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Vis: Prigionieri dell'algoritmo
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E-book271 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Il mondo si sta avviando verso la Quarta Rivoluzione Industriale, quella che potrebbe "mettere in discussione lo stesso significato di essere umano", come profetizzano da anni i santoni di questo cambiamento, su tutti Klaus Schwab. Quale sarà la società del futuro e come potrebbero evolversi i rapporti umani alla base della nostra civiltà? A questa domanda prova a rispondere VIS, Prigionieri dell'algoritmo, attraverso il racconto di due storie che corrono in parallelo su uno dei tanti possibili binari che il nostro mondo potrebbe percorrere. Uno scenario in cui i desideri umani si scontrano con i disegni di un ristretto gruppo di potere in grado di indirizzare a proprio piacimento i progressi della tecnologia.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2023
ISBN9791280657541
Vis: Prigionieri dell'algoritmo

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    Anteprima del libro

    Vis - Michele Crudelini

    Michele Crudelini

    VIS

    Prigionieri dell’algoritmo

    Autore: Michele Crudelini

    Pubblicato da

    Byoblu Edizioni Srls

    Via Deruta 20

    20132 Milano

    Copyright: © 2023 Byoblu Edizioni Srls

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN: 9791280657541

    Prima edizione: giugno 2023

    Editing e coordinamento editoriale: Federica Prestifilippo

    Revisione: Giulia Panaro

    Tutti i diritti sono riservati ove non diversamente specificato. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

    VIS

    Prigionieri dell’Algoritmo

    A Francesca, per essere costante fonte di incoraggiamento

    CAPITOLO I

    Una donna bellissima, seduta in lontananza su una panchina. Guarda nel vuoto, con occhi apparentemente inespressivi. Mi avvicino.

    È ancora più bella.

    Quegli occhi di un azzurro luccicante nascondono fortissime emozioni dimenticate. Devo parlarle. Ho bisogno di avvicinarmi a lei, di sentire che esiste, che palpita di vita.

    Mi metto a correre. Le suole delle mie scarpe rimbalzano ritmicamente sull’asfalto grigio. Aumento il passo, corro più velocemente, ma non riesco a raggiungerla, quella donna si allontana sempre di più. Il mio cuore pompa sangue, i battiti accelerano e l’ansia cresce. La donna si fa sempre più indistinta all’orizzonte e un suono invadente esplode alle mie spalle.

    Mi volto e… dei fari! Un clacson!

    Un camion ruggente che mi abbaglia con i suoi grandi occhi luminescenti.

    Mi travolge.

    DRIIIIIIIIN, DRIIIIIIIIN, DRIIIIIIIIN! Apro gli occhi…

    Fottuta sveglia del cazzo!, penso.

    Ore 7 e 15 del mattino. Ancora dieci minuti e mi alzo, dico fra me e me, rigirandomi nel letto come un bruco nel baccello.

    Venti minuti dopo, invece, mi ritrovo ancora lì, sempre sopra il mio materasso.

    Merda, sono in ritardo!

    Mi alzo, doccia rapida, colazione frenetica, infine mi vesto.

    Prima di uscire di casa mi fermo ancora per qualche istante davanti allo specchio per cercare di motivarmi. Oggi mi sono anche messo la camicia, rifletto guardando l’immagine di me stesso proiettata sul vetro mentre si aggiusta il colletto. Infine mi giro di profilo per vedere meglio l’accostamento con il resto dei vestiti.

    Dai, oggi sono anche vestito bene. Devo fare bella figura…

    Batto le mani per caricarmi ed esco di casa.

    Oggi mi attende una lunga giornata di lezione all’università.

    Le prime due ore... Storia delle Relazioni Internazionali, bene, scorro sullo smartphone il programma della giornata, mentre passeggio sul marciapiede incurante delle persone che mi camminano intorno. Dopo, vediamo un po’... cazzo! Economia Politica!

    Non sopporto il professore che tiene questo corso. Un vero stronzo!

    Uno snob piuttosto spocchioso. Il classico accademico presuntuoso, che allarga il suo ego elargendo lezioni di filosofia etica e morale alla platea di studenti. Un insopportabile barone circondato da una schiera di leccaculo. Tutti gli occhialuti delle prime file pronti ad annuire in sincronia a ogni teorema uscito dalla sua bocca.

    Dementi, penso mentre mi accingo a sedermi nell’abitacolo della mia macchina.

