Abbiamo cominciato insieme,
finiamo insieme" e ha un po' costretto i fratelli a vendere. Ma Franco e Umberto
non avevano ragione di vendere la Panini, potevano tranquillamente restare dentro
l'azienda, e anche per un altro bel po' di anni ancora. Sono poi comunque usciti
con accordo.
Quello della vendita totale fu per� un passo successivo; inizialmente si pens�
soltanto di vendere una parte, introducendo un socio esterno che avrebbe fatto
comodo per altri motivi, soprattutto in termini di cultura e di competenze. A un
certo momento infatti ci eravamo detti: "L'azienda va molto bene, facciamo entrare
un socio esterno che ci porti cultura e ci aiuti ad andare in Borsa". E infatti fu
proprio cos�. Con la vendita parziale a De Benedetti ci fu l'entrata di altri
manager: nel consiglio di amministrazione, oltre ai Panini e a me, c'erano anche
Roberto Colaninno (attuale presidente di Telecom Italia) e Arnaldo Borghesi,
entrambi mandati da De Benedetti, i quali avevano dato dei contributi positivi e
avrebbero potuto continuare a darli.
In precedenza io avevo portato ai Panini diverse offerte: si trattava di investment
banks o di privati. C'erano tutti quelli che allora erano i primi operatori in
Borsa, interessati anche a fare un acquisto, ovviamente con scopo di investimento,
oltre che ad accompagnare l'azienda in un processo di crescita. La scelta era
caduta su De Benedetti. Personalmente ero favorevole all'apertura a un socio
esterno, sia per la prospettiva di Borsa che per introdurre una cultura diversa che
non fosse solo l'azienda di famiglia. Questa poteva essere la strada da seguire per
andare ancora meglio, per non restare un'azienda provinciale. L'apertura quindi era
in questo senso. Cominciammo a pensarci verso il 1984-'85 e, in un certo senso, ci
trovammo avvantaggiati, dato che la Panini era un'azienda che certificava i propri
bilanci gi� dal 1974. Era quindi un'azienda non solo in forte crescita, che gi�
controllava il 72% del mercato mondiale, ma anche all'avanguardia nella trasparenza
richiesta da un mercato azionario; se avessimo voluto, saremmo potuti entrare anche
nel mercato americano. Nel 1981 la Panini ebbe addirittura il primo bilancio
certificato consolidato di gruppo; fu lo stesso anno, cio�, in cui lo fece la Fiat.
Questo per dire che, da questo punto di vista, le due aziende erano uguali e davano
garanzie eccellenti, tant'� vero che De Benedetti ci mise mezza giornata per
decidere di comprare e Maxwell ancora meno: due ore. Con i bilanci certificati non
c'era nessun problema; fu uno degli aspetti positivi dei Panini, che accettarono di
buon grado questa politica di trasparenza amministrativa della quale ero stato il
primo sostenitore.
Dal 1981 io ero direttore generale, dopo essere entrato come direttore del settore
"finanza e controllo" e dopo essermi successivamente occupato, insieme con Franco
Panini, dello sviluppo di tutta la parte delle attivit� internazionali. In seguito,
dopo la vendita dell'azienda a Maxwell, diventai amministratore delegato.
Ma i Panini li conoscevo gi� prima di iniziare a lavorare per loro, da moltissimo
tempo. Li conobbi nella banca dove lavoravo (all'ufficio estero) e della quale loro
erano clienti. Accettai la loro offerta di entrare in azienda nel 1972, dopo essere
stato per qualche tempo direttore amministrativo di una ditta di ceramiche.
Devo riconoscere che per la mia carriera la Panini � stata fondamentale, perch� mi
ha permesso di fare un'esperienza di manager internazionale come pochi altri a
Modena. Senz'altro in questo sono stato facilitato anche dalla mia conoscenza delle
lingue (quattro oltre all'italiano), che mi ha consentito di accedere con facilit�
ai testi indispensabili per la costituzione delle societ� straniere. Studiavo il
diritto fiscale e societario dei diversi paesi e poi ne discutevo con i consulenti
locali; in poco tempo abbiamo creato una fitta rete di societ�.
Non era per� soltanto questione di competenze professionali e linguistiche: ancora
pi� importanti erano, alla base, la fiducia e l'attaccamento reciproco. Di Franco,
in particolare, sono tuttora molto amico e anche Umberto sono andato a trovarlo
recentemente.
Quelli che ho trascorso alla Panini sono stati diciannove anni stupendi, che - una
volta terminati - mi hanno dato anche la possibilit� di "uscire", poich� nel
frattempo ho continuato a mantenere rapporti esterni. Nel 1991 mi fu offerto il
posto di amministratore delegato dell'Ansa, la massima agenzia di stampa italiana e
una delle prime del mondo. Accettai quel posto con un certo sollievo, non solo per
la carriera che mi spalancava davanti ma anche perch� non ce la facevo proprio pi�
a restare alla Panini dopo che Maxwell l'aveva affidata a Keith Bales. Quest'ultimo
lo conoscevo benissimo perch� era il responsabile della Walt Disney di Londra, ma
quando venne qui a Modena a dirigere la Panini rese davvero la vita difficile a
tutti noi. Perci� venni via e presi qualche mese di sabbatico, in attesa del da
farsi. Fu proprio allora che giunse l'offerta di occuparmi dell'Ansa. E, dopo
l'Ansa, sono passato all'Enac: dalla stampa agli aerei.
Se non fosse stato per Bales, forse... Con Maxwell avevo un ottimo rapporto, a
livello personale; quando uscii dalla Panini lui mi propose di trasferirmi a Londra
come responsabile di alcune attivit� internazionali, ma io rifiutai. C'era qualcosa
che non funzionava e non mi fidai. Subito dopo, infatti, Maxwell si impantan�: fu
quando compr� la MacMillan e, per farlo, si indebit� fino al collo; gli cost� 3.500
miliardi. Era una grossa societ� editoriale americana. Si impantan� con quella, e
fu l'inizio della fine.
Il problema di Maxwell erano i collaboratori, pessimi. Aveva mandato avanti il
figlio Kevin, affidandogli anche la gestione della parte finanziaria. Kevin era un
caro ragazzo fin che si vuole, ma giovane, senza esperienza. Successero cose gravi,
tra le quali la pi� grave fu senz'altro, l� in Inghilterra, quella di aver
utilizzato in Borsa i soldi del fondo pensioni dei dipendenti. Lui, il padre,
intorno agli anni '50 era gi� stato condannato a non essere pi� amministratore di
societ� quotate in Borsa, poi era tornato a risorgere. Nel periodo dell'acquisto
della Panini sembrava che fosse ben assestato: in Inghilterra, per esempio, aveva
comprato il quotidiano "Daily Mirror" e ricomprato la Pergamon Press, la
prestigiosa casa editrice universitaria di cui era gi� stato proprietario negli
anni '50.
Maxwell era un cecoslovacco che durante la seconda guerra mondiale era riparato in
Inghilterra (il suo vero nome era Jan Ludvik Hoch), dove si era arruolato
nell'esercito arrivando al grado di maggiore. Subito dopo la fine della guerra
inizi� a stampare giornali per le truppe inglesi, poi diede il via all'attivit�
imprenditoriale, attraverso non poche vicissitudini. Intorno alla met� degli anni
'80, gli anni che interessano la nostra storia, aveva cominciato a comprare e
sembrava proiettato verso un futuro solido e in espansione. Ma l'aver comprato
questa grossa casa editrice - la MacMillan - gli mise contro il mondo americano
dove, se realmente non sei un "drago", non ce la fai. Aveva contro tutti, e fin�
stritolato.
Per i Panini, per�, l'aver venduto a Maxwell fu, a livello finanziario, un bel
colpo, perch� furono pagati molto bene. S�, tutto sommato - da questo punto di
vista - gli convenne trovarsi quel 15 ottobre 1988 all'Hotel Ritz di Parigi.
In precedenza i Panini (solo Franco, per la verit�) e Maxwell si erano incontrati
soltanto un'altra volta, per definire alcuni aspetti specifici: era successo tra la
firma della lettera d'intenti a Londra e questo momento della cessione, a met�
agosto. Io andai a Londra con tutta la documentazione richiesta, poi con Kevin
dirottammo su Roma a prendere Franco, che proveniva da Punta Ala, dove era in
vacanza. Da Roma volammo a Nizza e, in elicottero, raggiungemmo lo yacht di
Maxwell. Al ritorno, viaggio inverso: da Nizza a Roma (che era la destinazione di
Franco), da Roma a Bologna (destinazione mia) e a Londra (destinazione di Kevin).
In settembre comparvero i rispettivi avvocati per la redazione del contratto. In
quello stesso mese si spos� una delle figlie di Giuseppe e Kevin, che era stato
invitato, partecip� al matrimonio.
E venne il giorno del Ritz. Maxwell dapprima compr� l'80% (il 54% dei Panini e il
30% di De Benedetti) e dentro l'azienda rimase anche Franco; l'anno successivo
compr� il restante 16% e Franco usc�. Alla fine dell'89 la Panini era totalmente di
propriet� di Robert Maxwell, che ne era anche presidente.
Della vecchia guardia rimasi io, nel ruolo di amministratore delegato, e i vari
dirigenti. Franco era uscito perch� la gestione Maxwell non gli piaceva.
Non piaceva neanche a me, a dir la verit�: ho resistito un anno di pi�, ma poi...
All'inizio vuotavano letteralmente i cassetti e spedivano a Londra il denaro che vi
trovavano, che io poi riuscii a far restituire. Ma, soprattutto, non c'era un piano
strategico. Era un vivere alla giornata, sul nome senza macchia della Panini e sul
suo prestigio acquisito in anni e anni di successi imprenditoriali. I manager
venivano cambiati continuamente ed erano uno pi� incapace dell'altro. In questa
situazione la Panini cominci� rapidamente a perdere colpi. Furono anche bloccate
certe spese, come quella sui diritti editoriali; insomma, non si poteva andare
avanti, in questo modo.
I Panini ci rimasero molto male: Franco riusc� almeno a portarsi via il settore dei
libri, che erano sempre stati la sua passione, e Giuseppe la squadra di pallavolo.
Al di l� dei meriti e dei demeriti dei singoli rimane il fatto che il gruppo
straniero guarda ai propri interessi e basta, non ha sensibilit� locale. Sarebbe
bastato che fossero restati Franco e Umberto...".
Al Ritz, quel sabato 15 ottobre 1988, avviene una novit� importante rispetto
all'impostazione iniziale: i Panini cedono a Maxwell non il 40% del capitale
azionario ma il 54%, cosicch� la partecipazione dell'editore inglese diventa pari
all'84%. Ma vediamo di ricapitolare i vari passaggi di quote azionarie e le somme
corrispondenti.
Maxwell prima di tutto aveva acquistato il 30% delle azioni della Panini
International possedute dalle due societ� che facevano capo a Carlo De Benedetti:
l'Amef (10%), finanziaria della Mondadori, e la Cir (20%). Per questo primo
consistente pacchetto di minoranza l'editore del Mirror aveva pagato 60 miliardi,
avendone attribuito all'azienda un valore di 200. Entrato in possesso delle
partecipazioni dell'Amef e della Cir, che potrebbero esercitare un diritto di
prelazione in caso di cessione delle azioni controllate dai Panini, Maxwell pu� dar
corso alla trattativa con i fratelli fondatori dell'azienda modenese per
l'acquisizione di un altro 40% circa. Alla famiglia Panini rimarrebbe cos� una
partecipazione del 30-32% circa, che sarebbe distribuita in parti uguali (2% a
testa) tra i 16 figli dei quattro fratelli: questa almeno � l'ipotesi presa in
considerazione nella prima parte della trattativa.
In seguito per� si profila un'altra opportunit�: portare la compravendita
dall'iniziale 38-40% al 54%. Nella prima ipotesi, infatti, Maxwell si sarebbe
riservato il diritto di rilevare successivamente un altro 16%.
A questa soluzione, una volta approfondita la trattativa, si preferisce poi
arrivare subito. A ciascuno dei figli dei fratelli Panini rimane cos� intestata una
partecipazione pari all'1%. Poich� la cessione del 54% di propriet� dei Panini
avviene sulla base di una valutazione complessiva dell'azienda pari a 150 miliardi
di lire, Maxwell dovr� versare ai venditori circa 80 miliardi.
La riduzione del previsto 30-32% al 16% della residua quota controllata dai Panini
non modifica le altre clausole dell'accordo rese note nella fase iniziale
dell'operazione. In particolare, Franco Panini conserver� - con contratto triennale
- la carica di presidente mentre Alfredo Roma, direttore generale in carica,
diventer� amministratore delegato. Inoltre Giuseppe Panini sar� presidente onorario
a vita. Altra clausola importante che rimane invariata rispetto alle ipotesi
iniziali � quella riguardante gli eventuali licenziamenti di personale: a deciderli
potr� essere soltanto il "board of directors" di cui faranno parte sia Franco
Panini sia Roma. I venditori vogliono cos� mettere al riparo i dipendenti da ogni
possibilit� di ridimensionamenti e ristrutturazioni che possano comportare
riduzioni di posti di lavoro. D'altra parte Maxwell dichiara che non ha comprato la
Panini cos� a caro prezzo per ridimensionarla ma per svilupparla. "I programmi di
Maxwell", dichiara Franco Panini a un quotidiano locale "sono assai ambiziosi. Se
cos� non fosse non avrebbe fatto un investimento tanto consistente. Maxwell � molto
interessato a tutti i nostri settori d'attivit�, ma credo che abbia in programma
altre importanti acquisizioni da raggruppare nella Panini. S�, la Panini diventer�
la sua testa di ponte per un'estesa presenza nel mercato italiano. Un gigante
mondiale dell'informazione ha scelto la Panini ma ha scelto anche Modena. Per la
nostra famiglia � motivo di grande soddisfazione".
A conferma dei suoi interessi per Modena l'editore britannico decide che nella
citt� emiliana avr� sede la Maxwell Communications, la societ� finanziaria nella
quale concentrer� le sue attivit� in Italia.
L'evoluzione dell'economia modenese e, in particolare, il destino delle aziende
locali � intanto al centro dei dibattiti di natura economica di quell'autunno 1988.
La vendita della Panini � accolta con un certo favore.
In uno di questi incontri lo stesso Paolo Artioli, che aveva stampato per i Panini
negli anni '60 e che in quel periodo ricopre la carica di presidente
dell'Associazione Industriali (proprio in quei giorni avrebbe ricevuto dal
presidente della Repubblica le insegne di cavaliere del lavoro), dichiara
pubblicamente, nel corso di un convegno promosso dalla Dc sul tema: "Dove vanno le
aziende modenesi? Quale strategia per una vera politica di innovazione e di
sviluppo?", che "fra 4-5 anni solo il 40% delle piccole e medie imprese sar� ancora
nelle mani degli imprenditori-fondatori, mentre un altro 30-40% sar� governato dai
manager e il residuo 20% da professionisti che acquisiranno progressivamente
partecipazioni al capitale sociale". Artioli giudica questa evoluzione tutt'altro
che negativa: "Anche la cessione dei fratelli Panini all'editore britannico Robert
Maxwell � da considerarsi una dimostrazione di piena vitalit� della nostra
economia, oltre che un atto di coraggio dei fondatori dell'azienda". Questo,
sostanzialmente, � il clima di fiducia che accoglie Maxwell come nuovo proprietario
dell'azienda Panini. Ma non tutti la pensano allo stesso modo: prima ancora che
l'editore inglese acquisti l'azienda, alcuni "pezzi" della Panini se ne vanno,
dimissionari. Sono Pietro Peja e Stefano Baraldi, rispettivamente direttore
generale e direttore amministrativo delle Edizioni Panini, seguiti da altri quattro
dirigenti. Peja, in particolare, aveva ricoperto in azienda ruoli molto importanti;
proveniente dal gruppo sportivo Menegola poi assorbito dalla Panini Volley, era
stato capo del personale, responsabile del "licensing" e, dall'87 fino alla
cessione dell'azienda al gruppo Maxwell, direttore generale della Panini S.p.A. Ma
anche altre situazioni sono destinate a mutare, dall'arrivo di Maxwell in poi.
Esattamente un anno dopo, nell'autunno 1989, il gruppo Panini subisce una profonda
ristrutturazione interna. L'11 dicembre si tengono le assemblee delle tre societ�
del gruppo: la Sigma immobiliare, la Edizioni Panini (la parte operativa) e la
Panini International (la holding industriale). Si decide che la Sigma e la Edizioni
si fonderanno con la International che, successivamente, confluir� nella Corfin, la
finanziaria italiana del gruppo Maxwell. Alcuni giorni prima la Maxwell
Communications Italia aveva provveduto a portare il capitale sociale da 20 milioni
a 17 miliardi e 464 milioni: un'operazione destinata a mettere la controllata
italiana - che ha sede a Modena in piazza Mazzini - nelle condizioni di operare
concretamente.
Sempre in quel primo scorcio di dicembre '89 l'ultimo 16% di azioni ancora in mano
ai Panini passa nelle mani di Maxwell che diviene cos�, al 100%, l'unico
proprietario dell'azienda, che conta 440 dipendenti a Modena e 180 all'estero, dove
sono attivi altri stabilimenti di produzione (uno � in Brasile). Ma, dopo di ci�,
non succede nulla, se non che da Londra arriva a Modena il direttore finanziario
Jonathan Berger.
Successivamente si parla di una seria crisi finanziaria per l'editore inglese poi,
qualche mese dopo, l'annuncio di una trattativa in corso per vendere l'azienda alla
Schroeder Venture Adviser, divisione dell'omonima banca d'affari specializzata
nelle operazioni di "venture capital". Sembra che le negoziazioni stiano per
giungere in porto per una cifra aggirantesi intorno ai 140 miliardi di lire ma,
mentre gi� ci si prepara a un nuovo "passaggio di mano", ecco la notizia improvvisa
della riconferma di Maxwell.
La spiegazione dell'azienda, per voce dell'amministratore delegato Alfredo Roma, �
che "non � stato raggiunto un accordo fra le due parti sul prezzo" e che "comunque
Maxwell si � accorto di aver acquistato un'azienda molto produttiva". Per questo
Maxwell ha manifestato l'intenzione di puntare sulla Panini non solo dal punto di
vista economico (sono previsti investimenti per 6 miliardi entro l'anno) ma anche
da quello gestionale. Aumenter� cio� la sua presenza in azienda che in questi due
anni, a detta di Roma, "era stata sporadica e aveva dato scarsi risultati".
Si effettua anche un cambio della guardia al vertice dell'azienda: arriva Keith
Bales, un australiano di 48 anni che ha passato 5 anni a fianco di Rupert Murdoch e
18 alla Walt Disney Company, dove � stato anche vicepresidente. Keith Bales succede
cos� ad Alfredo Roma come amministratore delegato della Maxwell Corporation Italia.
Alfredo Roma diventa vicepresidente ma rester� a Modena per altri sei mesi
soltanto, poi partir� per Londra o Berlino "per ricoprire un incarico pi�
importante nella Maxwell Communication Corporation".
"La struttura organizzativa della Panini, che con i fratelli Panini era
sostanzialmente rimasta immutata fino al 1988, subisce con Maxwell delle evidenti
trasformazioni", spiega Luca Ferri "mentre invece la struttura funzionale riprende
l'organizzazione precedente con qualche innovazione nell'area commerciale e nel
marketing, aspetti di cui inizialmente continua a occuparsi Franco Panini, che
rappresenta anche la famiglia nel consiglio di amministrazione, dopo l'uscita
definitiva dall'azienda di Giuseppe e Umberto. La novit� pi� importante � la
creazione di un'unit� di staff per la pianificazione strategica.
Alla fine del 1989 esce dall'azienda anche Franco Panini e, successivamente, si
verificano alcuni cambiamenti organizzativi e strategici, in seguito ai quali al
management legato alla famiglia si affiancano nuovi manager maggiormente orientati
all'innovazione e all'internazionalizzazione. Dall'analisi del nuovo organigramma
si nota la creazione di un comitato strategico e di una posizione di direttore
generale, oltre al raggruppamento delle varie attivit� in "strategic business unit"
(Sbu), ossia divisioni di tipo commerciale. � il periodo in cui il reparto per
l'accoppiamento della carta adesiva si trasforma nella divisione Adespan.
Tale mutamento organizzativo suggella il consolidamento di un processo industriale
che ha ormai raggiunto la piena maturit�".
� arrivato con l'anno nuovo, con una valigetta ventiquattr'ore in mano. Viso
aperto, gioviale, sorridente, ha assestato qualche pacca sulle spalle di due o tre
dirigenti e si � guardato intorno compiaciuto profondendosi in larghi "yes" tra le
Fifimatic. Ha aperto la porta dell'ufficio e si � assiso trionfante sulla
poltroncina rotabile: � Keith Bales, l'amministratore delegato che subentra ad
Alfredo Roma dal 13 gennaio 1991. Dopo alcuni giorni, � il caos. Gi� la Panini,
anche prima del suo arrivo, sotto la nuova propriet� ha cominciato ad avere dei
guai che, in un futuro non troppo lontano, potrebbero prospettarsi anche come molto
seri.
Da un dettagliato servizio della giornalista Alessandra Puato ("Prima", luglio-
agosto 1991) si pu� ricavare il quadro completo della situazione al momento
dell'arrivo di Bales: "La Panini S.r.l., 50 miliardi di capitale sociale, nata il
28 dicembre 1989 sulle ceneri della Panini International e delle Edizioni Panini
S.p.A., con una media annuale di 30 raccolte di figurine e una media giornaliera di
4 milioni di bustine prodotte, copre ancora il 75% del mercato italiano e il 90%
del mercato mondiale degli "stickers" (figurine adesive). Continua ad avere dieci
filiali (Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia,
Germania, Austria e Olanda) e un fatturato consolidato di 160 miliardi di lire, dei
quali circa 110 sono il giro d'affari della sede centrale di Modena.
Il risultato operativo � sempre positivo (circa 20 miliardi), ma al netto la
societ� appare in rosso per gli interessi passivi generati dai forti debiti con le
banche contratti da Maxwell nell'88, quando furono versati in capitale soltanto 30
dei 165 miliardi che l'editore inglese aveva concordato per il pagamento
dell'azienda (molti di pi� di quelli offerti da Carlo De Benedetti, che con la
Sabaudia e l'Amef aveva il 30% della societ� e si era dimostrato interessato a
rilevarne il rimanente 70%). Per il restante capitale la Mcc (Maxwell Communication
Corporation) aveva fatto ricorso agli istituti di credito, arrivando a un carico
annuale di interessi passivi pari a 16-17 miliardi (l'ultimo bilancio della Mcc
segna un carico degli utili lordi da 172,3 a 145,5 milioni di sterline proprio a
causa di interessi passivi su 195 miliardi di sterline).
L'aumento di capitale che deve essere varato a breve ha come obiettivo proprio la
riduzione di questi interessi passivi, con la prevista conversione in capitale di
80 dei (si dice) 120 miliardi di debito accumulati, recuperando quindi una decina
di miliardi l'anno.
Quando Robert Maxwell l'aveva rilevata, la Panini produceva 2 milioni di bustine al
giorno in pi�, macinava utili netti e aveva un portafoglio diritti ricchissimo
(dalla Walt Disney alla Warner Brothers, dalla Paramount alla Hanna & Barbera) e,
soprattutto, sempre aggiornato.
La fretta di acquistare la Panini era data anche dal fatto che Maxwell aspettava il
momento buono per sbarcare in Italia e l'azienda modenese, "cashgenerator",
rappresentava a questo proposito un'occasione d'oro (la costituzione, apposita,
della Maxwell Communication Italy sembrava presupporre un allargamento
dell'attivit�, magari a quotidiani e reti televisive); si spiegava in parte anche
col fatto che la Panini aveva appena concluso una sponsorizzazione, andata
benissimo, con il quotidiano "Sun" di Rupert Murdoch, concorrente del "Daily
Mirror" di Maxwell. L'iniziativa, per la verit�, era stata varata nell'86 proprio
col "Daily Mirror". Ma Murdoch offr�, se la Panini avesse abbandonato quest'ultimo
per lavorare con il "Sun", di investire 16 miliardi in 3 anni in spese di
promozione Panini. Fu scelto Murdoch.
All'inizio Maxwell aveva inteso investire denaro ed energie nella Panini. Il figlio
Kevin, col quale i manager della societ� hanno buoni rapporti, viene nominato
presidente e, con la sorella, cerca casa a Modena proprio per dedicarsi
completamente all'azienda. Ma quando, poco tempo dopo, la Mcc rileva per 2.700
miliardi la MacMillan (pagata, anche questa, con forti indebitamenti), Kevin
Maxwell viene mandato negli Stati Uniti e la Panini rimane senza un manager
delegato della propriet�". Anzi, sembra che nel frattempo, e precisamente
nell'ottobre 1990, la propriet� intavoli trattative per la vendita alla Schroeder,
che per� si concludono in un nulla di fatto. E iniziano i guai.
Nel giro di due anni, dall'ottobre '88 al gennaio '91, la Panini � una societ�
indebolita sia dal punto di vista finanziario che da quello editoriale: "Oltre ad
essere gravata dai forti interessi passivi sui debiti, infatti, � rimasta per due
anni ingessata, soffocata dai costi, bloccata da una politica di mercato
inadeguata.
Il problema maggiore � senza dubbio la suddivisione, operata da Maxwell, della
societ� in "business units", cio� in unit� produttive indipendenti. Mentre prima
era la sede centrale di Modena a elaborare i piani editoriali del gruppo, a
stanziare investimenti e ad acquistare, per tutte le filiali, i diritti di licenza,
con Maxwell ogni filiale diventa completamente autonoma. Il fattore rischio, prima
in carico alla sola centrale di Modena, adesso si moltiplica e induce le filiali
alla politica del risparmio sui costi a scapito della qualit� del prodotto; il
diritto di resa, che consentiva alle filiali di restituire gli invenduti a Modena
che poi li avrebbe rimessi in circolo, viene soppresso; l'acquisto dei diritti,
infine, viene ad essere molto oneroso, con minimi garantiti sulle royalties
elevati, stabiliti Paese per Paese: difficili quindi da raggiungere nella maggior
parte dei casi".
In questo contesto, gi� di per s� non idilliaco, arriva Keith Bales; Alfredo Roma,
l'amministratore delegato in carica, viene nominato vice-presidente ma, di fatto, �
messo nella condizione di dover fare le valigie e andarsene, dopo 19 anni di
ininterrotta attivit� presso l'azienda modenese. Maxwell lo vorrebbe subito a
Londra ma Roma tergiversa, poi lascia definitivamente la Panini.
Il primo incontro fra Maxwell e Bales sembra che risalga al dicembre precedente,
quando sono ancora aperte le trattative con la Schroeder per la vendita della
Panini. Maxwell - a quanto pare - non conosce Bales, ma qualcuno gliene ha parlato
bene. Sa che � stato alla Walt Disney, ma forse non sa che � stato licenziato "per
motivi personali". Keith Bales, che viene definito "un uomo con grande esperienza
nel campo dell'editoria, del marketing, del licensing e della sponsorizzazione",
dovrebbe garantire una presenza costante in azienda, stabilendo cos� finalmente
quel contatto Modena-Londra che in questi due anni � mancato e che dovrebbe dare
senz'altro ottimi risultati.
Queste decisioni scaturiscono al termine di "un lungo colloquio svoltosi il 12
gennaio a Londra con Robert Maxwell".
Sotto la guida di Bales � prevista una riscossa della Panini per il 1991 che va
iniziando. Il piano annuale di investimenti � centrato sul potenziamento dell'area
della carta adesiva e sull'introduzione di nuove tecnologie. Sul piano
occupazionale non sono assolutamente previste riduzioni dell'organico. Il 14
gennaio i vertici dell'azienda hanno un incontro col sindacato giudicato "molto
positivo". "Robert Maxwell ha riaffermato la centralit� di Modena come governo
della Panini", dice Alfredo Roma alla stampa. "L'obiettivo � quello di un prodotto
italiano e modenese". La Panini, quindi, diventa "inglese" ai vertici, ma conserva
staff e progettualit� tutti italiani. Non solo: � possibile che ci sia in futuro un
riavvicinamento con la famiglia Panini, riallacciando un rapporto che dal punto di
vista operativo si era interrotto l'anno precedente, per screzi di natura
"commerciale". "Giuseppe Panini non � pi� presidente onorario", spiega Roma "ma
l'ipotesi pu� essere ripresa in considerazione".
Insomma, si dissolvono le nubi sul futuro della Panini e finalmente, dopo due anni
di vorticosi cambiamenti, torna la tranquillit�. Tranquillit� che comunque,
assicurano in azienda, non manca al bilancio: l'anno 1990 dovrebbe chiudersi con un
fatturato di circa 160 miliardi, sostanzialmente stabile ma con gli utili in
aumento (una ventina di miliardi circa, pi� 20%; si prevedono 220 miliardi nel '91
e 240 nel '92). Le bustine vendute sfiorano il numero di 1 miliardo di pezzi.
Nei piani futuri della Panini c'� il potenziamento del settore, che peraltro sta
dando ottimi risultati. La serie di "Italia '90" ha venduto 220 milioni di bustine
e i mercati dell'Est stanno aprendo nuove prospettive: in Ungheria e a Mosca 2 Tir
di figurine sui Mondiali di calcio sono stati "bruciati" in due giorni, tanto da
far ventilare l'ipotesi di una joint venture a Mosca per le figurine. Insperato
anche il successo ottenuto dalle "cards" Panini sul mercato britannico. Si tratta
di figurine un po' pi� grandi del solito, in cartoncino non adesivo, con immagini
di calciatori riprodotti in azioni di gioco su entrambi i lati. Un autentico boom
tra gli uomini d'affari della City di Londra, tanto che c'� addirittura chi parla
dell'esistenza di un vero e proprio mini-borsino. Tante anche le novit� in campo
editoriale. Stanno arrivando in edicola innovative formule di collezione per
bambini dove, al tradizionale album con figurine, si uniscono dei modellini in
plastica da raccogliere in appositi contenitori. Si parte con 36 modellini di auto,
con una serie di animali e, nel prossimo futuro, con altri animali per�
preistorici. Nel complesso, dunque, si va avanti, mentre Alfredo Roma esce
definitivamente di scena: adesso � il momento di Keith Bales. Inizialmente � bene
accolto da tutti; lo stesso Giuseppe Panini, nel corso di una partita di pallavolo,
si alza in piedi e lo presenta al pubblico modenese: "Abbiamo l'onore di avere qui
con noi Keith Bales, il nuovo amministratore delegato della Panini". Applausi e
complimenti si sprecano. Ai primi di febbraio Bales si fa immortalare sorridente e
soddisfatto in una bella foto di gruppo con il "team dirigenziale" della Panini al
gran completo. Per quello stesso "team" il giorno dopo ci sar� un incontro
addirittura con Julio Velasco, allenatore della Nazionale di pallavolo campione del
mondo. Il compito di Velasco � quello di animare un dibattito il cui tema �
incentrato sugli aspetti inerenti la leadership, la motivazione e la realizzazione
di uno spirito di gruppo. La scelta di un uomo di sport � determinata dalle
analogie che esistono tra la guida di una squadra vincente e quella di un'azienda
in continua evoluzione. Questo � dunque il quadro, estremamente rassicurante, in
cui ha inizio l'attivit� di Bales dentro la Panini.
Ma le novit� non si fanno attendere; ai manager bastano soltanto pochi giorni per
accorgersi che c'� qualcosa che non va. Alessandra Puato, nel gi� citato servizio,
lo racconta con molta piacevolezza (se non altro per il lettore): "Bales mostra un
vivace interesse per i prodotti enologici modenesi e ha strane abitudini: rincorre
la gente nei corridoi e la promuove all'impiedi, inventando nuove cariche quando
quelle esistenti non bastano; gira per Modena con una Jaguar con due bandierine sui
parafanghi anteriori, una italiana e una inglese; gli capita anche di irrompere nel
capannone delle rotative, come una bomba, con grande spavento dei dipendenti".
Bandisce la prima "Borsa di Studio Robert Maxwell" rivolta a tutti i dipendenti
Panini sotto i 40 anni di et�. I partecipanti dovranno preparare un piano d'affari
indicando i seguenti punti: che cosa desiderano studiare per la propria formazione
personale e professionale al fine di apportare benefici al gruppo; un itinerario
mondiale precisando dove, quando e con chi desiderano fare il viaggio che li
porter� nei luoghi idonei al proprio studio. Il vincitore, scelto da una
commissione di esperti, ricever� il premio a Londra dalle mani di Maxwell in
persona. Data della scadenza del bando di concorso: 31 aprile 1991. Serpeggiano le
perplessit�.
"E poi Bales ha una debolezza: ha paura di stare solo, cos� costringe ogni giorno
due o tre manager a rimanergli vicino, seduti intorno al tavolo delle riunioni
mentre lui telefona. Se qualcuno si alza ed accenna ad andarsene per tornare al
lavoro, lo obbliga a sedersi di nuovo. Il tempo passa fra un caff� e un drink che
il cameriere personale, assunto a tempo pieno per quel preciso scopo, serve,
facendo la spola fra la sala riunioni e la cucina collocata a fianco, che Bales ha
voluto allestire di tutto punto con pentole e stoviglie". Il malumore cresce.
Bales si rifugia all'Hotel Fini, che diventa il suo quartier generale. Qui prende
in affitto un'intera suite. Alle centraliniste raccomanda di rispondere ad ogni
chiamata con un: "Panini Worldwide, buongiorno".
"Ma la vera miccia � accesa il 9 febbraio, un sabato, quando Bales raduna nella
Sala verde tutti i dirigenti, compresi quelli delle filiali estere convocati a
Modena", continua ancora la Puato. "I dirigenti si siedono. Bales si mette a
capotavola e annuncia: "Ecco come cambier� la Panini". Dopodich� spegne la luce e,
fra lo stupore generale, accende un proiettore.
Sul muro appare una donnina con un vestito rosso fasciante, chinata sul cofano di
una spyder rossa, intenta a lucidare con un prodotto speciale la carrozzeria.
"Questo � un calendario che potremmo sponsorizzare con la Fina", spiega Bales. "Ma
� un calendario particolare, con le finestrelle da aprire, come quelli natalizi:
guardate qui!". La diapositiva successiva scorre e la donnina appare senza un pezzo
di vestito, in corrispondenza del seno destro. "Bello, eh? Guardate adesso!". Salta
anche la stoffa che copre il seno sinistro. A poco a poco si scoprono vita,
fianchi, cosce: "E come finisce? Come finisce? Indovinate!". L'ultima diapositiva
mostra la signorina completamente nuda; sempre china, naturalmente, e sempre
intenta alla pulizia dell'automobile.
Per otto ore filate Bales fa scorrere 400 diapositive, che illustrano i suoi
progetti per la casa editrice di Modena. Davanti agli occhi increduli degli esausti
dirigenti appaiono mutande con le tartarughe Ninja e la scritta Panini
sull'elastico; banana split Panini serviti in palloni da basket; trombette per
automobile Panini; una linea d'abbigliamento Panini che, nelle intenzioni, doveva
essere realizzata con Benetton; fantascientifici bar Panini con un videogame
davanti a ogni sgabello e gelati serviti nei guantoni da boxe. Ma la goccia che fa
traboccare il vaso sono le figurine Panini con tutte le posizioni del Kamasutra che
fanno il paio con quelle, non presentate ufficialmente ma gi� progettate, da
allegare alle scatole di profilattici con su scritto: "Bravo! Ce l'hai fatta!".
Chi d� il via alla ribellione � il dirigente della filiale spagnola, Luis Torrent,
che si alza e se ne va. Lo seguono tutti i manager. La sala si svuota. Bales ha una
crisi isterica e deve essere portato dal medico". Alla fine di febbraio compare il
bando di concorso per reclutare un consigliere d'amministrazione dai 5 ai 21 anni.
Di fronte alle proposte di Bales il management padano ritrova compattezza e
decisione. "Ma non � sempre stato cos�", raccontano voci in azienda. "I dirigenti
con alle spalle anni di esperienza in Panini hanno sempre teso a frapporre ostacoli
al rinnovamento, spesso si sono ritrovati divisi in correnti. Poi, in questa
situazione di incertezza totale, in cui niente e nessuno si sente al sicuro, hanno
ritrovato l'unit�".
Pare dunque questo - per converso - il momento adatto per proporre e realizzare
un'autentica innovazione, per riorganizzare il lavoro e i processi di produzione,
per risollevare le sorti di un'azienda le cui difficolt� risalgono a ben prima
dell'arrivo di Bales. "Gi� qualche anno fa si avvertiva con urgenza la necessit� di
fare un salto di qualit� nella gestione, nel marketing, nella produzione e
commercializzazione", sono le opinioni che circolano nei reparti. "La famiglia
Panini aveva colto questa fase ed era stata geniale a vendere l'azienda nel momento
migliore, dopo averla portata a livelli elevati. Ma questo salto non c'� stato; di
tutti gli investimenti promessi da Maxwell, negli ultimi due anni nulla � stato
fatto. Ed � soprattutto da questo che si capisce quanto la propriet� abbia a cuore
le sorti dell'azienda".
