La mola idatiforme (conosciuta anche come mola vescicolare o mola idatidea o mola idatidosa) oppure gravidanza molare, è una forma anomala di gravidanza in cui un ovulo fecondato non vitale si impianta nell'utero e comporta l'instaurarsi di una gravidanza anormale (che non riuscirà ad essere portata a termine).[1]

Mola idatiforme
Immagine istopatologica di una mola idatiforme (tipo completo). Colorazione con ematossilina eosina
Specialitàpatologia
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-O9100/0
OMIM231090
MeSHD006828
MedlinePlus000909
eMedicine254657 e 279116
Tomografia computerizzata (TC) di una mola idatiforme, visione sagittale
Tomografia computerizzata (TC) di una mola idatiforme, visione assiale

Una gravidanza molare è una malattia gestazionale trofoblastica, ovvero si manifesta in una crescita abnorme del trofoblasto che determina lo svilupparsi di una massa in utero. Questa massa si forma a seguito del rigonfiamento di villi coriali, che si accrescono in gruppi e strutture cistiche che assomigliano a grappoli rigonfi di liquido. Una gravidanza molare può svilupparsi quando un ovulo privo di nucleo viene fecondato. Quest'ovulo non è poi in grado di convertirsi a tessuto fetale. Le gravidanze molari sono suddivise in parziali e complete. Il termine mola, per come viene usato in questo contesto, indica semplicemente una "crescita" di tessuto. Una mola completa è causata dalla penetrazione di un singolo spermatozoo (90% dei casi) oppure di due spermatozoi (restante 10% della casistica) all'interno di un ovulo che ha perso il suo DNA (lo spermatozoo poi si duplica formando un set "completo" di 46 cromosomi).[2] Il genotipo è tipicamente 46, XX (diploide) a seguito di successiva mitosi dello spermatozoo fecondante, ma può essere anche 46, XY (diploide).[3] Il genotipo 46, YY (diploide) non è stato mai osservato. Al contrario, una mola parziale si verifica quando un ovulo normale viene fecondato da due spermatozoi o da uno spermatozoo che duplica se stesso dando luogo ai genotipi 69, XXY (triploide) o 92, XXXY (tetraploide).
Una mola idatiforme completa presenta un rischio più elevato di evolvere in coriocarcinoma - un tumore maligno delle cellule del trofoblasto - rispetto ad una mola parziale.
Una mola idatiforme può essere considerata come un "mancato aborto spontaneo" in quanto la gravidanza è divenuta non vitale ma il prodotto del concepimento non è stato espulso, cioè abortito.[4]

Etimologia

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Il termine deriva dal greco hydatís-ídos (che sta a significare "una goccia d'acqua"), con riferimento al contenuto acquoso delle cisti, e dalla lingua latina mole (ovvero masso, riferendosi al falso concepimento). Il termine, secondo altri, deriva dalla somiglianza esistente tra la mola vescicolare e le cisti idatidee proprie dell'echinococcosi.

Epidemiologia

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La mola idatiforme è una complicanza comune della gravidanza, che negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi si verifica con un'incidenza di circa 1 ogni 1000 gravidanze.[5] In altri paesi, ed in particolare nel continente asiatico, si registrano tassi molto più alti (ad esempio, in Indonesia, fino a 1 caso ogni 100 gravidanze).
In Europa l'incidenza è leggermente più bassa rispetto agli Stati Uniti, e nel nord Italia (nel periodo 1979-1982) è ammontata a 62 casi ogni 100.000 gravidanze.[6] Gli studi epidemiologici evidenziano che la gravidanza molare è molto più comune agli estremi d'età: le donne con meno di 20 anni od al di sopra dei 40 presentano infatti un rischio maggiore.[7] Quando una donna ha già avuto una mola idatiforme la probabilità di avere un'ulteriore successiva gravidanza molare è pari a circa l'1-2%.[8][9]

Eziologia

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L'eziologia di questa condizione non è completamente nota. I potenziali fattori di rischio possono includere difetti dell'ovulo, anomalie all'interno dell'utero, oppure carenze nutrizionali. Altri fattori di rischio verosimilmente includono le diete a basso contenuto di proteine, vitamina B12, acido folico[10][11] e carotene.[12] In letteratura medica è stato segnalato che anche elevati livelli plasmatici di omocisteina potrebbero giocare un ruolo nello sviluppo del disturbo.[10]

Storia naturale

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Una mola idatiforme è una gravidanza, una forma di concepimento, nella quale la placenta si caratterizza per il contenere delle vescicole simili ad acini d'uva, solitamente visibili ad occhio nudo. Le vescicole derivano dalla distensione dei villi coriali ad opera del fluido. Quando il tessuto viene ispezionato al microscopio, balza all'occhio l'iperplasia del tessuto trofoblastico.[13][14] Se non trattata, una mola idatiforme evolverà quasi sempre in un aborto spontaneo (interruzione di gravidanza). Sulla base dell'aspetto morfologico, una mola idatiforme può essere suddivisa in due tipi:

  • mola completa - tutti i villi coriali hanno un aspetto vescicolare e non è presente alcun segno di sviluppo embrionale o fetale.
  • mola parziale - solo alcuni villi presentano un aspetto vescicolare mentre altri appaiono pressoché normali, ed è possibile apprezzare uno sviluppo embrionale/fetale, ma il feto appare sempre chiaramente malformato e non è possibile che sia vitale.

