About this ebook
Pia Rimini fu un'autrice triestina, assidua frequentatrice dei circoli letterari di Italo Svevo e Umberto Saba. Di origine ebraica, come molti pensatori del suo tempo, fu deportata ad Auschwitz nel 1944, luogo dal quale non fece ritorno: nonostante avesse ricevuto il battesimo i tedeschi la considerarono a tutti gli effetti ebrea e la sua scomparsa è avvolta in un velo di mistero.
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Eva e il paracadute - Pia Rimini
IL FRUTTO
— Perchè non sputi nel piatto?
Marilù rigirò in bocca uno spicchio d’arancio, divise attenta e lenta la polpa dai chicchi che risputò, tranquilla, in una buccia d’arancia capovolta.
— Me l’ha insegnato la mia mamma – spiegò con la voce grossa: – Domani li metteremo ad asciugare al sole.
— Per fare che? – domandò la ragazza la quale, in piedi, aspettava che Marilù avesse mangiato.
Marilù non rispose, rovistava con l’indice fra i chicchi umidi e lucenti; e poichè l’arancia glielo aveva ingiallito, lo succhiò.
— Cresceranno delle piante – disse poi con aria d’importanza.
— Va là!
— Lo ha detto la mamma! – E Marilù saltò giù dalla sedia, tolse dal davanzale un vasetto in cui crescevano tante foglioline di un giallo tenero sugli steli sottili. – Sono piante d’arancio. La mamma le ha seminate un anno fa. Non credi? Prova – e la invitò con il gesto a strofinarne una foglia fra le dita, per odorare il delicato odore.
— Fatti togliere il tovagliolo.
— Lascia! Faccio da me. Quando sarò grande, mi compero un giardino grande e sputo chicchi d’arancia.
— Adesso va a dormire.
— Aspetto la mamma.
— È in salotto. Ci sono visite.
— Chi?
— Non so.
— Vado a vedere.
Lisa la rincorse per il corridoio, la raggiunse dietro l’uscio:
— Che fai?
— Voglio sentire.
— Vieni.
Dentro s’udiva una voce aspra.
— È la nonna.
Marilù vuole bene alla mamma di papà, ma ha un poco soggezione di lei quando parla alla mamma, perchè la nonna aggrotta le ciglia e fa la voce grossa.
Lisa la prese per un braccio:
— Andiamo.
— Io vado dalla mia mamma.
Si scrollò, si difese, aggredì: – Ti picchio, se non mi lasci! – battè contro l’uscio: – Lasciami! Va via! – e poichè Lisa non cedeva: – Mamma! Mammetta! Mammetta mia! – gridò dietro la porta che subito si aprì.
— Va a letto, Marilù.
— Piangi? Mammetta, che ti hanno fatto? C’è posto per te nel mio letto. Ti racconterò la storia del lupo e della fata buona. Non piangere – e le accarezzava le gote molli.
— Mandala via – disse di dentro la nonna. – I bambini a quest’ora vanno a letto. Che tu non sappia queste cose!
Ma poi, tentata anche lei di vedere Marilù, si avvicinò all’uscio aperto dove la mamma, inginocchiata per terra, teneva fra le braccia Marilù. Piangevano insieme, la mamma e la bambina, senza singhiozzi e si dicevano tante parole: la mamma accarezzandole i capelli e Marilù strisciando con le dita sulle gote di sua madre.
— Vieni a dare un bacio alla nonna – pregò la nonna.
— No – disse Marilù con la sua voce d’uomo arrabbiato – tu fai piangere la mia mamma.
E la nonna non seppe che cosa rispondere.
La mamma portò Marilù a letto, la svestì, le fece dire la preghiera, le accomodò le lenzuola, promise:
— Torno poi. Vado a salutare la nonna.
— Resta.
— La nonna aspetta.
— Non andare – e s’aggrappava al collo della mamma.
Ora Marilù aspetta. La mamma ha spento il lume. Fuori, nel quadro della finestra, il cielo pare bianco. Marilù vede una stella.
— Come ti chiami?
— Stella.
— Stella: tu che vedi nelle case, dimmi che fa la mia mammetta?
— Non lo so.
— Tu lo sai e non me lo vuoi dire.
La stella tace.
— Stella!
Marilù è scesa dal letto. Ora scivolerà, senza fare rumore, per il corridoio e andrà in salotto a cercare la mamma.
— Porta, non cigolare. Sii buona. Non ti darò più pedate quando gioco. – La maniglia è alta, Marilù ci arriva in punta di piedi. Buio. Marilù ascolta. Non c’è che un nastro di luce in fondo al corridoio, che filtra da una fessura. Marilù sospinge quella porta: entra in cucina. Subito non intende: dentro c’è un uomo che ella non conosce, vestito d’una giubba lucente di bottoni.
— Madonna mia! – grida Lisa balzando giù dalle ginocchia di lui: – Che paura! Chi ti ha detto di venire?
— Mamma! – singhiozza Marilù, cui quell’uomo fa tanta tanta paura perchè deve essere cattivo e deve avere picchiato Lisa, che ha la veste sbottonata ed è rossa e spettinata.
— Non c’è! È andata via – e poichè Marilù la guarda e non capisce: – Le ho portato via un’ora fa la valigia. È partita. È andata con la nonna.
— Mamma! Mamma! – urla Marilù torcendosi, convulsa, rotolando per il freddo della cucina, battendo la testa nei mobili, come se quel dolore potesse richiamare la sua mammetta bella.
— Mamma! Mamma!
Piange ancora. L’uomo è andato via. Lisa è rimasta con lei e le parla, materna, sottovoce:
— La mamma tornerà. Sta buona. Dormi.
Marilù non le dà retta e chiama la sua mamma. Ora vuole alzarsi, vuole andare a cercare il vestito della mamma: quello con le perline.
— Attenta che non lo sciupi.
— Tornerà? Quando?
— Va a letto. Ora viene papà.
Marilù ascolta: una chiave gira nella toppa; l’uscio di casa cigola. Marilù scappa a letto. Lisa spegne il lume.
Papà canta sottovoce. Quando papà canta così, alla sera, Marilù ha paura, perchè papà ride e pare un altro. È bello papà, ma quando ride e canta, la sera, è brutto.
La stella nell’angolo della finestra, guarda Marilù e occhieggia, ammiccando.
— Stella, dov’è la mamma?
Stella vedi la mia mamma?
Dille che ritorni!
Mamma! Mamma! – E quel dolce nome s’ammorbidisce nel sonno in un amaro sapore di lagrime.
Nel sogno la mammetta le sorride.
Alla mattina Marilù sente dietro l'uscio la voce di papà:
— Glielo dici tu?
Anche la voce della nonna. Papà insiste:
— Diglielo tu!
Poi la porta si apre. E Marilù chiude gli occhi. Qualcuno posa qualche cosa sul guanciale.
— Maria Luisa!
Marilù stringe gli occhi per avere l’aria di dormire.
— Va là che sei sveglia! Su! Alzati!
Marilù finge di non udire.
— Non fare la cattiva. Guarda.
Qualche cosa le sfiora il viso.
— Non vuoi guardare? È per te. È bella.
Marilù socchiude un occhio.
— Buon giorno, occhietti! – dice tutte le mattine la mamma.
Ma oggi la mamma non c’è.
— Buon giorno, Maria Luisa – dice la nonna – ti ho portato