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Mariani allo specchio
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E-book259 pagine3 ore

Mariani allo specchio

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Info su questo ebook

Luglio. Al commissario Antonio Mariani è stato proposto un nuovo lavoro. Vorrebbe consultarsi con la moglie, ma Francesca è in Corsica, con le figlie, ospite di un cliente. E non è discorso da farsi per telefono… Mariani dovrebbe raggiungerle, ma un omicidio lo trattiene a Genova. È stato trovato il corpo di un uomo, privo di identità, non lontano da Ponte dei Mille. Pochi giorni dopo c’è un secondo omicidio: una donna uccisa nella sua casa in Val Bisagno. I due delitti si intrecciano e spingono Antonio a porsi molte domande su di sé.

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Ha pubblicato una raccolta di racconti – Non son chi fui – con Solfanelli e un’altra – Trappole – con la Clessidra. Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XXVIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so. L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017), Mariani e le parole taciute (2018), Nessun ricordo muore (2017) Vittime e delitti (2018) e Le porte della notte (2019) questi ultimi tre con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. All’inizio del 2019 ha scritto con Rocco Ballacchino “MATEMATICHE CERTEZZE” ottenendo il consenso dei lettori per l’originale trovata di dar vita a un’indagine portata avanti dai due commissari di polizia Mariani e Crema. Per Corbaccio ha pubblicato Belle sceme! (2009). Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2013
ISBN9788875639389
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    Anteprima del libro

    Mariani allo specchio - Maria Masella

    CAPITOLO 1

    Mercoledì 11 luglio

    – Bell’uomo, sembra Banderas.

    Il commento è così fuori luogo ed estraneo a come ho sempre pensato l’ispettore Lorenza Petri che per poco il fumo non mi va per traverso.

    Non capirò mai le donne. Siamo qui, in quel piovigginare estivo che bagna d’umido e di sudore anche se non sono ancora le sette, di fronte a un morto e lei ne commenta il bel faccino. Senza guardarla borbotto: – Chi sarebbe questo Banderas, ispettore? – anche se la chiamo abitualmente Petri.

    – Un attore; ora ha qualche annetto e qualche chilo di troppo, ma è ancora da farci un pensiero.

    – Niente di utile per le indagini, ispettore?

    – No, commissario – con tono risentito.

    Da due giorni sono più irritabile del solito, per essere sincero da qualche settimana, ma anche la Petri non scherza. Forse ci contagiamo a vicenda. – Documenti? – Perché lei è arrivata sul posto prima di me.

    – Niente documenti, commissario, niente che possa permettere un’identificazione in tempi brevi.

    Sono un commissario, ma non mi piacciono i morti ammazzati, meno di tutti quelli non identificati. Se avrò fortuna sarà schedato...

    – Torrazzi?

    – Sta arrivando, commissario.

    – Chi ha trovato il corpo?

    – Un uomo che stava andando al lavoro – me lo indica; è fermo poco lontano, con un bicchierino di carta in mano. – Credeva che si sentisse male, si è avvicinato e l’ha toccato. Quello è scivolato e allora ha capito che era morto.

    Se non lo aveva capito era scemo, tutti hanno visto abbastanza fiction da riconoscere uno che ha preso una coltellata in pancia. Ecco, mi basta mettere in parole una coltellata in pancia per avere nausea. Dell’ultima ferita ne porto ancora i segni.

    – Quindi il corpo è stato smosso?

    – Sì, commissario.

    – Come si chiama quello che l’ha trovato? – Perché preferisco sapere l’identità della persona con cui parlo.

    – Bini Mauro.

    Mi accosto e lui smette di sorseggiare caffè. Non sembra sconvolto e neppure spaventato.

    – Commissario Mariani – mi qualifico mostrando il tesserino e lui risponde con un cenno.

    Uomo di poche parole, dote apprezzabile.

    – Dovrei farle alcune domande, signor Bini.

    – Sono qui. O devo venire in questura?

    – Qui, poi le chiederò di firmare la deposizione.

    Un altro assenso.

    – Quando l’ha trovato?