    Come se la vettura avesse le ali, do inizio al folle volo in un disperato tentativo di ridurre un ritardo che sembra ormai incolmabile. Nel lento traffico di macchine ondeggianti ma ferme, sgommo, inchiodo e strombazzo, frenetico come un cocainomane. Alzo il volume dello stereo per distrarmi da questo bordello.

    In radio passano Fenomeno di Fabri Fibra. Inizio a canticchiare in maniera automatica e lo scorrere del traffico si fa più leggero nella mia mente.

    Arrivo finalmente nei dintorni dell’università, ma, come di consueto, del parcheggio non c’è neanche l’ombra.

    Giro e rigiro intorno all’ateneo, seguendo attentamente con lo sguardo qualsiasi passante pronto ad avvicinarsi a un’automobile posteggiata, mentre, in contemporanea, butto occhiate ansiose al quadrante dell’orologio.

    Ormai saranno tutti seduti.

    Finalmente scorgo un parcheggio.

    Sfilo lo smartphone dalla tasca dei jeans strappati e clicco sull’app Whatsapp.

    Come tutte le mattine, trovo la casella piena di messaggi dei vari gruppi. Mmmh, vediamo un po’. Il regalo a Dalila no. Calcetto per stasera alle 19… le solite foto porno del gruppo di amici allupati, ecco…

    Apro infine la finestra di conversazione con lei.

    Claudia.

    «Max, sei un sottone!», mi direbbe il mio amico Luca. «Non devi farle da cagnolino!», mi apostroferebbe in maniera più diretta Rom.

    Fanculo, penso tra me e me e inizio lo stesso a digitare sul telefono. Sei già dentro? Mi tieni un posto vicino a te?

    Invio.

    Una spunta, aspetto.

    Due spunte grigie.

    Aspetto ancora.

    Niente.

    Due spunte blu.

    Dai cazzo, rispondi!

    Niente.

    La fatidica dicitura "sta scrivendo" non arriva mai.

    Sta diventando per me una dipendenza.

    Vivo ormai l’attesa che compaia quella frase, soprattutto con Claudia, con trepidazione solenne. E il non vederla mi fa sentire come un bambino a cui nascondono il gioco preferito e, per cercarlo, si mette a girare e rigirare per casa finché non lo ritrova. E così io ogni giorno apro e riapro la chat di Whatsapp, nella speranza di vedere la risposta di Claudia.

    Nel frattempo, tra una sbirciata e l’altra al telefono, la mia coda dell’occhio si sofferma sull’orario: sono le 8 e 18. La lezione è ormai iniziata da un pezzo, devo entrare subito in aula o rischio di non essere in tempo per la raccolta firme delle presenze.

    Intanto sento la camicia completamente fradicia di sudore, provo a non pensarci e mi faccio strada tra ragazze e ragazzi, zaino in spalla e libri in mano.

    C’è un’atmosfera strana nell’aria. Percepisco un certo fermento. Un evento ha infatti scosso le belle anime di quest’università e non solo. È ancora fresco l’esito delle ultime presidenziali americane, finite l’altro ieri con l’inaspettata vittoria di Donald Trump, dato per sconfitto secondo tutti i pronostici.

    I giorni precedenti alle elezioni sono stati abbastanza concitati e accesi.

    Avevo avuto discussioni veementi con la maggior parte dei miei compagni di corso, Claudia compresa.

    Ero uno dei pochi lì dentro a sperare che Trump vincesse.

    «Ma come fai a tifare quello lì, un Berlusconi con il parrucchino, ancora più maschilista e razzista», mi dicevano.

    «Aprite gli occhi!», ribattevo io «Hillary Clinton è una guerrafondaia ed è finanziata da tutte le più grandi banche d’affari americane», concludevo con foga.

    In questo clima di tensione l’avevo spuntata io, aveva vinto il tycoon. Eppure non è che io sia proprio un ammiratore di quel personaggio.

    Anzi.

    Non ho mai nutrito simpatia per quel tipo di imprenditore, arricchito e un po’ cafone. Vedevo però in lui una figura indipendente, ma soprattutto un isolazionista.

    «Finalmente gli americani la smetteranno di esportare democrazia a suon di bombe», avevo detto più volte.

    Spengo per un attimo i miei pensieri. Dopo aver superato la calca, mi ritrovo così di fronte al portone dell’aula. Faccio quindi il mio ingresso. La maniglia della porta mi sguscia però dalle mani e questa sbatte facendo un tonfo rimbombante.

    Tutta l’aula si gira verso di me, compresa l’occhialuta professoressa.

    Ovviamente ero l’ultimo arrivato.