Ora i dirigenti temono che la gestione Bales e il rilancio siano un modo per
rimpacchettare la Panini e rimetterla sul mercato. La protesta si ingrossa: ai 12
modenesi si aggiungono anche i 7 dirigenti delle consociate estere e i 16 quadri
intermedi. Riuscir� il plotone dei 35 ad avere la meglio sul "nemico"? Il 2 aprile
si tiene un incontro ufficiale: da una parte, le rappresentanze aziendali, i
sindacati di categoria e i segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil, dall'altra il
direttore dell'Assoindustriali Francesco Casolari e, spedito appositamente da
Maxwell dietro espressa richiesta degli stessi dirigenti, il vicepresidente della
Maxwell Corporation, Jean Pierre Anselmini (che all'incontro suddetto � per�
rappresentato dal proprio assistente personale, Alain Couture). Tre i punti
all'ordine del giorno sui quali i sindacati chiedono precisazioni: eventuale
ricapitalizzazione dell'azienda, piano d'investimenti entro limiti di tempo
definiti, progetto articolato di produzione. Solo sul primo punto, per�, a detta
dei sindacati, sortiscono novit� positive: "Bales ha comunicato la decisione di
trasformare crediti di Maxwell per 80 miliardi in conto capitale della Panini entro
un mese e mezzo". Ma sul resto sono pi� le ombre che le luci: "Sul piano degli
investimenti ci � stato risposto che esiste un impegno di Maxwell, una sorta di
delibera di principio, per 12 miliardi nel prossimo esercizio. Per�, se si calcola
che l'esercizio � gi� in corso e non si sa ancora n� quando arriveranno n� a cosa
saranno destinati questi soldi, non � certo una risposta rassicurante". I dirigenti
- che hanno inoltre il problema dei rapporti con Bales - cos� commentano
l'incontro: "Entro una settimana il vicepresidente Anselmini rientrer� a Londra e,
al termine della sua "istruttoria", presenter� una risoluzione del problema. Ma
quale sia, non si sa".
Pochi giorni dopo, per�, come se nulla fosse, durante la ventottesima Fiera del
libro per ragazzi Bales organizza una serata di gala alla Villa Cicogna di Bologna.
Ospite d'onore � un famosissimo soprano che si esibisce nel corso della sontuosa
festa, caratterizzata dal pi� puro stile americano. Costo della serata: 120 milioni
di lire, 150 gli invitati. Ma � il canto del cigno, come dimostreranno gli eventi
successivi. Anche alla Fiera del libro per ragazzi la Panini dimostra di "tenere",
cio� di rimanere saldamente ancorata alle proprie tradizioni, nonostante le
innovazioni a tutti i livelli continuamente progettate e proposte da Bales. Una di
queste riguarda anche il "logo" dell'azienda, che dovrebbe diventare adesso -
secondo Bales - una pantera che balza in avanti. Ma a Bologna la Panini si presenta
sempre con il "vecchio" paladino di Giuseppe che affianca la scritta Panini in
rosso su fondo giallo. Il simbolo pluriennale delle figurine non si tocca, almeno
per adesso. Cos�, nel segno della tradizione, sono anche i prodotti esposti in
Fiera: fra le serie pi� forti sul mercato interno ed estero la celebre Sirenetta,
Barbie, Peter Pan e il calcio italiano. Non mancano tuttavia le novit�: la pi�
importante riguarda l'accordo di massima tra la Panini e l'Alitalia, in base al
quale la compagnia di bandiera dovrebbe distribuire gratuitamente un album con
figurine a tutti i bambini fino ai 10 anni. Si tratter� di un activity book, cio�
di un fascicolo che invita alla partecipazione attiva i piccoli viaggiatori, i
quali non si limiteranno a staccare le figurine adesive e ad applicarle negli spazi
bianchi dell'album, ma dovranno inventare ambientazioni e scenari per le avventure
dei mitici personaggi disneyani. L'album si intitola "Stick & Stack" e sar�
distribuito su tutti i voli in partenza dall'Italia. In un secondo momento, dopo la
fase della distribuzione gratuita, l'Alitalia dovrebbe comprare album e figurine.
C'� anche stata, nell'ottobre precedente, la certificazione di qualit� in base alla
normativa Cee del processo di produzione della Divisione carta autoadesiva. � un
riconoscimento importante, che premia la crescita esponenziale degli ultimi tre
anni nel settore. Nonostante il caos interno, quindi, da Modena si cerca di
continuare a progettare il futuro; ma non � facile, non lo � affatto. L'azienda,
infatti, � sull'orlo della paralisi per l'esplosiva situazione interna; � ormai in
atto una vera e propria guerriglia, che rischia di travolgere dipendenti e
propriet�.
I sindacati sono davvero molto preoccupati. "Non si capisce bene chi decide, le due
parti si rimpallano colpe e responsabilit�", spiega Franco Richeldi della Cisl,
reduce da una riunione-fiume alla fine di aprile, che ha visto faccia a faccia
sindacati di categoria, delegati d'azienda e direzione. Incontro il cui esito,
dicono i sindacati, non � stato positivo. Tant'� vero che i dipendenti della Panini
scenderanno in sciopero per un'ora il 2 maggio. Sono davvero lontani i tempi dei
fratelli Panini. "Bales non ha fornito alcuna risposta alle nostre precedenti
richieste", continua Richeldi. "Due settimane fa ci aveva assicurato che avrebbe
risolto i grossi problemi di rapporto che ha con i dirigenti, invece la situazione
si sta trascinando nel caos. Non � pronto un adeguato programma di produzione che
garantisca la continuit� di lavoro e lo sviluppo dell'azienda; nessuna risposta
nemmeno sulla questione della ricapitalizzazione". E di quei 12 miliardi di
investimenti, "garantiti" nemmeno tanto tempo fa, non s'� visto ancora nulla. Tutto
� stato rimandato alla fine di maggio allorch�, ha assicurato Bales, verr�
illustrato ai sindacati il budget '91. Ma l'uomo di Maxwell qualche idea ce l'ha:
"Sono ipotesi che Bales ci ha sottoposto, ma che dovranno essere approvate dal
consiglio di amministrazione", precisa Richeldi. "Si ipotizza un massiccio
intervento sul marketing e la diversificazione del prodotto". Ma non � sufficiente:
"Se si continua cos�, l'azienda andr� verso il tracollo", dice Lauro Setti,
segretario provinciale della Cgil. "Il contrasto attuale ai vertici porta alla
paralisi, nessuno pi� decide e in questo modo non ci verranno mai fornite le
risposte che chiediamo". Grigie, dunque, le prospettive: "La situazione attuale non
permette lo sviluppo di un'azienda, come la Panini, che � ancora solida e che ha
grosse potenzialit�", aggiunge Giuseppe Astolfi, da anni nel consiglio di fabbrica.
E Uber Pelloni, delegato Cisl: "Basta con progetti a scadenza bisettimanale,
bisogna guardare avanti".
All'inizio di maggio Bales tira fuori un nome nuovo, Mario Di Gennaro, al quale
affida la carica appena creata di assistente dell'amministratore per i progetti
speciali. In azienda ci si chiede quali mai potranno essere questi progetti
speciali. La risposta � attesa per il giorno 4 maggio: quel giorno infatti la
direzione della Panini ha convocato i giornalisti per fare il punto sulla
contrapposizione dirigenti-Bales e per presentare il piano di rilancio
dell'azienda, "che entrer� in un'ottica internazionale comprendendo una
diversificazione del prodotto, ma sempre mantenendo Modena come centro di
propulsione-sviluppo", fanno sapere i portavoce ufficiali. Bales ha precisato
inoltre che intende potenziare la politica delle risorse umane, coinvolgendo
personale e dirigenti nell'individuazione delle strategie produttive da seguire.
Nel corso dell'incontro si parler� anche della celebrazione del trentennale della
Panini, che si terr� il 25 maggio. L'ipotesi � quella di una festa dedicata ai
bambini e aperta ai familiari dei dipendenti. Bales sembra sensibile anche al
destino del Museo della Figurina, a favore del quale si era gi� espresso alla fine
di marzo, quando aveva dichiarato di volerlo prestare al Comune di Modena dal
momento che "ormai i tempi sono maturi perch� il Museo possa essere apprezzato
soprattutto per l'unicit� delle collezioni e per il suo valore riconosciuto a
livello internazionale".
Intanto i dati di vendita relativi ai primi quattro mesi del '91 fanno registrare
un sensibile aumento rispetto all'anno precedente; risultato, questo, che � per� il
frutto a lungo termine dei progetti attuati dalla passata gestione.
Per il futuro i sindacati sono preoccupati: "Non sappiamo ancora che cosa andremo a
produrre in settembre", dicono. I dipendenti della Panini, intanto, fanno la
programmata ora di sciopero.
La conferenza stampa del sabato 4 maggio � un autentico show. L'arma vincente per
sconfiggere la concorrenza? Un "consulente" di sei anni in consiglio
d'amministrazione, scelto naturalmente con oculatezza, che suggerisca e sovrintenda
alla realizzazione di nuovi prodotti rispondenti alle esigenze dei giovanissimi. Il
segreto per rilanciare l'azienda? Commissionare a Luciano Pavarotti una canzoncina
che magari, chiss�, potrebbe anche diventare il ritornello di uno spot
pubblicitario. Forse proprio sulle tv di Berlusconi, con il quale "mai si � parlato
di compravendita di azioni", puntualizza Bales "ma soltanto di scambio di spazi
pubblicitari".
Per ora il padrone rimane Robert Maxwell e al timone della barca resta lui, Bales.
Ma i problemi strutturali, i nuovi organigrammi, gli investimenti promessi e mai
attuati, per parlare dei quali � stata indetta la conferenza stampa? Bales �
lapidario: "Per oggi vi basti quanto detto, al resto risponder� direttamente
Maxwell durante la sua prossima visita in citt�". � iniziata tutto sommato bene:
puntualissimi, si presentano all'appuntamento i consulenti reclutati da Bales per
rivedere la struttura dirigenziale. � ormai sicuro che una grossa fetta del
management se ne andr�, le lettere di dimissioni sono gi� pronte; al posto dei
dirigenti "storici" andranno gli esperti in "rent manager", cio� "nell'affitto di
personale per conto di aziende in difficolt�". Qualche decina di minuti pi� tardi,
nella saletta riunioni irrompe Bales, stringe vigorosamente la mano ai presenti e,
accendendosi un sigaro, si prepara all'arringa. A tradurre (Bales parla soltanto
inglese) � Mario Di Gennaro. "Vogliamo evitare che si diffondano altre dicerie e
falsit�", esordisce Bales, licenziando la questione con due battute. "S�, esistono
difficolt� di rapporti con i dirigenti, per� di poco conto, come un normale
bisticcio tra moglie e marito". Ma - gli fanno notare i presenti - l'azienda �
paralizzata, i piani di produzione non sono pronti, i sindacati sono preoccupati...
"Per studiare soluzioni e strategie a volte occorrerebbe pi� tempo di quanto si
vorrebbe", � l'ennesima non-risposta corredata da qualche dato: il 20 maggio verr�
varato l'atteso aumento di capitale che salir� di 80 miliardi (da 50 a 130),
100.000 sono gli album pubblicati annualmente. Che cosa ne sar�, dunque, della
Panini? "Ho in mente grandi cose, diversificheremo la produzione, apriremo ai
bambini il consiglio d'amministrazione, rilanceremo l'immagine legandola a grossi
nomi come Pavarotti o Elton John, destineremo quote di vendita al fondo mondiale
Unicef, festeggeremo il trentennale dell'azienda con pubblicazioni speciali,
prenderemo contatti con la Coca Cola, l'Agip, la Fiat". E, a riprova della sua
determinazione, Bales estrae dalla tasca un fragrante panino al latte e lo spezza
sul tavolo dicendo: "Utilizzeremo nuovi veicoli per avvicinare le figurine ai
giovanissimi, infilandole dentro i panini, distribuendole insieme alla cioccolata".
"Fu davvero un brutto periodo, quello che passammo sotto Bales", racconta uno dei
12 dirigenti. "Ma gi� negli ultimi anni la situazione era un po' cambiata e anche i
fratelli Panini avevano cominciato a prendere strade diverse. Secondo me, si
disunirono pure per l'opera disgregatrice che alcune persone condussero all'interno
dell'azienda e che fin� per accentuare alcune divergenze che magari invece si
sarebbero potute appianare. Fu cos� anche tra di noi. C'erano "correnti" interne:
uno faceva pi� riferimento a un altro, e poi si insinuava a questo che quello aveva
detto... Da una parte si sottolineavano soprattutto i presunti errori, e dall'altra
si faceva altrettanto. Anche questi atteggiamenti favorirono la disgregazione.
Certo che con Bales si tocc� proprio il fondo.
Arriv� qua con una valigetta da 007: sapemmo poi in seguito che all'interno c'era
incorporato un registratore. Ci riceveva nel suo ufficio e registrava tutto quello
che dicevamo, cercando di metterci l'uno contro l'altro, di intimidirci, di
ricattarci. Un giorno - nel frattempo avevamo scoperto la faccenda del registratore
- un collega prese la valigetta e gliela butt� gi� dalla finestra della palazzina.
Indiceva le riunioni e annunciava: "Ho delle idee luminose. Facciamo una raccolta
di adesivi per i preservativi, con gli slogan: "Sei stato forte", "Facciamolo pi�
spesso". Oppure: "Facciamo la raccolta di figurine del Kamasutra. Non vi piace
l'idea?". I cocktails si sprecavano. Non ne potevamo pi�, cos� ci siamo ribellati.
Fu una cosa strana e anche bella: credo che un'unit� cos�, tra noi dipendenti, non
ci sia mai stata, n� prima n� dopo, ma in quella circostanza... Eravamo tutti
uniti, italiani ed esteri. Abbiamo cominciato a bombardare Londra di fax, l� alla
sede del Maxwell Group. All'epoca facemmo scalpore su tutta la stampa, locale ma
anche nazionale. Tutti i giorni eravamo assediati dai giornalisti e noi gi� con i
fax, a valanga: a Maxwell e ai figli, dicendo che se non fossero venuti a
togliercelo dai piedi noi avremmo incrociato le braccia e li avremmo lasciati in
mezzo a una strada. Furono giorni infernali.
A un certo punto riuscimmo a convincere Maxwell a mandarci qui almeno il suo
vicepresidente Anselmini. Eravamo alla vigilia della Fiera del libro per ragazzi di
Bologna, nell'aprile '91. Anselmini venne e rimase qui tre o quattro giorni, parl�
a lungo con Bales, poi parl� con noi e si rese conto della situazione.
Nel ripartire ci disse: "Domani, non appena rientrato a Londra, avr� un colloquio
con Maxwell e gli chieder� di intervenire. Vi prego soltanto di pazientare ancora
un po' e di tenere la cosa sotto controllo, soprattutto alla Fiera di Bologna dove
siete presenti". Ed � quello che noi abbiamo cercato di fare. Ma... A Bologna Bales
organizz� una cena per i nostri consueti ospiti-clienti, quelli che ci conoscevano
e seguivano da anni e anni. Di solito si offriva una cena in un ristorante di buon
livello, si stava un po' in compagnia e poi si andava a casa: niente di speciale.
Lui prese in affitto Villa Cicogna, una delle dimore pi� lussuose, luogo ideale per
i ricevimenti pi� raffinati: spese 120 milioni.
In una sala organizz� un recital di un famosissimo soprano insieme con un tenore
americano, un basso russo, l'orchestra... Ci intrattennero per due ore, poi andammo
a cena in un altro salone, dove fummo serviti dai camerieri in livrea. Finita la
cena, da una scalinata fece scendere i sosia di Reagan, della regina Elisabetta e
di Papa Wojtila. E, per finire, quaranta minuti di fuochi artificiali che fecero
quasi saltare per aria l'intera citt� di Bologna... Quando ebbe sentore che la
relazione a Londra nei suoi confronti sarebbe stata negativa, cerc� di minacciarci
in tutti i modi. Molti colleghi lo mandavano direttamente al diavolo, e lui allora
gridava: "No, vieni qui, dove vai? Stai seduto, io pago". E quelli se ne andavano
alzando le spalle.
Dopo venti giorni capimmo che a Londra avevano discusso della cosa ma che Maxwell
non aveva ancora deciso niente, anche perch� due dei suoi figli sembra che
sostenessero Bales. Questo ci fece temere che in realt� sarebbe stato impossibile
allontanarlo. Nel frattempo lui aveva anche indetto una conferenza stampa per dire
peste e corna di noi e per negare che gli esteri fossero con noi, mentre invece gli
esteri si tenevano costantemente in contatto con noi chiedendoci ogni giorno:
"Diteci quello che volete fare che lo facciamo anche noi, perch� non ne possiamo
pi�".
Fummo combattuti se tener botta ancora dieci o quindici giorni, poi...". Poi
successe che il direttore editoriale Arrigo Beltrami, il 14 maggio, diede le
dimissioni, dopo che - il 6 maggio - il responsabile del personale e delle
pubbliche relazioni, Maurizio Boschini, che era anche il dirigente pi� giovane, era
stato licenziato da Bales con il chiaro intento di intimidire tutti gli altri.
Bales rifiut� le dimissioni di Beltrami, che allora gliele sped� per posta. I
restanti 10 dirigenti si riunirono nel bar, fecero colazione insieme, poi andarono
a depositare le dimissioni in massa, invocando la "giusta causa addebitabile
all'azienda e con effetto immediato"... Nel giro di una settimana si concretizz�
quello che era nell'aria da qualche mese: la Panini rest� completamente priva dello
staff dirigenziale.
"Telefonammo per comunicare agli esteri la nostra decisione. Loro inviarono subito
due fax, uno a Londra e uno qui a Modena, intimando: "Abbiamo saputo che i nostri
colleghi italiani si sono dimessi in blocco. Se non rientrano subito, ci dimettiamo
anche noi".
Fu a questo punto che mister Maxwell, che stava volando per motivi suoi da Londra a
Mosca a New York, interruppe il proprio viaggio e atterr� a Bologna con l'aereo
personale e una scorta di almeno venti uomini. Si fece portare qui a Modena con una
limousine di quindici metri e ci convoc� tutti. Noi per� respingemmo la
convocazione, dicendo: "Siamo dimissionari e quindi non siamo pi� agli ordini. Se
vuole, possiamo valutare un invito. Per� potr� essere accettato soltanto a patto
che venga immediatamente ritirato il licenziamento del nostro collega".
Maxwell accett�, cos� tutti insieme ci presentammo all'incontro, spiegando quali
erano le nostre condizioni per rientrare: 1. Bales in Alaska, se non pi� lontano;
2. dieci miliardi subito di investimenti; 3. i soldi che sono in cassa a Modena
devono restare a Modena e non volare a Londra; 4. pagamento delle spese legali
sostenute da noi dirigenti in questo contenzioso con l'azienda. Indicammo inoltre,
con voto maggioritario, il nostro direttore della filiale francese, Alain Guerrini,
come successore di Bales. Scegliemmo lui perch� aveva la nostra fiducia e anche
perch� volevamo un esterno, al di sopra delle nostre divergenze interne". E Maxwell
rispose: "Yes".
Alle prime ore della mattina del 5 novembre 1991, o forse anche durante la notte,
Robert Maxwell - uno dei magnati dell'editoria mondiale, proprietario della Panini
International - annega al largo dell'isola di Tenerife. Il suo corpo viene
ritrovato, quattordici ore dopo la scomparsa, dagli uomini del "Lady Ghislaine", lo
yacht sul quale egli stava trascorrendo una breve vacanza.
Alla Panini � subito allarme, ad appena poche settimane dal tanto sospirato aumento
di capitale di 80 miliardi. Tutte le quotazioni dei titoli delle due societ� che
fanno capo a Maxwell, la Mcc (Maxwell Communication Corporation) e la Mirror Group
Newspaper, vengono infatti immediatamente bloccate.
La scomparsa dell'editore inglese � destinata ad avere ripercussioni enormi nel
mondo della finanza e dell'economia mondiale. � una ridda di voci; c'� subito chi
insinua che, dietro la vicenda, si celi una colossale messa in scena per
"liberarlo" da una situazione finanziaria diventata negli ultimi anni piuttosto
ingombrante. Si parla di un indebitamento di 1 miliardo e 350 milioni di sterline,
pari a due miliardi di dollari, dovuto a operazioni sbagliate che egli aveva
cercato di arginare vendendo per 400 milioni di sterline la sua societ�-gioiello,
la Pergamon Press.
Eroe militare, brillante parlamentare laburista, Robert Maxwell si chiamava in
realt� Jan Ludvik Hoch; era nato nel giugno del 1923 in Cecoslovacchia da padre
ebreo. La madre mor� nel campo di concentramento di Auschwitz mentre il padre,
catturato dai nazisti, scomparve nel nulla. Fuggito a Londra, Maxwell prese parte
attiva, nell'esercito inglese, alla seconda guerra mondiale, partecipando allo
sbarco in Normandia e guadagnando, oltre ad una decorazione, la nazionalit�
britannica. Terminata la guerra inizi� la sua attivit� di editore e, dopo un lungo
impegno parlamentare nelle file dei laburisti, nel 1984 attu� il colpo grosso della
sua carriera rilevando la casa editrice Mirror che pubblica, oltre al popolarissimo
"Daily Mirror", una serie di testate a larghissima diffusione.
Maxwell di recente era diventato bersaglio di accese polemiche nel mondo
finanziario. Un programma dell'emittente televisiva Bbc l'aveva accusato di aver
accumulato debiti ingentissimi e di aver diffuso informazioni distorte a proprio
vantaggio per far alzare il prezzo delle azioni. Nel corso del programma era stato
citato il caso della Panini, della quale Maxwell avrebbe annunciato agli azionisti
l'acquisto, con relativo prezzo, quando ancora le trattative non erano state
concluse n� la cifra concordata. Nello stesso periodo anche il "Daily Mirror",
testata di punta delle societ�, si era trovato al centro di uno scandalo dopo la
pubblicazione del libro del giornalista statunitense Seymour Hersch, che accusava
l'editore e il capo del servizio esteri del Mirror, poi licenziato, di
collaborazione con i servizi segreti israeliani.
Per quanto riguarda le due societ�, come primi provvedimenti dopo la morte di
Maxwell vengono adottate le nomine dei suoi due figli alle presidenze: Kevin alla
Maxwell Communication Corporation, che comprende anche la Panini International, e
Ian al Mirror Group.
"Capace e coraggioso": cos� era apparso Maxwell ai fratelli Panini quando avevano
deciso di vendergli la loro azienda. "Era molto abile, in grado di giocare bene in
tutte le situazioni, sia nell'accattivarsi le simpatie degli interlocutori sia nel
tirar fuori una grinta insospettata", commenta Franco alla notizia della sua
scomparsa. Un ricordo di Robert Maxwell anche nelle parole di Alfredo Roma, ex-
direttore generale ed ex-amministratore delegato della Panini: "Ci siamo lasciati
amichevolmente. Con lui ho trattato la cessione della Panini trovando sempre un
uomo disponibile e, nei miei confronti, generoso e amico. Tutt'al pi� qualche
problema pu� esserci stato con i suoi manager ma non con lui, estroverso e
originale. Io stesso, a bordo del panfilo da cui poi � caduto, in altre occasioni
l'ho visto tuffarsi in mare dopo aver mangiato".
A Modena la paura � tanta: l'azienda � in attivo e ha gi� dei pretendenti. Non �
detto che i banchieri non decidano di venderla per realizzare un po' di liquidit�.
� un vero peccato, per la Panini; appena nel mese di ottobre, infatti, erano state
azzerate le perdite riducendo il capitale sociale a 22 miliardi e 543 milioni e,
contestualmente, era stato varato un aumento di 80 miliardi portando cos� il
capitale sociale a 102 miliardi e 543 milioni. Le perdite di esercizio registrate a
bilancio, ammontanti a 22 miliardi, non devono trarre in inganno, dato che erano
state originate principalmente da un accantonamento fatto per ripianare le perdite
di due societ� estere controllate e, soprattutto (circa 18 miliardi), per gli
interessi sul finanziamento alla capogruppo inglese. Ma la situazione della Panini
era, di per s�, complessivamente positiva. Dal bilancio approvato a fine settembre
e relativo al periodo 29 dicembre '89-31 marzo '91 (il bilancio su quindici mesi
era stato autorizzato in via eccezionale dal Tribunale per fare coincidere
l'esercizio con quello della capogruppo inglese, chiuso sempre al 31 marzo),
risulta che il fatturato netto, non consolidato, � stato di 137 miliardi, l'utile
lordo industriale di 46 miliardi, l'utile operativo di 4 miliardi e 700 milioni;
l'utile lordo sul fatturato � del 33,5%, l'utile operativo pi� gli ammortamenti di
22 miliardi e 671 milioni. Dall'1 marzo '91, inoltre, non decorrono interessi per
buona parte del finanziamento concesso a suo tempo alla Maxwell Corporation Italy.
L'aumento di capitale, quindi, consentirebbe a breve di riequilibrare i conti
dell'azienda (che ha in previsione di chiudere a marzo '92 con un fatturato netto
consolidato di circa 160 miliardi), garantendole di nuovo un immediato futuro
finanziario e patrimoniale stabile e sereno. Sono in atto anche iniziative
editoriali di tutto rispetto, come quella della collezione naturalistica "Sorella
Acqua". Prevede un abbinamento con il mensile "Airone Junior", per appoggiare
l'istituzione di un museo ecologico ad Assisi dedicato a San Francesco.
Ma ecco adesso la morte di Maxwell, che non solo rimette tutto in discussione ma
prospetta soluzioni preoccupanti tra cui, naturalmente, innanzitutto la cessione
dell'azienda o, come minimo, la revisione delle strategie e dell'assetto aziendali.
Il sindaco di Modena Alfonsina Rinaldi - a nome suo, della giunta e del consiglio
comunale - esprime il proprio cordoglio per la morte dell'editore inglese,
trasmettendolo anche a dirigenti e maestranze dell'azienda modenese e promettendo
che "seguir� con attenzione, assieme alla giunta, ai capi-gruppo consiliari e alle
organizzazioni sindacali, la prosecuzione dell'attivit� della Panini".
Nel frattempo viene accreditata l'ipotesi del decesso naturale di Maxwell per
arresto cardiaco. Ma le illazioni continuano, anche perch� sembra che il buco
dell'impero sarebbe da stimarsi almeno intorno ai 2.400 miliardi. Circola la
notizia che la Maxwell Corporation Group starebbe per essere dichiarata insolvente
e assoggettata a norme simili a quelle della nostra amministrazione controllata.
Per quello che riguarda la situazione modenese Giuseppe Panini, intervistato,
dichiara che "a chi lavora oggi in Panini direi di stare tranquillo. L'azienda ha
tutte le carte in regola per stare, e alla grande, sul mercato italiano ed estero.
Anche l'ipotesi di una nuova cessione non credo vada demonizzata: l'importante �
che la Panini resti a Modena e, soprattutto, che venga gestita bene".
Kevin Maxwell, 32 anni, assume i pieni poteri della Panini e della Maxwell
Communication Italia il giorno dopo la morte del padre, cio� il 7 novembre 1991. Il
consiglio di amministrazione convocato dal consigliere delegato Alain Guerrini lo
annuncia con un comunicato estremamente laconico che blocca sul nascere qualsiasi
tipo di domanda. Ma la morte del magnate inglese si tinge sempre pi� di giallo con
la riapertura, qualche giorno dopo, dell'inchiesta sulle cause. Alcune
dichiarazioni accreditano l'ipotesi di un avvelenamento con una sostanza che
riproduce, agli effetti necroscopici, le stesse conseguenze dell'attacco cardiaco,
ma "non abbiamo niente da dire" � l'inevitabile commento che proviene dalla
palazzina di Via Emilio Po. Alla Panini si manifesta piuttosto una certa stanchezza
relativamente alle voci ricorrenti di una presunta e imminente cessione: si parla
addirittura di un possibile ritorno dei Panini, mentre il settimanale "Il Mondo"
ipotizza l'interessamento di due societ� straniere, la danese Guttemberg Hus e
l'americana Pro-Set. Ma, da Via Emilio Po, solo secche e seccate smentite. Anzi
(mentre all'interno si lavora freneticamente per portare a termine alcuni progetti
importanti di fine anno, tra cui la realizzazione dell'album relativo al film di
Natale della Walt Disney, "Bianca e Bernie 2"), si ribadisce che la volont� della
propriet� � quella, gi� pi� volte espressa, di un rilancio e di un consolidamento
dell'azienda grazie anche alla futura, costante presenza - che viene pi� volte
sottolineata - dello stesso Kevin Maxwell a Modena.
Ma non sar� cos�: si arriva appena alla fine di novembre e gi� i due fratelli
Maxwell danno le dimissioni dalle rispettive presidenze e incarichi all'interno
delle societ�. Per la Panini � un duro colpo: mentre si riconferma - per il momento
- la presidenza a Kevin, si resta in attesa delle decisioni delle banche creditrici
che, secondo alcuni, sarebbero interessate ad accelerare la crisi del gruppo
inglese per rientrare degli ingentissimi crediti vantati. Lo stesso Kevin avrebbe
affermato che, all'interno della Maxwell, non ci sono "vacche sacre", con chiaro
riferimento anche alla Panini, unica propaggine italiana dell'impero - o ex-impero
- fondato da Robert Maxwell.
Si rincorrono di nuovo le voci di possibili acquirenti. Oltre ai due gruppi citati
prima, sarebbero interessati altri cinque, di cui due facenti capo l'uno a Franco e
l'altro a Giuseppe Panini (ma entrambi smentiscono decisamente); gli altri tre
sarebbero Gardini, Schimberni e la banca inglese Schroeder. Intanto la Panini
precisa che il consiglio della Mcc ha presentato istanza a New York in base al
capitolo 11 del Codice degli Stati Uniti sui fallimenti, quello cio� relativo
all'amministrazione controllata, ma che tale istanza non comprende alcuna societ�
filiale della Mcc nel mondo: il che significa che la Panini non ne � interessata
direttamente ("l'istanza secondo il capitolo 11 serve per ottenere il tempo e la
protezione necessari a sviluppare e mettere in pratica una riorganizzazione della
struttura finanziaria; in pratica, questa linea di condotta dar� una possibilit� di
attuare una ricostruzione ordinata dei debiti nel migliore interesse di tutti i
creditori", recita il comunicato diramato dalla stessa Mcc).
Mentre la situazione resta ingarbugliata, alla Panini si va avanti come sempre. A
reggere in concreto le sorti dell'azienda � sempre lo stesso management, che ormai
� forse il caso di definire "eroico".
Il 13 dicembre viene ufficialmente chiusa l'inchiesta sulla morte di Maxwell che
stabilisce una volta per tutte che l'editore, con ogni probabilit�, � morto per
attacco cardiaco e, come causa concomitante, per annegamento.
E mentre a Londra giornalisti e impiegati si dichiarano pronti ad acquistare il
"Daily Mirror" per gestirlo, qualcuno sostiene che anche a Modena, all'interno
della Panini, alcuni manager non sarebbero dispiaciuti di rilevare l'azienda. Il
pericolo pi� grosso che corre l'azienda �, al momento, quello della "svendita" che,
rispetto al prezzo pagato tre anni prima per acquistarla, comporterebbe una perdita
di alcune decine di miliardi. � quello che gli uomini della Mci (Maxwell
Communications Italia) stanno cercando di evitare, anche perch� svendere la Panini
significherebbe portare al tracollo la stessa Mci. La Mcc londinese comunica
intanto di avere instaurato rapporti costruttivi con le banche creditrici e di aver
nominato la Price Waterhouse come societ� di revisione e la Banca Lazards come
nuovo consulente finanziario della societ�; a met� gennaio viene intanto silurato,
dal nuovo consiglio di amministrazione della Panini, David Hilton, ultimo esponente
dell'era Maxwell, l'uomo che aveva guidato l'azienda dal dicembre precedente. Al
suo posto dovrebbe tornare Alain Guerrini, nel doppio ruolo di presidente e
amministratore delegato. In ogni caso, il tutto sembra orchestrato in vista di una
probabile e imminente vendita della Panini.
Qualche voce dal mondo politico modenese, frattanto, si leva a invocare il ritorno
alla guida dell'azienda di Giuseppe Panini. Con una lettera aperta, l'onorevole
socialista Paolo Cristoni lo esorta a ritornare al posto che fu suo: "Caro
Giuseppe, la notizia sempre pi� certa della caduta rovinosa del gruppo editoriale
Maxwell impone ai modenesi la domanda su che cosa sar� delle Edizioni Panini. Sono
certo che tu stesso non puoi non soffrire, da modenese autentico, del crollo di ci�
che � stato il frutto del sacrificio, dell'intelligenza, dell'arguzia e, perch�
no?, delle intuizioni giuste e meno giuste tue e della tua famiglia. Sono oltremodo
convinto - chiedendoti di uscire dal silenzio, di renderti disponibile, facendolo
sapere, a ritornare al timone della barca alla deriva - di farti una lusinga ma
anche di trovarti con la carica giusta di chi ha avuto il tempo di riflettere,
verificare e capire chi sono gli amici, chi le brave persone e chi i grandi
ruffiani che marciano sempre a fianco dei potenti salvo tradirli al momento
opportuno. (...) C'� un'impresa che � da far tornare efficiente magari cacciando
gli Ascari che dietro il nome, agevolati dalla rozza gestione del nuovo padrone,
hanno aiutato a far andare la barca alla deriva. Per l'avvenimento industriale il
tuo nome, la tua capacit� secondo me bastano e avanzano alle banche. Se non
bastassero, ci si pu� trovare a tutti i livelli al fine di permettere le condizioni
di impresa. Credo che il mondo politico e sindacale modenese, di fronte ai grandi
avvenimenti, abbia sempre trovato la via maestra per l'unit� e che, anche in questo
caso, saprebbe fare la stessa cosa. Mi auguro che altri ti spingano a tornare al
comando (...)". Cos� scrive Cristoni l'8 dicembre 1991.
E mentre i sindacati di categoria e le segreterie provinciali di Cgil, Cisl e Uil
indicono una riunione per il giorno 10 per decidere se e quali iniziative attuare
in questa fase, Giuseppe Panini si prepara ad abbandonare la sua carica di
presidente della Camera di Commercio modenese, che ha tenuto per sette anni. Lo
far� il 22 febbraio 1992. Gli subentrer� Alberto Camellini, presidente
dell'Assopiastrelle, di area democristiana (come a dire: dopo le figurine, le
piastrelle). Ufficialmente risulta che Giuseppe Panini non abbia voluto accettare
un eventuale rinnovo per le precarie condizioni di salute, ma in realt� sembra che
non sia andata affatto cos�. Non serve pi�, Giuseppe Panini, adesso che non � pi�
proprietario di nulla; la sua epoca si sta chiudendo alle sue spalle,
irrimediabilmente.
I socialisti per� lo vogliono, perch� si candidi nel collegio senatoriale di
Modena. Prenderebbe il posto, come indipendente, dell'assessore allo sport indicato
in un primo tempo dal partito, dopo la rinuncia alla candidatura del vicesindaco in
carica. La notizia � di tre giorni dopo l'addio di Giuseppe Panini alla Camera di
Commercio. A corteggiarlo sarebbe sceso in campo lo stesso deputato Paolo Cristoni,
capolista per la Camera, proprio l'estensore della lettera di poc'anzi. E a dargli
una mano per convincere Giuseppe ci sarebbe anche il fondatore della comunit�
"L'Angolo", don Giancarlo Suffritti, legato a lui da una lunga amicizia. La sua
opera di solidariet� a favore degli emarginati, soprattutto tossicodipendenti, nel
corso degli anni � stata sempre sostenuta economicamente da Giuseppe, che gli ha
anche fornito come sede una propria villa, bellissima, nei dintorni della citt�.
Giuseppe Panini prende tempo: "Sono lusingato, ma voglio ponderare bene la
situazione, facendo i conti con la salute e con l'et�". Una candidatura di
prestigio, la sua, definita "ideale per la citt�"; si accompagna a quella di altri
nomi locali di indubbio spicco: "Abbiamo contattato personaggi di primo piano della
nostra citt� e della provincia", conferma Sergio Nigro, capogruppo Psi in consiglio
regionale (tra gli altri, anche il tenore Luciano Pavarotti e il presidente della
ceramica Floor Gres di Fiorano, una delle maggiori aziende del settore, che ha tra
gli azionisti pure la famiglia reale di Thailandia).
E alla fine Giuseppe Panini, "personaggio di caratura e peso, senza dubbio
adattissimo a un simile incarico" (come dir� un altro esponente socialista),
sceglie il garofano per un seggio al Senato. "Questa positiva disponibilit�", si
legge in una nota della federazione modenese "conferma la bont� del programma
elettorale socialista e la forte determinazione a scegliere candidati di grande
prestigio fermamente intenzionati a rappresentare in Parlamento la Modena che
lavora e che produce, la Modena che intende operare per un suo forte rilancio non
cedendo ad alcuna rassegnazione di declino".