    – Alle cinque e mezza, forse qualche minuto dopo. Abito qui sopra – indica la collina alle nostre spalle. – Quando ho questo turno esco sempre alle cinque e venti, alle sei sono pronto a cominciare. Ponte Assereto. Camallo. – Mi lancia un’occhiata sbieca e precisa: – Scaricatore.

    – Genovese anch’io.

    Mi misura con una seconda occhiata e continua: – Faccio sempre il tunnel, poi piazza Papa e via Buozzi. Mi piace sentirmi il mare. Così oggi. Ci buttano sempre rumenta nel tunnel, rifiuti grossi, per non portarli alla raccolta che fanno qui a Dinegro. Cartoni buttati, ecco, sembravano cartoni da buttare. Ma poi ho visto un piede e mi sono detto uno che si è sentito male, perché tossici ne abbiamo. – Mi guarda e abbozzo un assenso. – Alzo un cartone, quello era a pancia in giù, proprio come uno che sta male. Gli metto una mano sulla spalla e lo giro. Ho capito subito che era morto. Sono andato al bar e ho detto di chiamare la polizia che c’era un morto ammazzato. – Rigira il bicchierino ormai vuoto.

    – Lo conosceva?

    – Mai visto. Abito in zona da quando sono nato, mai visto. Forse abbiamo orari diversi.

    Si dovrà chiedere in giro, sperando che per qualcuno non sia sconosciuto: sarà un bel lavoro di pazienza.

    Ringrazio Bini e gli dico che lo chiameremo per la deposizione ufficiale e di avvisarmi se gli viene in mente qualcosa.

    Fa segno di sì e si dirige verso piazza Papa, che poi in nessun’altra città chiamerebbero piazza uno slargo serrato fra due vie parallele; una sarebbe aperta verso il mare se non fosse per lo sbarramento della Sopraelevata e l’altra è stretta contro la massicciata della ferrovia: lì sbuca il tunnel, un budello un po’ curvo che è solo pedonale perché a una estremità ci sono cinque o sei gradini.

    Qui, la collina, una delle tante, è addossata al mare, ripida anche, e tutto è compresso fra porto e palazzi alti, costruiti in pendenza a rubarsi aria e vista.

    A neppure duecento metri Palazzo del Principe è un altro mondo.

    Ponte dei Mille, attracco delle navi da crociera, è un altro ancora.

    Da noi bastano pochi metri e tutto cambia, spiazzante per i foresti.

    – Commissario?

    È la voce della Petri a riscuotermi.

    – È arrivato il dottor Torrazzi.

    Sì, è già sceso dalla sua auto e si sta avvicinando. – Cosa abbiamo oggi, Antonio?

    – Alla prima occhiata direi che ha preso una coltellata in pancia.

    Mi guarda e non commenta.

    Ci spostiamo insieme verso il corpo.

    – Che abbia preso una coltellata è evidente – si china. – Che poi sia la causa della morte lo stabilirà l’autopsia.

    Non commento. Torrazzi alza gli occhi verso di me. – Antonio? stai bene?

    Mi riscuoto.

    – Dicevo che sarà l’autopsia a stabilire la causa del decesso.

    – Ti ho sentito.

    – Allora anche tu hai dei dubbi!

    Mi frego gli occhi, da due giorni non riesco a dormire, e da un bel po’ di più dormo male. Come effetto collaterale fumo troppo, e quindi riposo ancora peggio e al risveglio ho la bocca amara e impastata. – Dubbi?

    – Che lo abbiano accoltellato è fuori di dubbio, ma dove è il sangue?

    Ero così assente, anzi concentrato su di me, che non l’avevo notato. – Hai ragione, Torrazzi.

    – Probabilmente la causa del decesso è un’altra e dopo gli hanno inferto una coltellata.

    – Hanno? Più d’uno?

    – Senti, Antonio, è modo di dire e lo sai. – Si rimette a trafficare attorno al corpo. Per un po’ resta zitto. – Mani curate, ma macchiate, non sporche di sporco recente.

    Ha un tono così insistente che mi chino accanto a lui e sollevo una mano del morto. Vero: unghie ben curate, meglio delle mie, ma nelle pieghe della pelle ci sono segni scuri. – Vediamo cosa ne ricava la Scientifica.

