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Gianni Rodari: Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle
Gianni Rodari: Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle
Gianni Rodari: Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle
E-book162 pagine2 ore

Gianni Rodari: Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle

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Info su questo ebook

Piemontese di nascita, lombardo di adozione, Giovanni Francesco Rodari, detto Gianni, non è “solo” l’autore di un’opera vastissima e variegata, capace di rivoluzionare i parametri della letteratura rivolta ai più piccoli fino a restare impressa nell’immaginario collettivo di intere generazioni. Ma se libri come Favole al telefono o Grammatica della fantasia sono entrate a far parte del patrimonio culturale internazionale, lo scrittore Gianni Rodari fu pur sempre anche studente seminariale, maestro elementare, militante comunista, partigiano e giornalista e, oltre che pedagogo e poeta, anche marito e padre.
In questa biografia, autentico viaggio nella vita di Gianni Rodari, Lorenzo Iervolino, con l’ausilio delle dichiarazioni di Rodari e le testimonianze di prima mano dei suoi amici e colleghi, compone un racconto corale e appassionante della straordinaria esistenza di un maestro ribelle. Un intellettuale che, piuttosto che scrittore di libri, amava definirsi un fabbricante di giocattoli.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2023
ISBN9788867183791
Gianni Rodari: Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle

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    Anteprima del libro

    Gianni Rodari - Lorenzo Iervolino

    Capitolo 1

    Infanzia [1920-1930]

    Gianni da bambino

    Le storie di Gianni Rodari iniziavano quasi sempre con un fatto semplice, lineare, ambientato molto spesso in luoghi facili da riconoscere, a portata di mano; luoghi vissuti nella quotidianità: un buon modo – pensava il più importante scrittore italiano per l’infanzia del Novecento – di condurre i piccoli lettori all’interno di una storia a cui da subito sentissero di appartenere. Una storia che, nel suo caso, a prescindere dal genere, era più che altro un congegno intelligente e coraggioso: un pezzetto di realtà conquistato con la fantasia. Ed è così che inizia anche questa storia, la sua storia.

    È un nebbioso dì d’autunno del 1930 e il piccolo Gianni, di soli dieci anni, si trasferisce a Gavirate, un comune del varesotto ai piedi del monte Rosa, poco distante dal Lago Maggiore. E più precisamente in via Domenico Bertacchi, dove giunge con un carretto trainato da un cavallo. Ci sono con lui il fratello minore Cesare e la madre Maddalena, una donna molto religiosa, fisicamente esile e ancora vestita a lutto. È trascorso un solo anno dalla morte di Giuseppe Rodari, il papà di Gianni.

    Di uno scrittore per bambini, l’infanzia è il tratto biografico che desta maggiore interesse. Si cercano lì elementi che possano averlo influenzato, o spinto a dedicarsi a quei lettori così speciali. Sebbene Rodari sia sempre stato molto restìo a parlare della propria infanzia, e considerando che le tracce biografiche lasciate nei suoi testi non siano così facilmente identificabili, non abbiamo però difficoltà a delineare alcuni dati certi. Gianni Rodari nasce il 23 ottobre del 1920 a Omegna, cittadina sulle sponde del Lago d’Orta, nel novarese, ed è registrato all’anagrafe – cinque giorni dopo – come Francesco Giovanni.

    Il nome Francesco viene però accantonato quasi subito dai suoi genitori: Giuseppe, un fornaio originario della Valcuvia, e Maddalena Aricocchi, di Gemonio, operaia fin da giovanissima e in seguito domestica. Il nome di battesimo tornerà però utile molti anni dopo quando, alle prese con le prime – apparentemente casuali – scritture per bambini, Gianni Rodari avrà l’istinto di nascondersi dietro diversi pseudonimi, tra cui Francesco Aricocchi, usando appunto quel nome sempre taciuto, in aggiunta al cognome materno. Francesco sarà inoltre il suo alter ego in diversi racconti, nel romanzo di stampo realista Piccoli Vagabondi – uscito originariamente a puntate sul «Pioniere» – e nel celebre La Freccia Azzurra.

    Il fratello Cesare nasce l’anno successivo, nel 1921, divenendo così il terzo dei fratelli Rodari, dato che dal precedente matrimonio papà Giuseppe aveva avuto anche Mario, più grande di Gianni di ben dodici anni e con il quale, a differenza di Cesare, Rodari non stabilirà un rapporto significativo a causa della grande distanza di età. A ogni modo, nell’infanzia di Gianni la figura più amata è decisamente suo padre.