La diagnosi differenziale tra mola completa ed incompleta si avvale dell'immunoistochimica, tramite ricerca della proteina p57, che viene fisiologicamente inattivata nel genoma paterno. Se tale proteina non viene espressa, vuol dire che tutto il patrimonio genetico è paterno (mola completa).

In rari casi, una mola idatiforme coesiste in utero con un feto normale e vitale. Questi casi sono dovuti al fenomeno dei gemelli. L'utero contiene due prodotti del concepimento: uno con una placenta anomala e nessun feto vitale (la mola idatiforme), e uno con una placenta normale e un feto vitale. Se mantenuta sotto attento controllo medico è spesso possibile per la donna gravida riuscire a dare alla luce il bambino normale e contemporaneamente ricevere un trattamento adeguato per la gravidanza molare.[15]

Il set diploide di DNA proveniente dai soli spermatozoi sta a significare che tutti i cromosomi hanno una soppressione dei geni modellata sullo schema dello spermatozoo ed ottenuta tramite metilazione. Questo fatto porta alla crescita eccessiva del sinciziotrofoblasto mentre la metilazione dell'ovocellula conduce ad una predilezione nell'utilizzo delle risorse a favore dell'embrione, con un sinciziotrofoblasto sottosviluppato. Questo fenomeno si ritiene sia il risultato di una competizione evolutiva con i geni maschili che portano ad investire un gran numero di risorse a favore del feto, mentre i geni femminili indirizzano verso una restrizione delle risorse volta a massimizzare il numero della prole.[16]

Origine parentale

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Nella maggior parte delle mole complete, tutti i geni del nucleo vengono ereditati solo dal padre (androgenesi). Il meccanismo più probabile e che dà conto di circa l'80% di queste mole androgenetiche è che la cellula uovo vuota (priva di nucleo) sia fecondata da uno spermatozoo, e successivamente si verifichi una duplicazione di tutti i cromosomi e geni (un processo chiamato "endoriduplicazione").
Nel restante 20% delle mole complete, il meccanismo più probabile è che una cellula uovo vuota (priva di nucleo) venga fecondata da due spermatozoi. In entrambi i casi, le mole sono diploidi (cioè nelle cellule vi è la presenza di due copie di ogni cromosoma). In tutti questi casi, i geni mitocondriali sono ereditati dalla madre, come al solito.[17]
La maggior parte delle mole parziali sono invece triploidi (tre set cromosomici). Il nucleo contiene un set di geni materni e due set di geni paterni. Il meccanismo, anche in questo caso, è di solito il raddoppio del set aploide paterno derivante da un unico spermatozoo, ma può anche essere la conseguenza di una fecondazione dell'ovocellula da parte di due spermatozoi.

In rari casi, le mole idatiformi sono tetraploidi (possiedono quattro set di cromosomi) o hanno altre anomalie cromosomiche.[18]

Una piccola percentuale di moli idatidiformi presenta genomi diploidi biparentali, come nelle persone normali in vita. Presenta cioè due set di cromosomi, ciascuno ereditato da ogni genitore biologico. Alcune di queste moli si verificano in donne che presentano mutazioni nel gene NLRP7. Questa mutazione sembra predisporre verso una gravidanza molare. Queste rare varianti di mola idatiforme possono essere complete o parziali.[19][20][21]

Presentazione clinica

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Le gravidanze molari di solito esordiscono con sanguinamento vaginale indolore nel quarto-quinto mese di gravidanza.[22][23] L'utero può essere più grande del previsto, oppure le ovaie possono essere ingrandite. Alcune donne accusano vomito estremamente intenso (iperemesi); talvolta vi è un aumento della pressione arteriosa e presenza di proteine nelle urine (proteinuria): questo è il fenomeno della preeclampsia o gestosi (in questo caso gestosi bisintomatica di tipo PH). La mola produce hCG in eccesso rispetto ad una gravidanza normale e gli esami del sangue mostrano concentrazioni estremamente elevate di gonadotropina corionica.[24] Talvolta le donne con mola idatiforme accusano sintomi tipici di ipertiroidismo. Questa sintomatologia è una conseguenza diretta dei livelli estremamente elevati di hCG; questo ormone può infatti mimare l'azione dell'ormone stimolante la tiroide, il TSH, comportandosi dunque come un debole agonista dei recettori della tireotropina (TSH).[25] In questi soggetti, le concentrazioni estremamente elevate di gonadotropina corionica (hCG) ed i livelli soppressi di tireotropina suggeriscono e confermano l'attività tireotropica di hCG.[26][27]

Diagnosi

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La diagnosi è fortemente suggerita dalla semplice esecuzione di un esame ad ultrasuoni (ecografia) dell'utero. La diagnosi definitiva e di certezza richiede l'effettuazione di un esame istopatologico. Il quadro ecografico della mola idatiforme ricorda nell'aspetto un grappolo d'uva (si parla anche di aspetto di "utero a nido d'ape" o utero con "tempesta di neve".[4][28][29] Il trofoblasto prolifera molto più del normale e vi è un marcato ampliamento dei villi coriali. L'angiogenesi nei trofoblasti appare gravemente compromessa.

