Morte e Fotografia
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Anteprima del libro
Morte e Fotografia - Nazzareno Luigi Todarello
L’AFFANNO DEI MORTI
Nel suo dramma La piccola città (l’ho messo in scena due volte, ma vorrei farlo ancora una volta) Thorton Wilder racconta di una giovane donna, Emily, che muore di parto, nel pieno della vita. Si ritrova così tra le anime dei morti che l’hanno preceduta. Anima tra le anime. Il suo desiderio di vivere è ancora talmente forte che ottiene di ritornare nel mondo dei vivi. Gli altri morti la sconsigliano di tornare laggiù. Soffrirai troppo, le dicono. No, risponde lei, sceglierò un giorno speciale, quello del mio dodicesimo compleanno, sarò felice. Si trova così tra i suoi famigliari, suo padre, sua madre, suo fratello. Tutti le fanno gli auguri per il suo compleanno. Riceve dei regali. Loro sono nel loro tempo, non sanno che lei è morta. Non lo è ancora. Lei invece sa di essere già morta e di essere nel passato
. Per quelli che ama è il presente
quello che per lei è ormai irrimediabilmente passato. Soffre, Emily, di come loro
vivono la loro vita come se niente fosse
. La guardano come se niente fosse
, con affetto naturale, niente di più
. Lei vorrebbe qualcosa di speciale, uno sguardo più intenso, più consapevole. Il fatto è che lei ha già provato come tutto questo sia destinato a finire. Loro no. Sono così giovani, così belli! Perché devono invecchiare e morire?
. Prima che il giorno finisca Emily decide di tornare tra i morti. Non si può tornare indietro. E non si può convincere i vivi a condividere l’affanno dei morti per la vita. Il dramma di Thorton Wilder ci dice che i due mondi sono irriducibili. I morti sono
ancora, ma non sono per noi. Né noi vivi siamo in grado di essere per loro. Sembra cioè voler chiudere il discorso con due considerazioni che possono coesistere. Anche ammettendo che ci sia un aldilà in cui i morti continuino a vivere
, noi non possiamo saperne niente. Né possiamo in qualche modo entrare in contatto. La vicenda di Emily è esemplare per assurdo
. Dimostra il contrario di quello che è. È un ritorno che dimostra l’impossibilità di tornare. È un tentativo che fallisce perché non poteva non fallire. Ma dietro l’invenzione poetica di Wilder c’è una verità ancora più profonda. Una verità cioè che, stando più in profondità, nutre questa invenzione e tante, tantissime altre cose. L’Occidente, nel suo insieme, non crede nell’aldilà. Perché non crede che ci sia qualcosa di diverso dal presente. È la dottrina del nulla che avvolge dai due lati l’attimo. È un punto di vista che ha avuto e ha la pretesa dell’oggettività. È comprensibile che sia così. Perché tutti noi siamo stupefatti davanti allo scorrere continuo delle cose. Al loro apparire e al loro svanire. Stupefatti e terrorizzati, perché sappiamo che anche noi siamo dentro il comune destino dell’apparire e dello svanire. E tra l’apparire e lo svanire, confini insuperabili tra l’essere e il nulla, niente resta quello che è. La trasformazione è continua. Non c’è un attimo uguale a un altro. In ogni attimo siamo diversi da quello che eravamo nell’attimo precedente. Questa consapevolezza del nulla che circonda da ogni lato l’essere, del continuo mutare delle cose, dell’essere noi stessi dentro questo continuo mutare che finirà inevitabilmente con il nostro annientamento non può che trovarci riluttanti. E generare tentativi di riscatto. Rimedi. Li genera da millenni e continua a generarli, perché è questo il pensiero dei pensieri, la paura delle paure. Filosofia e religione sono state i rimedi
. Oggi, dopo l’uccisione di Dio e il trionfo della scienza, siamo dentro una nuova via: l’indifferenza. Il nostro tempo, il tempo dell’Occidente che è diventato ormai il tempo di quasi tutti gli uomini, cerca di dimenticare il desiderio d’eternità. Supplisce con la festa continua, garantendo che il paradiso esiste ed è ora. Follia! Siamo immersi nella follia. E non lo sappiamo. Se lo sapessimo non saremmo così folli. Perché la questione dell’eterno non può essere risolta con una alzata di spalle. Possiamo dimenticarla, far finta che non esista. Ma questo non vuol dire che non esista più. Prima o poi si ripresenta. Anche per chi prende la soluzione dei problemi materiali e il possesso come la vera festa della vita, il suo trionfo sulla morte. Ma la fotografia di chi è morto ci ripropone inevitabilmente la questione. Guardando la fotografia di chi abbiamo amato e non c’è più, ci facciamo le stesse domande di Emily: sono così giovani, così belli, perché devono invecchiare? Perché devono morire?