Il segretario nazionale del Psi, Bettino Craxi, viene di persona a Modena a
inaugurare la campagna elettorale; anche una parte del Psdi modenese invita
apertamente a votare per Panini, intravedendo nella sua eventuale nomina la
possibilit� di realizzare un "unico partito socialista", come sarebbe stato nelle
intenzioni di Saragat. Il riferimento all'unit� socialista di stampo saragattiano �
del segretario del Psdi modenese, Danilo De Masi, che viene di fatto sconfessato
dalla direzione nazionale proprio per le sue troppo accese simpatie per i
socialisti. "Apprendo con vivo compiacimento la notizia della tua candidatura al
Senato", scrive De Masi a Giuseppe "una candidatura che fa onore alla citt� e a
quell'area socialista alla quale tu non approdi di certo oggi ma - come tu stesso
mi hai pi� volte appassionatamente ricordato - nel 1947, quando affiggevi in
bacheca il giornale di Saragat". Visto che tanti parlano di lui, illustrando il suo
stesso pensiero, Giuseppe Panini capisce che � ora che lui stesso "confessi"
pubblicamente il perch� della sua decisione politica. La conferenza stampa con la
quale presenta il proprio programma elettorale ha luogo il 29 febbraio. Parla per
un'ora e mezza, a modo suo: non da politico ("� il mio esordio in politica, chiedo
comprensione. Non user� quelle parole che siete abituati a sentire") ma da
imprenditore (i temi che tocca sono: la piccola e la media industria, la scuola e
il mondo del lavoro, le lauree brevi, i trasporti, il turismo). Progetti politici
precisi e concreti, fatti "con gli stessi metodi che ho sempre usato nella vita.
Prima di tutto, puntare subito al nocciolo della questione". Schietto, anche nei
momenti che potrebbero essere pi� imbarazzanti: "Se ho mai votato socialista? Due
volte, nell'immediato dopoguerra, prima del patto coi comunisti. Poi, da allora,
mai pi�. A chi chiedeva informazioni sulle mie idee, rispondevo che ero stato
socialista quando il socialismo era una cosa seria". Allora, mezzo secolo dopo, �
tornato al suo primo amore, fa notare qualcuno. "Ma i tempi sono cambiati, e di
molto", replica Giuseppe. "Ho accettato soprattutto per la completa indipendenza
che mi � stata garantita. Ho pensato: � giusto portare il mio bagaglio di
esperienze dove pu� essere utile. Spesso brontoliamo, ci lamentiamo senza avere il
coraggio di assumere responsabilit�. Ma non � stata comunque una scelta facile: ho
67 anni, subito dopo aver lasciato la Camera di Commercio mi ero fatto un bel
programmino da pensionato. I miei impegni, i miei hobby...". Ma perch�, lei che si
definisce un "indipendente cattolico", � finito in un partito laico?, gli chiede un
altro. "Perch� la Democrazia cristiana non mi ha chiesto di candidarmi e poi non
credo che mi sarebbe stata concessa la libert� di pensiero e di azione offertami
dai socialisti".
Ma Giuseppe Panini non sar� eletto e quel seggio rimarr� un sogno, ancora pi�
infantile delle figurine dello "zio Giuseppe". "Fu la sua fortuna", racconta
l'editore Piero Guerzoni, suo amico d'infanzia e anche lui esponente socialista
modenese di risalto (tra il 1970 e il 1980, sempre per il Psi, � stato consigliere
comunale, assessore all'urbanistica e vicesindaco). "Io glielo dissi pi� volte. E
poi erano anni che non c'erano posti come senatore del Psi. Era stato il partito a
proporglielo e lui, stranamente, accett� pur non essendo del tutto favorevole al
Psi. Per esempio, lui - contrariamente ai socialisti - non era n� per il divorzio
n� per l'aborto e mi rammento che a questo proposito avemmo molte discussioni.
Giuseppe pi� che altro era un tipo di indipendente, di ispirazione cattolica;
sperava che il suo nome, con il ricordo delle figurine e della pallavolo, portasse
dei voti che normalmente non sarebbero mai arrivati. Ma in realt� non fu cos� anche
perch�, diciamocelo bene, ormai non era pi� presidente della Panini, non aveva pi�
la pallavolo; era forse gi� iniziato un po' il declino, almeno sul piano della
rappresentativit� pubblica. Credo che fosse rimasto deluso per�, ripeto, secondo me
fu la sua fortuna, e poi le sue condizioni di salute non erano ideali, si sarebbe
logorato".
Mentre Giuseppe si d�, o cerca di darsi, alla politica, alla Panini si attende lo
sviluppo degli eventi. La situazione, dopo il ritiro della Schroeder, all'inizio
del mese di giugno 1992 � la seguente: rimangono in lizza l'americana Upper Deck,
Patricia Kluge (stella nascente del business delle figurine, ex-moglie di John
Kluge, uno degli uomini pi� ricchi d'America) e l'italiana De Agostini, che
potrebbero comprarla a met� del prezzo che era costata a Maxwell.
Pochi giorni dopo, l'annuncio ufficiale che la Price Waterhouse - dopo aver
concluso il vaglio delle proposte - ha individuato una cordata formata da otto
"sorelle". Si tratta di un pool italiano che ha come capofila la Bain Gallo Cuneo
Capital Investment, una societ� specializzata in acquisizioni che opera anche per
conto del fondo di investimenti americano Bain Capital. I motivi della scelta
effettuata dalla Price Waterhouse dipendono dalle garanzie di solidit� finanziaria
e manageriale offerte dagli acquirenti tra i quali entra pure, anche se solo con
una quota di minoranza, l'italiana De Agostini (oltre 1.000 miliardi di fatturato
nell'anno in corso).
Quanto appetibile sia ancora la Panini lo conferma lo stesso Filippo Cuneo,
consigliere della Bain: "� un'azienda che ha ancora notevoli possibilit�,
nonostante le incrinature causate da un non qualificata gestione inglese. Stiamo
ora valutando ogni aspetto e saremo obiettivi". La Panini infatti, nonostante la
sua ancora recentissima gloria passata, non vanta al momento dati confortanti di
bilancio: se nell'86 registrava 190 miliardi di fatturato con un utile di 40
miliardi, ora - con un fatturato inferiore - si registrano perdite per oltre 20
miliardi. Per fissare il prezzo di vendita bisogner� inoltre attendere la
valutazione delle partite intragruppo (quello della Panini verso la Mcc � di 40
miliardi).
Sar� la Bain, una volta formalizzata la transazione, a occuparsi direttamente della
gestione, smentendo ogni coinvolgimento diretto della De Agostini, anche se tale
possibilit� non viene esclusa a priori.
In contemporanea con le trattative per la cessione avviene la cerimonia della
donazione del Museo della Figurina al Comune di Modena. � il 17 giugno; il Museo
passa dalle mani di Giuseppe - che ne sar� il coordinatore - a quelle del sindaco
Pier Camillo Beccaria, alla presenza di Alain Guerrini, presidente e amministratore
delegato dell'azienda (dato che la donazione viene fatta congiuntamente da Giuseppe
Panini e dalla Panini), dell'assessore alla cultura e della Soprintendente ai beni
artistici e culturali di Modena e Reggio Emilia. Per qualche tempo trover� posto in
un appartamento del Direzionale Modena 2 di propriet� dello stesso Panini, in
attesa che il Comune lo trasferisca in una sede idonea e prestigiosa (ma sono
passati ormai otto anni e il Museo � sempre l�, dove fu collocato provvisoriamente
quel giorno). Le figurine di questo Museo unico al mondo ("Soltanto Parigi, Berlino
Est, Malta e Londra possiedono qualcosa di analogo", ricorda Giuseppe "ma si tratta
sempre di raccolte meno complete di questa") sono ben pi� di 500.000 circa e
comprendono tutte le grandi raccolte, dalle Liebig alle Suchard, dalle Perugina
alle Bon March�, dalle Talmone alle Player's. Mancano, come si pu� notare, le
Panini: il Museo infatti raccoglie soltanto figurine "storiche", d'epoca, non
quelle industriali come - appunto - le stesse Panini.
Come un fulmine a ciel quasi sereno, due giorni dopo giunge la notizia dell'arresto
dei figli di Maxwell per trasferimento illegale di fondi. Da fonti sicure arriva
anche la notizia di un prelevamento di fondi da parte di Maxwell da alcune filiali
europee della Panini; pare che nel gennaio 1991 siano stati portati via dalle casse
delle filiali francese, olandese e tedesca una quindicina di miliardi. Ma il motivo
dell'arresto dei figli di Maxwell � legato a un "prelevamento" di ben altra natura:
Kevin e Ian sono infatti accusati dal Serious Fraud Office, nell'ambito delle
indagini sul fallimento dell'impero paterno, di aver sottratto 425 milioni di
sterline dal fondo pensioni dei dipendenti del gruppo Mirror. La faccenda non avr�
ripercussioni dirette sulla Panini, ma � ovvio che all'azienda modenese non se ne
pu� pi� di una simile situazione.
Brutte novit�, intanto, anche sul fronte dell'acquisizione - per 60 miliardi - che
appariva ormai scontata e imminente: sembra infatti che la Bain Capital, dopo aver
messo mano alla documentazione relativa all'azienda, abbia riscontrato una
situazione economica e di mercato non esattamente brillante. Spiega uno dei
responsabili della potenziale compratrice: "In Italia la Panini � ancora un marchio
affermato, ma all'estero ci sono parecchi problemi. In Gran Bretagna � praticamente
scomparsa, negli Stati Uniti ha chiuso i battenti, mentre in Spagna, Francia e
Germania le condizioni sono ancora buone. Insomma, per noi � stata come una doccia
scozzese: a un elemento favorevole se ne affianca uno negativo". Vale la pena, per
la Bain Capital, spendere quegli ipotizzati 60 miliardi per la Panini? "Non
possiamo pensare di rilevarla per 60 per poi spenderne magari altrettanti per
rimetterla in sesto". Anche perch� pare, sempre da fonti societarie, "che i bilanci
effettivi si discostino un po', e non certo positivamente, dai dati presentati a
suo tempo dalla Price Waterhouse ai potenziali acquirenti". In ogni caso, �
indubbio che "l'azienda ha ancora molte potenzialit� e che alcune brutte situazioni
possono essere recuperate". In caso di rinuncia della Bain, entrerebbe in scena la
seconda in lista, l'americana Upper Deck (con un'offerta di 43 miliardi). E pure
Franco Panini, che confessa anche "ragioni di attaccamento sentimentale". Farebbe
un'offerta secca di 35 miliardi, in contanti e a scatola chiusa. In realt�
l'offerta era gi� stata presentata il mese precedente ed era scaduta. Ora sarebbe
intenzionato a ripresentarla: stavolta non pi� a scatola chiusa, per�, visto che
adesso sono a disposizione i dati definitivi del bilancio '91. Anche Franco Panini,
quindi, al di l� dell'attaccamento sentimentale vorrebbe avere la certezza di non
rimetterci o, per lo meno, di non rimetterci troppo.
In azienda si cerca di proseguire pur in questa situazione quotidianamente
traballante. Alla fine di giugno si conclude la cassa integrazione a rotazione
iniziata l'8 maggio, d'accordo con i sindacati; si effettuano 20 prepensionamenti,
concessi dal Cipe; si organizza un corso di riqualificazione come attrezzista
meccanico per 8 donne del reparto confezione. Poi, tutti in vacanza e arrivederci a
settembre, salvo sorprese dell'ultimo minuto.
E intanto se ne va anche la pallavolo. La squadra che Giuseppe ha tanto amato, e
costruito in vent'anni ininterrotti, � in vendita per 5 miliardi; se non arriver�
un acquirente, la stagione '92-'93 sar� l'ultima e, con essa, sar� la fine anche
della pallavolo modenese, sinonimo - per tanti anni - di pallavolo mondiale. "�
finito il tempo dei poeti dello sport", dichiara commosso Giuseppe, con implicita
allusione all'ingresso nel mondo della pallavolo delle grandi potenze economiche
nazionali, che sono andate a stravolgere equilibri societari, compagini atletiche e
valori ideali. Anche questa volta le istituzioni modenesi latitano, a parte un
debole richiamo isolato di un assessore a una, sembra di capire pi� personale che
ufficiale, disponibilit� a far da tramite con eventuali sponsor.
Quello della messa in vendita della propria squadra � un altro, l'ennesimo duro
colpo per Giuseppe, dopo la Camera di Commercio, la politica, il Museo della
Figurina e, naturalmente, la cessione dell'azienda, che era stata s� da lui stesso
voluta ma per la quale aveva immaginato una sorte ben diversa. Tuttavia la storia
va avanti, con o senza Giuseppe. Questione di giorni - si attende il "placet"
definitivo della competente Corte di New York - e la Panini Figurine cambier�
pagina con l'acquisto da parte del gruppo Bain Gallo Cuneo Capital Investements,
formato da un gruppo di otto principali investitori italiani e stranieri: il gruppo
editoriale De Agostini di Novara (20% azionario), la Pacchetti societ� immobiliare-
industriale romana (30%), la Cofilp banca d'affari della Popolare di Novara (15%),
un istituto di credito svizzero e un altro con sede nelle Bahamas, la Fimi del
gruppo bolognese Brunello (20%), la milanese Find S.r.l. (15%), oltre ad altri
investitori minori individuali, per poco pi� di 100 miliardi contro i 160 pagati
tre anni prima da Maxwell alla famiglia Panini e alla Cir di De Benedetti.
I loro emissari finanziari, dopo il lungo e minuzioso chek-up dell'azienda, hanno
dato il loro assenso: comprare la Panini conviene ancora, sebbene l'azienda sia
tuttora "convalescente" dai colpi inferti dalla tormentata gestione precedente. Per
rimetterla in sesto sar� necessaria, a quanto pare, un'"operazione chirurgica" che
di sicuro ad alcuni non sar� gradita perch� consister� non solo "in una
ricapitalizzazione e in un rinnovo delle tecnologie a disposizione, ma anche nel
taglio di alcuni rami e attivit�, l� dove l'espansione � frenata dalla forte
concorrenza su un mercato gi� saturo".
La maggioranza del capitale azionario dell'azienda andr� nelle mani della Capital
Investments, mentre sono ancora da definire le quote di minoranza. Un punto
comunque sembra ormai definitivamente acquisito: il ruolo di capofila nella
gestione dell'azienda, con l'ingresso di dirigenti anche nel nuovo consiglio di
amministrazione, sar� ricoperto dalla De Agostini, il colosso novarese
dell'editoria italiana.
Si d� per imminente la partenza del direttore generale Alain Guerrini e del
direttore finanziario, l'inglese Robert Barnes.
I sindacati si fanno vivi, chiedendo un incontro con la futura nuova propriet�,
incontro che reputano "indispensabile per mantenere un qualificato livello di
relazioni sindacali", anche per le ripercussioni che l'operazione di cessione potr�
comportare sulla strategia d'impresa.
Si riparte allora con la nuova propriet�, in una ventata di entusiasmo che da tempo
la Panini non ricordava.
Anche Giuseppe, nella sua vita distante ma parallela, vive una seconda giovinezza.
Innanzitutto riceve un nuovo invito dai socialisti a presentarsi stavolta come
capolista per il rinnovo del consiglio comunale del paese di Serramazzoni, sulle
prime propaggini dell'Appennino modenese. � un paese che gli � molto caro e dove
lui trascorre parecchio tempo, nella splendida villa che possiede in localit� Casa
Bartolacelli. "� vero, i socialisti mi stanno dando la caccia da parecchio tempo",
spiega Panini "e il fatto che gli abitanti di Serramazzoni mi siano affezionati mi
fa veramente piacere. Per� non ho ancora deciso. Non dimentichiamoci che ormai ho
quasi settant'anni". Ma anche la pallavolo gli regala nuove e insperate
soddisfazioni, dopo la paura di perdere la squadra che aveva avuto nei mesi
precedenti. Nelle amichevoli precampionato la Panini del tecnico brasiliano
Bernardinho si dimostra molto migliorata, di nuovo efficace in difesa e pericolosa
in attacco. Panini - che all'inizio dell'estate era apparso stanco e demotivato,
sfiduciato per il futuro, ormai rassegnato - adesso si esalta, anche se rimane ben
conscio che comunque non � cambiato niente e che le prospettive pi� probabili sono
sempre quelle relative a una chiusura a fine campionato. "Nell'anno pi� difficile �
saltata fuori la squadra pi� forte e divertente", sottolinea con non celata
soddisfazione. "Quasi un gioco del destino che, lo speriamo con tutte le nostre
forze, possa indurre qualche ditta, seria e ricca, a sponsorizzarci". Eh, s�,
perch� lui da solo proprio non ce la fa pi�. L'ha detto e ripetuto pi� volte;
regger� per un anno ancora poi, se non arriver� nessuno, chiuder� tutto. "Con un
nuovo sponsor", dichiara con convinzione "la Panini in breve tempo torner� al
vertice; torner� grande, rinascer� quella squadra vincitutto che tanto ci ha
entusiasmato negli scorsi anni. Ma", continua Panini con un'analisi spietata "non
potrebbe essere altrimenti: tutta l'Italia economica sta vivendo un periodo di
crisi e anche lo sport ne risente in negativo. Non solo nella pallavolo ma anche
nel calcio e negli altri sport gli sponsor scarseggiano, segno di una profonda
crisi. La sponsorizzazione, quindi, bisogna meritarsela; i miei ragazzi lo sanno e
si stanno comportando di conseguenza. Questo per ora mi basta. Gli atleti sanno i
sacrifici che la societ� sta compiendo per loro e stanno dando il massimo: sono
contento". E, con questa entusiastica dichiarazione, Giuseppe rid� la carica a una
situazione che sembrava destinata a una morte rapida.
Viceversa, per la Panini Figurine - che adesso non sembrerebbe avere impellenti
problemi finanziari, anche perch� i nuovi proprietari hanno promesso un piano di
rilancio con massicci investimenti - l'anno che si apre si prospetta duro proprio
sul fronte intrinseco della stessa produzione editoriale. C'� infatti chi si
propone di strappare all'azienda modenese il monopolio che essa detiene in Europa
in assoluto e in Italia al 75%.
La piccola Master, guidata da Dario Pizzardi, lancer� sul mercato una collezione
basata sugli orologi. All'attacco, oltre a questa e ad altre piccole aziende
italiane, si scatenano anche colossi come l'Upper Deck americana che, a partire da
ottobre, inonder� il mercato di "cards". Ci saranno riproduzioni di Topolino,
Minnie e di altri personaggi disneyani, oltre ai campioni di basket nostrano.
L'Upper Deck lancer� anche una collezione derivata dal cartone animato "La Bella e
la Bestia". Tempi duri, per la Panini, se vorr� mantenere le posizioni e il
prestigio acquisiti negli anni precedenti.
Per affrontare la battaglia commerciale il management si rafforza con l'arrivo dei
due nuovi leader aziendali: il presidente Mario Speranza e l'amministratore
delegato Aldo Hugo Sallustro.
Speranza, dopo una lunga esperienza alla Fabbri, proviene dalla De Agostini;
l'argentino Sallustro viene invece dal gruppo Merloni. Entrambi sono stati indicati
dai capofila della cordata proprietaria, la merchant-bank di Gianfilippo Cuneo e
Antonio Tazzartes, di cui � socio al 50% Pier Domenco Gallo, ex-amministratore
delegato della Banca Nazionale del Lavoro.
E intanto, nella ricerca del prodotto vincente e di nuove fasce di consumatori,
nell'autunno 1992 la Panini prepara una nuova raccolta che uscir� poi ai primi di
marzo, ma che sul nascere suscita pareri controversi. � intitolata "Discoteche
d'Italia '93" ed � dedicata alle discoteche italiane, argomento tragicamente
d'attualit� per le ricorrenti e sempre pi� numerosi "stragi del sabato sera" che
vedono per protagonisti proprio quei giovani e giovanissimi a cui la collezione �
destinata: una sorta di guida alle 100 discoteche pi� famose d'Italia, per un
totale di 520 figurine destinate soprattutto ai teen-agers (15-18 anni o poco pi�),
ma anche a consumatori pi� "attempati" (fino ai 30 anni). L'iniziativa, che avr�
molto successo e che partir� con preordini per oltre 7 milioni di bustine, �
immediatamente contestata dall'A.Ge. (Associazione Italiana Genitori), in quel
periodo impegnata nella crociata anti-discoteca anche in sede parlamentare. La
Panini viene sostanzialmente accusata di voler sfruttare la situazione per farsi
pubblicit� a buon mercato. Ma l'azienda rigetta ogni accusa, sostenendo che non �
un album di figurine che pu� traviare i giovani e invitando anzi i genitori stessi
a vigilare di pi� sui comportamenti dei propri figli, che spesso non sono altro che
frutto di un'educazione familiare troppo permissiva. Della faccenda si occupa anche
la Rai, che propone un faccia a faccia tra gli interessati. La polemica prosegue
ancora per qualche tempo, con posizioni attestate su fronti nettamente opposti,
sebbene in un confronto estremamente civile e pieno di spunti di interesse
collettivo. A dare man forte alla Panini � anche Nicola Parente, titolare di due
frequentatissime discoteche e direttore di Italia Network, quinta radio nazionale
per la diffusione di musica per giovani: "Sono stato io a suggerire alla Panini
l'album che adesso si vorrebbe mandare al rogo. Non ci vedo niente di scandaloso.
Abbiamo selezionato una per una tutte le 2.000 e pi� discoteche sparse nella
penisola e abbiamo scelto le 100 migliori. L'album serve per fare informazione su
un modo di divertirsi che � tipico dei giovani e che, di per s�, non c'entra con le
morti del sabato sera. Accanto alle figurine ci sono anche consigli sugli orari,
sui parcheggi, sulle strade sicure per raggiungere le discoteche. Vorrei ricordare
inoltre che la Panini � la stessa azienda che ha messo sul mercato l'album per
l'educazione stradale dei bambini". L'episodio, di per s�, pu� anche apparire
marginale, ma � sintomatico del mutato panorama giovanile e di alcune delle
tematiche che si trova adesso a dover affrontare chiunque, in un modo o nell'altro,
voglia accostarsi ai giovani. � con questo mondo, con questi giovani che deve
confrontarsi anche la Panini con le sue figurine, ben lontane - in questo senso -
dalle figurine di Giuseppe e dei suoi fratelli.
E comunque non basterebbe una sola collezione, per quanto indovinata, a risollevare
del tutto le sorti della Panini. O, per meglio dire, la "cura" prevista dalla
propriet� per risollevare l'azienda dai guai ha un nome purtroppo a molti noto:
tagli ai posti di lavoro, cio� licenziamenti. A tre mesi dall'ingresso della
cordata Bain-De Agostini, dopo i primi incontri fra la nuova dirigenza e i
sindacati dei lavoratori, sarebbero un centinaio i posti a rischio, conseguenti
soprattutto a una sovrapposizione di diversi reparti attuata dalla precedente
gestione. Del resto sono questi i due cardini del previsto programma di ripresa:
riorganizzazione aziendale e massima attenzione alle spese. La conseguenza ultima,
si dice, potrebbe essere una sempre maggiore sinergia con il Gruppo Editoriale De
Agostini, che andrebbe a "coprire" quanto a Modena verrebbe "tagliato". A venir
toccati dal ridimensionamento sarebbero la redazione e i reparti fotolito e
grafici. Ma a pagare la congiuntura di mercato, che per le aziende impegnate nella
produzione di figurine starebbe segnando un marcato calo delle vendite (c'� chi
stima una flessione vicina al 50%), potrebbero essere in particolare le filiali
all'estero, i cui dipendenti variano dai 6 ai 35 dipendenti.
I lavoratori della Panini si riuniscono in assemblea sindacale e, con un documento,
esprimono "forti preoccupazioni rispetto ai dichiarati obiettivi produttivi del
1993 che sottintendono una strutturazione organizzativa aziendale tarata su una
capacit� produttiva minima rispetto alla potenzialit� degli impianti". Ritengono
anche indispensabile che "eventuali sinergie con altre aziende" (il riferimento
naturalmente � alla De Agostini) "avvengano salvaguardando i principi di qualit�,
di innovazione e di servizio necessari alla Panini per tornare a essere leader nel
mercato delle figurine". Traducendo dal linguaggio sindacale, il concetto di fondo
� che il lavoro deve restare a Modena e che, con un valido piano di rilancio, se ne
potrebbe fare ancora di pi�, molto di pi� di quello previsto.
I 100 licenziamenti vengono scongiurati per un soffio, ma a dicembre si programma
che a breve finiranno in cassa integrazione per un anno 110 dipendenti (74 operai e
36 impiegati). � un compromesso tutto sommato accettabile, visto che la propriet�
aveva chiesto la mobilit�, anticamera del licenziamento. La nuova dirigenza conta
per il '93 di riportare la produzione da 600 a 700 milioni di figurine (il 20%
interessa l'Italia, il restante l'esportazione).
Il ridisegno dell'organico per il controllo dei rami secchi inizia gi� nel gennaio
1993 ed � svolto da una commissione paritetica composta da rappresentanti della
propriet�, del consiglio di fabbrica e dei sindacati di categoria (questo lavoro
congiunto si riveler� molto utile, perch� ridurr� in cassa integrazione soltanto 80
dei 110 dipendenti previsti, grazie anche all'accordo di non spostare all'esterno,
come era invece gi� stato deciso, alcune delle attivit� redazionali e di fotolito).
Il progetto di rilancio prevede anche un progressivo decentramento di attivit�
editoriali redazionali, tipografiche e grafiche, supportate da studi esterni,
mentre � gi� in atto un ricambio dei vertici e una riduzione degli organici delle
filiali estere. La succursale francese, per esempio, vede passare i dipendenti da
30 a 15. Si prevede poi un'offensiva sui mercati dell'Europa dell'Est e una
crescita nell'America Centrale e Latina.
E mentre i "suoi" dipendenti vengono messi in cassa integrazione e la "sua" azienda
rischia il trasferimento in terra piemontese, anche Giuseppe Panini se ne va. Lo fa
a modo suo: a testa alta; esce dalla storia della pallavolo per entrarne nella
leggenda.
Dopo 27 anni indimenticabili, lascia la sua squadra con la quale ha conquistato 8
scudetti, 1 Coppa dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 3 Coppe Confederali, 6 Coppe
Italia. Se ne va da una realt� fatta di ingaggi e spese di gestione ormai
insostenibili, da uno sport che ormai non gli appartiene. Ma riesce ancora, con un
ultimo colpo da maestro, a trovare qualcuno degno della sua Panini, qualcuno a cui
affidarla perch� continui nel segno di una tradizione vincente. Il nuovo
proprietario � Giovanni Vandelli, titolare della Daytona Ceramiche, ex-presidente
della Reggiana Calcio ed exsponsor del Modena Calcio, capofila di un'apposita
cordata formata anche da Claudio Giovanardi, numero uno della Pitt Lane, e da Mauro
Bassinghi, contitolare della Sassuolauto. L'accordo tra Panini e Vandelli prevede
inoltre che la nuova propriet� si assicuri tutto il parco giocatori, compreso quel
settore giovanile tanto promettente da poter sfornare in pochi anni fior di
campioni. La squadra comprata da Vandelli si chiamer� adesso Daytona, ma nel cuore
di tutti - modenesi e non - per lungo tempo, ancora e sempre, il suo nome rester�
Panini.
Intanto le cose per l'azienda Panini ricominciano finalmente a marciare per il
verso giusto. Il primo trimestre '93 si caratterizza per il grande successo di
alcune raccolte: Aladino, Barbie, l'Ispettore Gadget, Beverly Hills 90210.
Quest'ultima - con 120 figurine - va a ruba; si favoleggia di un industriale
milanese che avrebbe spedito un incaricato fino a Modena per cercare l'album per la
propria figlia, dato che in tutta la Lombardia risulta introvabile. Le figurine pi�
rare, a quanto pare, vengono vendute al "mercato nero" dagli stessi studenti ad
alcuni compagni meno fortunati.
Il '93 per la Panini si chiude con una buona notizia anche per i dipendenti:
rientrano in fabbrica, quasi alla vigilia di Natale, le otto operaie che erano
state destinate al corso di riqualificazione aziendale. Non si era trattato,
quindi, di una forma velata e graduale di pre-licenziamento, come parecchi avevano
temuto, ma della effettiva possibilit� di reinventarsi un ruolo professionale pi�
adeguato alle nuove esigenze. Rientrano, festeggiate da tutti i colleghi.
Il 1994 si apre altrettanto bene, all'insegna dei successi delle figurine Panini
anche sui pi� difficili mercati esteri come �, tradizionalmente, quello spagnolo a
causa della forte concorrenza locale: ma l'azienda modenese - che controlla adesso
il 57% del mercato iberico - segna un progresso del 47,8% rispetto all'esercizio
precedente. Le cose proseguono altrettanto bene per tutto l'anno, fino
all'inserimento della Panini in aree ancora "vergini": l'Africa, per esempio, dove
il calcio � in continua ascesa e per la quale � in preparazione una serie di album
speciali in vista della Coppa d'Africa. Si punta anche alla Cina, al Giappone, a
Singapore, all'America Latina.
Il fatturato cresce, l'azienda prospera, gli investitori sorridono; i sindacati
ricordano che gran parte del merito va anche "ai sacrifici fatti dai lavoratori
sotto forma di contrattazione della flessibilit� dell'orario di lavoro e di un
rinnovato impegno professionale, accettati in funzione della salvaguardia dei posti
di lavoro". "La Panini ora premi anche noi", chiedono sostanzialmente i dipendenti,
attraverso le voci sindacali.
Il 1994 � anche l'anno in cui la Panini si aggiudica l'esclusiva della collezione
dei calciatori statunitensi. Questa per� sar� quasi un'arma a doppio taglio, nel
senso che scatener� la reazione dell'Upper Deck americana, che rivendica per s� il
diritto all'esclusiva (e che, per il marchio World Cup acquistato dal Comitato
organizzatore del campionato, ha sborsato oltre 11 miliardi). Si apre una causa
internazionale davanti al giudice di New York. Il 25 maggio 1994 si parla per la
prima volta di una possibile, immediata vendita della Panini al gruppo americano
che controlla anche la Marvel Comics, "quella dell'Uomo Ragno" e di tanti altri
Supereroi, tra cui i Fantastici Quattro, l'Incredibile Hulk e Superman. La Marvel,
che fa parte dell'impero televisivo ed editoriale di Ron Perelman dall'83, �
titolare dei diritti del loro sfruttamento. Per la Panini potrebbe essere una
garanzia non solo di stabilit� ma anche di qualit� e di ulteriore presenza sui
mercati internazionali.
Perch� Marvel � un gigante quotato a Wall Street, che sembra conoscere bene i
segreti del successo nella produzione editoriale per ragazzi e che, altrettanto
bene, sembra anche valutare quanto potenziale e margine di crescita abbiano ancora
il conto economico e le quote di mercato della Panini. La Panini, inoltre, in
questo periodo sta piuttosto bene e quindi risulta essere davvero un boccone
appetibile.
Anche l'uscita di scena, nel febbraio precedente, del gruppo romano Pacchetti -
azionista di maggioranza relativa con il 30% - non comporta modifiche all'assetto
societario n� ai vertici della dirigenza artefice del risanamento: Pacchetti viene
sostituito con Fondi Investitori Associati, societ� lussemburghese nata
dall'iniziativa della stessa Bain Gallo (che ne detiene il 10%) e della FinComit,
finanziaria dell'istituto di credito recentemente privatizzato. L'esercizio al 31
agosto '93 si � chiuso in forte sviluppo, con un margine operativo lordo che ha
raggiunto i 18,4 miliardi, contro un corrispondente valore negativo di 6,8 miliardi
del bilancio precedente. Il fatturato netto del gruppo si � cos� collocato sui 180
miliardi (ricavi che in termini di prezzo al pubblico ammontano per� a ben 340
miliardi), di cui il 73% realizzato all'estero. E, nonostante la generale
recessione economica dei mercati europei, nel dicembre '93 la Panini annuncia un
fatturato tendenziale in crescita del 117% e un margine operativo lordo in salita
del 325%, ribadendo cos� la propria leadership. La cordata Bain Gallo Cuneo �
riuscita quindi nel proprio intento, tipico di finanziarie e banche d'affari, di
fare un buon investimento a termine. I tempi, ormai, sono maturi per la cessione.
Il giorno dopo la diffusione della notizia della trattativa in atto con la Marvel,
cio� il 26 maggio, si viene a sapere che anche la Banca Popolare di Novara ha
ceduto la propria quota del 15% detenuta tramite la finanziaria Cofilp, merchant
bank del gruppo, a persone fisiche, tutte italiane, che sarebbero vicine alla De
Agostini, gi� azionista al 20%. � una corsa vera e propria, ormai, quella dei
gruppi editoriali a salire sul carro della Panini, che ha voltato le spalle agli
anni bui della gestione Maxwell e ai bilanci colabrodo. L'operazione, che farebbe
di De Agostini l'azionista di riferimento, � stata conclusa il 10 maggio ed � la
diretta e logica conseguenza dell'ingresso in azienda di uomini del management del
gruppo editoriale di Novara, del quale dall'ottobre '92 si parlava come del vero
proprietario dell'azienda modenese. "No comment", per�, dicono tutti: sia la De
Agostini, sia l'amministratore delegato della Panini, Sallustro, sia la Marvel da
New York.
L'ipotesi pi� plausibile � quella di un'alleanza italo-americana fra De Agostini e
Marvel per proseguire insieme nel rilancio e nella conquista di nuove quote di
mercato che la Panini, leader mondiale, ha nel segmento delle figurine per ragazzi.
Di fronte a questa prospettiva anche i sindacati si fanno sentire, ricordando - con
un intervento di Sergio Rusticali, segretario provinciale della Uil - che "il
risanamento dell'azienda � avvenuto anche con il sacrificio di posti di lavoro, con
i tagli e con la volont� dei dipendenti di farsi carico di una crisi che sembrava
senza sbocchi. Senza un atteggiamento serio e responsabile dei lavoratori
difficilmente oggi la Panini potrebbe assistere ad un simile corteggiamento".
Il corteggiamento si conclude il 6 luglio: non con un matrimonio, per�, ma con un
divorzio, nel senso che De Agostini e gli altri azionisti cedono totalmente
l'azienda al gruppo Marvel, per la precisione a Ron Perelman, che detiene l'intero
pacchetto azionario della Mafco Holding, il gruppo di cui fa parte la Marvel Comics
Italia. � anche un divorzio della Panini dalla propria stessa storia, dalla propria
citt�, dall'Italia. Come commenta con una vena di amarezza il giornalista Saverio
Cioce nella sua cronaca sulla "Gazzetta di Modena", "c'era una volta la Panini,
fiore all'occhiello di una citt� capace d'inventare prodotti leader in tutto il
mondo. Oggi invece c'� un'azienda che, smettendo di essere la capitale di un
piccolo impero editoriale, abdica al suo ruolo in silenzio, finendo per diventare
la provincia di un'altra multinazionale".
La notizia della cessione - per 150 miliardi, a quanto pare - arriva con un
comunicato di poche righe: "Il gruppo finanziario che controlla la Panini ha
firmato una lettera d'intenti con la Marvel Entertainment Group, che ha come
oggetto la cessione della societ� stessa. Marvel � una societ� leader nel campo del
divertimento per ragazzi. Le sue attivit� e prodotti comprendono tra gli altri
Marvel Comics, il pi� grande editore di comics negli Stati Uniti e in Canada,
Fleer, azienda leader nelle trading cards sportive e di variet�, e Toy Biz,
produttore e distributore di giocattoli".