Trattamento

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La mola idatiforme deve essere trattata con la completa rimozione dall'utero mediante la sua aspirazione uterina (isterosuzione) oppure ricorrendo al curettage chirurgico il più presto possibile dopo la diagnosi, al fine di evitare i rischi di evoluzione in coriocarcinoma.[30] Le pazienti sono seguite fino a quando la concentrazione ematica di gonadotropina corionica (hCG) non raggiunge un livello così basso da divenire non più rilevabile. Le mole invasive o metastatiche (tumore) possono richiedere l'esecuzione della chemioterapia specifica e spesso rispondono bene al metotrexate. Dal momento che contengono antigeni paterni, la risposta al trattamento è quasi del 100%. Le pazienti sono invitate a non concepire per un anno, dopo aver sviluppato una gravidanza molare.

L'intervento di raschiamento uterino è generalmente fatto sotto l'effetto dell'anestesia spinale e preferibilmente in pazienti emodinamicamente stabili. I vantaggi dell'anestesia spinale sono rappresentati dalla tecnica relativamente facile, dagli effetti polmonari e respiratori favorevoli, dalla possibilità di essere utilizzata con sicurezza nelle pazienti che presentano segni di ipertiroidismo, ed infine dalle proprietà farmacologiche non tocolitiche.
Inoltre, dal momento che la paziente resta cosciente, è più facile diagnosticare eventuali complicanze, come la perforazione uterina, il distress cardiopolmonare e la tempesta tiroidea in una fase precoce rispetto a quanto avviene quando la paziente è sedato o sotto anestesia generale.[31][32] La gestione è decisamente più complicata quando la mola si verifica associata alla presenza in utero di uno o più feti normali. Carboprost (PGF2α) è un farmaco che può essere utilizzato per determinare la contrazione uterina.

Prognosi

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Più dell'80% delle mole idatiforme sono benigne. Il risultato che si ottiene dopo il trattamento è di solito eccellente. Un follow-up frequente è essenziale. Le donne debbono adottare un metodo contraccettivo molto efficace e viene raccomandato loro di evitare la gravidanza per almeno 6 mesi o meglio per 1 anno. Nel 10-15% dei casi la mola idatiforme può svilupparsi in una forma di mola estremamente invasiva. Questa condizione prende il nome di malattia trofoblastica persistente (PTD).
Le mole possono infiltrarsi così profondamente nella parete uterina che ne può conseguire una grave emorragia oppure altre complicanze. Questo è il motivo per cui, una volta completato l'intervento chirurgico, i medici tendono a richiedere l'esecuzione di una radiografia addominale completa e di una radiografia del torace. Nel 2-3% dei casi, una mola idatiforme può svilupparsi in coriocarcinoma, una forma di tumore maligno, caratterizzato da una rapida crescita e dalla tendenza a diffondere (metastatizzare) con facilità.
Nonostante queste caratteristiche, che normalmente depongono per una prognosi sfavorevole, la percentuale di guarigione, dopo un adeguato trattamento chemioterapico, è alta. Oltre il 90% delle donne affette da tumore maligno, non metastatizzato, sono in grado di sopravvivere e di mantenere la loro capacità di concepire e avere figli. Nelle donne con cancro e metastasi, la percentuale di remissione si attesta comunque tra il 75 e l'85%, anche se, di norma, viene persa irreversibilmente la capacità di concepire. La prognosi della mola idatiforme può essere stimata ricorrendo ad un sistema di punteggio, come ad esempio il Modified WHO Prognostic Scoring System, nel quale si sommano punteggi variabili da 1 a 4 tenendo in considerazione diversi parametri.[33]

Modified WHO Prognostic Scoring System[33]
0 1 2 4
Età <40 ≥40
Gravidanze precedenti mola aborto a termine
Intervallo (in mesi) dalla gravidanza indice <4 4–6 7–12 >12
hCG sierica pretrattamento (IU/L) <103 103–104 104–105 >105
Dimensioni del tumore (incluso l'utero) <3 3–4 cm ≥5 cm
Localizzazione delle metastasi polmone milza, rene gastrointestinali fegato, cervello
Numero di metastasi 1–4 5–8 >8
Precedente chemioterapia fallita singolo farmaco ≥2 farmaci

Le donne con un punteggio pari o superiore a 7 debbono essere considerate ad alto rischio.

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  2. ^ Pathologic Basis of Disease, 8ª ed., Saunders Elsevier, 2010, pp. 1057–1058, ISBN 1-4377-0792-0.
  3. ^ Kumar V, Abbas AK, Fausto N, Aster, JC, Pathologic Basis of Disease, 8ª ed., Saunders Elsevier, 2010, pp. 1057–1058, ISBN 1-4377-0792-0.
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