    Con una innaturalissima nonchalance mi accingo a raggiungere un posto a sedere, sentendo gli occhi di tutta la classe puntati su di me.

    Dov’è Claudia, dov’è Claudia, dov’è Claudia? ripeto mentalmente in maniera ossessiva, mentre salgo le scale dell’aula magna.

    Eccola!

    Una chioma bionda fluente mi colpisce la vista, e il cuore mi salta improvvisamente in gola. Mi fa sempre quest’effetto.

    Claudia incrocia il mio sguardo e mi sorride. Io mi sento svenire.

    Ricambio goffamente il sorriso e mi siedo nel posto vicino a lei.

    Vedi, alla fine mi ha tenuto il posto, penso, cercando di rincuorarmi.

    Con la coda dell’occhio la osservo.

    Oggi è una bomba.

    Vestita di nero. A me il nero fa impazzire. Elegante e di classe e il nero è in netto contrasto con il biondo fluente dei suoi capelli.

    Una lotta di colori che risalta ancor di più la sua bellezza.

    Una vera bomba, cazzo, penso.

    «Ciao», le sussurro con la voce tremante.

    «Ciao Massi! Sempre in ritardo, eh?», mi risponde lei con quella voce dolce e musicale.

    Una voce, una presenza che mi fa sentire letteralmente le farfalle nello stomaco.

    È il momento di farmi avanti, di osare.

    La guardo, fingendo di stupirmi per qualcosa e provo a lanciare una battuta. «Hai in programma una sfilata o è il solito appuntamento con il professore della tesi?», le dico sussurrando.

    Subito però mi accorgo dell’infelice uscita triviale e cerco di rimediare goffamente «Ehm, era uno scherzo ovviamente.»

    Lei, infatti, mi fulmina, ma vedo che sotto sotto se la ride.

    Io, un po’ stupito della sua reazione benevola, continuo l’attacco. «Se ti dovessi ricevere io probabilmente verrei licenziato.»

    Qua la rischio, sto esagerando. Lei però ridacchia, sta al gioco.

    Molto bene, anche oggi sarà un’impresa seguire qualcosa di questa lezione.

    Sento distrattamente che la professoressa Brando sta spiegando il complicato intreccio di relazioni diplomatiche che portarono alla guerra di Crimea del 1853.

    Crimea... Crimea... Crimea. Dopo pochi secondi i miei pensieri si spostano subito verso l’ultimo referendum che ha portato l’annessione della Crimea alla Russia. Senza accorgermene, mi lascio scappare un commento polemico a bassa voce: «Almeno adesso hanno fatto un referendum per deciderne il futuro».

    Erroraccio.

    Inizia così un’estenuante discussione sussurrata tra me e Claudia sulla vicenda che ha coinvolto gli abitanti della penisola.

    Io sostengo con forza le ragioni dei filorussi. Non lo nego, sono un fan sfegatato di Vladimir Putin e poi ho anche dei parenti russi. Una prozia da parte di mamma che eravamo anche andati a trovare un paio di volte e in quelle occasioni mi ero letteralmente innamorato della Russia, della sua cultura, delle sue tradizioni e del carattere dei suoi abitanti. Un popolo che, nonostante un passato recente oltremodo violento e burrascoso, era riuscito a fare pace con se stesso, senza isterismi e senza ipocrisie.

    Claudia però non la pensa come me. Anzi, ha il dente avvelenato con Putin, così come con Trump. Dice sempre che sono due esibizionisti, due misogini, due leader che non hanno alcun rispetto dei diritti umani.

    Eh sì, abbiamo proprio due visioni opposte del mondo, due antitetiche letture della realtà.

    Eppure è proprio questo che mi attira di lei.

    Quando discuto con Claudia sento un fuoco di passione che accende entrambi, vibrazioni che andavano al di là di una semplice tensione afrodisiaca. Sento come una sorta di connessione spirituale con lei e le nostre differenze non fanno che alimentarla.

    In realtà, non so se per lei sia la stessa cosa, tuttavia ho la netta sensazione che anche Claudia, in fondo, provi una certa attrazione nei miei confronti.

    Magari non ne è ancora consapevole, o magari lo è, ma ha paura. Chissà…

    Io, da parte mia, sono sicuro di esserne innamorato follemente.

    «Mi raccomando, controllate il sito tra oggi e domani che caricherò il materiale della lezione», conclude la professoressa.

    La discussione con Claudia viene così interrotta.