Quello che per� sembra fuor di discussione, a differenza di quanto avvenuto nelle
precedenti occasioni di vendita, � l'intoccabilit� del management: � ancora troppo
fresco il ricordo dei guai combinati dalla gestione Maxwell, che costrinse alla
fuga parecchi dirigenti che fondarono poi societ� concorrenti, sempre nel Modenese,
che hanno dato grattacapi e problemi legali con una produzione sempre pi�
aggressiva. Il comunicato quindi aggiunge una precisazione, a questo proposito, di
fondamentale importanza: "L'operazione di acquisizione prevede la conferma dei
manager attuali". Azzerare il capitale umano non � possibile, allora, pena lo
spettro di una nuova possibile crisi. � una piccola vittoria, forse all'interno di
una grande sconfitta. La citt� infatti, privata ancora una volta di quel pezzo cos�
significativo della propria identit� sociale, economica e culturale, accoglie il
nuovo proprietario straniero con poco entusiasmo. Giuliano Bolelli, in una "lettera
al Direttore" apparsa sempre sulla "Gazzetta di Modena", sintetizza con un'efficace
immagine lo stato d'animo di tanti modenesi: "Apprendendo dai quotidiani l'ennesimo
cambio di gestione della Panini, mi � venuto alla mente l'albero del gelso, basso,
molto tozzo, per sostenere quell'immenso fusto costituito da rami, frutti e foglie,
foglie che servono a nutrire i bachi da seta. Per� quest'albero nasconde il suo
tallone d'Achille. Essendo molto utile all'egoismo dell'uomo, senza ribellarsi,
silenziosamente, si lascia morire per poi finire nel nulla. Scusatemi, un Modenese
che ama tanto la sua citt�". L'azienda, anche sotto Marvel, tiene bene soprattutto
per gli effetti a lungo termine della buona gestione della Bain Gallo-De Agostini:
nel '94 il bilancio consolidato si chiude con un utile di 27,8 miliardi contro la
perdita di 3,2 miliardi dell'esercizio precedente. Il fatturato � stato di 226,4
miliardi (180,2 nel '93) con un notevole incremento dell'export, che rappresenta
ora il 74% dell'intera attivit�. Da una posizione di indebitamento di 12 miliardi
la Panini � passata adesso a una liquidit� di 32,7 miliardi. � stato un anno che ha
visto la Panini ai vertici europei anche per il successo strepitoso della raccolta
de "Il Re Leone" di Walt Disney. Il 24 dicembre ci si saluta festeggiando la
miliardesima bustina di figurine del '94 che, neanche a farlo apposta, appartiene
alla collezione dei calciatori. Dai 340 dipendenti del '93 si ritorner�, un po'
alla volta, ai 520 del '97. Anche il 1995 va piuttosto bene, tanto che la direzione
aziendale premia i dipendenti con un regalo natalizio inconsueto ma molto gradito:
una bella letterina con allegati tre bigliettoni verdi. Faranno pure molto
"americano", ma in lire vogliono pur sempre dire quasi mezzo milione in pi�. E, per
completare l'omaggio di fine anno, anche una ricca cesta straripante - questa volta
s� - di prelibatezze tutte firmate Modena: tortellini, zampone, parmigiano-reggiano
e aceto balsamico, abbellite da una splendida confezione di vischio. La Panini
sembra davvero tornata agli abituali fasti del suo recente passato.
Ma l'acquisto dell'azienda modenese da parte del colosso statunitense scatena ben
presto una vera e propria "guerra delle figurine". Gi� abbiamo visto l'attacco
della concorrente Upper Deck, anch'essa statunitense, alla quale si affiancano
altre nuove societ�, nella maggioranza dei casi fondate dopo il 1991 da ex-
dirigenti Panini fuoriusciti dall'azienda. � una guerra commerciale a colpi di
carte bollate e di ricorsi legali: una cosa nuova e imbarazzante, che d� anch'essa
un'esatta idea del mutato spirito dei tempi. Ad essere messi in discussione sono
innanzitutto i diritti in esclusiva che la Panini detiene nel settore delle
figurine dei calciatori.
Si comincia con i mondiali di calcio del '94 e con il ricorso presentato al
Tribunale di Modena dalla "solita" Upper Deck ancor prima della cessione della
Panini alla Marvel. Si prosegue con un attacco congiunto contro l'esclusiva
concessa dall'Aic (Associazione Italiana Calciatori) alla Panini per l'album delle
figurine dei calciatori del campionato italiano 1995-'96. A sferrarlo, in questo
caso, � innanzitutto la Service Line Italy, che si fa promotrice di una
segnalazione all'Antitrust, ritenendo che i contratti di licenza tra i due siano
"intese restrittive delle concorrenze". Alla Service Line Italy si aggregano di
nuovo l'Upper Deck International e, successivamente, l'inglese Merlin Publishing
ora Topps Italia, la Diamond Publishing, l'Euroflash e l'Edigamma. Anche la Panini
per� non sta a guardare; nel '95, per esempio, presenta ricorso contro la spezzina
Euroflash, "rea" di aver messo in commercio un album sui mondiali di calcio,
ignorando i diritti di utilizzazione esclusiva delle immagini di alcune squadre
nazionali e di alcuni campioni vantati dalla Panini. Per il giudice, per�, anche
nel caso delle figurine deve prevalere il pubblico interesse all'informazione.
Essendo il calcio in Italia un'attivit� talmente diffusa, praticata e seguita da
essere considerata una componente della nostra cultura, pubblicare figurine di
calciatori da incollare in un album non solo risponde a esigenze di pubblica
informazione ma soddisfa anche scopi culturali e didattici. Si tratta, come si
vede, di quesiti e di risposte giuridiche mai emersi in precedenza: il dibattito si
amplia e investe la sfera non solo degli interessi commerciali ma della stessa
sostanza etica e giuridica. Non � mia intenzione ripercorrere qui le tappe delle
successive vicissitudini legali della Panini che, con una serie di sentenze a volte
anche controverse, coinvolsero persino il Tar e il Consiglio di Stato e la
portarono - nel luglio 1994, nella causa contro l'Upper Deck americana -
all'ingiunzione di sospendere la diffusione dell'album "Usa '94" e - nell'ottobre
1997, nell'inchiesta aperta dall'Antitrust dopo la segnalazione della Service Line
e delle altre concorrenti ad essa aggregate - a una sanzione pecuniaria di 150
milioni (condivisa con l'Aic) per non aver rispettato la legge sulla concorrenza.
Al di l� delle specifiche situazioni e responsabilit�, queste vicende rimangono
comunque emblematiche - e in questo senso ho voluto citarle - di una nuova e
diversa concezione del mercato italiano e mondiale delle figurine dove quello che
un tempo poteva apparire come un orgoglio professionale pu� essere interpretato
adesso come una prevaricazione nei confronti di altri. Questioni economiche,
sicuramente, ma anche sintomo di mutati equilibri all'interno di logiche di mercato
ed editoriali dove la bella favola dei Panini sembra dileguarsi, lasciandosi alle
spalle soltanto quell'intrepido Paladino che - con la sua lancia in resta - ancora
si para a difesa di qualcosa che non esiste pi�.
E non � finita qui: si accavallano cause per "insider trading", cio� per l'utilizzo
di informazioni riservate a fini speculativi. Sono accuse che investono alcune
delle persone nominate in vari momenti delle storie aziendali che ho raccontato,
sia da una parte che dall'altra: anch'esse segno amaro di un gioco fattosi ormai
pesante. Come se non bastasse, il 26 settembre 1996 va a fuoco l'Adespan, il
magazzino della Divisione carta autoadesiva della Panini situato a Bomporto, appena
fuori citt�. I danni assommano a 20-25 miliardi. La Divisione carta autoadesiva �
uno dei fiori all'occhiello del gruppo Panini, capace di un fatturato che si aggira
sui 130 miliardi l'anno. Il nuovo stabilimento di Bomporto, operativo da pochissimi
mesi, occupa 150 dipendenti e si estende su un'area di oltre 20.000 metri quadrati.
Il magazzino che ora � andato a fuoco era stato realizzato con i pi� moderni
criteri gestionali e di sicurezza: e, a proposito di sicurezza, appena tre giorni
prima un'apposita commissione coordinata dalle competenti autorit� l'aveva
certificata. Tra l'altro, non aveva funzionato neppure il sensibilissimo impianto a
pioggia antincendio, controllato solo pochi giorni prima e del costo di circa 1
miliardo.
E, soprattutto, si riaprono le danze. Anche il gruppo Marvel va in crisi; � pi� di
una crisi, veramente, dato che nel dicembre 1996 va in amministrazione controllata.
Di nuovo, secondo un copione gi� tristemente noto, la Panini viene privata della
propria liquidit� e indebitata (oltretutto si fanno sentire anche le conseguenze
dell'incendio all'Adespan: sembra che le assicurazioni siano disposte a restituire
subito solo la met� del danno, mentre il resto sar� versato a ricostruzione
completata); si parla di venderla al miglior offerente, non si sa oggi quello che
succeder� domani... su e gi�, gi� e su, secondo programmi ed esigenze
imperscrutabili, dove avere idee valide, essere in possesso di una progettualit�
vincente, essere giustamente competitivi, amare il proprio lavoro non ha alcun
significato n� valore. Perch� i motivi sono altri, passano sopra le teste, ben
lontano da Modena, Via Emilio Po, Panini Figurine.
Si ricomincia, non oso immaginare con quale delizia dei poveri dipendenti e
dirigenti appena risollevatisi dai disastri del recente passato: era questo il
premio di cui parlavano i sindacati appena due o tre anni prima? All'interno del
gruppo Marvel si scatena una guerra fratricida fra azionisti, definita "una delle
pi� aspre battaglie della storia finanziaria americana degli anni '90". Le banche
creditrici reclamano dalla Marvel, finita in amministrazione controllata, 710
milioni di dollari; secondo le stime, la Panini - insieme con la Fleer Sky Box, una
divisione della Marvel specializzata in "cards" - potrebbe fruttare una cifra che
si aggira sui 300-380 milioni di dollari.
Gi� nell'aprile del 1997 fu la stessa Marvel ad annunciare la probabile vendita
dell'azienda delle figurine - di cui deteneva allora il 100% del pacchetto
azionario - all'interno di un pi� vasto piano di ristrutturazione che prevedeva la
fusione della stessa holding americana in un'azienda partecipata al 26%, la Toy
Biz. Un portavoce della Marvel disse allora che erano stati fatti i nomi di "grandi
gruppi americani del settore media-spettacolo che potrebbero essere interessati".
Sarebbero i colossi tra i colossi: Walt Disney, Time Warner, Warner Bros, la Fox
del magnate delle televisioni Rupert Murdoch. Forse potrebbero essere loro a
comprarla dall'americana Toy Biz che adesso, finalmente concluse le lotte
intestine, � quella che la detiene.
La Panini, insieme con altre attivit� del gruppo, viene consegnata nelle mani delle
banche creditrici, che potranno cos� cederla al miglior offerente per ripagare
almeno una parte della montagna di dollari che esse reclamano. L'operazione,
prevista da tempo nel piano di salvataggio messo a punto alcuni mesi prima,
naufraga per� per l'opposizione dei creditori e per i contrasti fra gli azionisti
del gruppo Marvel. La faccenda va sempre pi� esclusivamente in mano ai legali
finch� le banche non identificano finalmente nel proprietario della Toy Biz anche
il proprietario della Panini, che conferma l'intenzione di vendere.
Eppure, nonostante il domani da inventare giorno per giorno, alla Panini si tira
avanti. Non "si tira a campare": no, si tira proprio avanti, dritti, verso
progetti, idee, innovazioni, spunti, riflessioni. Ci si crede, ancora e nonostante
tutto, perch� si crede nella figurina, in un suo futuro; si sa che se le cose vanno
male � perch� � il meccanismo nel suo complesso che non ha funzionato, non il
singolo ingranaggio che - se opportunamente revisionato - sarebbe ancora in grado
di funzionare a lungo e bene. Certo a nessuno piace tirare avanti con l'acqua alla
gola, ma poi la vita, la voglia di esserci riprende il sopravvento. E cos�,
nonostante sia ripristinata, all'inizio del '99, persino l'amara cassa integrazione
per 90 dipendenti, la Panini - come quei malati dati per spacciati e poi visti
qualche anno dopo, in perfetta salute, dietro al feretro del proprio ex-medico
curante - prosegue nella sua non facile vita, alla faccia di chi la vorrebbe morta,
per la gioia di tutti quei piccini, e grandi, che ormai vedono in lei il Davide
contro Golia dell'editoria per l'infanzia. Fino a quando, nell'ottobre 1999, non
avviene il "miracolo"...
"Ne sono successe tante, e tutte una dietro l'altra", racconta ancora il nostro
dirigente. "Quando giunse la notizia che Maxwell era morto, andarono a vedere i
conti e scoprirono che c'era un buco di 5.500 miliardi. Allora chiusero un sacco di
aziende e, tra le poche - nonostante Maxwell - che restavano valide, c'era anche la
Panini, che parecchi erano interessati ad acquistare. Ai figli di Maxwell prima
ritirarono il passaporto e poi li arrestarono, quando venne a galla che avevano
fatto sparire i fondi delle liquidazioni dei dipendenti del Mirror. Non solo: si
seppe anche che avevano debiti con 30 banche - fra cui pure una italiana - alle
quali, oltre che il prestigio del nome, avevano dato in garanzia delle aziende che
erano gi� ipotecate sette volte, a copertura di altri prestiti concessi da altre
banche di altri paesi. Eh, s�, non fu un bel periodo, quello, per noi. Eppure
continuavamo a lavorare, cercando di fare del nostro meglio.
Poi la Price Waterhouse, la societ� di revisione incaricata dalle banche creditrici
di valutare e di alienare, cio� di vendere tutto quello che si poteva vendere, fece
una sorta di asta e, tra le varie offerte, fu scelta anche la Panini. A metterla in
vendita, quindi, furono le banche creditrici. La compr� la cordata poi identificata
come "De Agostini". Comprarono nel '92 e rivendettero alla Marvel nel '94. Questa
cordata ha avuto il merito di rimettere in sesto la Panini. E sa perch�? Perch�
hanno ristabilito dei criteri simili a quelli della gestione Panini, cos� le cose
hanno ripreso a funzionare.
Vede, per�, che non � solo questione di essere "stranieri". Anche il gruppo Marvel
era straniero; � vero che pure con questo gruppo non � che le cose andassero molto
bene, per� noi non potevamo lamentarci. Ci hanno sempre lasciato lavorare e, almeno
inizialmente, hanno anche fatto degli investimenti. Per� � anche vero che noi, come
Panini, non eravamo altro che una parte del gruppo Marvel e quindi dovevamo
seguirne le sorti, che non dipendevano da noi come singola entit�.
� bene comunque mettere in risalto la continuit� aziendale della Panini, nonostante
i cambi di propriet� che - ricordiamolo - sono stati tre in sei anni, anzi, tre e
mezzo, se contiamo anche l'ingresso come socio di minoranza di De Benedetti.
Quattro e mezzo, naturalmente, se ci mettiamo pure Merloni.
Ma siamo sempre andati avanti, dritti per la nostra strada; nei limiti del
possibile, � evidente. Sa, "fuori" se ne sa poco, non se ne ha una cognizione
esatta. Localmente uno vede quello che esce in Italia: i calciatori, Hercules,
Mulan... Ma facciamo molto di pi�, anche se non a livello di differenziazione di
prodotti; su questo piano, infatti, continuiamo a produrre sostanzialmente figurine
e, fino a poco tempo fa, carta adesiva, alle quali si aggiunge una produzione
marginale, a seconda delle specifiche situazioni contingenti, di prodotti misti,
quali fotocards, cards, figurine con i tridimensionali, modellini di macchinine o
animalini in plastica. Al di l� di questo, il tipo di produzione resta lo stesso di
sempre". La Panini dunque ha conservato, nonostante tutto, la stessa fisionomia
aziendale, e questo � probabilmente il suo punto di forza.
"Per�, ripeto, "fuori" non si ha un'idea del nostro lavoro: non si sapeva
dell'Adespan, ma neppure delle stesse figurine. La gente non sa che siamo presenti
in pi� di 100 paesi in tutto il mondo. E, in occasione di eventi particolari (come
i mondiali di calcio o il lancio di un grande film della Walt Dinsey), i paesi
diventano anche 120-130. Oltre al calcio italiano facciamo calcio nazionale in 27
paesi che naturalmente qui, dove si vede soltanto quello italiano, nessuno vede. E
parallelamente in Spagna, per esempio, non vedono il nostro ma solo il loro. Noi
per�, che ci siamo in mezzo, sappiamo quale forza ancora abbia il mercato e la
nostra presenza al suo interno, dove rimaniamo indiscussi leader mondiali".
Parte Terza
Ci sono appartamenti dove abita uno solo oppure dove abitano in due o tre, cinque,
dieci, anche di pi�; ma l� ci abitano addirittura in... cinquecentomila! Sono le
"inquiline" del Museo della Figurina gi� di propriet� di Giuseppe Panini, da lui
donato alla citt� di Modena.
Anche l'appartamento � di propriet� di Giuseppe; vi diede ospitalit� ai suoi pezzi
quando essi furono evacuati dall'azienda dopo la donazione al Comune di Modena, che
tuttora paga un affitto (agevolato) in attesa di trovare finalmente una sede pi�
idonea anche alla fruizione pubblica.
Al momento, quindi, il feroce Saladino riposa protetto in un cassetto dentro
l'ampio salone doppio, una delle camere da letto accoglie i computer necessari per
informatizzare tutti i dati che due studiose stanno pazientemente desumendo,
un'altra stanza - la camera dei giochi dei ragazzi? - � colma di libri e riviste di
molto difficile reperimento, tutti sull'argomento figurina. Ma quell'appartamento
ha una particolarit� unica, che gli altri appartamenti del medesimo modernissimo
condominio non possiedono: cinquecentomila finestre sul mondo. Perch� ogni figurina
� un occhio non solo su quello che ci circonda e che ci ha circondato, ma anche sui
sogni e i desideri di chi - attraverso quel rettangolo colorato - ha scelto, almeno
per un attimo, di fermarsi a guardare.
Quelle del Museo della Figurina, inquilino bizzarro unico al mondo, sono tutte
figurine storiche, antecedenti alla Figurina Panini, che qui non compare. Sono
figurine di altri, che Giuseppe a un certo punto della sua vita - forse intorno
agli anni '80, forse del tutto casualmente, pu� anche darsi su suggerimento di
qualcun altro - ha cominciato a raccogliere. In un certo senso questo � un
passaggio quasi obbligato per qualsiasi industriale che, dopo aver inventato un
prodotto, ne trova dei precedenti che gli sembrano pi� culturali, pi� belli, con
un'artigianalit� diversa, che lo spingono a farsi la grande collezione (anche
perch� ne ha le possibilit� economiche). In questo modo il cerchio si stringe,
facendogli sentire il suo prodotto industriale - che ha piena dignit�, ma che di
fatto � un prodotto di consumo - pi� "alto", pi� di prestigio, pi� giustificato al
di l� della logica del profitto, pi� degno agli occhi del mondo. Molti musei
centrati su di un oggetto specifico sono nati probabilmente in quest'ottica, come
musei aziendali a supporto di una concezione industriale individuale
particolarmente sensibile.
Ma Giuseppe Panini ha fatto qualcosa, anzi, molto di pi�: dopo aver affermato la
figurina come prodotto industriale, ne ha capito il valore intrinseco costruendoci
attorno un museo, estrinsecandola come oggetto in s� con tutte le sue valenze di
valorizzazione, come oggetto cos� socialmente significativo da avere una propria
incisivit� separata.
Si tratta di due intuizioni geniali con le quali Giuseppe Panini ha anticipato il
mondo intero, due intuizioni profonde e particolari che non sono comuni neppure
nelle persone che pure si applicano all'industria, all'arte o agli studi culturali.
Lui ha saputo conglobare tutti questi aspetti apparentemente antitetici; e l'ha
fatto da solo, da autodidatta, seguendo soltanto la forza del proprio istinto e
creando in parallelo, strada facendo, gli strumenti per la realizzazione della
sintesi.
Perch� � vero che la figurina esisteva gi�: c'era il prodotto, anche se con
finalit� diverse; c'erano gli editori, che poi sono diventati concorrenti e che,
soprattutto fuori d'Italia (anche se lui all'inizio non ne era neppure a
conoscenza), non erano neanche tanto piccoli e irrilevanti; c'era l'album con la
figurina che si incollava; c'era gi� il collezionismo.
L'idea di partenza di Giuseppe Panini, presto confortata dai primi risultati, �
stata quella che si potesse creare qualcosa di pi� consistente, cio� che si potesse
passare da un'attivit� molto marginale - di editori che probabilmente avevano anche
altre produzioni concomitanti, quasi artigiani-cartolai - a un'attivit� di tipo
diverso, che forse lui non pensava neanche che sarebbe potuta diventare
un'industria ma che comunque gi� conteneva in s� il riconoscimento delle
potenzialit�, la prospettiva del superamento dei limiti fino allora implicitamente
stabiliti. Ha capito che la figurina poteva essere non "un di pi�" ma il soggetto-
oggetto di se stessa; non finalizzata a un mercato collaterale ma protagonista di
un mercato specifico.
Esistendo gi� la figurina e la sua vendita, Giuseppe Panini il meccanismo lo
conosceva, tant'� vero che ha iniziato vendendo raccolte di altri, invendute. E, se
pu� essere vero che in un primo tempo non si sia neppure reso conto di dove potesse
portare la cosa (ma ne siamo sicuri?), � senz'altro vero per� che l'ha capito
immediatamente dopo. I risultati ottenuti gli hanno subito aperto gli occhi,
convincendolo che - con un'organizzazione pi� idonea, sia pure con connotati
artigianali-familiari, ma comunque pi� sicura e pi� completa - avrebbe potuto
sviluppare il filone sempre di pi�, anche fidando nella propria energia e
intelligenza.
Un altro infatti si sarebbe probabilmente fermato ai primi successi,
accontentandosi. Ma Giuseppe Panini aveva un intuito penetrante e lungimirante, e
aveva il piacere e il gusto di fare. Oltretutto, per estrazione sociale, per storia
familiare, era abituato a lavorare sodo, in prima persona. Non solo non si � tirato
indietro di fronte alla propria occasione, ma l'ha affrontata a testa alta, con
coraggio, entusiasmo, fiducia e lucidit�, e l'ha seguita fin dove � potuto
arrivare.
Si � trattato poi di convincere i familiari che questo "qualcosa" che al momento
solo lui aveva visto era un qualcosa che valeva la pena di continuare, anche con
sforzi organizzativi e con investimenti. E la famiglia ha capito. Cos� lui ha
affinato le proprie convinzioni, credendoci sempre di pi�. Il cammino in realt� �
stato lunghissimo, anche se si � svolto in un arco di tempo relativamente breve; �
consistito pi� che altro in un lungo percorso mentale, che per� lui ha saputo
compiere in tempi rapidi, come richiesto e consentito dalle circostanze e dal
momento storico.
La seconda intuizione, quella della figurina come entit� di valore assoluto, �
cresciuta con il consolidarsi dei successi conseguenti alla prima. Giuseppe Panini,
gi� collezionista per natura, comincia probabilmente a raccogliere figurine per
caso, sull'onda dell'occasione. Succede, come detto prima, intorno agli anni '80.
In quel periodo la Panini ha gi� rapporti internazionali e sedi all'estero; pu�
darsi che qualcuno gli proponga un primo acquisto, di una raccolta o di qualche
serie, forse anche soltanto che gliela faccia vedere per curiosit�. Lui si trova
cos� per le mani il prodotto d'epoca, la figurina "vecchia", che per altro gi�
conosceva ma pi� come articolo commerciale, come fatto di costume condiviso da
quelli della sua generazione che non come interesse personale specifico. Adesso �
una cosa diversa: si imbatte nelle cromolitografie e capisce che sono figurine.
Pu� sembrare una banalit� ma non lo � affatto, perch� le figurine hanno una tale
diversit� tipologica per cui a volte � davvero difficile riconoscerle, soprattutto
quando sono d'epoca.
Giuseppe Panini, che lavora nelle figurine moderne, scopre o riscopre quelle
antiche, le riconosce, ne fiuta i legami tra le une e le altre, gli si spalanca
davanti la dimensione del bello oltre che quella dell'utile: e decide di far
partecipe il mondo intero della sua scoperta, mettendo a disposizione di tutti le
figurine, che da quel momento in poi andr� pazientemente e scientemente
collezionando, attraverso l'istituzione di un museo. Un museo che � primo, e per
ora, unico al mondo; anche se non mancano, ovviamente, importanti raccolte
pubbliche, come quelle di Parigi, Berlino e Londra, che per� sono branche di musei
gi� esistenti.
Ma il Museo della Figurina di Giuseppe Panini comprende non soltanto
cinquecentomila preziosissime figurine, bens� anche la solitudine dell'uomo,
l'incomprensione che tuttora avvolge la sua intuizione. �, al momento, un'occasione
mancata, una delle tante che il mondo getta via o, tutt'al pi�, si limita ad
accantonare, nell'impossibilit� di seguire - coi suoi passettini stanchi e incerti
- il volo di una fantasia libera e ardita.
Questo Museo nasce e si evolve, sia affettivamente che materialmente, in modo non
dissimile da una qualunque collezione privata: lui accumula e, quando ha un minimo
di tempo, cerca di capirci qualcosa. Impresa difficilissima per non dire
impossibile, perch� mancano i punti di riferimento: non ci sono studi, non ci sono
cataloghi, non ci sono esperti riconosciuti, non c'� - pi� che altro - il
riconoscimento della figurina.
Qualcuno gli fa il nome di Lucilla De Magistris, anche lei collezionista e,
soprattutto, un'autorit� in materia, nell'ambito della ristretta cerchia degli
appassionati del settore. Giuseppe Panini va a Milano per conoscerla, e sar� un
incontro determinante. Lei lo mette sulla strada giusta e lui, in modo informale,
ne fa la propria consulente per la sistemazione delle raccolte, che gi� stanno
diventando molto corpose.
Ma ci vuole un punto di riferimento locale, qualcuno che sposi la causa della
figurina storica, che se ne faccia carico con altrettanta passione ed energia. La
scelta cade su Enrica Manenti, una modenese gi� in contatto con i Panini per i
quali - all'interno della Divisione Libri - aveva curato le trascrizioni di antiche
cronache locali. Enrica Manenti � infatti bibliotecaria-archivista, non sa niente
di figurine, non le ha mai viste, tanto meno quelle di cui dovrebbe occuparsi.
Giuseppe Panini per�, come sempre, sa di non essersi sbagliato: quella � la persona
che fa per lui. E, come sempre, riesce a portarla dalla propria parte. Cos�, nel
1981, Enrica lascia l'incarico di bibliotecaria in un paese della Bassa modenese e
assume la direzione di un museo che ancora non esiste. Ci sono soltanto tre stanze,
nell'azienda di Via Emilio Po, con moltissimo materiale tutto da studiare e da
sistemare.
"Mi sono letteralmente arrangiata come ho potuto, con l'aiuto insostituibile di
Lucilla De Magistris, che mi ha instradata in tutto", racconta Enrica Manenti. "Il
fatto � che mancava quasi totalmente qualsiasi documentazione relativa alla
figurina: un po' perch� era andata perduta in vario modo (dispersa o distrutta nel
corso del tempo), un po' perch� la figurina � sempre stata considerata, fin
dall'inizio, un prodotto marginale e, di conseguenza, scarsamente degno di
conservazione e considerazione. Le piccole industrie, le litografie e le tipo-
litografie che avevano prodotto le figurine - e anche in maniera molto
considerevole, perch� era un'attivit� remunerativa - non l'avevano mai fatto in
esclusiva, per cui la documentazione di questo singolo aspetto (slegata dal
contesto della loro produzione complessiva, gi� di per s� problematica e assai
carente) diventava ancora pi� difficile.
In mancanza di documentazione, infatti, � pressoch� impossibile non solo farsi
un'idea di una raccolta ma anche capire che parte essa sia dell'intero. Uno degli
scopi prioritari del costituendo Museo fu appunto la produzione di cataloghi e di
libri, indispensabili per dare una base al nostro lavoro. Di cataloghi ne facemmo
circa una ventina. Veramente li fece tutti Lucilla De Magistris: era lei l'unica,
vera esperta. L'importanza della De Magistris � stata fondamentale ed � un vero
peccato che il mondo della cultura ufficiale non le tributi i riconoscimenti che
merita. I primi sette od otto furono veri e propri "cataloghi grigi", cio�
praticamente delle dispense in bianco e nero battute a macchina e fotocopiate in
numero ridottissimo, distribuite a mano fra i pochi "intimi" dell'argomento.
Fotocopiate erano pure le figurine in essi riprodotte come esempi nel testo. Dei
primi ne facemmo addirittura, credo, soltanto cinque copie: per Lucilla, per
Giuseppe, per il Museo, per il collezionista Warthon Tyler (quello che poi don� la
sua altrettanto ricca collezione al British Museum di Londra) e per un altro
collezionista o, al massimo, per altri due o tre. Mi sembra di ricordare che per il
primo fosse poi necessario ricorrere a una... ristampa, sempre in fotocopia: forse
di altre cinque copie... Eppure anche e soprattutto questi cataloghi si rivelarono
utilissimi. Essi diedero fiducia e strumenti cognitivi pure ad altri collezionisti
che poi ci contattarono, allargando un po' il giro, tanto che i cataloghi
successivi arrivarono, sempre col solito sistema preprint, addirittura a una
cinquantina di copie. Essi servirono anche per far progredire scientificamente il
Museo che, nel giro di breve tempo, divent� punto di riferimento nazionale e
internazionale. In seguito stampammo, come Edizioni Panini, tre libri (oggi fuori
commercio) che nacquero da alcune nostre iniziative e che costituiscono a
tutt'oggi, insieme con pochi altri contributi, gli unici materiali italiani
esistenti sulla figurina (curiosamente, oltretutto, fu proprio un modenese,
Giuseppe Garuti, disegnatore e anch'egli collezionista di figurine Liebig, a
pubblicare nel lontano 1887 - sempre, anche in quel caso, per un piccolo circuito
di amici collezionisti - quello che pu� essere considerato il primo catalogo della
Liebig). All'interno del Museo svolgevamo anche uno specifico lavoro didattico per
le scolaresche che venivano in visita all'azienda, approntando inoltre materiali
illustrativi e allestendo una speciale auletta dove i ragazzi potevano sperimentare
alcune tecniche.
Per�, nonostante la mole e la costanza del lavoro, nonostante avessimo sviluppato -
pur essendo ancora un museo privato aziendale - un'attivit� capillare e una rete di
rapporti che ci aveva portato non solo a partecipare ma anche a organizzare
convegni di alto livello qualitativo, nonostante avessimo pubblicato cataloghi e
pure qualche libro, l'idea che potesse esistere un Museo della Figurina, e che la
figurina potesse essere meritevole di studi specifici, e persino a livello
interdisciplinare, era una cosa assurda ancora in quegli anni '80: sembrava
veramente il desiderio di una persona, il sogno personale di Giuseppe Panini.
E ancora adesso, che sono passati quasi vent'anni, non ci si rende conto della
valenza e del valore di queste figurine, anche nel loro passaggio da oggetto
puramente decorativo a oggetto consumistico; l'argomento non � ancora stato
affrontato con la seriet� e l'importanza che merita. Qualcuno continua
disperatamente a farlo, ma... Insomma, Giuseppe Panini era veramente partito con
un'idea tanto geniale quanto fuori dal mondo. Io stessa", continua la Manenti
"inizialmente pensavo che la figurina non meritasse tutto questo interessamento.
Poi invece ho capito che non era cos�, e che era anche molto complessa da trattare,
con ricerche che possono durare mesi e mesi senza approdare a nulla, finch� non si
trova il bandolo della matassa. Ma come Giuseppe Panini avesse potuto capire cos�
in anticipo il valore e il significato culturale della figurina � una cosa che
ancora mi meraviglia. Non vorrei sbagliarmi ma, se ben ricordo, lui stesso mi parl�
di quello che forse fu il suo primo acquisto. Doveva trattarsi di una partita di
figurine sfuse, quelle con i soliti soggetti: fiori, animali, scenette... Le aveva
trovate, come giacenze, in una litografia di Milano di propriet� di un certo
Nannina, che produceva soprattutto oggetti di cartoleria. Mi ricordo di avervi
visto, io stessa, maschere di Carnevale in cartone. Questo Nannina non riusciva a
vendere le figurine che aveva perch�, sostanzialmente, non riusciva a veicolarle in
modo adeguato ai nuovi tempi; ormai la figurina sfusa, l'immagine da sola, in s� e
per s� non interessava pi� a nessuno. Giuseppe Panini compr� queste figurine, credo
per inserirle in quelle buste-sorpresa che vendeva attraverso l'edicola e il
magazzino di distribuzione che aveva con i familiari. L'esperimento riusc� in
parte; gli diede per� la possibilit� di riflettere sull'oggetto "figurina" e di
trarne qualche considerazione. Infatti, quando ebbe occasione di ritornare a
Milano, and� da Nannina, a dargli quei buoni consigli per la vendita delle figurine
che l'altro non solo non aveva richiesto ma che non desiderava neppure avere, anche
perch� quelle giacenze evidentemente lo infastidivano non poco. Cos� Giuseppe,
volente o nolente, fu costretto a tenersi le proprie osservazioni migliorative che
poi, evidentemente, sfrutt� in seguito a proprio vantaggio. Successivamente
Nannina, dopo aver ridotto la produzione ai soli articoli di cartoleria, arriv�
alla chiusura. Giuseppe Panini, quando gi� era famoso ed affermato, ne incontr�
l'ultima erede, che gli disse: "Eh, aveva ragione lei! Se le avesse dato retta,
allora...", gli disse con rammarico".
Il Museo � stato aperto ufficialmente nel 1985 e chiuso nel 1992, quando � stato
donato al Comune di Modena. Comprende oltre 500.000 pezzi stampati in tutto il
mondo, datati dalla seconda met� dell'Ottocento - che fu appunto il periodo
d'inizio - a oggi. Tra di essi rientrano anche diverse raccolte di "carte povere"
imparentate con le figurine per determinati aspetti che possono essere la grafica,
la funzione o l'epoca (bolli chiudilettera - ce ne sono circa 60.000 -, men�,
calendarietti da barbiere, etichette d'albergo, immagini ritagliate da scatole di
fiammiferi, carte per confezione e caramelle...). Nucleo del Museo � la collezione
di oltre 50.000 figurine Liebig, la pi� completa al mondo non solo per la quantit�
ma soprattutto per la qualit� (� nata dalla fusione delle due pi� importanti
collezioni italiane di Liebig: la Belloni e la Casnedi); insieme ai pezzi stampati,
infatti, Giuseppe Panini aveva raccolto bozzetti originali, progressive, prove di
stampa, "fogli di macchina". C'� anche una bella collezione di pietre litografiche.
La donazione al Comune di Comune, fatta congiuntamente da Giuseppe Panini e dalla
Panini S.r.l. (in quel periodo ancora di propriet� di Robert Maxwell), risale
all'estate del 1992. Prima di arrivare alla donazione congiunta ci fu per� qualche
forte motivo di contenziosit� tra Giuseppe Panini e Robert Maxwell: ognuno
rivendicava a s� la propriet� del Museo. Questa ed altre burrascose vicende del
passaggio di propriet� fecero temere per le sorti del Museo al punto da indurre la
competente Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Modena e di Reggio
Emilia, diretta dalla dottoressa Jadranka Bentini, a un'azione di tutela che si �
espressa infine nel vincolo decretato il 2 aprile 1992 dal ministro per i Beni
Culturali e Ambientali.
Il vincolo, se ha salvato la collezione da eventuali tentazioni pi� o meno
volontarie di vendita o dispersione, ha per� creato un ostacolo non da poco alla
fruizione pubblica: bisogna infatti, secondo quanto da esso prescritto,
inventariare e riprodurre con mezzi fotografici e informatici tutto questo enorme
patrimonio, una figurina alla volta. Lavoro che, ovviamente, Giuseppe Panini non
aveva ancora fatto, un po' perch� non ne aveva mai avuto la necessit� e un po'
perch� ci vuole personale specializzato - in numero che dovrebbe essere senz'altro
superiore a quello delle due dottoresse in lettere attualmente a disposizione,
Paola Basile e Maria Giovanna Battistini - addetto soltanto a questo lavoro, per
anni e anni. Il Museo quindi � stato praticamente messo sotto chiave, in attesa che
l'inventario venga completato; ovvero, addio figurine, chiss� fino a quando.
"Il risultato � stata la paralisi totale", commenta Antonio Panini, il figlio
primogenito di Giuseppe. "Non si pu�, per esempio, partecipare a una mostra a tema
neppure con poche centinaia di pezzi, perch� prima bisogna avere l'autorizzazione -
con una valanga di prescrizioni - da Roma e, nel frattempo, la mostra � gi� stata
allestita, visitata e smontata. Giuseppe si arrabbiava moltissimo per questo. Ha
difeso il suo Museo fino all'ultimo, dandosi da fare come poteva, anche quando il
suo ruolo era ormai soltanto quello di "rappresentante" di un bene che non gli
apparteneva pi�". "L'inventario imposto dalla Soprintendenza fu necessario, anche
perch� altrimenti non si sapeva neppure che cosa vincolare. Ce ne occupammo noi
stessi, inizialmente; fu un lavoro che, soltanto come ricognizione-conteggio
sommario, ci port� via un annetto", aggiunge l'ex-direttrice del Museo, Enrica
Manenti. "Lo facemmo sotto la guida di Maria Goldoni, una funzionaria della
Soprintendenza esperta in stampe popolari. Poi tutto il materiale, a seguito della
donazione, fu portato fuori dall'azienda di Via Emilio Po e trasferito nella sede
provvisoria dove si trova attualmente. L�, sotto la supervisione dell'Istituto
Regionale ai Beni Culturali, l'inventario fu completato nel giro di un altro anno
con l'inserimento di materiali, alcuni dei quali di propriet� personale di Giuseppe
Panini, che in precedenza non erano stati considerati; e finalmente si diede inizio
all'immane lavoro di catalogazione, tuttora in corso".
