Dietro il sorriso
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Info su questo ebook
«Voglio che la mia storia racconti sì il mio dolore di mamma e donna, ma anche il desiderio di rinascere e migliorare, capire ciò che è importante nelle piccole cose di ogni giorno, perché non sia mai la fine.»
Amelia Durante, classe 1982, è nata a Rivoli e vive a Borghetto Santo Spirito con i suoi due figli. Si definisce una principessa guerriera e un’anima tutta da scoprire. Dietro il sorriso è il suo libro d’esordio.
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Anteprima del libro
Dietro il sorriso - Amelia Durante
Prefazione
di Alessandro D’Adamo
Da anima a anima. Da cuore a cuore. Questo è il modo in cui si comunica con l’amica Amelia.
Non rimanendo più due persone separate ma divenendo un’unica anima. In una sacra comunione. Questo è dono che Amelia ti porta con la sua amicizia e la sua presenza.
Un mondo soave di comunicare
dove le anime si fondono, si intrecciano come fili di seta, senza più distinzione fra essi.
In questa sacra unione, la tua amicizia è un dono prezioso che porto con me.
Con il tuo modo di vivere l’amicizia e il tuo amore incondizionato verso la vita.
fai sentire completo chi ti ha davanti,
lo fai sentire perfetto così com’è.
Ci aiuti a vedere con gli occhi
del cuore che siamo tutti
degni di amore e felicità, donandoci un senso di connessione profonda con tutto il Cosmo.
Quale anima non desidererebbe tale benedizione?
Poche sono le anime che possiedono questo dono.
Quindi, se avrai la fortuna di incontrarla, di conoscerla o an che solo di parlare con lei per un breve istante, sii attento e presente. Perché in quei momenti, sarai avvolto dalla sua luce, una luce che trasuda amore in ogni suo respiro.
Questa luce risveglierà in te una consapevolezza profonda, un senso di gratitudine per l’amore che ti circonda. Sentirai il calore di un abbraccio spirituale, che ti avvolge e ti nutre, elevando la tua anima a nuove altezze. In quel momento, non sarai più solo, ma abbracciato dall’amore che Amelia riversa su di te.
O Amelia, amica cara, grazie per la tua presenza sacra e per il dono dell’amore che porti con te. Che la nostra amicizia continui a brillare come una stella nel cielo notturno, irradiando calore e felicità. Che sia un richiamo costante alla bellezza dell’amore e alla sacralità dell’essere amici, da anima a anima, da cuore a cuore.
introduzione
Ci sono persone destinate a vivere la vita fino alla fine, altre il cui destino impedisce di venir fuori dal grembo materno, altre ancora a cui sono concessi brevi momenti, poco tempo, alla luce di quel miracolo profondo chiamato vita.
Ho affrontato a neanche trent’anni il dolore della perdita. Ho dovuto dire addio a un figlio senza neppure potere figurarmene il volto e seppellirne un altro, a distanza di un anno, dopo averlo cullato per poche ore senza potere sentire il suo cuore battere ancora.
Scrivere questo libro mi farà vibrare l’anima, il dolore è grande ma l’amore per i miei figli è eterno, più forte, e saranno loro ad aiutarmi a scriverlo nonostante le lacrime che cadranno sul mio viso.
Il pericolo di precipitare negli abissi si annida dietro gli occhi sbarrati dinanzi all’annuncio lapidario e inappellabile che «tuo figlio è morto», i capogiri e il respiro corto che ti annebbiano la mente, ti trascinano nel dolore senza nome, viscerale, incomunicabile al di fuori, lo svuotamento dell’anima.
Loro, per me, non sono mai andati via e saranno le parole scritte, qui e ora, a farli vivere per sempre.
Si può, a causa di un dolore insopportabile, divenire individui che sono schiacciati dall’essere per la morte, mentre ancora sarebbe possibile essere generativi, vitali, in continuo divenire.
Ho deciso di scrivere questo libro per l’amore verso i miei figli che, così facendo, non vivranno solo nei miei pensieri ma anche nei vostri.
Voglio che la mia storia racconti sì il mio dolore di mamma e donna, ma anche il desiderio di rinascere e migliorare, capire ciò che è importante nelle piccole cose di ogni giorno, perché non sia mai la fine.
Le mie parole nascono dal desiderio di inneggiare alle spinte generative di entusiasmo, come quello dei bambini per l’appunto, che sono felici di fronte a una distesa azzurra di mare cristallino, gioiosi sotto un cielo sereno quando splende il sole.
Mi auguro che, leggendo, chiunque di voi possa estrapolare dalle proprie lacrime e dal proprio dolore la forza di vivere il quotidiano con il sorriso, apprezzando anche solo il volo di una farfalla colorata.
Capitolo 1
Radici
Afferrare il bandolo della matassa e iniziare non è facile, ma proverò a raccontare chi sono partendo dalle origini, dalle mie radici.
Sono stata una bambina felice, con dei genitori normali. Si può dire che fossi ignara di quanto quegli anni avrebbero rappresentato i più sereni in famiglia, preludio di un’adolescenza che, lungi da me fare la vittima, posso affermare senza indorare la pillola sia stata parecchio più problematica.