    Nato nel 1878 a Caldana, Giuseppe Rodari, come tanti giovani della Valcuvia, aveva lasciato la propria terra molto presto per andare a imparare un mestiere. Dopo tanti anni trascorsi nel vicino Piemonte, prima come garzone, poi come operaio e panettiere, riesce finalmente a mettersi in proprio aprendo un forno nella centralissima via Mazzini a Omegna. Rimasto vedovo, all’età di quarantuno anni, Giuseppe sposa la futura madre di Gianni, all’epoca trentasettenne nubile, grande lavoratrice e donna assai determinata, con la quale l’uomo riesce ad ampliare l’attività aggiungendo al forno un negozio e un appartamento al piano superiore, dove i Rodari vanno ad abitare. Il forno di famiglia in via Mazzini è, nell’esperienza di Gianni, un luogo accogliente, talvolta perfino magico, al quale ritornerà spesso con la mente quando avrà voglia di sentirsi in un posto sicuro. E sempre, a troneggiare al centro di questo piccolo grande regno segreto c’è proprio l’immagine cara e affettuosa di suo padre Giuseppe.

    Giuseppe, il padre

    Credo di averlo già detto: sono figlio di un fornaio. La parola forno vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un’impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti. 1 Mio padre… seduto su un sacco di riso Vialone vuoto a metà, con gli occhiali dalle lenti ovali sul naso che ora è il mio, fornaio e anticlericale, è l’uomo che rivedo ogni volta che guardo in una cartolina il campanile di Omegna. Stessa espressione severa e ironica, stessa disperazione saggia e ostinata. Stessi occhi, campane a parte. 2 Di politica mio padre non s’intendeva. Ma un suo fratello era scappato in Svizzera dopo i moti del novantotto: era un socialista, e allora si dava la caccia ai socialisti. Mio padre non era un socialista, ma aveva lavorato abbastanza sotto i padroni: così non fu fascista, e fece una gran scenata quando io, da bambino di sei anni, tornai da scuola dicendo che bisognava iscriversi all’Opera Balilla. Fu la maestra a convincerlo: «Non mi faccia avere noie, sa com’è difficile vivere al giorno d’oggi». 3 Lui allora non disse nulla, ma chiuse gli occhi, per non vedermi.

    Il personaggio del fornaio ricorrerà spesso nella produzione futura di Rodari, così come l’ambiente del forno o il caldo – se non addirittura l’ eroico – conforto del pane. Ne è un esempio questo breve passaggio di una filastrocca, carica della propulsiva energia ideologica presente nell’opera del suo autore, e intitolata emblematicamente Il pane: «S’io facessi il fornaio / vorrei cuocere un pane / così grande da sfamare / tutta, tutta la gente / che non ha da mangiare». 4

    Il padre Giuseppe – le sue mani che impastano, capovolgono, trasmettono forme – ha probabilmente rappresentato per Gianni Rodari, oltre all’affetto, un’ispirazione di creatività, una spinta alla manipolazione fantasiosa che lui avrebbe in seguito applicato alle parole e alle storie. Ed è rifugiandosi in una delle casse di legno per la pasta – di quelle che papà Giuseppe disseminava in cortile in grandissima quantità – che Gianni inizia a leggere voracemente.

    Quando frequenta la terza elementare riceve in dono il libro Cuore di Edmondo De Amicis (libro e autore che in futuro avrà modo di contestare). Con il solo conforto di una fetta di pane e cioccolato, Gianni vive le prime indimenticabili emozioni della lettura, immedesimandosi, ridendo, piangendo, in una solitudine che ricerca e che sembra appagarlo. Prima delle interminabili escursioni in varie biblioteche, quelle casse di pasta ospiteranno anche le letture del suo scrittore giovanile prediletto, Jules Verne, che il bambino Rodari preferiva a Salgari, ritenendolo con ammirazione un vero e proprio «poeta del positivismo, dello scientismo», e non un semplice divulgatore di quei temi, non un mero intrattenitore.

    Maddalena, la madre

    La figura della madre rappresenta per Gianni un grande insegnamento di determinazione, di forza d’animo e sprone di curiosità culturale: l’importanza del sapere e degli studi come strumento di libertà. Appena nato, il bambino viene mandato dalla madre a balia in un paese vicino, Pettenasco. Un sintomo, questo, della necessità famigliare di avere entrambi i genitori impegnati nell’attività del forno, ma segna anche un evento di iniziale distanza tra i due.

    Il rapporto tra Gianni e sua madre andrà però consolidandosi nel tempo, al punto che, divenuto giornalista e affermato scrittore, la vorrà vicino a sé, nella casa di via di Villa Pamphilj, a Roma, città in cui Gianni si stabilirà all’età di trent’anni, nel 1950. Ed è lo stesso Rodari, con orgoglio, a rendere nota l’infanzia di sacrifici e privazioni di sua madre, un’infanzia non vissuta.