"La donazione fu determinata anche dai rischi che il Museo stava correndo; mio
padre aveva paura che potesse andare venduto o disperso in conseguenza dei passaggi
di propriet�", prosegue ancora Antonio. "Anche la stessa donazione fu un po'
problematica. Quando venne venduta l'azienda a Maxwell, tra lui e mio padre scoppi�
una discussione perch� Maxwell rivendic� il diritto alla propriet� anche sul Museo,
mentre Giuseppe voleva portarlo fuori dall'azienda, in quanto di sua propriet�
personale. Si giunse a un compromesso tutto sommato elegante e diplomatico;
Giuseppe Panini e la Panini Figurine (cio� Maxwell) donarono il Museo della
Figurina al Comune di Modena. La Panini Figurine comunque si tenne il diritto di
riproduzione in quanto casa editrice.
Dopo la donazione il Museo dovette naturalmente abbandonare le stanze all'interno
dell'azienda dove era sempre stato ospitato fin dal momento della sua nascita; fu
mio padre stesso che, per conto del Comune, gli trov� una sede pi� o meno idonea.
Mise cio� a disposizione un appartamento, quello in cui si trova ancora oggi, in
uno stabile di sua propriet�, chiedendo al Comune un semplice affitto piuttosto
conveniente. Il Museo pass� sotto il controllo diretto della Galleria Civica di
Modena, da cui dipende tuttora. Lo stesso Comune stipendia le due persone
specializzate addette alla catalogazione. Da allora nient'altro � stato fatto.
A tutt'oggi, e sono gi� passati quasi nove anni, il Museo non ha una sede
definitiva perch� quella provvisoria attuale, oltre a non essere adatta perch�
priva di spazi espositivi, non risponde alle norme di sicurezza relative
all'apertura al pubblico (per questo motivo � visitabile solo su prenotazione e
soltanto per motivi di studio o consultazione). � vero che ne era stata proposta
una, e poi un'altra... ma � finito tutto in un nulla di fatto", conclude amaramente
il figlio di Giuseppe. "Sono per� convinto che mio padre abbia fatto la cosa
giusta, almeno a livello ideale: lui voleva che il Museo fosse della citt�. Temeva
che potesse andare perduto e, a parte tutte le vicissitudini della propriet�, anche
qualcuno della nostra famiglia, teoricamente, un domani avrebbe potuto venderlo.
Oltretutto in quel periodo c'erano tanti giapponesi che si stavano comprando
collezioni e opere d'arte di ogni genere in tutto il mondo. Non poteva rischiare.
Questo � stato il modo che allora gli � sembrato il migliore per salvare il Museo
regalandolo contemporaneamente alla citt�. Certo che forse si sarebbe aspettato
qualcosa di pi� e di diverso. Infatti, memore di questa deludente esperienza, con
le altre collezioni - che pure ha lasciato in modo da favorire sempre una fruizione
pubblica - si � orientato e tutelato diversamente, mediante un'Associazione che
porta il suo nome".
"Probabilmente la donazione non � stata capita", commenta la Manenti "e,
soprattutto, non � stato capito l'oggetto. E non solo a Modena ma in nessun'altra
parte d'Italia, anche se l'importanza di questa collezione � ufficialmente
riconosciuta - tant'� vero che credo che la Regione abbia dato un contributo
finanziario alla sua catalogazione - e anche se il personale che ne occupa � molto
competente. Torniamo al discorso iniziale: la figurina rimane una realt�
sconosciuta nei suoi molteplici valori e valenze. � un ritardo culturale
soprattutto italiano, per�, anche se - grazie a Giuseppe Panini - siamo proprio noi
a possedere la pi� grande e ricca collezione al mondo. All'estero, infatti, bench�
la figurina raramente abbia un proprio spazio autonomo, tuttavia viene valorizzata
nel contesto dei musei e delle raccolte di cultura popolare, alle quali si
attribuisce molto valore anche a livello di rappresentativit� delle culture
nazionali. Da noi, purtroppo, non � cos�. Siamo immersi, a questo proposito, in
un'ignoranza pressoch� totale alla quale � difficile sottrarsi con le poche forze
individuali a disposizione. Mi ricordo che noi stessi, quando aprimmo il Museo, ci
chiedemmo: "Ma che tipo di museo �? Di cultura popolare, d'arte, di pubblicit�, di
grafica?...". Non per amor della classificazione a tutti i costi, ma perch� saperci
collocare ci avrebbe permesso anche di sapere come muoverci. Questo per dire
l'immaturit� culturale di cui soffrivamo noi stessi che ne eravamo i referenti
principali. Tutto sommato, � una domanda che ancora oggi non ha trovato risposta.
Se, per esempio, si dovesse chiedere una consulenza o ci fosse bisogno di un
restauro, a chi ci si dovrebbe rivolgere?
� un vero peccato che il Museo sia stato chiuso e che non abbia ancora riaperto,
perch� funzionava, aveva rapporti internazionali, una biblioteca specializzata; si
riusciva a fare una gran quantit� di cose, si continuava a fare acquisizioni; era
s� un piccolo Museo (piccolo come struttura, non certo come materiali) ma con una
grande articolazione di servizi, autosufficiente e molto interessante. Mancava solo
un apporto scientifico-istituzionale che ci permettesse di approfondire il lavoro
scientifico.
A me � stato chiesto anche dal Comune di continuare, ma non me la sono pi� sentita.
Ho preferito tornare al mio lavoro originario; ormai tutto stava interrompendosi,
disgregandosi, e questo fin dal momento della vendita dell'azienda. Ogni mese, ogni
anno che passa, per�, diventa pi� difficile ricostruire, ricreare i contatti, i
rapporti umani e professionali.
Mi risulta che negli ultimi anni Giuseppe Panini si lamentasse di questo stato di
cose, anche perch� era una persona molto franca, che diceva quello che pensava. Era
dispiaciuto. Per lui volere era potere; era abituato ad agire, quando doveva fare
qualcosa era impaziente di passare all'azione, faceva, brigava, scaravoltava,
cambiava, spostava... era un uomo con una capacit� decisionale, sia intellettuale
che operativa, talmente forte da far molta fatica a capire i motivi di queste
lungaggini.
Per lui, quando si dedicava a qualcosa, era normale che non esistesse n� il giorno
n� la notte. E anche noi, pi� o meno, quando lui era presente ci adeguavamo a
questi ritmi. Anche perch� sapeva coinvolgerci; e poi era simpaticissimo. Avevamo
un rapporto molto positivo, all'interno del quale abbiamo avuto anche i nostri
scontri e i nostri accesi scambi di idee.
Giuseppe Panini era un catalizzatore di energie, un fortissimo realizzatore,
soprattutto quando le cose erano in fase di costruzione. Quando cominciavano a
scivolare un po' nella routine, gli piacevano meno. Amava fare sempre qualcosa di
nuovo. In un secondo momento, quindi, noi che lavoravamo all'interno del Museo
siamo state lasciate pi� libere, perch� lui interveniva meno. Per� tutte le tappe
di realizzazione del Museo, ma proprio tutte, lui le ha vissute in prima persona.
Una volta andammo a presentare una mostra a Cattolica, sulla riviera adriatica. Era
un'occasione piuttosto importante. C'era tanta gente, stava cominciando la stagione
balneare. Noi facemmo il nostro allestimento. Quando lui arriv�, a circa dieci
minuti dall'inaugurazione (c'erano gi� in circolazione assessori e personalit�
varie), ci disse subito che l'allestimento non gli piaceva. In effetti obbligava i
visitatori a un giro della mostra non ottimale ma, per tutta una serie di motivi,
avevamo deciso cos�. Lui per� non si limit� a farcelo notare, magari perch� in
un'altra occasione fossimo pi� attenti; lui no, tutt'altro. "Precett�" la moglie,
l'amico di famiglia che li aveva accompagnati, mio marito - che era l� per caso e
che lui scambi� per un elettricista perch� indossava una salopette -, l'assessore
che non gli era ancora stato presentato e che quindi lui pens� che fosse un
visitatore, due o tre visitatori autentici arrivati in anticipo, spieg� come
dovevano fare a impugnare e a sollevare l'intera struttura espositiva e gliela fece
girare completamente dall'altra parte.
Era alta, pesante, composta da parecchi pannelli, con copertura in vetro, sarebbe
potuta facilmente cadere, rompersi, danneggiare il risultato finale; niente, in
quei dieci minuti prima dell'inaugurazione lui "gir�" l'intera mostra, perch� cos�
era al diritto, come doveva essere".
Enrica Manenti non lo dice, ma � evidente: Giuseppe Panini era "il" Museo della
Figurina. Venuto a mancare lui, le figurine sono finite nello scatolone dei vecchi
ricordi, metaforico o reale che sia. Ma, se potesse tornare anche per qualche ora
soltanto, sono sicura che riaprirebbe lui stesso quelle scatole addormentate,
"precettando" forse anche la sottoscritta.
Una piccola, grande cosa che assomma tante importanti implicazioni: l'evoluzione
delle tecniche di stampa e della grafica, i diversi aspetti della psicologia e
della cultura popolare, la storia della pubblicit�, le vicende di piccole e grandi
imprese commerciali e industriali, anche senza inoltrarsi nel suo valore artistico,
sicuramente rilevante in parecchi casi.
Cos� lo stesso Giuseppe Panini, nell'introduzione a un volume specifico pubblicato
dalle Edizioni Panini, descriveva la composita realt� della figurina che rientra,
da un lato, nella sfera della stampa popolare di tradizione pi� antica - dove si
affianca ai santini - e, dall'altro, in quella pi� moderna del fumetto, del
graffito e del cartoon. Pur condividendo aspetti in comune con queste altre realt�,
la figurina ha per� sempre mantenuto una ben specifica individualit�, rimasta
immutata al di l� delle mutazioni contingenti dovute al tempo, alle mode e alle
tecnologie.
Le sue valenze sono molteplici: � contemporaneamente strumento promozionale, mezzo
pubblicitario, anticipo del gadget, veicolo di propaganda, gioco, oggetto da
collezione, bene d'investimento, tramite di valori didattici, sociali, artistici,
culturali, espressivi ed economici. Tutto questo in una figurina, in quel
rettangolino di carta dal costo pressoch� nullo.
La figurina nasce come oggetto promozionale e di regalo, quasi come diretta
conseguenza di una decorazione. Nasce comunque gi� associata al concetto di serie,
senza il quale fa fatica ad esistere. Si lega ben presto a quel suffisso "- ina" in
cui, pi� che le dimensioni (ne esistono anche di grandi come cartelli da
esposizione), � possibile intravedere una considerazione riduttiva della sua
importanza, forse perch� destinata sostanzialmente a una produzione gi�
implicitamente di massa, finalizzata al mondo dell'infanzia. E infatti la figurina
si lega anche, e soprattutto, all'invenzione della cromolitografia che, grazie a
una serie di perfezionamenti tecnici, permette la stampa di immagini a colori per
grandi tirature e a basso costo.
Alla base della cromolitografia ci fu l'invenzione della litografia (sperimentata
per la prima volta nel 1793 dal tedesco Aloys Senefelder sfruttando il procedimento
dell'acquaforte, gi� noto da secoli) nella quale, come suggerisce la parola, il
bozzetto da riprodurre veniva disegnato con una matita grassa su una speciale
pietra (pietra litografica), che poi veniva inumidita (mentre nell'acquaforte, al
posto della pietra, si impiegava una lastra di rame). Sulla pietra (un tipo
particolare, estratta nelle cave di Solenhofen in Germania) si passava un rullo
inchiostrato, cosicch� l'inchiostro aderiva alla parte disegnata, quella grassa,
mentre era respinto dalla parte non disegnata, cio� quella inumidita. In seguito,
approntate tante pietre quanti erano i colori che si volevano ottenere, si
procedeva alla tiratura con il torchio, sovrapponendo un colore sull'altro. La resa
artistica era notevole, soprattutto per i mezzi toni molto morbidi, per la
possibilit� di avere sia sfumature che colori brillanti, per la precisione quasi
fotografica dei dettagli. Ma il vantaggio, la novit� pi� importante fu data dalla
possibilit� di stampare molte immagini a colori in poco tempo e a basso costo.
La scoperta di Senefelder si diffuse ovunque. Nel 1827 Engelmann introdusse la
cromolitografia ottenendo, come ricorda la parola, colori pi� luminosi e brillanti.
Successivamente ci si accorse che la pesante e costosa pietra litografica poteva
essere sostituita da una lastra di zinco; nacque cos� dapprima la zincografia a
mano, poi la fotozincografia, da cui avr� origine quel "clich�" a cui si
affideranno generazioni di stampatori. Da quel momento basteranno poche matrici,
fissate su una tavoletta di legno, e una piccola macchina a pedale per stampare con
poca spesa e con poca fatica.
Quando si parla delle prime figurine si preferisce parlare di cromolitografie, dato
che nei primi tempi della loro esistenza le attribuzioni standard che in seguito
esse verranno successivamente ad assumere sono ancora molto indefinite. In pratica,
� difficile riconoscere in molte cromolitografie le antenate delle attuali
figurine. Addirittura alcune incisioni del '600 e del '700, pur non potendo certo
definirsi figurine, gi� ne possiedono taluni elementi caratteristici: il piccolo
formato, la presenza di titoli e didascalie, la numerazione dei pezzi all'interno
della serie, la scelta di determinati soggetti, quali le quattro stagioni, le et�
della vita, le caricature, gli elementi, il mondo alla rovescia.
Ma quelle che per prime possiamo chiamare a tutti gli effetti figurine, sebbene
abbiano ancora contorni distintivi molto sfumati, risalgono alla seconda met�
dell'800.
Sono cromolitografie stampate per lo pi� su cartoncino ma anche su carta, stoffa,
cuoio, metallo, celluloide (esistono perfino figurine "da mangiare"; fatte
originariamente di pasta, recano impressa un'immagine alla quale si attribuisce un
particolare valore, specialmente taumaturgico, secondo una tradizione molto diffusa
fin dall'antichit� classica e oggi relegata alla zona austro-bavarese, dove agli
ammalati vengono fatti ingerire pezzettini di carta stampata con figure di santi o
della Madonna).
Ben presto si passa anche a stampare le figurine in serie direttamente sulle
confezioni. Sono anonime, prive di scritte, prodotte e utilizzate per decorare
oggetti come mobili, bauli, scatole, ventagli, involucri oppure per giocare o per
essere conservate in album e quaderni dove vengono incollate liberamente (tant'�
vero che gli stessi venditori di stampe commercializzano fogli appositi da
ritagliare con soggetti vari, spesso in serie).
Recano delle scritte per indicare il prodotto contenuto all'interno dell'eventuale
scatola in cui sono introdotte e il nome della ditta, ma queste scritte di solito
compaiono non sulla figura bens� di lato.
Poi si fa un altro passo in avanti: le immagini vengono stampate direttamente su
cartoncini con scritte che pubblicizzano il prodotto da vendere e il nome del
produttore, e questi cartoncini vengono inseriti all'interno delle confezioni o
distribuiti direttamente alla clientela. � Parigi la culla di questa figurina che
si presenta, a tutti gli effetti, come pubblicitaria.
Il primo ad averne l'idea sembra sia stato Aristide Boucicaut, proprietario dei
Grandi Magazzini "Au Bon March�", che un giorno si mise a distribuire figurine ai
bambini che accompagnavano le mamme a fare acquisti nel suo negozio, per
invogliarle a tornare. Prova che l'immagine a colori, da tenere con s� e da
portarsi via, da infilare in una tasca, da riguardare a proprio piacimento, in
quegli anni doveva avere un valore quasi feticistico. E infatti, siamo appena alle
origini della fotografia: catturare l'immagine, possederne una � ancora cosa per
pochi. Logico che le figurine di "Au Bon March�" piacciano, e piacciano in modo
cos� dilagante che presto tanti altri negozi cercheranno di fare lo stesso.
La prima serie conosciuta � quella emessa dalla Litografia Bognard di Parigi per
"Au Bon March�" nel 1867, che illustra i padiglioni dell'Esposizione Universale di
quell'anno.
Da elemento decorativo la figurina passa quindi adesso a elemento pubblicitario:
una prova di questa nuova sua funzione � fornita anche dalle cosiddette figurine
"delle sedie". Sono biglietti o buoni omaggio con la pubblicit� di varie ditte, che
danno diritto di affittare per un certo periodo di tempo una delle sedie o delle
poltroncine di ferro collocate all'aperto in determinati luoghi pubblici di Parigi
(in alcuni casi danno diritto anche all'ascolto della musica).
A questi tipi di figurina francese ne segue a ruota un altro tipo, la cosiddetta
"cigarette card", cio� una figurina derivata dal cartoncino di rinforzo del
pacchetto di sigarette. La prima "card" sembra che sia l'americana "Marquis of
Lorne" del 1879, inserita negli omonimi pacchetti. Nasce per� con il piede
sbagliato; pare infatti che il marchese ritratto su di essa non abbia gradito
l'involontaria notoriet� per cui, dietro suo ordine, i cartoncini vennero ritirati.
Nel giro di pochi anni la figurina inizia a mettere in luce alcune delle sue
molteplici valenze, anche se quella pubblicitaria continua ad essere preponderante
da parte di ditte sempre pi� numerose che, dopo avervi fatto scrivere alcune frasi
di propria iniziativa, le distribuiscono gratuitamente ai clienti.
Per consentire questa utilizzazione le litografie stampano figurine con ampi spazi
bianchi, spesso inseriti in cornici e cartelloni, all'interno dei quali ogni
singola ditta pu� personalizzare il messaggio pubblicitario della propria attivit�
o del proprio prodotto con semplici scritte sovrastampate sull'immagine e, spesso,
anche sul retro. Si tratta quindi di figurine "neutre", senza attribuzioni
commerciali specifiche, che possono essere utilizzate indifferentemente in contesti
diversi, col solo espediente dell'inserimento della citazione della ditta o del
prodotto, e che vengono vendute liberamente, mostrando al cliente il catalogo
generale che le racchiude e dal quale egli sceglie quella per lui pi� interessante.
Una forma successiva e pi� elaborata � costituita dalla figurina in cui viene
appositamente lasciato uno spazio libero, che di solito � nella cornice della
scenetta, dove il cliente pu� fare inserire non solo il proprio nome ma anche
l'immagine del prodotto (per esempio, un vaso, una scatola, una bottiglia, secondo
quelli che erano i prodotti commercializzati a quei tempi). Dalla figurina cos�
personalizzata alla figurina creata apposta per il cliente il passo � breve; in
quest'ultima, infatti, il prodotto � inserito all'interno del soggetto della
figurina di cui diventa il protagonista, come succede spesso nelle Liebig e nelle
Suchard.
La figurina ebbe tanto successo che fu rapidamente copiata, tanto che negli anni
successivi al 1867 ne venne stampata una notevole quantit�, non solo di grandi
ditte ma anche di piccoli negozi. � vero che spesso la stessa figurina serviva a
pubblicizzare ditte, negozi e prodotti differenti, non di rado anche in
concorrenza: ma ci� non toglie che il primo, indistruttibile legame tra figurina e
pubblicit� fosse stato gettato, con reciproca soddisfazione e implicite possibilit�
di sviluppo.
La Francia, che pu� allora in un certo senso essere considerata la terra madre
della figurina, continua a produrne con crescente successo fino all'inizio del
'900, poi inizia il declino sia quantitativo che qualitativo.
Le figurine francesi pi� famose, oltre a quelle dei Grandi Magazzini "Au Bon
March�", furono quelle delle ditte Lef�vre Utile (biscotti), Ricql�s (alcool di
menta) e Guerin-Boutron (cioccolato), spesso create in esclusiva da artisti di
notevole valore e fama.
I soggetti sono i pi� disparati con un occhio gi� rivolto, com'� caratteristica
della figurina, anche alla realt� contemporanea: in una bella serie di grande
formato pubblicata dai Grandi Magazzini "Au Bon March�" appare, per esempio, la
Cometa di Halley, che in quel momento - maggio 1910 - era visibile in cielo (�
raffigurata come una giovane donna in abito rosa trapunto di stelle), mentre
un'altra serie francese ricorda l'episodio della presa di Bach Ninh in Indocina da
parte dei soldati francesi nel 1884, dove i nemici sono presentati sotto veste
di ... conigli. Ma gli esempi potrebbero continuare a lungo.
Spesso la figurina viene ad assumere autentico valore d'arte, anche perch� gli
autori non di rado sono artisti molto validi e di fama, che per� non si firmano dal
momento che disegnare figurine viene considerata un'attivit� interessante da un
punto di vista della retribuzione economica ma poco di prestigio per la carriera.
Un po' alla volta, per�, gi� a partire dai primi decenni del '900, la figurina
rimane isolata rispetto alle coeve avanguardie quali il futurismo, il cubismo e il
costruttivismo (con l'eccezione di alcune serie tedesche del cioccolato Stollwerck)
e questo fatto, purtroppo, contribuir� non poco, con effetti anche a lungo termine,
a svalutare e banalizzare il suo enorme potenziale come prodotto artistico. Si
tratta comunque di un passaggio quasi obbligato, dato che uno dei primi doveri
della figurina - in quei suoi primi, ancora incerti passi nel nascente mondo della
comunicazione pubblicitaria - � quello di arrivare in maniera esplicita e immediata
al grosso pubblico, anche con soluzioni grafico-espressive poco originali,
inevitabilmente lontane dalle ricerche delle avanguardie del tempo.
Negli Stati Uniti, intanto, e anche in Gran Bretagna continua a diffondersi e a
svilupparsi il tipo delle figurine dette "cigarette cards". I formati sono due,
corrispondenti al pacchetto piccolo e a quello grande. Lo stesso formato pass� in
seguito anche alle figurine pubblicitarie di prodotti diversi (alimentari,
carburante, detersivi ecc.), che presero il nome di "trade cards" e che sono
caratterizzate da didascalie ampie e dettagliate.
Sono questi i due aspetti principali della figurina che si affermano e si
sviluppano da allora fino ad oggi: la figurina all'europea, con il suo carico di
significati impliciti, di commistioni artistiche, di valenze espressive, gi�
fortemente connotata in una serializzazione persino pi� concettuale che pratica, e
la figurina all'americana, la "card", altrettanto interessante ma pi� pragmatica,
pi� fine a se stessa, altrettanto serializzata ma anche percepibile nella propria
individualit� di immagine a s�. Ed � interessante, a posteriori, notare come
l'avventura imprenditoriale della figurina oscilli a livello di mercato e di
immaginario collettivo fra queste due tipologie, quasi la figurina sia lo specchio
di una concezione del mondo e dell'economia che stenta a trovare un punto di
sintesi.
Non � casuale, infine, che in questa diversa concezione della figurina trovi posto
anche un "rampantismo" di utilizzo da parte di quelle americane che l'Europa sembra
ignorare. Un esempio � quanto mai illuminante. � quello, famoso, della "guerra del
tabacco". Successe negli ultimi anni dell'800 quando James Buchanan Duke, il "Re
del tabacco" degli Stati Uniti, decise di tentare la conquista del mercato inglese;
scelse, come mezzo di penetrazione, proprio le figurine, le "cigarette cards".
Migliaia e migliaia di cartoncini che pubblicizzavano i prodotti dell'American
Tobacco Company Ltd. invasero la Gran Bretagna; le compagnie inglesi risposero con
un controinvio di altre migliaia e migliaia di cartoncini che pubblicizzavano la
loro coalizione, avvenuta nel 1901, nell'Imperial Tobacco Company Ltd. Come sempre
succede tra colossi capitalistici, vecchi e nuovi che siano, si tratt� pi� che
altro di una guerra di facciata. Dopo le ostilit� a colpi di cartoncino le
compagnie avversarie infatti si fusero in nome di un ideale superiore, fondando nel
1902 la British-American Tobacco Company. Ma la vicenda rimane emblematica di un
uso "pubblicitario" delle "cards" quanto meno singolare.
Altra vicenda altrettanto degna di nota, legata in questo caso a un conflitto
purtroppo non solo commerciale, � quella risalente alla seconda guerra mondiale.
Nel 1939 il Colonnello Bagnall, padre del collezionismo di figurine in Gran
Bretagna, si accorse che su molti giornali inglesi apparivano annunci in cui la
Ditta "The Collector" offriva denaro in cambio di copie dell'album di figurine
della Ditta John Player intitolato "Modern Naval Craft". Bagnall avvis� Scotland
Yard, che fece una serie di indagini ma poi archivi� il caso, non riscontrando
nulla di sospetto. In realt�, scrivendo all'indirizzo segnalato si scopriva che
"The Collector" offriva un sesto di sterlina per ogni album, fino a un massimo
previsto di 1.920 sterline per mille album. Fu soltanto alcuni anni dopo, a seguito
del ritrovamento su di un U-Boat tedesco di una raccolta di quelle figurine, che si
congettur� fossero potute servire all'identificazione delle navi nemiche grazie
alla fedelt� dei disegni e alla ricchezza delle didascalie. E chi avesse poi
l'opportunit� di vedere le figurine tedesche della giovent� hitleriana, capirebbe
in un istante quanti significati possano celarsi dietro quell'apparentemente
insignificante pezzetto di carta che noi siamo abituati a rapportare a un'infanzia
spensierata.
Negli anni '30 anche in Germania le figurine venivano regalate insieme con il
pacchetto di sigarette. Potevano essere direttamente dentro il pacchetto oppure le
si poteva ritirare successivamente, consegnando un "buono" che veniva distribuito
nelle tabaccherie (infatti accanto alle tabaccherie sostavano spesso gruppi di
ragazzini che chiedevano ai fumatori la figurina o il "buono"; era un'abitudine ben
tollerata dal regime, tranne che durante le Olimpiadi di Berlino quando, con una
precisa ordinanza municipale, si viet� a tutti i bambini della citt� di sostare
vicino alle tabaccherie per timore che le loro richieste fossero scambiate dagli
ospiti stranieri per una forma di accattonaggio). Questi ragazzini tedeschi sono
anche i protagonisti di un album che crediamo non abbia eguali al mondo: "SS.SA
Deutsche Uniformen", edito nel 1933 per la raccolta di 240 figurine offerte in
regalo, attraverso i suoi prodotti, dalla Sturm-Zigarettenfabrik-Dresden.
Come ben l'ha definito Antonio Faeti in un suo saggio, � "una sorta di puntiglioso,
quasi allucinante e temibile atlante del regime, in cui le SS e le SA sono presenti
con elmi, camicie, decorazioni, pugnali, bandiere, stivali, berretti", realizzato
con impostazione grafica non molto dissimile da quella usata in tutto il resto del
mondo per i fumetti e le illustrazioni dei libri per l'infanzia. Fu lo stesso
Goebbels a nazionalizzare la pi� grande casa editrice di figurine per sigarette.
Cos�, con la sigla Cigaretten-Bilderdienst, vennero distribuiti centinaia di
milioni di "buoni" per il ritiro delle figurine, che non erano pi� inserite
direttamente nei pacchetti. Fu un'operazione di propaganda di enorme vastit�, di
capillare penetrazione, frutto di una conoscenza gi� profonda del valore della
figurina come medium di massa che - in una logica senza precedenti - ne anticipa
gli sviluppi successivi. Oggetto mirato e generalizzato della propaganda � il
F�hrer e il regime di cui � incarnazione. Gli album per raccogliere questo tipo di
figurine possiedono una sicurezza rassicurante diversa da quella degli altri album
per l'infanzia. A parte l'evidente sostrato della cultura tedesca in termini di
solidit� anche materialmente percepibile, quello che rassicura qua � lo stesso
album: grosso, spesso, rilegato, ricoperto, con le borchie, le dorature, tutti i
simboli esteriori di un'infanzia protetta dall'ala vigile di un padre-padrone. C'�
anche la vita di Adolf Hitler, in figurine, con testi di Rudolf Hesse, di Goering,
dello stesso Goebbels. I cinque acquerelli dipinti dal F�hrer pittore costituiscono
altrettante figurine; allo stesso modo diventa figurina Hitler mentre passeggia,
contempla cime forse ancora inviolate o naviga sul proprio elegante yacht: la vita
dell'uomo-Hitler tutta in figurine-fotogrammi, rigorosamente in bianco e nero,
spietatamente dettagliate, un film di cronaca vera. Sempre con le figurine, 270 per
l'esattezza, si pu� raccontare ai bambini, ma anche agli adulti, la storia
dell'esercito tedesco. O anche, con funzione propagandistica addirittura doppia,
una "storia vera" dell'Inghilterra, ovvero l'idea dell'Inghilterra che il Reich
vuole che i tedeschi abbiano; mentre si fuma, mentre si raccolgono figurine, mentre
le si incolla con teutonica precisione in un ennesimo album che si potrebbe
scambiare per un codice giuridico, ecco che i tasselli si ricompongono a delineare
il ritratto di un paese rozzo, incivile, barbaro e disumano: un paese di cui sar�
pi� che giustificato lo sterminio per mano della Germania. Le figurine vengono qui
presentate con immagini che assurgono al rango di autentici documenti storici, cio�
una serie interminabile di nefandezze: si vedono gli inglesi mentre, sorridendo di
piacere, fanno combattere cani e galli oppure mentre frustano gli schiavi, con
altrettanto piacere, prima di venderli o, anche, mentre vessano decine di popoli
sottomessi.
Come sottilmente commenta Antonio Faeti, "la forza pedagogica e la precisione
didattica delle figurine del dottor Goebbels, a tanti anni di distanza dalla loro
produzione e dalla loro immensa, totalizzante diffusione, impressionano ancora. Ci
sono sempre nuovi motivi per smettere di fumare". Eppure la figurina � stata anche
questo. La cara, piccola, innocente figurina � stata anche veicolo ideologico dai
confini illimitati e potrebbe tornare ad esserlo, in qualunque momento. E se lo
fosse gi� anche adesso, in qualche modo occulto che a noi per primi sfugge?
Perch� la figurina - oltre la capacit� di persuasione, la sua apparente innocuit�,
la facilit� di diffusione e captazione, il costo quasi inesistente, il mezzo
espressivo universale - ha appunto due forze straordinarie che la sostengono come
due stampelle e che, anche nei momenti di crisi, non l'hanno mai fatta cadere ma,
anzi, l'hanno sempre condotta dove voleva arrivare: "la forza pedagogica e la
precisione didattica" di cui parlava Faeti.
Il caso pi� evidente � rappresentato dalle figurine della ditta Liebig, produttrice
del famoso estratto di carne, edite in tutte le lingue europee tra il 1873 circa e
il 1975 (solo in Italia, per�, perch� negli altri paesi le edizioni vennero sospese
fin dal 1962).
Anche la Liebig cominci� in Francia, diffondendo figurine gi� in circolazione
adattate al proprio prodotto poi, visto il crescente successo, si diede a
commissionare serie di figurine - tutte caratterizzate dall'immagine del vaso
contenente l'estratto - alle litografie e anche ad artisti di una certa notoriet�.
Inizialmente erano distribuite gratuitamente dai negozianti, poi - a ridosso della
prima guerra mondiale - si adott� il sistema di distribuire le serie in cambio di
buoni. Successivamente, intorno agli anni '30, in Italia i clienti raccoglievano i
buoni-punto che si trovavano nelle confezioni dei prodotti Liebig e li spedivano
direttamente alla ditta per avere serie complete di figurine ed album ma anche
manuali di cucina e altri premi, secondo i criteri della raccolta-punti.
Le serie Liebig catalogate in tutto l'arco completo della loro esistenza sono 1871,
corrispondenti a 7000 serie diverse (perch� venivano pubblicate in pi� lingue e in
edizioni nazionali). Per quanto riguarda la tiratura, si va dalle 80.000 serie
degli anni di maggior successo (fine '800) per ciascuna delle lingue di maggior
diffusione (tedesco e italiano) alle 40.000 serie degli ultimi tempi. Questi dati,
da soli, possono gi� fornire un'idea dell'importanza e della diffusione delle
figurine Liebig nel mondo.
Ma � soprattutto dalla considerazione dei soggetti riprodotti che si ricava la
consapevolezza che la figurina non � soltanto strumento pubblicitario ma anche,
come qualcuno l'ha definita, "un'enciclopedia dei poveri".
Dentro una figurina pu� finire tutto e di tutto: dagli usi e costumi dei popoli
della terra a scenette di vita quotidiana, dalla botanica alla biografia di
personaggi illustri, dalle opere letterarie e musicali alle scoperte della scienza
e della tecnica, dalla cronaca contemporanea all'antichit� pi� remota, e chi pi� ne
ha pi� ne metta. Si coglie un aspetto, un istante, un frammento di un mosaico, per
ricomporre il quale occorre appunto formare l'intera serie, ed ecco che - a
bassissimo costo, senza barriere sociali n� prerequisiti culturali - ci si pu�
portare a casa, addirittura tenersi in mano un pezzetto di quella cultura, di quel
mondo esterno che altrimenti rimarrebbe ignoto e irraggiungibile ai pi� e non
soltanto a loro. Perch� negli anni d'oro della figurina storica, cio� tra la fine
dell'800 e l'inizio del '900, mondo e cultura sono comunque distanti per tutti,
indifferentemente: e questo proprio perch� manca ancora l'immagine a
materializzare, esplicitare, divulgare qualsivoglia concetto, nozione ed esperienza
che esuli dal vissuto quotidiano o dall'astrazione erudita.
La figurina arriva l� dove nessun altro � mai arrivato; e ci arriva cos�,
semplicemente, attraverso un acquisto anche a poco prezzo, un pacchetto di
sigarette, uno scambio tra amici, un regalino di una persona adulta, un gesto di
gentilezza. Insieme con la figurina ci si pu� impossessare di un barlume di
quell'estraneit� che sul limitare del XX secolo si sente ormai insopportabile. Si
pu� partecipare, si pu� essere, anche se pur soltanto in un breve istante riflesso.
Ma quell'istante pu� durare nel tempo, pu� essere fermato; allora compare l'album,
dove altri istanti possono essere colti, riordinati a creare un tempo pi� lungo di
attimi parcellizzati che pu� avvicinarsi quasi a un tentativo di percezione
realistica. Insomma, non c'� ancora il cinema, la televisione, l'immagine
riprodotta nel suo sovrapporsi alla vita vissuta; ma gi� la figurina � qualche cosa
di simile. Anche se di profondamente diverso, naturalmente; perch� la figurina
ferma, l� dove i mass-media successivi lasceranno scivolare.
La figurina richiede l'opera di un osservante, in seguito baster� lo sguardo di un
osservatore.
E quindi, forse nella figurina pi� che altrove, quell'attimo fuggente strappato al
buio, all'ignoranza e all'ignoto pu� anche farsi strumento di straordinaria dignit�
didattica e pedagogica; si pu� imparare da una figurina quello che la scuola non �
in grado ancora di insegnare, non solo per abissi di separazione sociale ma anche
per la pura e semplice mancanza di strumenti educativi e didattici adeguati alle
nuove esigenze e ai nuovi contenuti.
Il libro del tempo � bianco e nero, senza immagini; ma il bambino vuole, ha bisogno
anche di nutrirsi con la fantasia, per interiorizzare le conoscenze. I bambini di
allora - come forse anche qualcuno d'oggi - ricordava il fascino di una sola
immagine per tutta una vita, cos� come il ritratto - l'unico ritratto, neppure
fedele, a volte - della donna o dell'uomo amati restava accanto al cuore per
sempre, mirato e rimirato con ininterrotta trepida riscoperta.
� un tempo antico, quello delle figurine; un tempo senza tempo. O, per meglio dire,
regolato dal tempo del cuore, della fantasia, del sogno. Una realt� vera, vista con
gli occhi del desiderio.
E quante migliaia di bambini, e con loro di adulti, hanno infatti sognato dietro
alle figurine, pur - con una sorta di reciproco pudore - cercando di convincersi a
vicenda di essere pi� attratti dalla precisione fotografica di un particolare che
non dall'impalpabile segreto delle loro emozioni?
Le figurine Liebig, forse pi� di altre, hanno rappresentato tutto questo: quel
vasetto piazzato l� in mezzo nei modi pi� impensati ha creato il filo conduttore,
forse involontariamente ironico ma sempre arguto e sbarazzino, tra il mondo del
reale, con le sue esigenze di mercato, di profitto, di pubblicit�, e il mondo
fanciullo, con le sue esigenze di sorrisi e anche di inserimento nell'universo
adulto. Un barattolo di dado che � stato il filo conduttore, attraverso il secolo,
di temi e avvenimenti che hanno unito intere generazioni, superando ogni confine.
La valenza didattico-pedagogica delle proprie figurine fu coscientemente perseguita
dalla Compagnia Liebig al punto che essa, agli inizi del '900, favor� la diffusione
delle proprie serie praticando uno sconto sulla quantit� dei buoni-punto se a
richiedere le figurine erano i maestri di scuola elementare. Accanto alla funzione
enciclopedica e materialmente ludica rimane per� sempre quella fantastica, onirica,
cosicch� la figurina solo raramente scade nel didascalico e, in questo senso,
rimane ancorata a quel mondo della cultura popolare in cui espressivit� e contenuto
non sono mai disgiunti.