    La caciara si leva dai banchi dell’aula in maniera sempre più crescente, mescolata a fruscii di pagine e cerniere che si chiudono, creando un concerto di suoni sconnessi ma liberatori, perché ricordano che due ore della giornata se ne sono già andate.

    Così baldanzoso mi appresto a continuare il mio corteggiamento serrato. Dopo aver cavallerescamente lasciato il passo a Claudia, ecco però che arriva per me un’improvvisa doccia fredda.

    Da lontano scorgo un omuncolo. Un uomo di media statura, molto magro, quasi scheletrico, con due occhiali da vista che sembrano più grandi della sua faccia. Muove la testa a scatti, scoordinato, e strabuzza gli occhi alla ricerca di qualcosa.

    Purtroppo so già cosa cerca. La stessa cosa che sto cercando anch’io.

    Claudia.

    «Eccovi, ragazzi!», si avvicina verso di noi con un sorriso ebete. Lo saluto freddamente mentre lui e Claudia si baciano sulla bocca. Fanculo! dico mentalmente.

    «Vabbè ragazzi, vado, che ho un appuntamento al bar», e mi dileguo alla velocità di un drone.

    ***

    Uno schermo gigante, una mappa interattiva. Di fronte una ventina di uomini in piedi, impettiti, concentrati.

    «La minaccia più grande di oggi si trova proprio qui», esordisce un uomo distinto sulla cinquantina, che si rivolge al gruppo di uditori camminando avanti e indietro, mentre indica sullo schermo un punto preciso.

    Al tocco del dito la visuale si restringe, lo zoom si allarga, fino a mostrare in diretta quella che appare come una grande distesa desertica.

    L’uomo sfiora ancora lo schermo con il dito ed ecco che compare quella che può sembrare una piccola pozza d’acqua in mezzo a un mare di sabbia.

    «Come potete vedere, il lago Chad non esiste praticamente più», prosegue l’uomo con una voce ferma, sicura, quasi impersonale.

    «Sapete bene che questo evento avrà delle ripercussioni catastrofiche contro cui noi dovremmo saper far fronte. Ci saranno trenta milioni di persone che, senza questa risorsa vitale, potrebbero creare caos sociale nella regione africana.»

    Tutte le persone presenti ascoltano in silenzio, attentissime. Alcune di queste indossano un auricolare per la traduzione immediata del discorso nelle rispettive lingue.

    «Quello che noi dobbiamo fare, come abbiamo sempre fatto, è trasformare questa potenziale minaccia sistemica in una grande opportunità per tutti. Io credo che il ricollocamento di qualche milione di persone possa essere infatti una grandissima occasione per noi e per il mercato. Come potete notare, queste corporation», prosegue l’uomo toccando freneticamente lo schermo «hanno ora un disperato bisogno di manodopera a basso costo per rientrare nei recenti investimenti fatti nel settore delle nuove Intelligenze Artificiali».

    A ogni tocco dell’uomo sullo schermo interattivo fa seguito un’immagine tridimensionale del logo di una corporation, con a fianco una breve descrizione.

    «In questo modo potremmo venire incontro alle esigenze che vi avevo espresso nella scorsa Trilateral», interviene un uomo orientale, pallido, alto e ossuto.

    «Proprio così. Ricordo a tutti che Mr. Nambillo ci aveva esposto le aspettative della sua Namby Enterprise, mostrandoci come gli investitori abbiano ora bisogno di vedere un aumento della politica di abbattimento dei costi, per garantire ingenti investimenti sul marchio.»

    L’uomo si ferma un attimo, passando in rassegna i presenti, come per catturare ulteriormente la loro attenzione, poi riprende «ho commissionato uno studio ai nostri partner dell’Università di Yale con l’obiettivo di dimostrare come il ricollocamento di parte di queste persone possa avvenire nel giro di cinque anni. Il che consentirebbe a lei e ad altri che hanno le stesse esigenze di avvalersi di questo nuovo capitale umano in breve tempo, con un notevole beneficio per i costi di manodopera sul libro paga della corporation».

    Gli uomini presenti annuiscono tutti soddisfatti.

    La riunione prosegue nella stanza buia, illuminata dalle immagini trasmesse nel mega schermo.

    La discussione successiva verte sulla cybersecurity delle operazioni finanziarie a livello internazionale.

