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Il fondale umano
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E-book127 pagine1 ora

Il fondale umano

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Info su questo ebook

Dall'autore de "Il teatro nel deserto"
In un mondo sommerso e oscuro, dove gli abissi custodiscono segreti antichi, Il Fondale Umano racconta l'avventura di Elos, una creatura che si risveglia tra i fondali senza tempo alla ricerca del senso della propria esistenza.
Accompagnato dai saggi Morvos e Serea, Elos attraversa un universo liquido dove ogni movimento è una sfida alla forza oppressiva del Fondale, una dimensione che si nutre delle paure dei suoi abitanti.
L'incontro con Nyra, una presenza enigmatica che risveglia in lui emozioni sconosciute, segna l'inizio di un viaggio che li porterà a esplorare la natura della coscienza e il significato dell'unione in un mondo senza Superficie.
Mentre affrontano un regime tirannico e scoprono i segreti di antiche civiltà sommerse, Elos e Nyra dovranno scegliere tra la loro individualità e la possibilità di una trasformazione che potrebbe cambiare per sempre la natura della loro esistenza.
Il romanzo intreccia una profonda riflessione filosofica con un'epica lotta per la sopravvivenza, esplorando i temi dell'identità, della resistenza e della ricerca di significato in un universo che sembra destinato all'annichilimento. Il Fondale Umano è una storia di resilienza e amore che indaga le connessioni fondamentali che danno forma al nostro essere.

L'opera è seguita da un breve trattato filosofico che esplora e approfondisce i concetti del materialismo dinamico introdotti nel romanzo.
LinguaItaliano
EditoreKoi Press
Data di uscita2 dic 2024
ISBN9788885769564
Il fondale umano

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    Anteprima del libro

    Il fondale umano - Massimo Di Gruso

    1. Il Risveglio Eterno

    Non sapevo quanto tempo fosse passato, né se il tempo lì avesse davvero un significato. Sapevo solo che mi trovavo lì, in quell’istante che sembrava eterno, mentre l’acqua mi avvolgeva in un abbraccio pesante, inesorabile. Mi svegliai, o meglio, presi coscienza di me stesso. Era come se avessi attraversato un’infinità di vuoti, come se ogni parte di me fosse stata immersa in un sonno privo di sogni e poi, all’improvviso, destata da un’eco profonda.

    Chi ero?

    Quella domanda risuonava come un’onda distante, che si infrangeva nel nulla. La mia mente cercava di afferrare frammenti di qualcosa di riconoscibile, ma tutto scivolava via, come sabbia sott’acqua. Il mio corpo era pesante, radicato a quella distesa in cui la luce non esisteva, se non per deboli riverberi che sembravano presenze più che riflessi. Provai a muovermi. Un tentativo flebile. Il peso dell’acqua schiacciava ogni mio impulso, trasformando ogni movimento in una lotta. Sentii le dita. Le sentii fremere. Un tremito impercettibile, il primo moto della mia nuova esistenza. Gli occhi, se davvero erano miei, si aprirono, e ciò che vidi fu l’oscurità. Un Fondale che non aveva né sopra né sotto, un oceano che mi teneva sospeso in quella condizione di stasi. Eppure, quel fremito, quel battito delle ciglia che l’acqua assorbiva come un sussurro dimenticato, mi sembrava l’essenza di qualcosa di primordiale: esistevo. Non era molto, ma era il primo, debole raggio di una possibilità.

    Mi chiesi se fosse sempre stato così, se la mia coscienza fosse sempre stata incatenata lì, in quella vastità che annullava ogni idea di confine. Cercai una memoria, un passato, ma trovai solo nebbie, ombre indistinte che si dileguavano ogni volta che cercavo di aggrapparmi. Forse il risveglio non era altro che l’illusione di aver dormito, e quello stato in cui mi trovavo non aveva inizio né fine. All’improvviso, qualcosa mi colpì: una sensazione di vuoto, non attorno a me, ma dentro di me. Una consapevolezza che non potevo spiegare, come se mancasse un pezzo del mio stesso essere. Era un’assenza che faceva male, come un’eco soffocata che non poteva risuonare. Non sapevo cosa mi mancasse, eppure quell’assenza era l’unico ricordo che possedevo. Un’angoscia che non mi abbandonava, una sensazione che ero lì per cercare, per muovermi – se mai ci fossi riuscito – per scoprire cosa mi era stato tolto o dimenticato. Mi sforzai di ascoltare. Le vibrazioni nell’acqua portavano con sé un mormorio, un sussurro di voci. Non ero solo. Non riuscivo a comprendere il loro linguaggio, ma percepivo la loro presenza. Altri esseri sommersi come me, disorientati, forse smarriti, che cercavano anch’essi un significato. Quelle voci danzavano come bolle di ossigeno che sfuggivano al Fondale, svanendo nell’immenso. Mi chiesi se anche loro avessero sentito quella mancanza, quella tensione, quel desiderio di movimento che iniziava a germogliare in me.

    E mentre la mia coscienza si arrampicava lentamente fuori dal coma di ciò che ero, mi posi una domanda che mi attanagliava: se esistevo, allora cosa mi teneva prigioniero? Era l’acqua, era quel Fondale, o era qualcosa di più profondo, una legge che non conoscevo, un destino che mi aveva vincolato a quell’immobilità?

