Nel mezzo della notte
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Anteprima del libro
Nel mezzo della notte - Roberto Benassai
Roberto Benassai
Nel mezzo della notte
Romanzo
Prima edizione 2005
Versione e-book 2024
Dedicato a te, mamma
Lo volli in fretta terminare.
Poco tempo ti restava,
tu non potevi più aspettare,
ma a te, prima fra tutti,
lo volevo raccontare.
Ti mettesti giù,
distesa sul tuo fianco
come quando ti volevi addormentare,
e ad occhi chiusi
ti accingesti ad ascoltare.
Per un’ora, forse più,
io rimasi lì a parlare.
Sembravi una bambina
cui si racconta una novella
per render la notte un po’ più bella.
Per una volta io ero tuo padre
e tu mia figlia.
Quando infine terminai,
sorridesti,
e io a te mi avvicinai.
Ignorando il tuo dolore
mi facesti un complimento
che ora porto nel mio cuore,
stella dentro il firmamento.
Adesso te ne sei andata,
dal tuo male liberata,
da quella infima prigione
ultima tua tribolazione.
E con il ricordo
di quell’ultimo sorriso
io ora prego:
vola mamma, vai!
Ti accolga il Paradiso.
7 maggio 2005
SANDRO
Sandro fu svegliato improvvisamente dal suono del telefono.
Si trovava in un albergo e la sera precedente aveva dato disposizioni in portineria di chiamarlo alle otto, ma aveva dormito così profondamente che non si ricordava più di questo particolare e si gettò verso il comodino alla ricerca della cornetta per rispondere.
«Pronto!» disse con la voce ancora impastata dal sonno.
Dall’altra parte rispose il suono metallico di un disco automatico.
«Buongiorno, la direzione dell’albergo le augura un buon risveglio. Le ricordiamo che la sala ristorante sarà aperta per la colazione…»
«La sveglia! Caspita che dormita.»
Stancamente si alzò, sbadigliando e stirandosi, poi aprì la tenda della finestra per far entrare un po’ di luce.
Era una splendida giornata, il sole era già alto, ma doveva fare un freddo cane poiché il parco sottostante era ricoperto da un piccolo strato di neve caduto nella notte.
C’erano già molte persone che camminavano lungo i vialetti. Alcune procedevano con passo svelto, forse a causa del freddo oppure per arrivare in tempo sul luogo di lavoro.
Alcuni anziani coraggiosi stavano seduti sulle panchine leggendo il giornale, imbacuccati dentro ai loro pesanti cappotti, formando delle nuvolette, intorno al loro volto, con il fiato che usciva dal naso o dalla bocca.
«Ci risiamo, anche oggi mi aspetta una giornata intensa» pensò. «Adesso la segretaria mi chiamerà sul cellulare per ricordarmi tutti gli impegni di oggi.»
Infatti, dopo alcuni istanti, il telefonino suonò.
«Buongiorno Stefania.»
«Buongiorno Sandro, come stai? Hai dormito bene?»
«Molto bene, grazie. In questo momento sto guardando fuori dalla finestra. Non ho voglia di andare a fare colazione. Non ho voglia nemmeno di andare a lavorare.»
«No Sandro, così non va bene. Alle nove hai il primo appuntamento, per cui devi sbrigarti. Alle undici devi incontrare il Cavaliere, per quella questione…»
«Stefania, per favore, conosco tutti gli appuntamenti di oggi. Non mi stressare, d’accordo? Ora voglio godermi il panorama per altri cinque minuti: mi ricorda una mattina di tanti anni fa. Anzi fai una cosa, telefona e rimanda di quindici minuti l’appuntamento delle nove. Possono aspettare, tanto ormai ce li ho in pugno quelli lì. Adesso ti lascio. Ci sentiamo più tardi. Ah, Stefania: mia moglie ha lasciato messaggi per me?»
«No, mi dispiace, sono alcuni giorni che non telefona qui in sede. Devo chiamarla?»
«No, lascia stare. Ho parlato con lei ieri sera. Ciao.»
Mentì. Erano alcuni giorni che non aveva notizie di lei né di suo figlio.
Si sedette davanti alla finestra e, pensando, continuò a guardare fuori.
Sandro era un uomo di affari, sulla quarantina, che spesso girava di città in città, in ogni parte del mondo, saltando da un aereo all’altro, correndo dietro ad una carriera che gli aveva creato molti problemi familiari dovuti alle sue frequenti assenze da casa.