    «Ho già parlato personalmente con il Rappresentante dell’Asia Orientale. Mi ha dato garanzie sul loro impegno. A breve metteranno nero su bianco una legge che avrà l’obiettivo di rafforzare la piattaforma condivisa di co-responsabilità e partnership tra settore pubblico e settore privato per il controllo totale della cybersicurezza di tutte le operazioni finanziarie provenienti dalla loro area», questa volta è il turno di un uomo di bassa statura, di carnagione olivastra, dai tratti somatici tipici del sud-est asiatico. «Da parte nostra continueremo a chiedere un maggiore sforzo economico delle istituzioni per sostenere le corporation, nonché concederle una maggiore libertà di manovra», terminata la frase l’uomo si ferma rivolgendo lo sguardo alla sua destra, dove si può notare, in penombra, un personaggio anziano, rimasto impassibile ad assistere ai vari discorsi. Cala il silenzio per diversi secondi.

    Infine l’anziano cammina verso il centro della sala, esattamente nel punto in cui si trova l’asiatico che, senza fiatare, abbandona la scena, mescolandosi tra gli astanti.

    L’anziano entra così all’interno del riflesso di luce generato dallo schermo. I presenti possono così notare i dettagli del suo volto, capace di generare verso tutti un certo timore reverenziale.

    Occhi piccoli e luccicanti, labbra sottili leggermente socchiuse in modo tale da far scorgere una dentatura di un bianco brillante. Immobile, in piedi, guarda i partecipanti uno per uno, mostrando un’espressione contrita, quasi di disprezzo. Poi, proprio quando i secondi si stanno per trasformare in minuti, ecco che inizia a parlare.

    «Molto bene. Ringrazio il dottor Leoprando per l’attenta disamina sulla situazione relativa al lago Chad. Ringrazio anche il dottor Gelly, a cui rivolgo il mio invito affinché continui in questa opera di moral suasion nei confronti del Rappresentante dell’Asia Orientale.» La voce metallica esce dalla bocca dell’anziano con un ritmo lento, cadenzato, ma con un tono che rimbomba tra le pareti della sala. Una voce capace di entrare non solo nelle orecchie, ma nel cervello degli astanti, come dotata di un potere ipnotico.

    «Il nostro scambio di informazioni e piani d’azione con le istituzioni sovranazionali deve essere continuo e costante. Direi che per oggi può bastare. Ringrazio tutti voi per l’attenta partecipazione e l’impegno dimostrato. Il mio invito è quello di non abbassare la soglia di attenzione, perché come possiamo osservare a ogni riunione, le minacce globali cambiano costantemente. La difesa che adottiamo oggi, domani potrebbe già essere obsoleta», chiude così il discorso l’anziano. Gli uomini attendono ancora qualche secondo, poi a un cenno del capo dell’oratore si sentono liberi e iniziano a scambiarsi ossequiosamente rispettivi saluti con fredde strette di mano.

    La riunione è sciolta.

    La fila di persone si dirige confabulando verso l’ascensore Bluetooth.

    Il macchinario senza fili trasporta silenziosamente il gruppo di uomini sul tetto del grattacielo.

    In una notte senza luna e senza stelle si stagliano in cima al palazzo i droni della Uber Elevate, in attesa dei rispettivi padroni.

    Ciascuno degli uomini entra in uno dei droni volanti e aspetta che la voce automatica cominci a parlare.

    «Buonasera signore, e benvenuto all’interno del drone Uber Elevate. La invito a sedersi comodamente e a rilassarsi. La società Uber la ringrazia per la scelta e le augura un buon volo.»

    I piccoli e agili droni si levano in volo come uno sciame di zanzare per poi dividersi in cielo. Ognuno verso la rispettiva direzione.

    All’interno di uno di questi insetti meccanici, l’orientale magro e pallido, che è intervenuto alla riunione, è impegnato in una concitata videochiamata.

    «Ho appena dato delle chiare garanzie sul vostro impegno», incalza l’orientale.

    «Mr. Nambillo, sono ancora in attesa del trasferimento che le avevo chiesto. Senza quello non possiamo concludere l’accordo», replica una donna dalla carnagione olivastra e gli occhi a mandorla dall’altra parte dello schermo.

    Mr. Nambillo, stizzito, prende il suo smartphone e digita rapidamente sullo schermo.

    Dopo una frazione di secondo, la faccia di Mr. Nambillo si allarga in una smorfia soddisfatta. «Il trasferimento è stato effettuato con successo», afferma gongolando l’orientale.

    Chiusa la videochiamata Mr. Nambillo sente il bisogno di festeggiare, è giunta l’ora.

    La stanchezza mentale sta iniziando a farsi sentire e i neuroni cominciano a non ricevere più stimoli elettrici adeguati.

    Con mano trepidante, Mr. Nambillo estrae dalla tasca interna della giacca una busta al

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