Ma tante volte la figurina rischia anche di perdersi per strada, soprattutto quando
diventa strumento per ottenere premi, come succede in Italia. Questa tendenza, che
ha un picco imprevisto intorno agli anni '30 con caratteristiche che anticipano i
successivi fenomeni di massa delle lotterie, lotti, enalotti, gratta e vinci e
similari, viene poi interrotta d'autorit� dal Ministero delle Finanze nel 1937.
Essa - una vera e propria febbre da concorso scatenatasi in quegli anni in tutti
gli strati della popolazione italiana - lascia nella storia sociale del nostro
paese il ricordo di due figurine in particolare: la Donna Fatale e il Feroce
Saladino.
La Donna Fatale � la figurina numero 41 del concorso "Figurine Premio Topolino",
ideato nel 1936 dall'Ufficio Propaganda Collettiva di alcune tra le maggiori ditte
alimentari italiane: Galbani, Manifattura Tabacchi Zara, Elah, Pernigotti e Combi.
La serie si compone di circa 100 figurine che illustrano personaggi dei fumetti del
tempo. I premi in palio sono dodici da consegnare a chi abbia completato da 1 a 200
raccolte: si va da quelli tutto sommato non eccezionali, come servizi da tavola e
penne stilografiche, a quelli di valore e importanza sempre crescente, fino a
diventare straordinaria: per esempio, per 50 serie, una moto Gilera 350cc. E, per
100 serie, addirittura una Fiat 500, ribattezzata per l'occasione "Topolino". Se
poi uno arriva davvero a quota 200 serie, ha il massimo disponibile per quei tempi:
una Lancia Aprilia.
Stessa cosa per il concorso de "I Quattro Moschettieri", lanciato dalla Perugina
ancora prima, nel 1934, in abbinamento a un programma radiofonico. Anche questa
volta la serie si compone di 100 figurine e il valore dei premi aumenta a dismisura
con l'aumentare del numero degli album completati. Ai primi che consegnano 150
album completi vengono offerte 100 automobili Fiat.
Qual � il problema? Che non tutte le figurine, in questi concorsi, si presentano
con la stessa frequenza, anzi, si creano delle figurine cos� rare da diventare, ed
essere, introvabili, anche perch� - come nel caso del Feroce Saladino del concorso
della Perugina e della gi� ricordata Donna Fatale - si viene poi a sapere che non
sono neanche state stampate. Per bloccare le situazioni di autentico "mercato nero"
delle figurine e di caccia senza quartiere alle rare che andava paralizzando
l'Italia con fenomeni di accaparramento e di concorrenza sleale anche da parte di
altri editori, ecco appunto intervenire il Governo. Si prosegue lo stesso, con il
concorso "Biancaneve" lanciato da alcune ditte alimentari per l'uscita dell'omonimo
lungometraggio, ma la normativa lo ostacola. Sar� poi l'imminente guerra a
cancellare ogni italico sogno di benessere acquisito a colpi di figurine pi� o meno
rare e di raccolte d'album.
Nel dopoguerra si riprende senza gli eccessi vietati dalla legge: "L'aurora della
Rinascita", edita nel 1946 dalla Settimana Incom (cinegiornale di attualit� e
variet� diretto da Sandro Pallavicini), prevede la distribuzione in busta chiusa di
50 figurine a colori. Basta riempire un album per partecipare all'estrazione dei
premi, che arrivano fino alla cifra davvero considerevole di 10 milioni di lire.
Intorno agli anni '50 nel campo delle figurine italiane si afferma la casa editrice
Lampo di Lotario Vecchi, che deterr� il primato fino all'ascesa della Panini:
250.000 figurine per circa 10.000 album � la prima tiratura, altissima per quegli
anni, della raccolta "Astra" dedicata agli animali. Con la collaborazione del
fumettista Vincenzo Baggioli la Lampo consolida il proprio successo: non fa pi�
soltanto serie didattiche ma anche di attualit�, legate in particolare a film di
successo e a soggetti disneyani, come "Marcellino pane e vino", "Ben Hur" e "La
guerra dei bottoni".
Un'altra casa editrice italiana di quegli anni ha sede a Rastignano, in provincia
di Bologna: � la Minelli Franco Editore, che poi cambier� nome pi� volte,
diventando dapprima Efma Edizioni, poi La Folgore Edizione e infine, dal 1969 a
tutt'oggi, Fol-Bo: nel corso della sua storia alterna raccolte didattiche a serie
di calciatori. Infine, c'� - negli anni '50 - la Vav, che pubblica serie con
attrici e attori famosi.
Questa � la figurina che Giuseppe Panini si trova alle spalle, di cui - agli inizi
della sua attivit� - forse ancora non sa nulla. Viaggiano per l'Italia, in quegli
anni '50, soprattutto raccolte di figurine didattiche: fiori, animali, forse
deprivate del loro elemento artistico, sicuramente poco motivate sul piano
commerciale, probabilmente affaticate da tanto splendore passato di cui non
riescono a riprodurre neppure in minima parte i fasti. Sono, nel complesso,
figurine che interessano poco, nell'Italia del dopoguerra gi� discretamente
scolarizzata, incanalata verso sogni pi� concreti e rapidi che non quelli
dell'osservazione di un garofano o di una tigre. L'inventiva langue, il prodotto
commerciale batte altre vie di commercializzazione, la fame di immagini persiste ma
non su quei soggetti abusati e desueti. Qualcuno, come abbiamo visto, cerca di
stare al passo, ma probabilmente i tempi non sono ancora maturi. Anche Giuseppe
Panini, solo com'� su questa strada, dove oltretutto � totalmente ignaro di
editoria, non pu� percepire il sottilissimo segno dell'evolversi dei tempi: compra,
indebitandosi, una collezione di fiori in grande quantit� ed � immediatamente un
fallimento.
Ma ci sono altre immagini che attendono di essere stampate, altri sogni in cerca di
spazi, altri ideali alla ricerca di affermazione. Cos�, quando il momento � quello
giusto e quando Giuseppe Panini incontra la figurina, e la figurina incontra il
calcio e il calcio incontra gli anni '60, l'avventura ha inizio.
Ma quella bambina nella figurina n.23 sono io! E quelli sono i miei amici...
Ebbene, s�: confesso che ho giocato.
I cortili erano allora luoghi magici pieni di bambini di tutte le et�. I genitori
ci trascinavano via a stento: e per andare dove, poi? Non c'erano altri posti; il
cortile era tutto: centro di aggregazione, ludoteca, palestra, doposcuola,
parcheggio per minori, centro estivo, campo scuola.
Nel cortile si cresceva; protetti da una bassa cancellata, da una bordura piena di
garofanini, da una recinzione che si scavalcava con un passo. Eppure eravamo
intoccabili, l� dentro. Bastava rispettare le regole condominiali, anche se c'era
sempre qualche coinquilino nevrastenico (invidioso?) che ci accusava di non farlo;
bastava rispondere alla mamma che ogni tanto ci chiamava dal balcone; bastava non
accapigliarsi con gli amici per qualche dubbio punto a pallavolo. Non c'erano
costi, non c'erano strutture. Appendevamo un pezzo di corda delle tapparelle allo
stenditoio e dondolavamo tutto il giorno, con un cuscino sotto il sedere. Segnavamo
i numeri della "settimana" sul marciapiede con un pezzetto di gesso e ci saltavamo
su con un sassolino fino a sera. Con alcuni ritagli di campionari di stoffe (dei
primi maglifici carpigiani?) cucivamo minuscoli abitini a lillipuziane bamboline di
plastica dura. Giocavamo a briscola, a rubamazzo, all'"asino" seduti su una lastra
di pietra rovesciata o facevamo interminabili solitari nei bollenti pomeriggi
estivi, in attesa delle mitiche ore quattro in cui era consentito correre e ridere.
Combattevamo estenuanti battaglie con lupini strappati ai cespugli che ancora
crescevano selvaggi; i maschi, cos�, dichiaravano a noi femmine le loro prime
cotte. Saltavamo alla corda: da soli, in coppia, lentamente, in fretta, all'avanti,
all'indietro, a corda semplice, a corda incrociata. Giocavamo a pallavolo, e molti
dei miei amici sono poi entrati alla Panini campione di volley. Era lo sport
"nazionale", di qua e di l� del cancello che fungeva da rete. Giocavamo a
nascondino, dietro gli angoli, nei sottoscala, nelle cantine dove, di nascosto dai
soliti condomini invidiosi, davamo ospitalit� a qualche gattino randagio, nelle
lavanderie dove le ultime "r�zdore" facevano bollire mastelli di conserva di
pomodoro. E poi a "strega in alto", a "strega impalata", a "rubabandiera", a "un,
due, tre, fante, cavallo e re", al gioco dei mestieri, a passaparola e a quanti
altri la fantasia volesse dar sfogo, seguendo l'input probabilmente di qualche
nonna. Ma a noi sembrava di averli inventati da soli e non potrei giurare, neppure
adesso, che non fosse cos�. Giocavamo con la palla contro il muro, in una sequenza
di tiri sempre pi� complessi, recitando una filastrocca che, con il suo ritmo,
facilitava l'esecuzione. E i quattro cantoni? E i giochi cantati? Si cominciava da
piccolissimi con il girotondo, si proseguiva con "madama dor�" e nel frattempo, in
tutto quel girare, si stabilivano incessantemente regole: regole per il gioco,
regole per il vivere. Potevamo persino avventurarci all'esterno, a piedi e in
bicicletta: c'erano pochissime macchine, e quelle che c'erano andavano piano, si
fermavano per non investirci. Intorno alle nostre case c'erano strade (poche) e
prati (tanti). Dai lati della scarpata della ferrovia raccoglievamo rami di
biancospino da portare alle mamme, mostrando orgogliosi i graffi sulle braccia; ci
riempivamo le mani di margherite e violette, e di certe erbe che si sbriciolavano
facilmente e con le quali preparavamo strane pappe e misteriosi intrugli. Non � poi
mica stato tanto tempo fa: era la met� degli anni '60. E, naturalmente, giocavamo a
figurine...
Pi� che un motivo di collezione la raccolta era un motivo di gioco: venivano fatte,
le figurine, con un cartoncino abbastanza pesante e i bambini le buttavano come per
andare a punto. Si chiamava "al zog d'al bamb�ni". Chi andava pi� vicino al punto
stabilito vinceva le figurine in palio.
Poi nacque un altro gioco: aprirle piano piano - come nel poker - e, non appena si
intravedeva anche il pi� piccolo indizio, provare a indovinare chi fosse il
personaggio raffigurato. Chi ci riusciva aveva diritto ad avere anche la figurina
degli altri. Erano giochi a cui tutti i bambini si sono appassionati; infatti, per
due o tre anni, le figurine sono state in cartoncino proprio per poterci giocare,
poi venivano incollate sull'album ma con la colla. La figurina da collezione in
autoadesivo � nata qualche anno dopo.
I miei amici maschi avevano album cos� gonfi che erano il quadruplo di quelli che
si vendevano in edicola; li tenevano con estrema cura e, se proprio dovevano
permettere a qualcuno di sfogliarli, stavano in punta di spillo finch� quello non
aveva voltato l'ultima pagina. Ogni tanto si allontanavano a gruppi di due o tre
alla volta e, dopo pochi minuti, quando gi� erano all'edicola all'angolo, quasi
potevo sentirli gridare: "Celo, celo, manca...". Seguivano, al ritorno, concitate
contrattazioni - ancora pi� frenetiche se nel materiale di scambio rientravano
delle "valide" - che potevano durare anche tutto il pomeriggio e proseguire persino
il giorno dopo, soprattutto se uno di loro, durante la notte, aveva qualche
ripensamento e rivoleva la figurina incautamente scambiata. Un tribunale non
sarebbe stato pi� severo e imparziale: si consultava il codice non scritto, si
leggevano tutti i codicilli, si interpretavano tutte le eccezioni, ma c'era sempre
qualcuno che si allontanava giurando un'inimicizia destinata a frantumarsi davanti
alla prossima bustina da aprire. Perch� non si capiva bene se fosse pi� intensa
l'emozione di scoprire che cosa avevi trovato nella tua o che cosa avesse potuto
trovare l'altro nella sua: tanto lo scambio era importante. Quando finivano i soldi
o le figurine, si passava dal gioco alla realt�: si prendeva il nome di quelle
facce di carta e ci si metteva a giocare al posto loro. Correva l'Inter, dentro il
cortile, con tutta la formazione in maglietta millerighe e pantaloncini di tela;
correva il Milan, dall'altra parte, con le stesse magliette e gli stessi
pantaloncini. Ma nessuno si sbagliava, a buttare la palla contro la cancellata.
Quando, stanchi e quasi sempre pressoch� imbattuti, ci si sedeva un po', allora si
giocava a "battino" o allo stesso gioco con altri nomi diversi.
Lo si poteva fare soltanto in pochi alla volta. Consisteva nel rovesciare delle
figurine con la mano. Si potevano usare diverse tecniche e, per questo, le figurine
venivano preparate in diversi modi: senza piego, con il piego, con il pieghino, con
la gobba, con il piegone, con il gobbone... Ma a Roma, per esempio, ci si soffiava
sopra e per questo il gioco si chiamava "soffietto"; a Piacenza "ribaltino"; a
Bologna - anche se con una piccola differenza tecnica - "spigolo", e cos� via.
Nella variante senza piego erano ammesse tre tecniche, come ha ben ricordato Fabio
Pastorelli: quando le figurine erano molte si metteva la mano di taglio e con un
movimento secco si tentava di rovesciarle, altrimenti si tentava con una sola mano,
con un gesto simile a quello del levare del solfeggio; oppure si potevano unire le
mani intrecciando pollice, indice e medio e tentare di rovesciarle approfittando
del vuoto d'aria che si faceva. Nella variante con la gobba la figurina veniva
piegata creando un piccolo dorso poi, per rovesciarla, si usavano le stesse
tecniche. La tecnica pi� praticata era per� quella con il piego, ed era anche la
pi� difficile. Bisognava piegare a barchetta la figurina e poi rovesciarla con una
battuta secca della mano. Con il pieghino si giocava con poche figurine o
addirittura con una sola, dopo aver fissato un montepremi. Con il piegone o con il
gobbone voleva dire che la figurina veniva piegata esageratamente; questo per� la
rovinava e quindi lo si faceva soltanto se si pensava che quella data figurina non
dovesse proprio servire a niente, neppure al pi� infimo scambio.
Per tutte le tecniche valeva una regola generale: la regola della "capanna", che
prescriveva che tutte le volte che la figurina avesse un angolo sporgente dal piano
di gioco o si appoggiasse al muro il giocatore avesse diritto a completare il tiro
con un altro colpo della mano o con un soffio.
Poi c'era il mitico "battimuro", chiamato anche "muretto", consistente nel lanciare
alcune figurine il pi� possibile vicino ad un muro. Quella che, cadendo, copriva le
figurine gi� collocate le vinceva tutte.
Un altro gioco (che a Roma si chiamava "scalinella") era quello di spargere un
certo numero di figurine in terra facendo poi cadere a turno da un banco o da un
tavolo altre figurine. Vinceva chi riusciva a sovrapporle a quelle in terra. Questi
erano giochi che si potevano fare anche essendo in tanti. Un altro gioco ancora
consisteva nel tirare un sasso sopra un bersaglio sul quale erano poste le
figurine. Se lo centravi, vincevi le figurine. Oppure si tirava un sasso a un altro
sasso sotto il quale si trovavano le figurine. C'erano dei giochi che erano
varianti dei giochi con le carte: in uno di questi ogni giocatore, con in mano il
proprio mazzetto di figurine, doveva farle vedere a turno, una alla volta,
scoperchiandole. Se mostrava una figurina con un calciatore il cui nome iniziava
con la stessa lettera del nome dell'ultimo calciatore mostrato dall'avversario,
vinceva tutte le figurine che erano state messe in tavola fino a quel momento.
Un ultimo gioco, infine, consisteva nel giocare al numero pi� alto o pi� basso
rispetto ad un numero dato; il numero era, ovviamente, quello del calciatore della
figurina che si mostrava.
In questi giochi, naturalmente, non si poteva imbrogliare perch�, come tutti sanno,
il gioco dei bambini � la cosa pi� seria che ci sia e quello con le figurine lo
era, forse, anche un pochino pi� degli altri.
"Adesso ti racconto una bella storia e dopo torni a dormire". Silvio, mio figlio di
undici anni, si � svegliato all'improvviso e non riesce a riprendere sonno. Mi
siedo accanto a lui sul bordo del letto e comincio a leggere: "Una volta", raccont�
un giorno Giuseppe Panini "fui invitato da alcuni amici a visitare un collegio di
orfanelli. Lo seppi all'ultimo momento, cos� buttai alla rinfusa dentro la macchina
alcuni pacchi di album e un sacco di figurine. I miei amici, invece, avevano
portato in dono dei regali costosi e molto belli: trenini, giocattoli elettrici,
bambole lussuose, che i bambini accolsero con grida di gioia. Poi venne il mio
turno. Mi vergognavo un po', in fin dei conti non avevo portato che delle
figurine... Ma, come per incanto, i bambini misero da parte tutti gli altri regali
e si gettarono letteralmente sui loro beniamini, i calciatori. Fu uno dei momenti
pi� belli della mia vita". "Hai capito, Silvio?". "Certo, mamma, non sono mica
stupido". "Ma che cosa hai capito?". "Che le figurine non possono morire". "A me
qualcuno ha detto di s�". "Si � sbagliato, allora". "E, secondo te, perch� non
possono morire?". "Perch� nella figurina il disegnatore ci mette il personaggio che
noi bambini vogliamo avere, ma ci mette anche la spiegazione che � molto utile. La
figurina ci serve. Ma non � solo per quello. � bello cercare di averle tutte, che
vuol dire non arrendersi mai. � bello anche sfidarsi fra amici a chi ne ha di pi�,
a chi ha questa o quella. Vedi, mamma, la figurina da sola serve, ma fino a un
certo punto; fare la collezione invece � una cosa che viene da te, da te e dai tuoi
amici insieme. Adesso hai capito, mamma, perch� le figurine non possono morire?". E
si riaddormenta rasserenato.
� vero, Silvio, tu non sei stupido: ma io s�. Ho scritto tutte queste pagine per
cercare di spiegare agli uomini cibernetici quello che un qualsiasi bambino ha
sempre saputo...
Parcheggio lungo un fianco del palazzone di cemento chiamato Centro 2000, a lato di
una Via Emilia che scorre con il suo traffico denso verso l'imbocco dell'autostrada
per Milano. Cerco il numero civico che mi hanno indicato; prima tento di fare da
sola, ma non riesco a trovarlo. Aggiro tutto l'edificio, pieno di uffici occupati,
da affittare o in vendita, poi mi rassegno a domandare al bar, come mi era stato
consigliato ancor prima di venire.
La barista mi d� l'indicazione, eppure faccio fatica lo stesso; perch� il numero
civico che sto cercando � nel seminterrato, e questo non me lo sarei mai aspettata.
O forse avrei dovuto?
Qui, nel seminterrato del Centro 2000 interamente di sua propriet�, Giuseppe Panini
aveva la sede delle proprie passioni private, che poi tanto private - come vedremo
- non erano. Non che mi aspettassi tappeti e lampadari di cristallo, conoscendo
ormai il personaggio, ma neppure un locale semisotterraneo protetto da una
saracinesca. Suono il campanello quasi anonimo e mi appare un gentile signore. Come
entro nell'ampio stanzone, mi accorgo che non avrei dovuto meravigliarmi: questa �
davvero una tana, e non una tana qualunque, ma la Tana del Paladino.
Cos� Giuseppe e i suoi amici hanno sempre chiamato questo posto dove lui,
soprattutto negli ultimi anni di vita, quando era pi� libero dagli impegni
ufficiali e di lavoro, veniva a trascorrere le giornate insieme ad alcuni dei
grandi amori della sua vita.
Della tana questo luogo ha il calore, accentuato anche da alcune attrezzature
fotografiche d'epoca, da antiche immagini della citt� attaccate ai muri, da
scaffali di legno pieni di schedari, contenitori, libri, annate di riviste
rilegate. Ci sono grandi tavoli, che sezionano l'ambiente in alcune zone autonome;
si respira un'aria monastica, si capisce che in questo posto ci si viene non - o
non soltanto - per accumulare tesori, come nella tana di un drago per quanto
generoso, ma soprattutto per studiarli, per spolverarli, per farli luccicare e
risplendere di tutti i loro bagliori.
Danilo Iacomacci, il signore gentile che mi ha aperto la porta, condivide questa
mentalit�; passa le sue giornate, adesso che � in pensione, a portare avanti i
lavori gi� condotti a buon punto da Giuseppe.
In questo posto quasi segreto, lontano dal traffico distante appena venti metri,
Danilo Iacomacci mi racconta di Giuseppe e dei suoi tesori.
"Veniva qua pi� che poteva, anzi, diceva che se avesse potuto avrebbe anche dormito
qui. Io gli sono stato vicino diversi anni, soprattutto alla fine perch� prima -
con l'azienda e con la carica di presidente della Camera di Commercio - non aveva
molto tempo libero. Ma, anche in quegli anni di pi� intensa attivit�, riusciva a
ritagliarsi un pezzettino di tempo per venire qui nella sua tana. Non veniva per
nessun altro motivo che non fosse il bisogno di concentrarsi, di riflettere, di
studiare, di fare. Venga, venga che le faccio vedere che cosa c'�", mi invita
precedendomi in altre due grandi stanze adiacenti.
"Vede", continua Iacomacci "vede quanti libri? Se li apriamo uno ad uno, in ognuno
di essi troviamo qualche cosa che ci fa capire che non li aveva comprati per
tappezzare una parete o per fare un investimento, ma per leggerli. In ogni libro,
un segno: un appunto a matita, un foglietto segnato a mano, anche una semplice
parola, un richiamo. Quando parlava di qualche cosa, ne parlava con cognizione di
causa. Sapeva, non improvvisava. Appassionato di enigmistica, da giovane non aveva
mai avuto modo di confrontarsi con nessuno sull'argomento ma poi, grazie anche al
fatto di lavorare all'edicola, aveva cominciato ad avvicinare gli enigmisti fino al
punto di costituire la "Biblioteca Enigmistica Italiana". Che � anch'essa qui nella
tana, dove � collocata come sede e dove trova spazio tutto il materiale. � l'unica
biblioteca di enigmistica classica esistente in Italia. � rimasta - come ogni altra
cosa che vede qui - perch� i figli hanno desiderato conservare in vita tutte le
iniziative intraprese dal padre.
Quelli dell'enigmistica sono libri dapprima comprati in giro qua e l�, poi sono
stati gli stessi enigmisti che - vista la seriet� della cosa - hanno offerto propri
materiali. Sono centinaia e centinaia di pezzi; � una biblioteca ricca e curiosa,
ma bisogna essere degli appassionati per apprezzarla come merita perch� � un tipo
di enigmistica non per passatempo ma che richiede grande concentrazione e impegno.
Comprende sciarade, rebus, crittografie... veri e propri enigmi. "Paladino" era il
nome di Giuseppe Panini da enigmista, quello con il quale faceva i giochi o anche
ne inventava lui stesso. In seguito lo scelsero come marchio dell'azienda. Il
signor Giuseppe organizz� qui a Modena anche dei congressi - compreso, cinque o sei
anni fa, quello nazionale - e aveva in mente persino di organizzarne anche uno
mondiale. Pensava lui a tutto, fin nei minimi particolari. Era un organizzatore
perfetto e, del resto, era un collezionista a largo raggio.
Nella tana � conservato anche un archivio fotografico dei pionieri dell'aviazione,
che arriva fino alla prima guerra mondiale inclusa, con materiali pure stranieri.
Anche questo � l'unico esistente in Italia sull'argomento, oltre a quello Caproni e
ad alcuni altri, ma � senz'altro l'unico di propriet� privata. Vede, ogni cosa che
lui comprava sapeva comprarla al momento opportuno e con intelligenza; per questo,
oltre al piacere che gli procurava, nel tempo acquistava anche un valore oggettivo
e intrinseco. Ma lui non ostentava. Era il suo godimento personale: sono gli
addetti ai lavori, che lo celebrano. Ha creato anche il Museo della Figurina e
l'Archivio Fotografico, che lei certamente conoscer�. Ma... c'� dell'altro; venga e
vedr� lei stessa. Ecco, questa � l'emeroteca che comprende tante raccolte, da una
di giornali del Ducato Estense fino a una della "Gazzetta dello Sport" dal
dopoguerra a qualche anno fa. Ci sono poi altre raccolte che, anche se non
complete, sono comunque di grandissimo interesse, come questa del "Corriere dei
Piccoli" o quest'altra dell'"Avventuroso". Si tratta di raccolte gi� fatte che
acquistava quando gliene capitava l'occasione.
Lui ne capiva il valore, sia affettivo che storico e documentario. Cos�, anche se
inizialmente l'aveva fatto solo per diletto personale, negli ultimi anni pens� di
lasciare qualcosa anche ai posteri. Per questo aveva cominciato a parlare, con i
propri familiari, dell'opportunit� di istituire una Fondazione, per la quale il
primo passo � gi� stato fatto con la creazione dell'Associazione". Continuiamo a
passeggiare all'interno della grande stanza, tra scaffalature colme di materiali
ordinatamente disposti. Mi rammenta le cantine modenesi che si intravedono dai
cortili dei condomini o delle casette plurifamiliari, cantine con scaffali
altrettanto ordinati pieni di conserve e bottiglie di lambrusco, gli attrezzi per
qualche lavoro a mano da una parte, le gomme da neve in alto perch� non disturbino,
la bicicletta del bambino - ormai cresciuto - appesa quasi al soffitto, forse per
ricordo. Giuseppe Panini invece delle conserve aveva annate di riviste, figurine
d'epoca, fotografie della sua citt� ormai sparita: c'� forse qualche differenza?
Decido di no, e me lo sento ancora pi� vicino, quel grande uomo qualunque che non
ho conosciuto.
"Vengono in tanti, anche da fuori Modena", prosegue Iacomacci. "Vengono per
consultazione, sia del materiale del calcio che di quello dell'enigmistica e anche,
qualche volta, per le riviste e poi per l'aeronautica, che dopo le far� vedere. Lui
ne parlava pensando appunto che un domani tutto questo potesse essere utile. Qui,
per esempio, c'� un'altra piccola biblioteca che riguarda Modena, e questa invece �
sulla sua provincia: in genere sono libri fuori commercio.
Non era geloso, delle proprie cose; le metteva volentieri a disposizione. Se
qualcuno veniva per consultazione lui ne era contentissimo e gli lasciava guardare
tutto quello che voleva facendosi in quattro, se era necessario, per aiutarlo.
Aveva inoltre una bella collezione di fisarmoniche, una settantina, che in parte
aveva dato in godimento al Museo della Fisarmonica di Castelfidardo; dopo la sua
morte i parenti hanno dato anche il resto perch� la collezione non andasse
dispersa. Castelfidardo l'ha nominato cittadino onorario. Controlli lei stessa,
quello che le dicevo prima; vede? Non c'� libro che non abbia il fogliettino con la
sua calligrafia. Negli ultimi anni, in agosto, veniva invitato dal Comune in Piazza
Grande per illustrare alcune serie di diapositive su Modena di una volta.
Affascinava tutti, riempiva la piazza - e in pieno agosto - anche di quattromila
persone a sedere, tutte ad ascoltare lui.
Era un intrattenitore formidabile, senza alcun timore di parlare in pubblico,
calmo, sereno.
Lui era sempre cos�, con un'introspezione costante per vedere se e dove potesse
aver sbagliato o fatto dei torti... Si esaminava continuamente. Era un personaggio
straordinario. Posso dirlo perch� l'ho conosciuto.
Io ero allora un impiegato statale, non sapevo niente di figurine e di tutto il
resto. Ma vicino a Giuseppe Panini non bisognava essere degli esperti; bisognava
soltanto aprirsi a quello che lui diceva ed era lui che sapeva comunicare. Adesso,
che anch'io ho pi� tempo libero, continuo a fare l'inventario delle fotografie che
devono poi essere scansionate. Ma, soprattutto, bisogna sapere esattamente che cosa
c'�, ora che lui non c'� pi�. � un rapporto diverso, oggi". Un passaggio
inevitabile? Dalla conoscenza del cuore alla conoscenza tecnica, da quella di uno
solo a quella di tanti?
"Proprio cos�, oggi � un rapporto freddo. Quando invece c'era lui, tutte le cose
che sono qui dentro erano dentro un'unica piccola, grande storia. Era vera
passione, la sua", continua Iacomacci. "Aveva avuto una vita non facile, come lui
stesso mi aveva raccontato. Era stato gravemente ammalato: diceva che, se
nell'aldil� avesse potuto incontrare il Padreterno, gli avrebbe detto di essergli
debitore perch�, passati gli anni giovani, tristi e dolorosi, aveva trovato la
strada spianata e aveva fatto fortuna. Era consapevole di quello che aveva
realizzato. Era un uomo che, quando uno gli era vicino, si apriva facilmente, e
parlava; e, forse, il primo ad ascoltarsi era proprio lui. Non si spiegava come mai
questa iniziativa delle figurine, che sembrava cos� modesta, fosse diventata tanto
importante. � stato, indubbiamente, perch� il momento era quello giusto, ma anche
per il suo modo di fare e, in particolare, di saper avvicinare i bambini.
Era un gran ragionatore, ogni idea la studiava a fondo e poi la provava e la
riprovava. Ma erano delle buone idee gi� in partenza. Anzi, qualche volta trovava
qualche resistenza presso i fratelli, che non sempre condividevano il suo coraggio.
Lui, invece, era un uomo che osava, non aveva paura. E, ai�tati che il ciel ti
aiuta, la fortuna gli � stata vicina. Per� � stata vicina a un uomo di valore,
pieno di iniziative. Anche l'idea della Collana di libri fotografici "Fotocronache
modenesi" gli � venuta una sera, cos�, parlando; l'ha fatta, ed ha avuto successo.
Perfino il suo "apparire", nella citt�, era legato soltanto alle sue passioni. In
fondo, era diventato un personaggio senza volerlo, e quando parlava di se stesso
non dimenticava mai di essere stato povero.
In fabbrica, per esempio, aveva preso delle iniziative per aiutare economicamente
chi doveva costruirsi la casa per sposarsi. Ma, anche in quel caso, non voleva che
i sindacati pensassero che "scavalcava" le istituzioni o altro. "Bisognava fare la
trattativa con i sindacati, per erogare i prestiti", mi spieg� "ma per me era
difficile perch� voleva dire, in un certo senso, mettermi in mostra. Invece, se
veniva una coppia a chiedere, facevamo un accordo cos�, alla buona...". � una cosa
che, secondo me che provengo da un'altra regione, � un po' nella mentalit� della
gente di qua. "Io avrei costruito anche delle case, per i miei dipendenti", diceva
"ma non me l'hanno mai permesso".
A fine anno faceva la festa con i dipendenti; con loro parlava in dialetto, si
sentiva uno di loro. "Si capisce che per gli operai, in fabbrica, io ero il
titolare ma, per quello che mi riguardava, io giravo tra persone che lavoravano
esattamente come lavoravo io", diceva.
E pensare che, insieme con i suoi fratelli, ha creato una multinazionale, un
impero. Dovunque andasse, aveva la "Casa Panini" di propria rappresentanza. Quando
girava il mondo, era conosciuto dappertutto. Anche, non dimentichiamolo, grazie
all'attivit� della Panini Pallavolo. Guardi, l� nell'altra stanza c'� anche tutto
l'archivio storico relativo al Gruppo Sportivo Panini. E, accanto, c'� quello dei
calciatori: vengono spesso a consultarlo, soprattutto giornalisti sportivi.
Francobolli non ce ne sono pi�, invece, perch� li aveva abbandonati, era diventata
- a differenza delle altre che erano cresciute - una passione spenta. Era molto
generoso. Quando veniva qui portava la sua posta personale e talvolta, senza
volere, mi � capitato di buttare l'occhio su qualche lettera di ringraziamento di
qualcuno a cui aveva fatto del bene, e senza che nessun altro - tanto meno
pubblicamente - lo sapesse.
Aveva una villa, nei dintorni di Formigine, che aveva messo a disposizione della
Comunit� "L'Angolo" di Don Suffritti per il recupero dei tossicodipendenti. Era una
villa bellissima, ma credo che davvero in pochi a Modena sappiano a che cosa
l'aveva destinata. Molti dei giornali sportivi che lei vede qui dentro li aveva
dati liberamente in visione a quei ragazzi perch� potessero provare ad
appassionarsi a qualcosa che non fosse la droga.
Era una bella persona. Se io dovessi trovargli un difetto, glielo direi. Ma non ne
trovo". Mi viene in mente Lena, la moglie di Benito, e quello che mi ha raccontato:
"Quando mor� la mia bambina - eravamo vicini a Natale - una mattina telefonai a
Giuseppe dicendogli che Benito non era a casa ma che io volevo andare al cimitero.
C'era tanta neve, e io pensavo a lei, cos� piccola, l� sotto. Era il primo
Natale... Gli chiesi come potevo fare. Mi disse: "Vieni a prendermi che ci penso
io". Arrivai subito a casa sua, dato che abitavamo vicini. In tre secondi si tolse
il pigiama, si vest� e mi port� al cimitero. Lui, con una pala, mi faceva strada in
mezzo alla neve per andare dalla mia bambina, e io dietro. Me la sono sempre
ricordata, questa cosa. Un altro avrebbe potuto dire: "Ma d�i, aspetta, ci andiamo
un altro giorno".
Lui no. "Ci penso io, andiamo", fu tutto quello che mi rispose". "Ed era anche
molto di compagnia", prosegue Danilo Iacomacci. "Aveva un modo di parlare, un tono
di voce che incantava. Ci si metteva ad ascoltarlo e uno si accorgeva
all'improvviso che erano passate quattro o cinque ore, "Oh, ma � tardi, devo andare
a casa!".
Pur essendo concreto, aveva tanta fantasia. E, della sua famiglia, ci teneva quasi
pi� a ricordare il passato, anche con tutte le sue difficolt�, che non il presente,
con i suoi trionfi. Durante la prima guerra mondiale suo padre era stato pilota
d'aviazione e lui, pur esonerato dal servizio militare per motivi di salute, aveva
indirettamente coltivato anche questa passione, come dimostrano la biblioteca e
l'archivio da lui messi in piedi.
� morto a settant'anni. Aveva sub�to tante operazioni ed era in procinto di dover
sostenere l'ennesima, questa volta a cuore aperto. Ma non ha fatto in tempo. Era un
po' preoccupato per quest'ultimo intervento, bench� non lo desse a vedere. � morto
all'improvviso, credo per il cedimento di quell'arteria sulla quale sarebbero
dovuti intervenire e la cui operazione, gi� programmata da tempo, era stata
rinviata per motivi tecnico-medici.
Godeva anche di una piccola pensione di invalidit�, come previsto dalla legge, che
lui destinava in beneficenza. Conservava tutto, anche questi documenti che gli
ricordavano gli anni di dolore. Proprio perch� nella vita era riuscito a salire
pian piano, ogni cosa l'apprezzava fino in fondo. Non solo non voleva cancellare il
suo passato doloroso ma - con la memoria - ci ritornava sempre.
Certe volte andava alla trattoria "La Fontanina" di Serramazzoni, sulle prime
montagne dell'Appennino modenese, in mezzo alla gente modesta che conosceva da
tempo, a suonare la fisarmonica. "Io, cos�, passo delle giornate meravigliose.
Quando ho qualche pensiero, quando mi fanno arrabbiare, vado l� e torno sereno", mi
raccontava".
Danilo Iacomacci tace, per ora non ha altro da aggiungere e forse non ce n'�
bisogno; il Giuseppe Panini che mi ha raccontato � qui tra noi, mentre egli mi
accompagna gentilmente alla porta dello scantinato.
Mi viene da ripensare a quelle cantine di Via Castelmaraldo, dove Giuseppe e i suoi
fratelli mescolavano figurine col badile. Storie di cantine, ma chiare,
trasparenti, limpide: storie di un'Italia in sordina, che - senza gridare - ha
saputo tirar fuori se stessa senza perdersi.
La mia esplorazione del Centro 2000 non finisce qua. Riemergo un po' in superficie
e rintraccio senza alcuna difficolt� un ampio ufficio dalla grandissima vetrata
situato al piano superiore. � la sede dell'Associazione Giuseppe Panini. In
pratica, il volto moderno della vecchia tana.