    A sette anni mia madre andò a lavorare in una cartiera, non lontano da Gemonio, dove è nata e dove la conoscevano come la figlia della Marinin de Rosa. A dieci anni andò a lavorare in una filanda della Valcuvia. A quei tempi le bambine facevano anche i turni di notte. Se lavoravano di giorno, di notte dormivano in filanda sui pagliericci. Tornavano a casa il sabato sera, cantando per la strada le litanie della Madonna. A tredici anni andò a servire in casa di signori. Servì in molte famiglie, in Italia e in Francia, per più di vent’anni. 5 E per tutta la vita, in casa d’altri o in casa nostra, è sempre stata la prima ad alzarsi e l’ultima ad andare a dormire, che ha cucinato, cucito, lavato, penato. Era proprio questo che voleva? E se avesse invece voluto diventare una cantante o una maestra di scuola? 6

    Sono tanti i sacrifici che i genitori di Rodari stanno affrontando per dare a lui, a Cesare e a Mario un presente stabile e un’avvenire senza preoccupazioni. Le giornate di Gianni a Omegna, scorrono infatti piene di spensieratezza leggere come le domeniche d’estate passate nelle sagre tra Orta e Ornavano; piacevoli come il sapore della torta acquistata all’incanto delle offerte, del vino bevuto nell’osteria appena sopra la ferrovia. 7

    «Per un bambino di Omegna quale io sono stato, tutta casa, scuola e oratorio», dirà Gianni, ricordando gli scenari della sua infanzia «la val Strona era un luogo di favole aeree. Il lago giungeva allora a pochi metri dal cortile in cui crescevo e da cui lo divideva uno stretto vicolo tra due muraglie, una delle quali entrava nell’acqua, subito buia e profonda». 8 Il lago sarà una presenza costante nella vita di Rodari che cercherà infatti costantemente, anche da adulto, un rifugio il cui orizzonte si aprisse nell’esteso e placido specchio di un lago. Lo troverà negli anni Sessanta, a qualche decina di chilometri da Roma, grazie all’acquisto di un terreno a Manziana, sul lago di Bracciano.

    La prima poesia

    Il forno di via Mazzini, il lago, la scuola, l’oratorio lungo il fiume Nigoglia – dove al termine della messa prendeva «il biglietto del cinematografo per vedere Ridolini e Tom Mix» 9 – sono i punti cardinali della sua infanzia. Ed è proprio in questo contesto provinciale e rassicurante che appare il primo componimento poetico di Rodari. Nel corso della quarta elementare alle scuole in via De Amicis, Gianni appunta i suoi primissimi versi, come si usava allora, su carta assorbente. La sensazione che prova deve piacergli molto perché quell’anno riempie di poesie un intero quadernetto da disegno e un suo compagno di classe aggiunge delle illustrazioni.

    Ricorda Rodari che «la maestra, orgogliosa, le mostrò al direttore che decise di farne pubblicare una sul giornale dei commercianti dell’alto Novarese». Questa, la nota che precede la poesia pubblicata:

    Un poeta in erba - Concediamo volentieri l’ospitalità a questa poesiola scritta da un alunno che frequenta la IV classe delle nostre elementari. Essa contiene ingenuità e imprecisioni di linguaggio inevitabili in un fanciullo, ma rivela anche buone attitudini poetiche. Bravo Rodari, leggi, studia e componi altre poesie! La tua è una vera vocazione e chi sa che col tempo tu non riesca a diventare poeta. 10

    Forse non fu un caso che l’unica poesia pubblicata, ricca di elogi per il suo protagonista, si intitolasse Il Nostro Signor Direttore. Rodari, in seguito, con un pizzico di falsa modestia, si difenderà così: «Questo fu il mio massimo successo in ogni tempo come poeta. Anche perché, raggiunta l’età della ragione e fatta conoscenza delle poesie di Montale, Saba, Ungaretti, Gatto e Quasimodo, ebbi il buonsenso di capire che non avrei mai saputo scrivere cose tanto belle e smisi del tutto di scrivere».

    Non è vero: per tutta la vita si dedicherà anche alla composizione di poesie non destinate ai bambini, poesie esistenziali, dolorose, nelle quali si interroga sul senso della vita, si lascia trascinare dalla memoria in ricordi di sofferenza, talvolta di rabbia. È una produzione poetica pressoché sconosciuta – e quasi interamente inedita – che affonda le radici emotive in quelle particolarità del carattere di Gianni che il fratello Cesare descrive con queste parole: «(Gianni) aveva la tendenza continua a isolarsi, preferendo la luce di un lampione che gli permetteva di leggere in solitudine, piuttosto che aggregarsi alle scorribande dei ragazzini del paese».

    Scriverà, il Gianni Rodari poeta, ricordando – anche con molte ombre – questa stessa infanzia che nel tempo gli apparirà non più così leggera, non così facile da portare con sé:

    Ricordi, ciarpame, cascame, / ma io posso sconfiggerti, memoria,

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