    Torrazzi riprende il suo esame. – Davvero ben curate, ma ha queste callosità – indica l’indice e il medio. – Come se usasse molto queste due dita. – Si alza. – Ok, ti saprò dire di più dopo l’autopsia. Che lavoro faceva?

    Mi stringo nelle spalle. – Senza identità.

    – Bello. Hai una sigaretta? Nella fretta le ho lasciate a casa.

    Gli porgo il pacchetto. Mentre accende, con calma, gli dico che secondo la Petri era un bell’uomo.

    – Sì, penso di sì. Di bellezza maschile mi intendo ancor meno di te, Antonio. Una persona curata, vestita disinvolta ma non da straccione. – Mi porge pacchetto e accendino. – Darò tutto alla Scientifica. – Una pausa. – C’è un bar qui vicino. Nella fretta non ho neppure preso un caffè.

    Quasi mi spinge verso il bar; entra e ordina per entrambi.

    – È vietato fumare – è il barista. – Poi becco la multa.

    – Ci mettiamo fuori – replica Torrazzi.

    Ora siamo seduti uno di fronte all’altro. – Cosa ti succede?

    – Niente.

    – Francesca?

    – Nessun problema. – Forse vero, forse no. Comunque mia moglie è via da due settimane, proprio domani sarei dovuto andare da lei e dalle figlie, ma con un caso in corso sarò giustificato se resterò a Genova.

    Torrazzi butta giù il caffè. – Appena ho fatto ti avverto. – Si alza. – Parti venerdì sera?

    – Con un caso in corso? O pensi che abbia la bacchetta magica e risolva tutto in due giorni?

    – Pensavo che tu volessi vedere le figlie e stare con tua moglie. Oggi, luna per traverso!

    Lo guardo andar via. Vero, ho la luna per traverso.

    Mi alzo e ritorno sul luogo del ritrovamento, sono pochi passi e cerco di farmeli durare. Stanno rimuovendo il corpo.

    Qualcuno si gode lo spettacolo gratis, mentre altri scantonano.

    Salgo sull’auto di servizio che è passata a prendermi a casa e ordino di portarmi in questura.

    Sono nel mio ufficio e ho chiesto di non essere disturbato. Ho bisogno di silenzio, non di questa voce che mi ronza dentro senza darmi pace.

    Che cosa ho risposto quando hanno precisato che il nostro colloquio doveva restare riservato? Almeno con mia moglie devo consultarmi.

    A denti stretti hanno acconsentito che le parlassi. Questo due giorni fa e non l’ho ancora fatto, perché lei è via e non è discorso da farsi per telefono. Avevo stabilito di parlargliene nel fine settimana ma questo morto senza identità mi terrà qui, a Genova.

    Mentre lei è in Corsica. Un cliente ha una bella casa sul mare, ci ospita per tre settimane. Ed è partita con le figlie entusiaste della vacanza.

    La proposta imprevista non mi dà tregua, in parte è attraente, non del tutto attraente per pigrizia o per qualche motivo più profondo?

    Ho dato le disposizioni del caso: controllare fra gli schedati, chiedere nella zona, cercare fra le persone scomparse. Poi sono uscito; la scusa con me stesso era prendere un caffè, la realtà era il bisogno d’aria.

    Da quando mi hanno fatto l’imprevedibile proposta, ovunque provo un senso di costrizione. Sono stretto fra un sì e un no.

    Stretto come quella specie di piazza, come quel budello, come quel quartiere.

    Ritorno in questura, più inverso di come ne sono uscito. È passando davanti all’ufficio che la Petri dividerebbe con Bareto, se lui ci fosse, che la sento parlottare. Ha un tono divertito e complice, una novità, ma si sta lentamente ambientando. Quando è arrivata era un ghiacciolo.

    – Ti dico, una goccia d’acqua con Banderas, effetto bel tenebroso.

    Rallento. Le è rimasto proprio impresso. Donne... a capirle!

    – Come il tuo capo, allora? – e questa è la voce dell’agente Varaldo, che non è nella mia squadra.