Sono nata a Rivoli il 17 luglio del 1982, anno e mese in cui l’Italia ha vinto i Mondiali. Non eravamo campioni del mondo, noi, ma la quotidianità era scandita da quelle cose semplici che fanno di ogni casa l’angolo sicuro, il giardino felice di qualsiasi bambino quando c’è pace e nessun problema particolare. I miei genitori, commercianti, avevano un banco di frutta e verdura al mercato di Torino e gli affari andavano bene. Figlia unica per dodici anni, diventai quando ero ormai una ragazzina sorella maggiore di un maschio, che tanto avevo desiderato. Era scontato che il passaggio da tre a quattro in famiglia comportasse un cambiamento nelle dinamiche dei rapporti che già avevano iniziato a incrinarsi per via dello stato di salute mentale di mia madre. Detta così, sembrerebbe quasi che il nuovo arrivato abbia scompaginato quiete e ordine, in realtà era per me motivo di grande gioia. Un figlio fortemente desiderato e che però ci aveva messo dodici anni e mezzo ad arrivare.
Non che mi rendessi conto di quello che accadeva, quando ero così giovane. Si sa che soltanto da adulta riesci ad offrire a te stessa un’analisi lucida di ciò che, quando lo vivi dall’interno senza gli strumenti che la maturità ti dà, è più un subire che un agire. Si sarebbe capovolto tutto dopo, quando agire sarebbe diventata la mia parola d’ordine.
Così, da bambina tranquilla e priva di grandi difficoltà, mi ritrovai nell’adolescenza a dovere fare i conti con i disturbi di una donna, colei che mi aveva messa al mondo, che ine vitabilmente avevano delle ripercussioni sull’intero nucleo familiare. Una donna fragile e problematica, cui si contrapponeva un padre non proprio tagliato per prendere in mano le situazioni e porvi rimedio. Che colpa se ne poteva dare a un uomo che trascorreva le giornate a lavorare per potere sostentare noi tutti? Le levatacce, agli orari in cui la gente normale dorme, alle due ogni notte, la fatica al mercato e poi il necessario bisogno di riposare per potere l’indomani reggere di nuovo il ritmo di un’attività cui lui era stato avviato da mia madre, quando si era reso conto che ne avrebbe beneficiato in termini di maggiori guadagni rispetto al lavoro in fabbrica che faceva quando si erano conosciuti. Lui, mio padre, cresciuto in collegio dopo che la madre era morta ad appena trentasei anni quando lui di anni ne aveva soltanto sei, lei, mia madre, una donna in apparenza volitiva e determinata, le cui sofferenze interiori sarebbero esplose nel tempo, fino al punto massimo di tolleranza, dopo la morte di suo padre, mio nonno. È lei stessa a riconoscerlo, ancora oggi. Dopo la perdita iniziò una condotta scriteriata che si capiva ci avrebbe portato allo sgretolamento della nostra bella famiglia. Si separarono, i miei genitori, dopo le continue liti, prima che le cose degenerassero più di quanto le scenate di mia madre già facevano. Da quel momento in poi, per scelte sbagliate e comportamenti immaturi, tutto ciò che erano riusciti a creare insieme finì per andare in fumo: il nostro bel castello crollò.
Io e mio fratello restammo a Rivoli con lei mentre mio padre, venduti i banchi al mercato in città, si trasferì nella casa al mare, mentre le liti non finivano mai di ricordarci che la pace era lontana.
Bisognerebbe potere entrare nella sua mente per comprendere l’impatto che tale perdita, quando aveva l’età che ho adesso io mentre scrivo, ebbe per il suo sistema emotivo già compromesso. Per il nostro racconto, tuttavia, basterà soltan to prenderne atto e andare avanti, per capire quanto il dolore cumulato negli anni in cui la vidi, e ancora oggi è così, stare male abbiano forgiato il mio carattere, la mia resistenza, la capacità di andare oltre e non arrendermi mai.
Scriverne adesso suscita un miscuglio di emozioni contrastanti. La rabbia, da un lato, il rammarico dall’altro, per saperla ancora così sofferente, senza che nessuno abbia potuto fare nulla per salvarla da se stessa, neppure lei.
A sedici anni mi feci male a una caviglia giocando a pallavolo e fui costretta a rimanere a casa da scuola: non sapevo che dopo quell’infortunio tra i banchi non ci sarei mai più tornata. Mia madre decise che era giunto il momento di occuparmi interamente delle faccende di casa e lavorare, così mi fece ritirare dall’istituto di ragioneria che frequentavo.
I ricordi che ho della scuola sono ancora vivi nel mio cuore e posso dire di essermi proprio divertita, dalle elementari alle superiori; ancora oggi sento e vedo i compagni a cui ero più legata. Negli anni Novanta noi studenti avevamo una sorta di divisa d’ordinanza rappresentata da due elementi indispensabili: lo zaino Invicta e la mitica Smemoranda. Il primo doveva essere scrupolosamente ricoperto di scritte e disegni di ogni tipo, roba che più lo rovinavi più potevi dire di averne uno figo. Lo tenevi dalle medie fino a quando non poteva dirsi distrutto, cosa che avveniva quando ormai la scuola l’avevi praticamente finita.
La «Smemo» poi, era