Antonio Panini, il figlio, e Paolo Battaglia, responsabile dell'Associazione, mi
accolgono anche loro gentilmente. Tra il sotto che ho appena lasciato e il sopra
che sto esplorando non c'� soluzione di continuit�; qui si cerca di proseguire, con
mezzi e strategie pi� attuali, il grande sogno di Giuseppe: mettere a disposizione
del pubblico tutto il materiale accumulato in una vita, materiale che, dopo la sua
morte, lasciasse un segno delle passioni della sua vita. La parte del sogno
relativa al Museo della Figurina si � per ora infranta contro il mostro
burocratico, che forse ha trovato un alleato in un'ignoranza inconsapevole. Si
tratta adesso - e a questo si stanno dedicando Antonio e Paolo - di salvare il
resto, che � davvero tanto. Innanzitutto ci sono tre archivi di fotografi modenesi
in attivit� dalla fine del secolo fino ai giorni nostri (Orlandini, Bandieri e
Giberti), che assommano a circa 300.000 pezzi (� una delle collezioni pi� grandi
d'Italia). Poi ci sono 100.000 cartoline, che Giuseppe aveva cominciato a
raccogliere pi� di vent'anni fa. In totale: 400.000 pezzi. � tutto materiale
consultabile e, a pagamento, riproducibile in vario modo.
Lui in persona aveva iniziato il lavoro di identificazione dei luoghi e delle
persone documentate nelle fotografie; adesso si cerca di proseguire,
informatizzando i dati. Da questo materiale fotografico Giuseppe Panini aveva anche
creato una collana di otto volumi, "Fotocronache modenesi", da lui stesso
progettata e dedicata ad aspetti urbanistici della citt�; quattro volumi li aveva
realizzati personalmente, gli altri quattro sono usciti dopo la sua morte. Per ora
si tratta di pubblicazioni a carattere locale, ma si guarda avanti, non sono
escluse altre iniziative a pi� ampio raggio.
"L'Associazione � nata con lo scopo di conservare, restaurare, catalogare,
divulgare e pubblicare i materiali fotografici raccolti da Giuseppe Panini per
arrivare a costituire, in pratica, il punto di riferimento per tutto il materiale
fotografico sulla citt� di Modena", spiega Paolo Battaglia. "� stata fatta proprio
su sua iniziativa, progettata mentre era ancora in vita", continua il figlio
Antonio. "Effettivamente lui era rimasto molto deluso per come si erano messe le
cose con il Museo della Figurina. Pensava che il Comune potesse valorizzarlo in
breve tempo e cos� non � stato. Perci�, quando � stato il momento di pensare alla
destinazione del materiale fotografico, bench� anche in questo caso avesse
intenzione di donarlo al Comune, non l'ha fatto ed � stato un po' pi� cauto. Lui
stesso aveva gi� costituito a suo tempo una societ� s.r.l., l'"Armo" (Archivi
Modenesi), che per� non utilizzava, preferendo pagare personalmente, di tasca
propria, tutte le spese di collaboratori e materiali. Ma questo non aveva senso,
perci� gli proposi: "Questi collaboratori diventano collaboratori dell'Armo, che se
li prende in carico con un contratto di collaborazione, paga le ritenute e tutto
quello che occorre poi io, con la mia azienda, compro l'Armo in modo tale che tu
non debba pi� preoccuparti della gestione degli aspetti finanziari. E cos� anche
per tutte le altre spese che si rendano necessarie. Alla fine dell'anno facciamo i
conti e, anche se ci manca qualcosa, tu non pensarci, lo faccio io in attesa di
trovare la formula giuridica corretta e pi� idonea".
L'Armo quindi era un po' la "mamma" dell'attuale Associazione. Prevedeva anche la
possibilit� di ingresso di nuovi soci, per� la formula giuridica della
s.r.l., che � a scopo di lucro, non andava bene per il coinvolgimento degli enti
pubblici, perch� sarebbe potuto sembrare interesse privato. Facemmo un sacco di
ragionamenti insieme per costituire una fondazione, che per� � altrettanto
impegnativa per altri motivi. Non visse abbastanza per poter vedere realizzata la
soluzione che andavamo cercando, per� insieme riuscimmo a tracciare la linea-guida
iniziale, che poi con altri io ho proseguito. Optammo cos� per l'Associazione, che
� indipendente pur avendo agganci e fini pubblici e istituzionali. Per un po' fummo
indecisi tra fondazione e associazione, poi preferimmo quest'ultima perch� aveva
tempi pi� rapidi e una struttura pi� agile, ma il nostro obiettivo finale rimane
sempre quello della fondazione. Dell'Associazione fanno parte anche il Comune, la
Camera di Commercio e l'Associazione Industriali; la sede � qui in questo
appartamento, di propriet� della famiglia Panini, a cui viene corrisposto un
affitto agevolato. Poi ci sono alcune persone che lavorano sul materiale".
E il seminterrato? "Scelse di fare la sua tana l� sotto per non interferire con le
attivit� commerciali del Centro 2000. � vero che il Centro era interamente di sua
propriet�, ma lui non voleva "allargarsi" per motivi personali. Ha sempre rifuggito
dal mescolare il pubblico con il privato. Prefer� quindi restare limitato l� sotto,
anche se a volte il posto si rivel� poco sicuro e, soprattutto, poco comodo; quando
c'era da spostare pacchi di lastre di vetro, per esempio, era una fatica improba
perch� mancavano le attrezzature e la posizione del locale era infelice. Qui sopra
noi stiamo cercando di dare una nuova e pi� moderna configurazione ai materiali,
senza snaturare il suo messaggio. Lui si era divertito molto a lasciare delle cose
che rimanessero nel tempo, che fossero proseguibili".
Che fosse il bisogno di conservare e di far fruttificare tipico della mentalit�
contadina? "Non lo so, pu� darsi. L'importante, diceva sempre lui, � avere delle
passioni", ricorda Antonio. "Eccole, le sue passioni. Sono tutte qua, oltre a quel
Museo della Figurina un po' disgraziato".
Le passioni di Giuseppe... 300.000 fotografie, 100.000 cartoline, 500.000 figurine,
migliaia di libri, riviste e francobolli, milioni di figurine dell'azienda: erano
anche, in alcune periodi, 48 milioni al giorno, cio� 8 miliardi in un anno! Quanto
possono valere, le passioni di un uomo?
C'� una poltrona, un televisore, qualche mobile, la batteria di quando suonava con
i fratelli, tanta quiete; dalla finestra si vedono le cime degli alberi del
giardino. E poi ci sono le sue collezioni, ben riposte negli spazi assegnati, come
fa ogni collezionista che si rispetti. Anche Benito aveva la propria tana, non
conosciuta come quella di Giuseppe ma altrettanto piena di significati e di valori.
Se l'era costruita nel sottotetto della villa familiare, in una periferia verde e
raccolta. Qui si ritirava, quand'era in casa, vicino ai suoi eppure lontano da
tutti.
Perch� Benito era un personaggio non facile, troppo sbrigativamente liquidato da
alcuni come l'elemento pi� "modesto" della famiglia, quello addetto ai lavori pi�
manuali, con l'incarico - nell'azienda - di occuparsi della distribuzione.
Eppure Benito, socio a parit� con i fratelli, come tutti i personaggi
apparentemente marginali � stato altrettanto protagonista di Giuseppe, Umberto e
Franco. A modo suo, certo; un modo poco appariscente ma altrettanto fondamentale,
in quell'ingranaggio dove tutto ha funzionato perch� ognuno ha fatto la propria
parte. Senza Benito, chiss�...
Le sue collezioni parlano per lui. Ci sono, innanzitutto, le monete antiche, con le
quali passava ore e ore. Studiandole, ricercandole, riordinandole. Aveva fatto solo
le scuole elementari, non aveva assolutamente voluto saperne di continuare.
Quand'era piccolo, ed era uno scricciolo, si metteva in piedi sul tavolo, con il
suo grembiulino nero e il colletto bianco, e proclamava in dialetto: "Quando vedete
passare una cassa da morto...". Si riferiva al maestro, che lui avrebbe eliminato
volentieri, in quella casa dove la non-violenza era vangelo. Dopo poi si pent�
(alle figlie, quando avevano poca voglia di stare sui libri, diceva: "Io mi sono
tanto pentito... perch� lo studio conta molto, ma bisogna farlo al momento
opportuno"), e coltiv� - pi� tardi dei fratelli, ma con la stessa intensit� -
passioni da erudito: le monete, appunto, e poi le armi antiche, i reperti
archeologici, i bronzetti, le tabacchiere... Si arrangiava come poteva, comprando
volumoni dotti dai quali con tanta pazienza, comparando e ricomparando, attingeva
le informazioni necessarie. Si iscrisse anche a un corso di archeologia e per un
po' di tempo and� a effettuare per diletto qualche piccolo scavo in compagnia di un
amico.
A Levanto, in Liguria, dove trascorreva le vacanze in una casa di propriet�, un
giorno vide delle ombre fra le acque profonde; avvis� altri amici, alcuni dei quali
sommozzatori, che scoprirono il relitto di una nave, sembra di ricordare romana.
Lui avrebbe voluto qualcosa da portarsi a casa come ricordo, anche una sola anfora
ma la Soprintendenza, regolarmente avvisata, caric� via tutto. Sempre a Levanto
andava a pesca, con la sua barca, e riempiva ogni giorno la tavola di pesci. E poi
amava la caccia: possedeva pure una collezione di fucili. Ma aveva anche riempito
la casa di animali vivi, perch� le figlie imparassero ad amarli: cos�, mi
racconter� una di loro, "avevamo 4 cani, 12 gatti, tante galline, 1 voliera piena
di uccelli, 1 gracula parlante, i piccioni (per i quali aveva costruito la
piccionaia nel sottotetto), i criceti, 5 acquari dentro uno dei quali c'erano anche
i tritoni, tartarughe terrestri e marine, 2 scoiattoli (uno fugg� e l'altro lo
liber� lui stesso, perch� lo vedeva soffrire di solitudine), i criceti, i
pappagallini; avevamo anche una coppia di "inseparabili" che gli aveva regalato la
nonna Olga".
Una sera, tornando dai boschi, una volpe gli attravers� la strada all'improvviso e
si fer�; lui la fece curare, ma la bestia mor�. Adesso � l� imbalsamata, anche lei
nel sottotetto, a perenne ricordo di una passione da lei non condivisa.
Ma, come tutti i Panini, Benito aveva il cuore tenero; quando, alle foci del Po,
uccise un'anitra e scopr� tra le canne gli anatroccoli che pigolavano, smise di
andare a caccia. Anche perch� la salute lo stava ormai abbandonando. Gli ultimi
suoi anni non sono stati belli; era uscito dall'azienda, all'inizio degli anni '80,
e aveva voluto tentare l'avventura di mettersi in proprio con la concessionaria
dell'Alfa Romeo, ma fu un fallimento che i fratelli riuscirono a scongiurare,
preservandogli anche un 10% delle sue quote azionarie. Non che fosse un incapace,
Benito. Quando si era occupato dell'edicola, aveva dimostrato energia e voglia di
fare. Era lui, in un certo senso, l'elemento pi� stabile nel lavoro quotidiano.
Aveva cominciato a lavorare molto presto, quasi ancora da bambino, svolgendo
diversi mestieri come garzone da un droghiere, da un edicolante, anche dal liutaio
Enea Iori in Piazzetta della Pomposa. All'edicola si occup� soprattutto della
distribuzione, e la stessa cosa fece anche pi� tardi in azienda. Tutte le mattine
si alzava all'alba, alle quattro, e andava a ritirare i pacchi di giornali alla
stazione, poi li portava in agenzia, dove gli edicolanti, in bicicletta, venivano a
prenderli per la loro rivendita e per le consegne a domicilio.
Finita questa distribuzione, apriva l'edicola e si facevano le otto, poi gli dava
il cambio la sorella Veronica e lui tornava in agenzia, prendeva su tutte le buste
impacchettate con i fondi di magazzino, le caricava in macchina e andava a farsi
tutta la montagna, paesino per paesino. Tornava a casa alle dieci di sera, e si era
svegliato alle quattro... Questo per mesi, per anni, mentre Giuseppe era malato.
Tante volte sono stati l� l� per mollare, ma lui continuava, a testa bassa, mentre
ci si chiedeva: "Lasciamo, teniamo, facciamo un'altra cosa?".
E fu lui ad avere l'idea di prendere la distribuzione della "Gazzetta dello Sport"
e poi di rilevare quella partita di figurine invendute, quella che diede il via a
tutta la faccenda.
Sempre lui, appassionato com'era di tutti gli sport, spinse per la creazione del
Gruppo Sportivo di pallavolo, che in seguito divent� un po' una creatura di
Giuseppe. Fino all'ultimo sedette in panchina con i ragazzi della squadra, che dopo
ogni trionfo lo gettavano in aria. A Levanto era presidente sia della squadra di
pallavolo che di quella di calcio, riforniva le magliette, si occupava di tante
cose.
Faceva del bene, aiutava - anche finanziariamente - le prime iniziative a favore
del recupero dei tossicodipendenti; al suo funerale erano presenti ben undici
sacerdoti, uno all'insaputa dell'altro, e tutti pronti a dir messa per lui, che -
bench� fosse tutt'altro che bigotto - aveva saputo diventare loro amico. Eppure,
anche nel caso dei tossicodipendenti, come gi� per le figurine, per la
distribuzione dei giornali, per la pallavolo, non � il suo nome, ad essere stato
tramandato.
"Aveva un carattere un po' strano, forse un po' timido, forse un po' debole",
ricorda Lena, la moglie. "Ma aveva delle idee buone ed energie da vendere. Anche
nel parlare bisognava tirargli fuori le parole. I fratelli lo burlavano per questo,
fingevano di suonare aspettando che lui si decidesse a completare il discorso.
Eppure, bench� non fosse altrettanto brillante, nessuno lo disprezzava o umiliava.
Anche in casa parlava poco; del suo lavoro poi non mi diceva mai niente, perch� era
del parere che le donne dovessero starne fuori. Secondo me sbagliava a pensarla
cos�, ma lui era categorico: "Io e i miei fratelli siamo tutti d'accordo che le
mogli non devono interessarsi". Ma quando le figlie, da piccole, facevano un po' le
monelle, era a me che diceva: "Pensaci tu" perch� lui, che pure le seguiva con
tanto affetto, non voleva neanche sculacciarle. S�, era un uomo pieno di aspetti
contraddittori.
Fumava, unico tra i fratelli; fumava moltissimo, ma era riuscito a smettere poco
prima che morisse la prima bambina" (mor� nel giro di poche ore di una malattia
fulminante, ad appena un anno e mezzo). "Fino alla fine, per�, tenne sempre lo
stuzzicadenti in bocca. Perch� era proprio un grosso fumatore e smettere doveva
essere stato per lui un vero sacrificio. Eppure ci riusc�. E anche se non mi
parlava della sua vita fuori casa, riusciva a essermi vicino lo stesso, a modo suo.
Quando eravamo fidanzati e io facevo la sarta, certe volte veniva a casa mia quando
stavo cucendo e mi diceva: "Tira le tende" perch� non voleva essere visto, da
fuori, mentre magari mi aiutava a togliere i fili dell'imbastitura o cose del
genere. Quando � nato il primo nipotino, che era un maschio, si � sentito un
urlo... ancora pi� forte di quando la squadra vinceva la coppa, e lui volava
gettato in aria. Se l'� goduto ma troppo poco, quel nipotino maschio tanto
desiderato. Quando il bimbo gli appoggiava la testina sulle ginocchia e gli baciava
le mani, lui lo accarezzava e gli diceva: "Se io potessi campare! Da portarti
almeno fino a sei anni, da insegnarti ad andare a pesca". Oggi il ragazzo ha
quindici anni ed � appassionato proprio degli sport che piacevano al nonno. E di
nipoti maschi, dopo di lui, ne sono venuti altri tre. Povero Benito. Avrebbe ancora
soltanto settantun anni, ed � da quattordici che non c'� pi�...".
Gi�, povero Benito. Non dev'essere stato facile, per lui, neppure vivere all'ombra
di tanti fratelli, tanti come numero e tanti come qualit�. Non aveva la stoffa del
manager, non era un trascinatore ma anzi, a un certo punto, divent� un trascinato:
da amici forse interessati, attirati pi� dai suoi soldi che da lui stesso. "Una
volta andammo insieme, con un amico comune, ad un Salone numismatico", racconta
Piero Guerzoni. "Ci fermammo davanti a un rivenditore di monete e medaglie che
per�, data l'ora, stava ormai chiudendo e che si dimostr� un po' insofferente nei
nostri confronti; forse pensava che volessimo soltanto guardare senza comprare
niente. L'amico ci present�: "Questo � il professor Guerzoni.". "Ah, mi dispiace,
sa, ma devo chiudere...". "E questo � Benito Panini, quello delle figurine".
"Perbacco, venga, venga!". All'improvviso, non doveva pi� andar via... Infatti
Benito compr� poi per due o tre milioni di monete".
Ma anche Benito, nonostante la minor grinta, era pur sempre un Panini e certi
tratti della sua vita, seppure non eclatanti, l'hanno dimostrato.
I fratelli gli hanno voluto molto bene. "Questi fratelli si sono sempre voluti
bene, tutti quanti", dice Lena. "� stata una cosa bellissima, questa famiglia. Se
c'era uno che aveva bisogno, gli altri correvano ad aiutarlo. Anche adesso, che
sono rimasti in due, solo che uno abbia un problema va da loro e loro lo
consigliano, si preoccupano, si fanno in quattro per lui. Si rispettano anche i
ruoli anagrafici: prima il capofamiglia era Giuseppe, adesso � Umberto. Chi si
occupa di robe di interessi � invece Franco: hanno un'onest�... Se c'� da dividere
un centesimo, viene diviso bene, eh!". Per�, nonostante tutto, non fu facile farsi
spazio, per Benito, quando l'azienda si ingrand�, quando le esigenze si fecero
pressanti, forse superiori alle sue possibilit�. Prefer� rinunciare, scegliendo - o
facendosi scegliere da "qualcuno" (perch� Benito, come tutti i fratelli, era un
generoso per natura) - quel suo sogno di indipendenza cos� sfortunatamente
naufragato. Si era un po' sperduto.
Intanto la malattia al fegato progrediva, una malattia che aveva radici familiari,
in quella precoce morte del padre, e che la vita disordinata del lavoro all'aperto,
in giro dal mattino presto alla stazione fino alla sera tardi, non fece altro che
acuire. Ebbe delle crisi, violente, che prov� inutilmente a tamponare con una serie
di cure. I medici gli diedero cinque anni di vita; furono, in realt�, quattro anni
e sei mesi.
Mor�, nel 1986, a soli 57 anni. Non fu possibile nascondere la sua morte alla
madre, che l'aveva sempre protetto, che forse da sempre aveva visto in lui il pi�
gracile e indifeso della nidiata. Lei ne ebbe un dolore sconfinato e, dopo sei
mesi, lo raggiunse.
Lena dice che il marito sapeva di dover morire e che per questo gli ultimi tempi,
la sera, si sedevano nel tinello, lui e lei, l'uno di fronte all'altra, a guardare
il loro futuro che non sarebbe stato insieme. "Vi lascio in condizioni di non dover
chiedere niente a nessuno: n� tu alle figlie, n� le figlie a te", la rassicurava.
Facevano i conti insieme, lui ha messo a posto tutto. I fratelli, poi, dopo la sua
morte, hanno sistemato tutte le incombenze, stringendosi con ogni sollecitudine
intorno a quella famiglia rimasta sola.
Poche settimane prima di morire ci fu una grande festa familiare, una delle tipiche
riunioni di tutto il parentado; fu preso a pretesto l'anniversario di matrimonio di
Benito e Lena, che in realt� era gi� trascorso da qualche mese. Umberto noleggi� un
pullman e port� tutti a Levanto. Quella fu la festa d'addio.
L'ultima settimana Benito l'ha donata alla figlia, la pi� piccola delle tre, che
allora aveva sedici anni. Pur non riuscendo quasi a reggersi in piedi, l'ha portata
sull'Appennino, per insegnarle a pescare in montagna, come avrebbe voluto fare con
quel nipotino maschio che non riusc� a veder crescere abbastanza.
Una grande scritta sormonta l'ingresso, dal quale parte un lunghissimo viale di
pioppi: "Hombre". Umberto Panini non ha scordato il suo Venezuela e ha voluto
battezzare i suoi "llanos" modenesi con un nome che lo ricordasse sempre sia a lui
che ai numerosi frequentatori.
Questo scampolo di sudamerica � alle porte di Modena, in localit� Cognento. Umberto
non aveva in mente di diventare un possidente quando, nel 1972, compr� il primo
tassello di terreno. Ancora una volta, fu come con le figurine; si comincia con
una, poi si prosegue fino a completare l'album. Allo stesso modo, un fondo alla
volta, Umberto ha messo insieme una collezione di piccoli fondi, che adesso
costituiscono una delle pi� belle tenute agricole modenesi.
Motto e vanto di Umberto � "dal foraggio al formaggio", per dire che l'azienda �
completamente autosufficiente, l'unica di parmigiano-reggiano a ciclo chiuso,
completo: scopo finale � la produzione di un prodotto d.o.c. al quale sono adibite
500 vacche da latte. Anche loro ordinatamente in fila, nelle loro stalle
all'aperto, dove si cerca di coniugare le esigenze del moderno allevamento con il
rispetto dei diritti biologici. Ognuna con la propria didascalia, il proprio posto
nella serie: viene il sospetto che la figurina sia stata concepita appositamente
per incontrare i Panini... Quel parmigianoreggiano � finito persino in Vaticano.
� successo nel 1994 quando una spedizione modenese composta da Franco, Umberto e
Roberto Armenia si � recata a Roma a presentare il primo titolo della Collana
"Mirabilia Italiae", dedicato alla Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano. In
quell'occasione avrebbero voluto anche provvedere al rinfresco, con un servizio
predisposto da Modena, ma il Vaticano declin� gentilmente l'offerta, dicendosi
desideroso di averli come suoi ospiti. Si rimase d'accordo che da Modena sarebbero
stati portati soltanto due prodotti in omaggio, due prodotti locali: il parmigiano-
reggiano e l'aceto balsamico tradizionale. Il parmigiano-reggiano era quello
prodotto nell'azienda di Umberto; Papa Paolo Giovanni II ne fu cos� entusiasta che
da allora Umberto � diventato il fornitore ufficiale della Casa pontificia. La
notizia si � sparsa a macchia d'olio e adesso Umberto stenta a soddisfare tutte le
richieste: il parmigiano-reggiano del Papa si � rivelato un ottimo affare. Anche
Gorbaciov dimostr� di saperlo apprezzare.
L'ex-presidente sovietico, nel corso di una visita per motivi politici in Italia
nel novembre 1997, si ferm� all'azienda di Umberto, che gli fece omaggio di
un'intera forma, un po' impegnativa da far viaggiare in aereo fino a Mosca (venne
fatta poi a pezzettini, con grande attenzione perch� non ne andasse sprecata
neanche una briciola). Gorbaciov e la moglie Raissa, entrambi laureati in scienze
agrarie, seppero dare a quel regalo la sua giusta importanza non solo a livello
personale ma anche come prodotto di qualit� di un modello tipico di produzione
agricola italiana.
Basta cos�? Nossignori, ci mancherebbe altro: con un audace abbinamento tutto
modenese, nell'azienda di Umberto non si allevano soltanto mucche ma anche...
motori. Sono quelli di motociclette e auto "storiche" delle quali - � proprio
necessario dirlo? - Umberto fa collezione.
Le moto, prima e insuperata passione, sono un centinaio, di tutte le epoche. Le
auto un po' meno, "appena" una quarantina, per� anch'esse rappresentano tutte le
fasi della storia dell'automobile e delle grandi marche: dalla Rolls Royce dei
primi del secolo al prototipo in legno di supercar Maserati, mai entrata in
produzione, dalla Cadillac alla Lancia, dalla Mercedes all'Alfa Romeo...
Stranamente, nessuna Ferrari. Come le moto, anche le auto sono state tutte
restaurate dallo stesso Umberto. In un angolo, persino alcuni mezzi militari
tedeschi, capitati da chiss� dove.
E poi, c'� il pezzo forte: la collezione delle 17 Maserati storiche recentemente
acquistata. � stato un fatto di cronaca piuttosto inquietante, che ha gettato nel
panico pi� di un cultore di automobilismo e di modenesit�. Quelle Maserati che
nottetempo, all'insaputa di tutti, erano state spedite a Londra da Alejandro De
Tomaso - precedente proprietario della Casa - per essere vendute all'asta, erano un
vanto della citt� e della sua industria automobilistica: venderle, e soprattutto
sul mercato estero, sarebbe stato un tradimento, un'abiura, un oltraggio. Allora
Umberto, dopo una vicenda complicata, arricchita da numerosi colpi di scena e tira-
e-molla, � riuscito a comprarle, per "soli" 3 miliardi e 400 milioni.
"Era un patrimonio della citt�, non potevo lasciarle perdere cos�", spiega
semplicemente. "E poi l'ho fatto anche per Giuseppe. Lui era appena morto e non
avrebbe permesso una cosa simile. Sono certo che se fosse stato ancora tra noi non
mi avrebbe dato tregua. Mi avrebbe detto: "Tocca a te!". Allora l'ho fatto io,
proprio come l'avrebbe fatto lui".
Non dice, ma l'ha gi� detto ufficialmente a chi di dovere, che � pronto, in
qualsiasi momento, a mettere le Maserati a disposizione della curiosit� del
pubblico di casa e non, se solo si riuscisse ad avere uno straccio di museo o
qualcosa del genere. Nel frattempo, visto che l'iniziativa istituzionale langue,
lui stesso ha allestito un grande, bellissimo padiglione con un ampio soppalco che
ospita tutti i suoi pezzi, a due e a quattro ruote. Chiunque voglia pu� andare a
visitarli, e vengono in tanti, con un passaparola pi� efficace di un d�pliant
turistico, da ogni parte del mondo. Certo non sono i grandi numeri dei "tours" di
massa, ma si tratta di autentici appassionati: loro e Umberto si gratificano a
vicenda della reciproca compagnia e dell'ammirare insieme, senza alcuno scopo di
lucro, quelle meraviglie della tecnica e dell'ingegno umani, in una sublimazione
esemplare del "metalmezzadro" locale. Questo termine, infatti, descrive a
meraviglia quel tipo di contadino che abbandonava i campi quando il lavoro languiva
per impiegarsi nelle industrie metalmeccaniche che, nel dopoguerra, spuntavano
dappertutto, coniugando cos� - in una sintesi perfetta - l'universo concreto e
affettivo del parmigiano con quello, altrettanto concreto ed affettivo, dei motori.
Sono pi� di 5.000 figurine, in blu lapislazzuli, rosso vivo, oro. La carta �
fabbricata appositamente, senza impiego di sbiancanti chimici, per mantenere
inalterata nel tempo la bellezza cromatica. Per separare i colori si � utilizzato
il retino stocastico, che rende pressoch� invisibile la trama del punto
tipografico, ottenendo un effetto pari al tono continuo della stampa fotografica.
La stampa prevede un passaggio a cinque colori, l'applicazione di una lamina a
caldo per la riproduzione dell'oro e un successivo passaggio di stampa sopra l'oro
per riprodurre la bulinatura dell'originale e le micro-fessurazioni prodotte dal
tempo sulla superficie.
E l'"album"? L'"album" � curato oltre ogni dire. La legatura � realizzata
interamente a mano; la cucitura � su cinque nervi di canapa; il montaggio della
copertina � stato realizzato con pannelli di legno rivestiti di velluto cremisino
di seta pura, tessuto su commissione. Ci sono persino cinghiette laterali, cerniere
interne in pelle e risguardi in tessuto moreo. I decori, ottenuti con speciali
calchi siliconici e rifiniti con traforatura manuale, riproducono esattamente gli
originali. Ebbene, ma di quale collezione di figurine stiamo infine parlando? Della
Bibbia, naturalmente.
� vero o no che Franco Panini era stato sentito mentre, con aria un po' sconsolata,
diceva a se stesso: "Ma che editori siamo? Editori di figurine..."? Quello,
evidentemente, era il suo destino. Perch� opporsi?
Lui stesso non vorrebbe fare altro, anche adesso che - dopo la cessione
dell'azienda - ha rilevato la Divisione Libri che gi� esisteva al suo interno,
trasformandola nella Franco Cosimo Panini Editore.
Meraviglia tra le "Mirabilia" � appunto la Bibbia di Borso, signore d'Este,
considerato il pi� ricco manoscritto miniato del mondo giunto sino a noi. Alla sua
realizzazione, che richiese soltanto sei anni (altri tempi!), collaborarono - fra
il 1455 e il 1461 - i pi� rinomati artisti dell'epoca fra i quali Taddeo Crivelli,
Franco dei Russi, Giorgio d'Alemagna, protagonisti della scuola ferrarese (in quel
periodo Ferrara era la capitale del Ducato Estense). La "Bibbia Bela" segu� i duchi
quando la corte si trasfer� da Ferrara a Modena nel 1598 e nei secoli successivi
condivise le avventurose vicende dei signori d'Este fino al 1923, quando Giovanni
Treccani, con un gesto di munificenza davvero notevole, volle approfittare della
sua messa in vendita a Parigi per acquistarla - al prezzo di 5 milioni di lire del
tempo - e donarla allo Stato italiano. Da allora il preziosissimo codice miniato �
custodito presso la Biblioteca Estense di Modena.
Nelle 1212 pagine che la compongono, suddivise in due volumi, la Bibbia di Borso
d'Este - galleria d'arte rinascimentale davvero unica - ospita almeno 5.000
immagini miniate, incorniciate in un'incalcolabile quantit� di motivi decorativi:
5.000 figurine, senza alcun dubbio, riprodotte in facsimile (secondo una
consuetudine ancora poco diffusa in Italia), con una tiratura di sole 750 copie
numerate, costo 35 milioni l'una.
Lena, la moglie di Benito, ricorda: "Fin da ragazzo Franco aveva la passione per
l'arte e declamava le proprie poesie. Era fidanzato anche lui con una ragazza che
abitava a Maranello (Emilia, che sarebbe poi diventata sua moglie e che era anche
una sua cugina di primo grado, tanto che per sposarsi dovette ottenere la
dispensa). Partivano da Modena lui e Benito, poi Benito lo scaricava dall'Emilia e
dopo veniva a moroso da me. A volte facevamo delle gite tutti e quattro insieme e,
dovunque andassimo, Franco sapeva spiegare tutto: chiese, palazzi, quadri... L'arte
era davvero la sua passione". "Quando, alla fine dell'89, cedemmo a Robert Maxwell
le Edizioni Panini, rilevai un ramo dell'azienda ceduta, la Divisone Libri che
diversamente, con la nuova propriet�, sarebbe stata abbandonata. La scelta era fra
tentare di proseguire dando vita a un gruppo editoriale di alta qualit� oppure
ritirarmi in pensione: non esitai un attimo", mi dice lo stesso Franco Cosimo. "Fin
dal 1987 aveva trovato posto all'interno della casa editrice delle figurine un
settore editoriale che, muovendosi pi� in forma di mecenatismo che con scopi di
lucro, aveva sviluppato una produzione di libri di buon livello nel campo
dell'archeologia, dell'architettura, delle arti figurative e della cultura
umanistico-rinascimentale e che aveva riscosso l'interesse del pubblico degli
studiosi e ottenuto esiti discreti in libreria. Dalla Divisione Libri, col suo
catalogo di oltre cento titoli, ma soprattutto dal suo patrimonio di rapporti con
autori e istituzioni prestigiose, � nata cos� nel 1990 una nuova casa editrice che
porta il mio nome, la Franco Cosimo Panini Editore S.p.A.
Le scelte editoriali di fondo non sono cambiate; continuiamo a muoverci nei nostri
settori tradizionali, riservando un'attenzione crescente alla qualit� del prodotto,
tanto sul piano del contenuto quanto su quello della progettazione grafica. Il
nostro taglio editoriale, caratterizzato dall'enfasi sull'argomento, � sempre di
alto rigore scientifico. Privilegiamo i libri di approfondimento, con una
particolare attenzione per le tradizioni classiche e per il patrimonio artistico-
culturale italiano. Sono convinto infatti che la vera, grave povert� del futuro
sar� la mancanza di cultura.
Nel 1990 abbiamo acquisito il controllo della Malipiero (oggi Carterie), casa
editrice bolognese nota per la sua produzione per ragazzi e cartotecnica. Abbiamo
riposizionato il prodotto scegliendo un nuovo marchio, Franco Cosimo Panini
Ragazzi. Ci siamo mossi su un doppio binario: quello dell'editoria "classica" e
quello dell'editoria che definirei "creativa", con libri che si identificano per la
loro "giocabilit�". Il nostro catalogo spazia cos� su tutte quelle che abbiamo
individuato come funzioni del libro: imparare, conoscere, leggere, giocare, fare. I
nostri libri per ragazzi si sfogliano come quelli tradizionali ma anche in modo
nuovo, fuori dagli schemi: sono libri da smontare, da appendere, da costruire o da
guardare in verticale". Nel 1992 � nato "Comix, il giornale dei fumetti", un
settimanale che mescola comicit� a fumetti al meglio dell'umorismo grafico e della
scrittura comica. Anche questa � una tradizione che appartiene ai Panini si pu�
dire per diritto, essendo parte del glorioso retroterra di Modena, capitale della
stampa satirica e umoristica.
Nel 1995 Comix diviene casa editrice autonoma (con partecipazione di maggioranza
della Franco Cosimo Panini) e pubblica diverse collane autonome (Pillole, Guide
Comix, Superpillole).
Del 1994 intanto � l'acquisto della Pineider 1774 e della casa editrice Nardini,
entrambe di Firenze. Nello stesso anno nasce la Collana "Mirabilia Italiae",
incentrata sui monumenti cardine della storia e dell'arte del nostro Paese, che
caratterizza al massimo l'impegno umano, civile, culturale ed economico-finanziario
di Franco Cosimo Panini.
Del 1999, infine, � la pubblicazione di tutte le figurine di "famiglia". Dev'essere
stato un sogno a lungo accarezzato: otto volumi di grande formato, elegantissimi,
una cornice adeguata anche a livello di prestigio editoriale per quei tanti e tanti
pezzetti di carta che Franco non vedeva l'ora di trasformare in libro, in un
qualcosa di definitivo, di immutabile, di eternamente tangibile, da sottrarre
all'etereit� di quelle fragili cellulose originariamente a basso costo. Cos� Franco
ha preso le vecchie figurine unte e bisunte - si fa per dire - e le ha rivestite
delle fantasmagorie e dei lussi dell'edizione in carta patinata: le ha portate a
Roma, davanti al gotha dell'industria, dei ministri, dello sport, le ha portate
anche al presidente americano Bill Clinton, le ha portate davanti a re e a potenti:
una collezione d'arte, laddove c'era una volta soltanto una collezione d'infanzia.
Con un fatturato 1998 di circa 50 miliardi e il bilancio in utile, Franco prosegue
quindi per la strada che ha scelto per affinit� elettiva. Non � sempre facile,
perch� "quando si va sottobraccio con la cultura bisogna pagare". Ecco di
conseguenza la necessit� di alcune iniziative commerciali di sostegno, che a volte
risentono anche loro delle difficolt� dei tempi. Ma come dar torto a Franco?
L'ho visto per la prima volta, in un ricordo lontano e sfocato, quattordici anni
fa. Stavo preparando, per una pubblica istituzione cittadina, una mostra di
strumenti musicali etnici delle collezioni private modenesi. Ne era saltato fuori
un numero incredibile, di tutte le parti del mondo: meritava un catalogo, anche
semplicemente in bianco e nero, ma chi avrebbe dovuto farlo non si accoll� questa
responsabilit�. Cos� riflettei un giorno intero, amareggiata ma decisa a non
rinunciare. E mi vennero in mente i Panini che a me, per la verit�, sembrarono in
quel momento pi� un farmaco salvavita che non "la famiglia di editori impegnata
nella difesa della cultura modenese". Sapevo che loro aiutavano chi chiedeva cose
del genere, e questo era pi� che sufficiente.
Mi presentai il pomeriggio dopo in Via Emilio Po, credo senza neanche aver fissato
un appuntamento. A sinistra dell'entrata della palazzina c'� quel grande cortile
dove, sul fondo, si trova la casetta pi� bassa con il museo aziendale e anche gli
uffici dei dirigenti e dei proprietari. Suonai il campanello, salii le scale,
entrai, salutai, spiegai tutto e lui ascolt� senza interrompermi, Poi mi disse che
avrebbero provveduto alla spesa del catalogo. Fu tutto. Ringraziai e non lo vidi
pi� fino a qualche mese fa, quando decisi di scrivere questo libro. Il catalogo
riusc� molto bene e fu anche distribuito in tutta Italia: era costato 5 milioni,
una cifra non indifferente per quei tempi. Ma io venni a sapere il prezzo del tutto
casualmente, perch� con me nessuno mai ne parl�. Portai il materiale, corressi le
bozze e il giorno stabilito me ne fecero avere le copie in abbondanza. Anch'io,
quindi, sono stata "miracolata" dai Panini e, in particolare, da Franco.