    – Proprio, sputato. Antonio Banderas uguale Antonio Mariani. Il nome non mente. – E l’ultima frase è già uno scoppio di risa.

    Nel mio ufficio, chiudo la porta. In un cassetto tengo rasoio elettrico e specchietto perché l’effetto sciatto barba lunga non mi piace e a volte tornare a casa è un problema.

    Allo specchio scruto la faccia stanca, sembra quella di sempre. Bel tenebroso?

    Bello non mi sento, tenebroso? Lo potrei diventare se accettassi l’offerta che mi è stata fatta.

    Se continua così, odierò la mia faccia che mi è sempre stata indifferente.

    Per fortuna squilla il telefono. – Antonio, ho i primi dati. Poi sarò più preciso.

    – Dimmi, Torrazzi.

    – Ho trovato elementi interessanti. Quando l’hanno accoltellato era già morto ma questo l’avevi già sospettato...

    Ha lasciato la frase con un interrogativo non detto. Come dirgli che non avevo pensato a nulla? – Sì, certo. Morte naturale?

    – Embolo. Gli è stata iniettata aria in vena. Ho trovato il segno dell’endovena, anche del laccio emostatico.

    – E dopo l’hanno accoltellato. Dopo quanto?

    – Una decina di minuti. Ma lasciami continuare, Antonio. Non ti chiedi perché è stato buono e tranquillo mentre gli facevano l’endovena?

    – Perché se ne è stato bravo e tranquillo? Contento? – Appena l’ho detto mi rendo conto del tono rabbioso. Ho pochi amici, no, pochissimi. Soltanto con uno condivido il lavoro, ed è Torrazzi. – Scusami.

    – Niente. So che quando ci sono ferite in pancia vai fuori di testa. Tracce di benzodiazepine, diazepam, principio attivo del comunissimo Valium. Non sono in grado di dirti se l’assunzione è stata volontaria o meno. Però erano dosi sufficienti a garantirgli un bel sonno.

    – Quindi l’assassino l’ha addormentato, poi gli ha iniettato aria in vena e quindi l’ha accoltellato in pancia. Un po’ elaborato… Se non sono state tre persone diverse ad agire. – Una pausa per raccogliere le idee. – Hai trovato qualcosa che possa aiutarmi a identificarlo?

    – Ho segnalato le macchie sulle mani ben curate alla Scientifica; hanno risposto direttamente a me che sono dovute a tinture per capelli.

    – Quindi le usava.

    – Le callosità sono quelle tipiche di chi usa abitualmente le forbici. Un parrucchiere, Antonio.

    – C’è altro, Torrazzi?

    – No – sembra risentito. – No, non c’è altro. Era in buona forma fisica.

    – Mi fai avere il referto per il fascicolo? Abbastanza presto, vorrei avere tutto in ordine.

    Ha riattaccato senza dire altro.

    Prendo una cartellina nuova, scrivo un nome provvisorio e chiamo la Petri.

    Arriva subito, come sempre, almeno in questo non è cambiata. – Il dottor Torrazzi dovrebbe farci avere presto il referto dell’autopsia; dovresti chiamare la Scientifica, se hanno trovato qualcosa di utile sugli indumenti. Sistema tutto qui.

    Sì, sono informatizzato, ma avere le copie cartacee mi facilita la concentrazione.

    Le porgo la cartellina.

    – Banderas, commissario?

    – Hai detto che somiglia a questo Banderas.

    Zitta.

    – Preferivi bel tenebroso? Mi sembrava melodrammatico, ispettore.

    È diventata viola all’istante, color vinaccia.

    Sono fuori e mi chiedo perché sto diventando così stronzo da ferire un ottimo collaboratore come l’ispettore Lorenza Petri. Sto cambiando? Già? Che cazzo, si fa così presto a diventare diversi?

    Percorro i portici di piazza della Vittoria cercando di ritornare quello che ero fino a due giorni fa: anche rabbioso e testardo, a volte distratto, ma mai ho ferito volontariamente chi lavorava con me. Lo spero.

    Ho quasi concluso il giro quando squilla il cellulare: è Torrazzi.