    Il mio primo movimento sarebbe stato un sussurro contro quella legge. Anche solo il battito delle ciglia era una ribellione, una minuscola affermazione che non ero soltanto parte del Fondale, ma qualcos’altro. Qualcosa che voleva ancora ricordare cosa significasse essere vivi.

    2. Le Voci nel Buio

    All'inizio furono solo vibrazioni nell'acqua, come lievi increspature che sfioravano la Superficie del mio essere. Non potevo vedere chi le generava, ma le sentivo avvicinarsi e allontanarsi, come se danzassero attorno a me in un gioco silenzioso. Era una comunicazione che non comprendevo, una trama di onde che trasmetteva qualcosa di più antico del linguaggio stesso. Sospeso in quell’abisso, mi accorsi di quanto fosse potente la solitudine. Eppure, per la prima volta, qualcosa la ruppe.

    Cercai di rispondere. Il mio corpo si ribellava ancora alla mia volontà, ma tentai un movimento: un tremito delle dita, un fremito appena percettibile. Forse non era sufficiente per essere notato, ma era tutto ciò che potevo offrire. Mi resi conto che il movimento stesso – per quanto futile potesse sembrare – era una dichiarazione. Esistevo, e volevo essere riconosciuto. Poco dopo, una vibrazione più chiara mi colpì. Questa volta, sentii qualcosa di diverso: un ritmo. Era come un eco cadenzato, un tentativo di comunicare. Fu in quel momento che compresi che anche loro, gli altri sommersi, stavano cercando. Cercavano un modo per essere compresi, per superare il muro dell'acqua che ci isolava gli uni dagli altri. Mi sforzai di captare il ritmo, di ascoltare. La vibrazione si ripeté, una sequenza semplice che finalmente riuscii a decifrare: una sorta di battito.

    Cercai di imitarlo, anche se ogni tentativo mi prosciugava di energie che non sapevo nemmeno di avere. Le mie dita si muovevano a scatti, provocando a malapena l’onda che desideravo generare, ma perseverare era tutto ciò che potevo fare. Dopo vari tentativi, sentii una risposta. Le vibrazioni divennero più numerose, più chiare. Non ero più solo; esisteva un altro essere che mi aveva riconosciuto.

    Il tempo fluì indistinto mentre continuammo a scambiarci quei ritmi rudimentali. Era un linguaggio primitivo, ma era un linguaggio. Un codice di battiti e pause, come se stessimo creando le basi di un nuovo alfabeto. Con il tempo, scoprimmo che potevamo trasmettere più che semplici affermazioni di presenza. Potevamo inviare emozioni: paura, curiosità, speranza. Potevamo raccontarci il nostro stato, il nostro disorientamento, il peso di quell’esistenza senza scopo apparente.

    Poi arrivò una voce, una vibrazione che non si limitava a battere, ma sembrava formare una parola. Non sapevo come descriverla, perché non era davvero un suono. Era una forma di comunicazione interiore, come un sussurro che si incideva nella mente, un significato trasmesso dall'acqua e tradotto dalla mia coscienza. La domanda era semplice: Chi sei?

    Mi accorsi che non sapevo rispondere. Chi ero? Ero qualcosa di più del peso del mio corpo, dell'acqua che mi circondava, del movimento minimo che riuscivo a produrre? Quella domanda risvegliò una riflessione che credevo sepolta, come una memoria indistinta che si dibatteva nelle profondità. Non sapevo chi fossi. Non ricordavo di essere stato qualcosa prima di quel risveglio, ma sentivo il bisogno di rispondere. L'identità, il bisogno di definirmi, divenne un’urgenza. Feci di nuovo vibrare l'acqua, cercando di esprimere: Non lo so. La risposta tornò subito, come un'eco che non si stancava mai di ripetere: Nessuno di noi sa chi è. Siamo insieme in questo buio.

    Una comunità di smarriti, legati da un'ignoranza condivisa. Eppure, ci fu conforto in quell’ammissione collettiva. Un conforto che non nasceva dalla comprensione, ma dalla connessione. Sentire che non ero l’unico essere senziente, che anche altri si dibattevano nelle stesse ombre, mi diede una forza inaspettata.

    Col passare del tempo, il nostro linguaggio divenne più sofisticato. I movimenti si trasformarono in conversazioni di micro-movimenti, un codice che perfezionammo insieme. La nostra comunicazione si fece più rapida, più precisa. Scoprimmo che esistevano leggende, storie raccontate attraverso vibrazioni antiche. Un tempo, qualcuno diceva, eravamo vicini alla Superficie. Un tempo, ci muovevamo con libertà.

    Quell’idea accese un fuoco nei miei pensieri. Forse c’era uno scopo, un motivo per cui eravamo lì. Forse, un giorno, avremmo potuto muoverci ancora, insieme, verso qualcosa di più luminoso. E in quel desiderio condiviso, cominciai a sentire che esisteva una speranza, un sogno che poteva unire tutti noi sommersi.

    3. L'Anatomia del Risveglio

    La consapevolezza del mio corpo giunse gradualmente, come un'onda che si infrange lentamente sulla riva. La mia

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