Sua moglie Anna non aveva mai approvato quella sua scelta di vita e adesso abitava da sua madre insieme al figlio Luigi.
Sandro, nella sua rincorsa affannosa al denaro, aveva trascurato entrambi. Era diventato ricco, ma era molto solo. Era rispettato da tutti, nel mondo del lavoro, per le sue capacità, per la stabilità che era riuscito a dare alla sua azienda, ma soprattutto per la sua maestria nel trasformare in soldi tutto ciò che gli capitava fra le mani.
Poi, però, aveva preteso troppo dalla sua abilità ed era incappato in una serie di affari andati male che adesso ne minavano la solidità economica.
Anche nella sfera privata le cose non andavano bene: la famiglia era in piena crisi, non solo a causa della sua carriera.
Anna si era sentita tradita dal comportamento del marito ed aveva considerato la carriera di Sandro come un nemico da combattere. In questo modo, però, aveva contrastato sempre ogni sua decisione, opponendosi a qualsiasi iniziativa, anche se positiva, finendo per disapprovare ogni cosa, incapace di capire ciò che stava a cuore a suo marito.
I due si erano allontanati e Luigi, ancora minorenne, viveva con la madre. I continui spostamenti del padre gli impedivano di avere un rapporto costante con lui e non era possibile che i due potessero abitare insieme.
Lei non perdeva occasione per rinfacciare questa situazione al marito ed ogni volta che si vedevano finivano sempre con il litigare.
Luigi, già dalla più tenera età, aveva sempre sentito bisticciare i suoi genitori e, dopo ogni litigio, aveva sempre sentito sua madre continuare a parlare male di suo padre. Anche se questi se ne era già andato via, lei andava avanti con il suo sfogo gridando ed inveendo contro di lui.
A forza di sentire questi discorsi, Luigi si era fatto l’idea che il padre fosse un poco di buono ed Anna non aveva fatto niente per convincerlo del contrario. Tutta questa situazione lo aveva allontanato quasi definitivamente da suo padre che considerava come un intruso quando si faceva vivo.
Per questi motivi Sandro spesso rinunciava ad andare a casa. Sapeva che anche lì sarebbe stato da solo. Così, per evitare di essere ancora più triste, preferiva vivere negli alberghi di altre città.
Mentre pensava a Luigi e al padre che non era stato per lui, notò un gruppo di ragazzi che correva lungo i vialetti per andare a scuola. I loro zaini oscillavano pesantemente da una parte all’altra delle loro schiene e, mentre correvano, si davano fastidio l’un con l’altro, tirandosi la neve e ridendo di gusto.
Improvvisamente gli tornò in mente un episodio di quando era ragazzo, talmente nitido da sembrargli trascorso da pochi minuti. Invece erano passati quasi venticinque anni.
Sorrise ripensando a quei momenti.
Guardando fuori, vide la sua faccia riflessa nel vetro della finestra. Si soffermò a osservarla e curiosamente riconobbe il volto di se stesso all’età di quindici anni. La sua mente lo catapultò indietro nel tempo, in un’altra parte del mondo, insieme agli amici d’infanzia, quelli che non si scordano mai.
«Forza, alzati Sandrino, pelandrone che non sei altro. Il sole è già alto e oggi non dovrai andare a scuola. Guarda fuori» gridò sua mamma dal piano inferiore.
Sandro, che solitamente era un po’ pigro e ci metteva un sacco di tempo prima di svegliarsi per bene ed alzarsi, fu incuriosito dalla seconda parte della frase e si alzò di scatto.
Indossò le ciabatte e in fretta corse verso la finestra che dava sul cortile. Aprì gli scuri e con grande soddisfazione esclamò:
«Wow, la neve! Evviva, niente scuola, oggi giocherò tutto il giorno. Mamma, mamma, la neve!»
Era un evento particolare e raro per quei luoghi, dove il clima era quasi sempre mite.
«Dai Sandro alzati, vieni giù a fare colazione. Poi vestiti bene, così potrai andare fuori a giocare.»
Si vestì in pochi secondi, dimenticando perfino di lavarsi il viso, scese le scale con la velocità di un fulmine, sorseggiò il latte che era già pronto sulla tavola e volò fuori.
«Sandro, non ti pare che ti manchi qualcosa?» gli gridò dietro sua madre.
«Il giubbetto, accidenti!» esclamò.
«Anche il cappello e i guanti. E poi non ti bagnare troppo, altrimenti ti ammali.»
«Sì mamma.»
«E torna per l’ora di pranzo!»