Qualche mese fa, allora, gli ho telefonato per dirgli che avevo intenzione di fare
un libro su di loro. "Ah, s�?", � stato il suo commento. "Non ha niente in
contrario?". "No, no, faccia pure".
L'ho poi incontrato nel suo ufficio nel palazzone di nove piani, di sua propriet�,
dove ha sede la sua casa editrice (piena di collaboratori familiari) e dove, in due
appartamenti all'ottavo e al nono, abitano Edda e Veronica (che spesso viene anche
lei a dare una mano). Mi ha fatto aspettare qualche minuto in una saletta
ordinatamente rivestita con i suoi libri: al centro, un tavolo con un leggio e
sopra, aperta, la Bibbia delle Meraviglie. "La guardi un po', mentre aspetta", mi
ha invitato. Ho capito pi� di lui, forse, in quei cinque minuti che in chiss�
quante ore di possibili colloqui. Le figure, l'ordine, la simmetria, il silenzio, i
libri e il Libro... le soddisfazioni, i traguardi di una vita, i sogni
materializzati, concretizzati, allineati, racchiusi in una stanza. Di un convento?
Non mi stupirei se l'avessi incontrato amanuense, dentro qualche bibbia ancora da
stampare. E tutte quelle figure... Ogni suo libro � legato in qualche modo al
concetto di figura, che si arriva perfino a toccare, a manipolare: c'� un filo
conduttore evidentissimo ma talmente sublimato che qualcuno poco attento potrebbe
anche non scorgere. � andato avanti, Franco, per proprio conto: e ha continuato la
Panini, ma su un altro pianeta. Poi mi ha fatto accomodare nel suo studio; alle
pareti, cinque gigantografie a colori, una per ogni figlio. E mi � venuta in mente
Olga nella sua casina di carta stampata, Giuseppe nella sua tana di sterminati
tesori, Benito seduto sotto il tetto fra le monete, Umberto tra le vacche e le
Maserati allineate... e tutti quei bambini, noi stessi, con i nostri album sotto il
braccio, con le figurine accuratamente fatte combaciare bordo con bordo. Il
principio di ordine, l'elemento nella serie, l'individuo nella collettivit�. Che
cosa hanno visto i Panini in quell'album con le figurine? Perch� l'hanno visto loro
e non qualcun altro? � stato un caso, un'intuizione o un segno del destino?
In occasione di un altro nostro incontro - saranno pochissimi - mi fermo nel
corridoio, davanti alla sua porta, a fare alcune fotocopie di fotografie di
famiglia. E mentre giro i fogli lo osservo, seduto di spalle davanti a un libro
d'arte, che scoprir� poi essere un taccuino sanitario del 1300. Sfoglia con
lentezza, assorbito totalmente dalla lettura - anche se, presumo, incomprensibile -
del testo e dalle stupefacenti immagini di gigantesche foglie medicamentose, di
prodigiose radici taumaturgiche. Sfoglia non solo con lentezza: con rispetto,
direi. Questo � un uomo che ama i libri, mi dico; il che, forse, non sar� del tutto
positivo per un editore ma noi, oltre che di editori, abbiamo bisogno anche di
questi uomini.
E adesso mi � di conforto pensare che, senza minimamente interferire, con lo stesso
reciproco assoluto rispetto, lui fa i suoi libri, mentre io faccio il mio.
E Giuseppe, intanto? Giuseppe fa tante, ma davvero tante cose: non c'� da stupirsi,
verrebbe da dire, per un uomo come lui, sempre proteso verso nuove attivit�. Ma
qualcosa di nuovo comunque c'�: tutto quello che fa, dal momento della cessione
dell'azienda in poi, � rivolto esclusivamente alla citt�, che ne diventa il fulcro
e il filo conduttore. Bella forza!, penser� qualcuno. In fondo, seppur di lusso,
era ormai quasi un pensionato; che cos'altro avrebbe dovuto fare, se non rinsaldare
i legami con amici, vicini e conoscenti? Sar�. Ma c'� chi dubita che siano soltanto
iniziative sue; c'� chi pensa che, in qualche occasione, ci sia qualcuno che lo
consigli, lo esorti, lo spinga a fare, a dare, a prestarsi e, naturalmente, a
pagare.
Quel che � certo, a detta di tutti, � che Giuseppe - seppur cedendo forse a qualche
eccesso di gratificazione personale dovuto all'indole generosa ed estroversa e ad
un'esistenza ricca e piena di cui, guardandosi alle spalle, � perfettamente
consapevole - rimane integro. La sua � una vita specchiata e senza macchia,
esemplare, una vita di quelle che lasciano il segno, pesanti come montagne,
profonde come il mare.
Il 24 maggio 1991 (due giorni dopo la rimozione di Bales, due giorni prima
dell'arrivo di Maxwell), Giuseppe Panini presenta alla cittadinanza la sua ultima
creatura: il ristorante Modena Due, in vetta alle torri del direzionale di Via
Scaglia 17 (di sua propriet�), che aprir� ufficialmente i battenti la sera del 1
giugno. �' un'opera che ha richiesto circa cinque anni di lavoro per essere
completata con le pi� moderne tecnologie del settore. Collocato dal 10� al 14�
piano del direzionale, il nuovo complesso, dice lo stesso Panini, "vuole rispondere
alle sempre pi� avanzate esigenze della ristorazione modenese, che deve
accontentare anche la clientela internazionale richiamata nella nostra citt� da
un'economia in grande espansione su ogni mercato".
Una volta portava gli amici ancor pi� poveri di lui a mangiare a casa sua quel
quasi niente che c'era; adesso "vuole offrire un punto d'incontro per riunioni
d'affari prima e dopo il pranzo; il ristorante si integra perfettamente con la
struttura del direzionale, che ospita gi� 36 societ�, modenesi e non, nel settore
dei servizi e del terziario avanzato".
Il ristorante, che � stato progettato cinque anni prima, nel 1986, dall'immobiliare
Montecarlo di cui lui stesso � amministratore delegato, occupa gli ultimi cinque
piani delle torri di Via Scaglia con soluzioni molto diversificate. Il 10� piano �
occupato da alcune sale riunioni, attrezzate con i moderni mezzi di comunicazione
(fax, video-tape, schermi e proiettori), in grado di ospitare convegni, breefing
aziendali e riunioni di lavoro. All'11� piano sono sistemate le ampie cucine, che
servono anche lo snack bar del piano terra. Al 12� e al 13� piano � situato il
ristorante con le sale Italia ed Europa, entrambe capaci di 100 posti, che godono
(a circa 40 metri dal suolo) di una bella vista sulla citt�. Al 14� e ultimo piano,
un vastissimo terrazzo con roof garden, il bar e uno spiazzo attrezzato per
trascorrere il resto della serata. Qui in estate sar� anche possibile mangiare
all'aperto, con l'accompagnamento musicale (di fisarmonica?) e un piano bar. Sopra
il terrazzo, una cupola alta una ventina di metri, che raggiunger� quasi l'altezza
della torre Ghirlandina, simbolo della citt�. Attorno a questa cupola, di notte,
girer� continuamente la scritta luminosa "Modena Due". Diventer� un punto di
riferimento visibile da ogni parte della citt�. Ci saranno nove ascensori a
sollevare verso il cielo gli uomini d'affari: uno di essi, in particolare, � un
ampio "lift" panoramico, di grande effetto, il primo del genere in funzione in
Italia.
Il ristorante rester� aperto tutta la settimana tranne il luned�, ma fin d'ora
Giuseppe pensa alla possibilit� di un'apertura 365 giorni all'anno; chiuder� le
sale da pranzo alle 3 di notte, dando la possibilit� ai modenesi di cenare anche a
tarda ora, dopo il cinema o il teatro ("Il mio peccato pi� grave? Sicuramente
quello di bere del Lambrusco e di andare a letto tutte le notti all'una o alle
due"). E che cosa si manger�? Per tutti i gusti, ma senza "stranezze"; ci sar� un
men� stagionale a prezzo fisso e un men� a scelta, che prevede due linee
gastronomiche: una tradizionale, legata alle specialit� della cucina emiliana, e
un'altra ispirata ai piatti della pi� classica cucina internazionale. Il servizio
sar� curato da un'�quipe di professionisti sotto la direzione di personale
altamente specializzato che, al gran completo, conter� una trentina di persone, tra
cui due chef, un ma�tre, un sommelier e un dispensiere. "Mi aveva proposto di
diventare suo socio", dice il suo amico di giovent� Carlo Chiavarino. "Ma a me non
interessava. Io sostanzialmente ero un impiegato di banca, non avevo la mentalit�
dell'imprenditore, mi accontentavo di quello che mi bastava per vivere
decorosamente. Lui invece aveva il gusto dell'affare". Questo dunque � ci� che ha
in mente Giuseppe per il futuro, suo e della sua Modena. Ma non solo.
In quegli anni, dal 1985 al 1992, ricopre anche la carica di presidente della
locale Camera di Commercio. In questa veste va a occupare il sesto posto (su 1700
nomi!) nella graduatoria dei redditi resa nota dalla Presidenza dei Ministri sulla
"Situazione patrimoniale di titolari di cariche direttive di alcuni Enti". Di tutti
i presidenti delle Camere di Commercio italiane Giuseppe Panini � l'unico a
comparire, con un reddito 1989 di poco inferiore a 1 miliardo.
Gli viene proposto, l'anno successivo, di tentare la conquista del seggio di
senatore nei ranghi del Partito Socialista, ma non viene eletto.
Rimane ancora nel mondo del commercio diventando, nell'ottobre 1991, uno dei primi
dieci azionisti della Simint, societ� tessile modenese che fa capo al gruppo
Finarte, allo stilista Giorgio Armani e alla Sige, prima azienda cittadina a
entrare in Borsa.
Continua a ricoprire la carica di presidente della Panini Volley (la vender� nel
1993); memorabile il premio ai suoi venticinque anni di attivit� nel mondo della
pallavolo e come primo presidente della Lega pallavolo italiana che gli viene
attribuito nel corso dell'incontro celebrativo "All stars volley", che si tiene il
3 gennaio 1991 al Palasport di Modena. La partita, trasmessa in diretta tv, vede
scendere in campo le squadre dell'Europa e del resto del mondo, formate dai
migliori giocatori italiani e stranieri del campionato italiano di pallavolo.
Conserva, per un po', la carica di presidente onorario a vita dell'azienda Panini
di Robert Maxwell.
� presidente di "Promo" (societ� di promozione e gestione del quartiere degli
affari di Modena-Cittanova).
� sostenitore della Comunit� "L'Angolo" per il recupero dei tossicodipendenti. Si
occupa del suo Museo della Figurina, fondato nel 1986, che nel 1992 viene dato in
donazione al Comune di Modena e che, provvisoriamente ma non troppo, trover� asilo
proprio in un appartamento al Modena Due, in Via Scaglia 9.
Si occupa dei suoi archivi fotografici, per i quali � in cerca di quella
sistemazione che porter� all'istituzione dell'Associazione Giuseppe Panini.
Si occupa di "Sada" (Scuola di amministrazione e direzione aziendale), da lui
fondata sotto gli auspici della Confindustria e con il contributo economico della
Comunit� Europea.
Si occupa di altri immobili, tra cui quel Centro commerciale 2000, che ospita sia
la sua Tana che il Liceo linguistico "Mercurio", la Sada e il direzionale Modena
Due.
Altre attivit�, invece, deve almeno in parte cederle, perch� non ha pi� tempo o
perch� non lo interessano pi�. � il caso del gi� citato Liceo linguistico
"Mercurio", da lui fondato nel 1978 per sopperire alla mancanza di un'istituzione
scolastica locale di lingue straniere. A distanza di tredici anni, rimasto -
insieme con una figlia - unico proprietario, accetta di allargarne la base sociale
cedendo ad alcuni genitori di alunni buona parte delle quote della societ�.
Giuseppe infatti, per mancanza di tempo, non riesce pi� a seguire l'istituto come
faceva i primi anni. Cos�, saputo delle sue intenzioni di mettere sul mercato gran
parte delle quote della "Didacta" (la societ� a responsabilit� limitata
proprietaria della scuola) che senz'altro avrebbero interessato altri operatori
cittadini dell'istruzione privata, alcuni genitori - tutte persone di spicco nella
vita economica modenese - costituiscono una piccola "cordata", elaborando una
proposta finanziaria che Giuseppe accetta. L'operazione coinvolge una sessantina di
persone che si impegnano ad acquistare tutte le quote messe a disposizione (circa
il 90% del pacchetto). Il valore delle singole quote � tenuto piuttosto basso - si
parla di 1 milione circa - in modo da consentire un effettivo allargamento della
base sociale. Ci� permetter� di entrare a far parte della gestione del liceo
linguistico, oltre parecchi genitori, anche alcuni degli insegnanti della scuola.
Il progetto didattico vuole proseguire e sviluppare l'opera svolta fino a quel
periodo. Si progetta anche di tenere corsi di italiano per manager stranieri che
lavorano a Modena e di pubblicare un giornale interno redatto dagli studenti, che
sar� inviato in abbonamento gratuito agli operatori economici della provincia.
Servir� loro per scegliere giovani collaboratori in grado di parlare correttamente
almeno un paio di lingue straniere, da inserire nella loro azienda. Questo era
stato, del resto, uno dei motivi che aveva spinto Giuseppe alla fondazione del
"Mercurio".
"Conobbi il signor Giuseppe proprio a seguito dell'istituzione del liceo", spiega
Danilo Iacomacci, che poi l'avrebbe aiutato nella sistemazione degli immensi
archivi fotografici conservati nella Tana. "Lui aveva accolto la proposta
dell'allora vice-provveditore agli Studi, dando vita a questa scuola che
inizialmente ebbe un successo enorme, con 4 sezioni per ogni classe. Ha chiuso poi
circa due anni fa per svariati motivi, non ultimo il fatto che lo Stato, dapprima
assente in questo campo, ha cominciato a creare delle sezioni linguistiche nei
licei, sezioni sperimentali che naturalmente erano riconosciute e, soprattutto,
gratuite. Ci sono state inoltre le ripercussioni del calo demografico e alla fine
sono stati costretti a chiudere. Il signor Giuseppe aveva gi� ceduto; per lui la
spesa era diventata insopportabile, nonostante la scuola fosse una sua creatura e
nonostante lui ci tenesse tanto alla cultura. All'inizio erano quattro o cinque
soci, poi era rimasto solo lui. Ci furono in seguito altri tentativi con l'ingresso
di nuovi soci, che per� non servirono ad arrestare il corso delle cose. Il
"Mercurio" era s� una scuola privata, ma serissima e che bocciava, non un
diplomificio. Il signor Giuseppe, poi, su questo punto non transigeva; non fece mai
pressioni neppure quando due dei suoi stessi figli lo frequentarono. Non voleva
favoritismi. Anzi, si fece un vanto, quasi, che un figlio fosse stato bocciato un
anno".
"Addio, venditore di sogni. Nella tua vita hai sempre fatto una cosa sola,
preziosa, rara: hai saputo vendere, regalare sogni ad intere generazioni. (...)
L'album della tua vita non ingiallir�: ci sar� sempre qualcuno, in qualche angolo
di questo caotico globo, che attaccher� qualche idea con la tua colla magica fatta
di entusiasmo, passione, spirito di servizio. Come tutti i collezionisti eri
affamato di cose, di oggetti, ma generoso, pronto a donare tutto con la stessa
passione con la quale cercavi i pezzi mancanti di questa o quella raccolta. Hai
lasciato un segno, una strada - proprio come nelle fiabe migliori - fatta di tanti
sassolini che altri dovranno raccogliere e trasformare in sogni". Cos� il direttore
Antonio Mascolo, dalla prima pagina della sua "Gazzetta di Modena", salutava per
l'ultima volta il cittadino e amico Giuseppe Panini. Giuseppe muore il 18 ottobre
1996, a 71 anni, per arresto cardiocircolatorio. � colto da malore mentre sta
uscendo di casa, poco prima delle 13. Lo soccorrono la moglie e il figlio pi�
giovane, ma spira prima ancora di giungere all'ospedale.
Da tempo soffriva di problemi cardiaci che l'avevano costretto a tre interventi
chirurgici per l'applicazione di by-pass. Non era per� fuori pericolo, tanto che a
giorni avrebbe dovuto affrontare una quarta operazione all'aorta.
Fin dalle prime ore del pomeriggio la camera ardente � stracolma di gente: tutti
vogliono dare l'addio a Giuseppe, prima che venga sepolto nel cimitero del vicino
paese di Baggiovara, luogo d'origine della famiglia. E altrettante persone ci
saranno il giorno e il giorno dopo ancora, quello dei funerali. Si svolgono in
Duomo e sono officiati dall'arcivescovo emerito monsignor Santo Quadri, suo amico
di lunga data. A coadiuvarlo, una decina di sacerdoti, anch'essi - in vario modo -
a lui legati. Ma quanti amici aveva, Giuseppe Panini? Sembra che tutta la citt� si
fermi, quel sabato pomeriggio, per salutare quel suo figlio che se ne va.
Quattromila persone, registrano i cronisti. Autorit�, industriali, politici (sar�
ufficialmente ricordato in consiglio comunale, in consiglio provinciale, dai vari
esponenti di partito, dal presidente dell'Associazione Industriali Luca Cordero di
Montezemolo, dalla Cna, dai sindacati...), campioni del volley (qualche giorno dopo
gli sar� solennemente dedicato dall'amministrazione comunale il Palazzo dello
Sport, che da allora si chiama "PalaPanini", mentre la Lega Pallavolo lo ricorder�
su tutti i parquet di serie A1 e A2 con un minuto di raccoglimento), ma anche
semplici amici, dipendenti, tifosi della pallavolo, gente comune: una folla
immensa, che gremisce il Duomo e il piazzale antistante, quello dove - a lato -
c'era e ancora c'� quell'edicola da cui ebbe inizio l'avventura.
Nella sua omelia monsignor Quadri lo definisce "un galantuomo", un "imprenditore
galantuomo, che con coraggio e audacia ha saputo affrontare giorno per giorno le
difficolt� della vita per creare qualcosa di utile non solo per s� ma anche per
tanti giovani e adulti. Il suo "segreto" fu nell'essere ancorato a saldi valori
morali. Giuseppe ha saputo cogliere i legami tra fede e vita". Durante il rito
funebre canta per lui la Corale Rossini, altro vanto della citt�; Giuseppe ne era
stato presidente per un certo periodo. In mezzo alla folla che lo attende sul
sagrato, e che lo accoglier� con un lunghissimo applauso, ci sono pure alcuni
ragazzi che negli anni '80 si sono salvati dalla droga grazie anche al suo aiuto.
"Nel 1984", ricorda uno di loro "Giuseppe ha donato alla comunit� "L'Angolo" Villa
Urtoler a Formigine. Da quel gesto nacque un progetto e tutti noi che ci siamo
passati siamo riusciti a salvarci dalla droga. Non ci ha aiutato solo
materialmente; veniva a trovarci spesso, ci faceva sentire quasi come dei figli.
Per Natale portava a cena da noi la squadra di pallavolo. Non lo dimenticheremo
mai".
Questa e le seguenti sono testimonianze raccolte dalla "Gazzetta di Modena"
nell'ampio servizio dedicato alla memoria di Giuseppe, dal quale qui riporto ampi
stralci. Cos� questa figurina n. 28 non � una semplice figurina come le altre, ma
una "valida", che porta con s� il premio di poter far ascoltare - a tutti - le voci
di chi quel giorno ricord� Giuseppe Panini per sempre. Lo ricordano anche tre
grandi firme del giornalismo italiano che per lui, per�, erano innanzitutto tre
amici: Guglielmo Zucconi, Arrigo Levi ed Enzo Biagi. "Frequentavo Panini da quando
ero studente", rievoca commosso Zucconi (che sarebbe poi anche lui morto poco tempo
dopo). "Una volta a Mosca ci incontrammo in una serata sull'imprenditoria italiana.
Gli venne l'idea di vendere le figurine con le immagini del Politburo e del
Congresso cinese: "Venderei talmente tante figurine da camparci per secoli", mi
disse. Quando il Modena calcio scese in C1 lo esortai: "Ma cosa aspetti a tirarla
su tu, quella baracca l�?". Mi rispose in dialetto: "Ci ho messo tanto a fare i
soldi che non voglio mica prendere una fregatura col Modena!"". Arrigo Levi
ricorda: "Eravamo entrambi di Modena, ma sotto la Ghirlandina non l'ho mai
incontrato. Incredibilmente, ci vedevamo spesso nelle sale d'aspetto degli
aeroporti. Mi ricordo una volta a Roma: a causa di uno dei tanti scioperi aerei
parlammo per quattro ore di fila. L'immagine che ebbi di lui fu quella di un vero e
proprio imprenditore modenese, con la visione del mondo da "vero modenese", che �
poi quella di pensare in grande. Il modenese non ci si mette se non produce il
miglior aceto, le migliori macchine. Lui produceva le migliori figurine". Enzo
Biagi lo paragona ad Enzo Ferrari: "Stessa genialit�, stesso stampo, stessa
intraprendenza. Lo ricordo da ragazzo. Facevo il militare a Sassuolo, venivo a
Modena in libera uscita e compravo il giornale nella sua edicola. La madre guardava
nelle buste per vedere se c'era rimasto qualche francobollo... Una volta qualcuno
mi disse che in Emilia sono nati i pi� grandi geni d'Italia: Panini era fra
quelli".
"Giuseppe � stato l'uomo che ha avuto il coraggio di rischiare. Ha dato il via alla
nostra storia familiare, ha rappresentato un ideale, un modello per noi fratelli
pi� piccoli", dice il fratello Franco. "Come lo definirei? Un uomo dalle idee
chiare, che sapeva dove voleva arrivare ed era capace di trasformare in realt� i
desideri. A volte non sapeva come ottenere le cose, ma ci riusciva ugualmente:
aveva un grande fiuto".
"Era un uomo che riceveva affetto perch� sapeva trasmetterlo a chi gli stava
vicino. Era una grande persona", rammenta tra le lacrime Leo Novi, direttore
sportivo della Gb Cgc baseball e per dodici anni dirigente della Panini. "Sapeva
sempre mitigare e misurare ogni reazione. Mi ricordo quando abbiamo vinto la Coppa
delle Coppe ad Atene nel 1980. Eravamo una sparuta trib� di modenesi e abbiamo
battuto russi, bulgari e greci. Giuseppe era al settimo cielo. Era la prima volta
che la sua squadra vinceva un trofeo europeo ed era talmente entusiasta che avrebbe
voluto gridare al mondo la sua gioia. Era un innovativo ed � stato il primo a
volere lo svincolo dei giocatori. Mi ha insegnato una cosa molto importante, che
gli atleti non sono delle macchine e che bisogna sempre creare con loro un rapporto
umano". Giovanni Vandelli, che ha raccolto l'eredit� di Panini acquistando la sua
squadra di pallavolo, cos� lo ricorda: "Sono orgoglioso di aver conosciuto un
personaggio del genere. Panini mi colp� subito, quando lo incontrai per trattare
l'acquisto del Gruppo Sportivo. Non era solo una persona che cercava di vendere per
rientrare delle perdite subite, ma soprattutto un grande appassionato che si
preoccupava innanzitutto di chiedere garanzie per il futuro della sua creatura, la
mitica Panini".
Julio Velasco, l'ex-allenatore della Panini (4 stagioni, 4 scudetti) da lui
scoperto e lanciato, racconta di quando se ne and� per occupare il posto di
allenatore della Nazionale italiana di pallavolo: "Non vi � stato neanche un
saluto, perch� mi ha parlato come amico. Aveva capito che per me la Nazionale
rappresentava un traguardo a cui non potevo rinunciare; non ha posto problemi,
piuttosto mi ha chiesto consigli e idee su come proseguire. Ricordo una cena nella
comunit� "L'Angolo" di don Suffritti, proprio nel periodo in cui abbiamo saputo che
non venivano Quiroga e Martines. C'era tutta la societ� e si parlava di prendere
altri stranieri di minor livello rispetto a loro. Io allora dissi che, secondo me,
potevamo giocare con Bernardi e Guidetti, che non valeva la pena di prendere due
stranieri se non erano ad altissimo livello come Quiroga e Martines. Mi ricordo
bene che Giuseppe, che aveva tanto interesse che la squadra vincesse, disse: "Va
bene, se tu hai fiducia in questi giovani allora ce l'ho anch'io. Puntiamo su di
loro". � stata una dimostrazione del rispetto dell'opinione altrui. Abbiamo vinto
lo scudetto, con loro. Guidetti ha fatto una finale straordinaria, poi purtroppo ha
dovuto smettere di giocare; ma Bernardi � diventato il miglior giocatore del
mondo".
I dipendenti della Panini Figurine parlano di Giuseppe Panini come di un uomo di
grande onest� e umanit�: "� mancata una persona che era benvoluta da tutti, che era
molto alla mano". "Parecchi di noi l'hanno conosciuto molto bene", continuano
alcuni operai. "All'inizio eravamo davvero in pochi e ci conoscevamo tutti. Panini
organizzava delle feste nella sua casa in campagna e ci invitava. Si rideva e si
scherzava. Organizzava anche delle festicciole all'interno dell'azienda, per i
nostri bambini: preparava uno spettacolo di burattini, regalava gli album con le
figurine, lui stesso faceva divertire i piccoli. Alla fine, pi� che operai e
padrone, eravamo fratelli. Era davvero quella che si pu� dire una persona amata".
In quello scorcio di fine anni '80-inizio '90 sono tanti i gioielli modenesi che
prendono il volo, rilevati da stranieri. Inizialmente qualcuno si indigna: "Non �
possibile, si perde un patrimonio locale, si spostano i centri decisionali e
strategici". Poi, quando alla vendita della Panini seguono innumerevoli altri
episodi simili, gli ultimi che ancora oppongono resistenza se ne fanno una ragione.
E nella ricca provincia modenese di "arrivi" illustri se ne vedono parecchi.
Giorgio Fini cede l'impero faticosamente costruito dal commendator Telesforo,
immagine della Modena d'inizio secolo. Tutte le attivit� industriali dell'azienda
se le aggiudica la tedesca Kraft, colosso da 35.000 miliardi l'anno di fatturato.
Nell'agosto '88, dopo la morte di Enzo Ferrari, la Ferrari - gi� di propriet� della
Fiat - viene acquisita al 90%. E ci� a potenziamento di una presenza Fiat da tempo
molto consistente che a Modena, oltre al quartier generale di Fiatgeotech,
controlla parecchie aziende del biomedicale della Bassa modenese, la Carrozzeria
Orlandi a Modena, la Magneti Marelli a Carpi e detiene il 49% della Maserati di De
Tomaso e il 51% della Innocenti. Nell'89 � il tessile a fare notizia: la Sim di
Sassuolo, produttrice di abbigliamento casual "griffato" da noti stilisti, passa di
mano. Escono le famiglie Ricchetti e Banfi e, a mettere fine alle vicissitudini
finanziarie dell'azienda, fa il suo ingresso il milanese Francesco Micheli, che ne
rileva l'intero pacchetto azionario, cedendo poi un 10% a Giorgio Armani.
Gioiellino della componentistica meccanica, l'Ansa Marmitte di Finale Emilia -
specializzata nella produzione di marmitte catalitiche - viene rilevata da Carlo De
Benedetti; Volvo e l'americana Travenol si contendono il biomedicale.
Ma, dopo l'euforia e dopo alcune prime esperienze negative, come quella della
Panini, la citt� comincia a interrogarsi.
Un intervento pubblico del capogruppo regionale del Psi Sergio Nigro sul "caso
Panini" riflette una preoccupazione che, gi� all'inizio degli anni '90, appare
generalizzata: "� questo stato di fatto un forte allarme per tutta l'imprenditoria
modenese indipendentemente da come la vicenda si concluder�, non solo perch� la
Panini � stata uno dei simboli di un'imprenditorialit� locale laboriosa e creativa,
ma perch� ci� che sta accadendo alla Panini pu� tranquillamente riproporsi per
altre aziende che negli ultimi anni sono state cedute a gruppi nazionali o
stranieri. Quando invalse qualche anno fa la moda di vendere a magnati della
finanza nazionale e internazionale alcuni preziosi gioielli di famiglia, molti
salutarono miopemente il fatto come l'inizio di un nuovo processo che avrebbe
spalancato le porte ad altri mercati ed avrebbe dato pi� peso alle aziende
rilevate. Noi, insieme ad altre poche eccezioni, gi� allora dicemmo a gran voce,
inascoltate cassandre, che non era questa la strada da percorrere per far compiere
un ulteriore salto di qualit� alla nostra economia e che la vendita ad altri di
aziende nate e cresciute a Modena avrebbe fatalmente determinato il trasferimento
dei centri decisionali lontano da Modena e dalla sua economia. La vicenda Panini a
cui stiamo assistendo in questi giorni sta troppo puntualmente dando ragione ai
dubbi di allora".
Nel giugno 1992 � lo stesso presidente dell'Associazione Industriali Modenesi,
Alberto Mantovani, a gridare pubblicamente il "mea culpa dell'imprenditore". Le
cause? Sono quattro: provincialismo, individualismo, carenze manageriali e approcci
troppo cauti con le nuove tecniche finanziarie. Nel dibattito interviene anche
Franco Cosimo Panini, che conferma: "C'� molto di vero nelle parole di Mantovani.
Siamo industriali da una sola stagione e in molti casi le imprese scontano la fine
di una dinastia. � stato cos� anche nel caso della mia famiglia, che non � stata
capace di preparare una successione e ha dovuto alienare la Panini per evitare che
i numerosi successori potessero farsi del male. E poi � vero che noi modenesi siamo
molto laboriosi, ma anche altrettanto permalosi. � un difetto che onestamente non
possiamo non riconoscerci".
Passano pochi mesi e, nel novembre dello stesso anno, il Gruppo Giovani
Imprenditori dell'Associazione Industriali Modenesi rende noti i risultati di una
propria ricerca sul sistema delle imprese locali a gestione familiare (il campione
d'indagine ne comprende 40). Sono "aziende dotate di una testa molto grande, piena
di idee, di intuizioni, di voglia di crescere, di inventare e di vendere nuovi
prodotti. Ma sotto si trova un corpo piccolo piccolo all'interno del quale, per
esempio, si fa fatica a valorizzare le risorse umane esistenti". Mancano i manager,
insomma, nonostante l'esistenza di una facolt� universitaria locale di Economia e
Commercio. Il fuoco sacro dell'imprenditore, la famiglia, i ruoli parentali non
bastano pi�; bisogna passare a una gestione professionale. Chi non lo far�, sar�
destinato alla scomparsa. La soluzione che si prospetta � la "familiarizzazione,
cio� la preparazione professionale dei familiari e l'assunzione di personale
qualificato esterno. Meglio un buon manager che un parente inadatto al ruolo che
occupa. L'imprenditore deve imparare a delegare, ad aver fiducia, a decidere in
gruppo e non da solo", concludono i Giovani Imprenditori.
Sono tutti rigorosamente in fila, dai due capostipiti - Antonio e Olga - in gi�:
l'ultimo, il n. 105, � appena nato (il suo fiocco azzurro sorride sulla porta della
Franco Cosimo Panini Editore). Ci sono gli otto figli e, in ordine cronologico di
apparizione nella serie, i loro mariti, le loro mogli, i ventisei nipoti, e poi
ancora le mogli e i mariti, i figli e cos� via. Strada facendo, ne sono venuti a
mancare alcuni, ma pochi. Sono longevi, i Panini, e inoltre il calo demografico
nazionale non � roba per loro, quanto piuttosto lo � la vecchia famiglia
patriarcale contadina della pianura modenese. Cento Panini in cento anni, e
soltanto considerando la discendenza dai genitori. Due anni fa - in occasione
appunto del centenario della nascita del patriarca Antonio - qualcuno di loro ha
pensato bene di preparare un apposito album Panini, 18 fogli dove � elencata tutta
la discendenza: ognuno con nome e cognome (e soprannome tra parentesi), il proprio
numero d'ordine e, al di sotto, il ruolo familiare che occupa, la data di nascita e
- in nove casi - di morte, e il segno zodiacale.
Con sobria sollecitudine l'elenco - che, naturalmente, � sempre aggiornato - mi �
stato fornito fin dall'inizio e mi ha quasi subito chiarito le idee: una collezione
di Panini, mi son detta. Dunque � cos� che vivono anche se stessi, come una parte
di un unico grande insieme, proprio come figurine di una serie.
Non esiste l'uno senza gli altri; la cosa pi� stupefacente � che la Famiglia �
vissuta con la stessa intensit� e partecipazione anche da chi, per ora, occupa le
ultime posizioni in graduatoria.
Nipoti e pronipoti non mancano mai ai grandi appuntamenti del parentado, e questo �
davvero insolito in giovani e giovanissimi che potrebbero - come tanti loro
coetanei - preferire amici, viaggi e altre occupazioni alle cosiddette gioie
familiari che il nostro tempo spesso vive come un obbligo sociale ineludibile anche
se molto saltuario.
Per i Panini non � cos�: spesso si riuniscono, e non soltanto durante le feste
comandate. Lo fanno per il puro piacere di stare insieme, di contarsi, di esserci.
Una catena di telefonate ben organizzata e collaudata, un'organizzazione
dell'evento altrettanto programmata e arrivano da tutte le parti, vicine e lontane,
per trascorrere una giornata insieme.
Questi incontri sono ricordati non solo con il mese e l'anno dell'avvenimento che
li ha generati, ma soprattutto con il numero dei partecipanti: "Quella volta che
eravamo in 84", "� stato quel giorno che eravamo in 87", "Sono sicura che � stato
il Natale in cui eravamo in 94".
Un altro parametro di misurazione della coesione familiare � rappresentato dal
numero delle uova: quelle dei tortellini o dei tortelloni che vengono mangiati
durante la riunione e che, fino a pochi anni fa, le stesse sorelle, cognate e
nipoti impastavano e piegavano in casa mentre i fratelli, cognati e nipoti si
davano da fare con il ripieno.
"L'ultima volta che ho cucinato io, per un compleanno della mamma, ho fatto 60 uova
di tortelloni", dice Edda. "Ho impastato al mattino; si capisce che non potevo fare
tutto da sola. Mio marito per� non poteva aiutarmi come faceva di solito perch� gli
era uscita l'ernia, allora venne la Maria, la moglie di Giuseppe. Abbiamo impastato
noi due, mentre mio marito ha rotto le uova; solo per far questo ci sono voluti
venti minuti. Intanto mia sorella Veronica badava agli zamponi. Quella volta
eravamo in 84 e abbiamo festeggiato dentro la Panini. Ci siamo divisi i compiti,
cos� ognuno ha fatto la propria parte: le donne piegavano i tortelloni, gli uomini
preparavano arrosti, bolliti, un pentolone di rag�... Tutto in casa. I nipoti hanno
apparecchiato; avevamo messo sul tavolo le insalatiere, il burro, il rag�, le
salse. Insomma, un ristorante non l'avrebbe fatto. Abbiamo fatto sedere tutti; man
mano che i tortelloni si cuocevano, Umberto li tirava su e alcuni li distribuivano.
I nipoti hanno servito in tavola, mentre noi ci siamo accomodati. In un
battibaleno... � stata una cosa bellissima. Quella per�, era il 1984, � stata
l'ultima volta che abbiamo fatto i tortelloni in casa, perch� effettivamente � un
po' faticoso, essendo in tanti.
Adesso andiamo a pranzo fuori oppure in campagna da Umberto, dove mangiamo dentro
il capannone che ha le automobili d'epoca. Ultimamente siamo andati anche in
pizzeria; eravamo in 96 e tutti gli altri clienti venivano a guardarci. � filato
tutto liscio, anche perch� avevamo portato per i pronipoti pi� piccoli un mucchio
di libri illustrati, cos� loro non si sono mossi da tavola e si sono divertiti lo
stesso.
A parte il fatto di essere in tanti, non ci sembra di aver fatto niente di
speciale. S�, � vero che quello che � successo ha avuto un'importanza pubblica, e
non solo per noi e per Modena. Ma, in tutto questo, noi siamo e restiamo una
famiglia. Una famiglia italiana come tante: normale, anzi, normalissima".
Ringraziamenti
Grazie a
Franco Cosimo Panini, Umberto Panini, Veronica Panini, Edda Panini, Lena Storti
Panini, Antonio Panini, Luca Panini
Roberto Armenia, Paolo Artioli, Paola Basile, Paolo Battaglia, Maria Teresa
Battistini, Arrigo Beltrami, Giorgio Bononcini, Maurizio Boschini, Carlo
Chiavarino, Piero Guerzoni, Danilo Iacomacci, Franco Iotti, Enrica Manenti, Antonio
Mascolo (e "Gazzetta di Modena"), Roberto Morandi, Alfredo Roma, Fabrizio
Venturelli, Enzo Vignoli, Franco Vignoli, Matilde Vignoli ed Andrea Vignoli