    – Sono passato da te, hanno detto che sei uscito. Mangiamo insieme?

    – Sono qui davanti, da Unieuro. Ma ti avviso che non sono di buon umore.

    – Neppure io, Antonio. Siamo ben accoppiati.

    Invece di fermarci in uno dei tanti bar con dehors che sono fioriti nella piazza, siamo arrivati, passo dopo passo, nella zona di San Vincenzo, piazza Colombo.

    Torrazzi affronta il carré di maiale con patate, io sposto da una parte all’altra le trofie al pesto.

    – Hai qualcosa. – La sua non è una domanda. – Se ti va di parlarne...

    – Non capisco perché accoltellare un morto. – Ho parlato senza rendermene conto, come alzando una cortina di fumo per nascondere i miei veri pensieri.

    – È questa incoerenza che ti preoccupa?

    E cosa gli rispondo? Un cenno d’assenso e via!

    – O è la ferita in pancia? Guarda che era già morto! – Allontana il piatto ormai vuoto e occhieggia il mio ancora mezzo pieno. – Non mangi?

    – Hanno poco gusto e troppo sale. E sono diventate fredde. Prendiamo il caffè? – non aspetto risposta e alzo due dita verso il cameriere che ci conosce.

    – Ci sarebbe un’altra questione, Antonio, forse ti servirà. Canalizzazione a un molare cariato, molto recente; diciamo pure che è stata effettuata la settimana antecedente il decesso, non prima, perché sull’otturazione provvisoria ci sono tracce minime di cibo. Nuovissima.

    Il cameriere porta i caffè e valuto quanto ha detto Torrazzi mentre prendo il conto.

    Siamo di nuovo soli. – Quindi potrei interpellare i dentisti, per cominciare.

    – Anche gli ospedali…

    Stiamo tornando verso la questura. – Dici sempre che in un delitto la persona più importante è la vittima; quindi cerca di dargli un’identità.

    – Sì, i dentisti...

    – Antonio, cosa ti succede?

    – Niente, proprio niente.

    Siamo arrivati davanti alla questura. – Ho lasciato il referto alla Petri.

    Faccio segno di sì.

    – Non mi è sembrata di buon umore. – Sento la sua occhiata. – Come te, del resto. D’accordo, me ne vado. Ferie.

    Sulla scrivania c’è la cartella Banderas con il referto di Torrazzi.

    Sono trascorsi gli anni, ma non è migliorato. Dente canalizzato, endovena, benzodiazepine, anche la descrizione accurata della coltellata. Abbastanza superficiale, probabilmente con un semplice coltello da cucina. Con un tocco di umorismo il caro Torrazzi ha aggiunto che, se la vittima non fosse già stata uccisa, la coltellata non sarebbe stata mortale. Sì, c’è tutto, ma riesco a trovare le informazioni perché ha già raccontato a voce.

    Eppure Torrazzi sa il fatto suo, è testardo e preciso. Così preciso da inserire anche le misurazioni del corpo che ha esaminato.

    Altezza: uno e ottanta. Peso: settantacinque. Io sono più alto di sette o otto centimetri, peso anche di più. Età presunta: fra trentacinque e quaranta, più giovane di me.

    Riguardo la foto. Capelli e occhi scuri, viso segnato, non magro e non grasso, forma rettangolare. Come me, ma niente di più.

    Chiamo la Petri che arriva subito, ma ormai la conosco abbastanza da capire che è a disagio, forse offesa o irritata.

    Chiudo la cartella e accosto la mano alla scritta. Poi alzo gli occhi verso di lei. Non arrossisce ma c’è una lieve contrazione delle labbra.

    – Passavo e ho sentito. Scusami, Petri. Scherzi e battute sono normali fra colleghi.

    – Si è offeso?

    È il mio turno di stupirmi. – Perché? Diciamo che è stata una sorpresa. – Apro la cartella. – Hai letto il referto di Torrazzi?

    – Sì, commissario – e sembra sollevata.

    – Allora cerchiamo il dentista, speriamo di riuscire a dare un nome al morto di piazza Papa.

    – Ho

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