Ma Sandro non sentì quest’ultima raccomandazione perché era già corso fuori a tutta velocità.
«Devo andare ad avvertire Elena e Marco» pensò mentre correva per la strada innevata.
I tre ragazzi erano nati lo stesso anno ed avevano vissuto sempre insieme in quel paese. Inoltre erano anche compagni di scuola.
Capì che anche gli altri due avevano avuto la stessa idea quando li vide apparire lungo la strada, di fronte a lui, che gridavano dalla contentezza.
«La neve, Sandro, la neve!» e ridevano tutti e tre.
«Ragazzi, qui bisogna organizzare qualcosa di eccezionale per questa straordinaria nevicata» disse Marco, che era la mente creativa e la coscienza del gruppo.
«Che cosa proponete?» domandò Elena, che spesso si affidava ciecamente alle decisioni degli altri due.
«Per prima cosa direi di fare… una bella battaglia a pallate, tu che ne pensi Sandro?» e così facendo Marco incominciò a scagliare palle di neve agli altri che, senza indugi, iniziarono a reagire.
«Penso che sia la cosa migliore che tu abbia mai detto in vita tua!» esclamò Sandro continuando la battaglia.
E così, ridendo, gridando dalla gioia e bagnandosi come dei pesci a forza di tirarsi la neve, continuarono per molto tempo.
In tarda mattinata, solo per riprendere fiato, decisero di costruire un grande pupazzo di neve. C’era solamente da scegliere il posto migliore.
Lì, nel mezzo della campagna, c’era tanto spazio. Ai loro occhi si mostrava una grande distesa di campi imbiancati dalla neve che restava incontaminata, bella, candida, perché in quel posto non ci passava nessuno.
Il paese era un po’ più distante, era piccolino e non ci abitavano molte persone.
In tanti se ne erano andati verso le grandi città in cerca di fortuna, nel tentativo di trovare un lavoro.
Così, a poco a poco, tante famiglie ed alcuni amici avevano abbandonato quel luogo, che ormai era abitato solamente da coloro che non volevano rinunciare alle loro radici.
I genitori di Marco avevano una bottega di alimentari, con annesso un piccolo bar. Tiravano avanti con dignità, senza strafare e spesso stringendo i denti.
Sandro aveva perso suo padre da un po’ di tempo e sua madre faceva i salti mortali per non fargli sentire questa pesante mancanza.
Elena era quella che economicamente stava peggio. I suoi genitori avevano già deciso di andare via, ma prima di farlo aspettavano la conferma di un nuovo posto di lavoro per il padre.
«Io direi di andare a costruire il pupazzo nel campino davanti alla chiesa» disse Marco.
«Ma non pensi che ci sia troppa gente? Insomma sotto tutti gli sguardi dei curiosi» si oppose Elena che era un po’ timida quando si trattava di avere a che fare con persone che non fossero Sandro e Marco, con i quali, invece, sarebbe andata anche in capo al mondo.
«Penso che abbia ragione lei» disse Sandro.
«È vero, dobbiamo pensare a un posto tutto nostro. Ci sono: ai piedi della vecchia Torre» propose Marco.
«Sì, andiamo là!» esclamò Elena.
«Ci sto anch’io!» disse convinto Sandro.
I tre si incamminarono verso quel posto.
La vecchia Torre, come essi la chiamavano, era una rocca che aveva resistito nel tempo a guerre, terremoti ed età, ed era diventata il loro posto preferito per giocare e per parlare.
Non era molto distante, si trovava vicino alla piazza della chiesa, che poi era quello che si poteva definire il centro del paese, ma allo stesso tempo era anche un po’ isolata, perché per raggiungerla bisognava percorrere per alcune centinaia di metri una piccola strada, stretta ed in salita.
La vecchia Torre si trovava in una posizione elevata rispetto a tutto il resto del paese. Era un luogo dal quale si poteva godere di un panorama splendido su tutto il circondario.
Si incamminarono per raggiungerla e quando passarono per la piazza il campanile della chiesa suonò le undici.
Affacciato sulla porta del bar c’era il padre di Marco. Sperava che qualche cliente infreddolito entrasse per bere qualcosa di caldo.
«Dove andate ragazzi?» domandò alzando la voce per farsi sentire dall’altra parte della piazza.
«Alla vecchia Torre» rispose Marco.
«Mi raccomando, all’ora di pranzo a casa.»
«Va bene, babbo; ci vediamo dopo a casa.»
Iniziarono la salita