IL RICORDO
Il ricordo è ricordo di qualcosa che non è presente. Il ricordo in sé è presente alla coscienza, altrimenti non ci sarebbe ricordo. L’oggetto del ricordo invece non è presente. Ma questo non essere presente significa due cose diverse. Può essere ricordo di qualcosa che è lontano nello spazio. Una persona lontana, un luogo che abbiamo visto, nel quale abbiamo vissuto, ecc. Il ricordo di queste cose è presente alla coscienza ma le cose in sé non sono presenti. Non sono dentro il cerchio di luce al centro del quale ognuno si trova. Per luce
si deve intendere raggio d’azione della coscienza che percepisce il mondo. La coscienza però sa che esistono ancora, anche se lontani. C’è poi il non essere presenti
perché lontani nel tempo. Il nostro passato non è ovviamente presente
. Noi lo ricordiamo e il ricordo, anche in questo caso, è presente, ma il passato in sé non lo è. Questa sensazione di non presenza diventa dolorosa se si tratta di esseri amati non più presenti. C’è differenza tra non presenza per distanza nello spazio e non presenza per distanza nel tempo? Il senso comune ci dice di sì, c’è una grande differenza. So che mia figlia è lontana, non la vedo da tempo, ma so che è viva e probabilmente la vedrò presto. Cioè tra poco, probabilmente, rientrerà nel cerchio di luce dell’apparire che è la mia coscienza nell’atto di percepire il mondo. Ma facciamo un ragionamento che tenti di superare il senso comune. Noi ormai sappiamo che il tempo non esiste in sé, così come sappiamo che lo spazio non esiste in sé. Sono due facce della stessa inestricabile realtà. Sono la stessa cosa. La fisica quantistica ci parla di particelle di spazio/tempo. Non esiste lo spazio vuoto di tempo e non esiste il tempo che scorre da solo nello spazio vuoto. Ancora di più: le equazioni che descrivono la gravità quantistica non contemplano, a differenza di tutte le equazioni della fisica scritte prima, la variabile tempo. Cioè, per capire cosa succede nella piccolissima scala della materia, bisogna tralasciare il concetto di tempo, altrimenti le cose non quadrano. Quindi se il tempo non esiste, che senso ha dire che una persona è lontana nel tempo? Possiamo immaginare che chi è uscito da quello che chiamiamo tempo sia in realtà in una condizione simile a chi è uscito dal nostro spazio luminoso? Inoltre: ci può essere ricordo di qualcosa che è diventato nulla? Se una cosa che non è presente perché è lontana nello spazio, può improvvisamente riapparire con il suo spazio/tempo a incrociare il mio spazio/tempo, posso immaginare che una cosa non presente perché lontana, illusoriamente, nel tempo, possa riapparire improvvisamente con il suo spazio/tempo a incrociare il mio spazio/tempo? Ma si può obiettare: il primo caso succede in continuazione. Il secondo non succede mai. È così in effetti se intendiamo il secondo caso come una resurrezione, cioè un ritorno dal nulla. Ma se immaginiamo la scomparsa delle cose semplicemente come l’uscita dal cerchio luminoso al centro del quale ognuno di noi è, la prospettiva cambia. Quando il sole tramonta, dice Emanuele Severino, noi non lo vediamo più. Scompare, non è più presente e niente ci dice che lo è stato. Il presente è la notte, il buio. Dov’è il sole quando non lo vediamo? Ciò che cade sotto i nostri sensi non ci risponde. Potremmo credere che sia scivolato nel nulla. Occorre una teoria perché non si cada nel terrore della notte eterna. Una conoscenza che ci rassicuri. Le popolazioni con conoscenza insicura passavano gran parte della notte, come ci racconta Levi Strauss, a cantare canti di paura e di preghiera, nella speranza che ciò servisse a far tornare il sole, che allontanasse con la luce gli spiriti. Ma il sole ritorna, i morti no. E questo è indiscutibile. L’esempio del sole che scompare serve infatti solo a creare l’immagine del pensiero che ciò che esce dal cerchio luminoso dell’apparire può continuare a brillare altrove. Ora guardiamo una fotografia cara. Cosa succede? Succede quello che