Raccontando Ballao
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Info su questo ebook
In sommario le testimonianze orali di Antonietta Arba, Maddalena Boglino, Silvana Boldrini, Maria Cardia, Felice Caredda, Antonio Congiu, Benigno Congiu, Giuseppe Congiu, Lucia Congiu, Maria Addolorata Congiu, Rosina Maria Congiu, Benigno Cossu, Giuseppe Cossu, Lucia Cossu, Ezelinda Cubeddu, Antonio Deplano, Gerardo Deplano, Grazia Lai, Vincenza Lecca, Giovanna Loddo, Rinalda Lussu, Giulia Mereu, Anna Mullano, Stefanina Murgia, Luigi Olla, Erminio Puddu, Marinella Serra, Salvatore Sestu, Antonio Siddi, Pietro Vincis.
Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume "Raccontando Ballao" di Maria Elena Caredda (Editoriale Documenta, 2020, Isbn 978-88-6454-420-5) ad esclusione del repertorio fotografico.
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Anteprima del libro
Raccontando Ballao - Maria Elena Caredda
Maria Elena Caredda
Raccontando Ballao
ISBN: 978-88-6454-440-3
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
https://writeapp.io
Sommario
Prefazione
Nota editoriale
Se i soldi mancavano
Le case
Il fuoco in cucina
Le fontane
La povertà
La fame
Il vicinato
La corriera
Una struttura polifunzionale
Collaborazione in famiglia
Is serbidoris
Il periodo fascista
La guerra
I soldati a Ballao negli anni Quaranta
Su pistoccu e sa pillonca
Passatempi e storielle di vicinato
Vita da poveri
Voltandomi indietro
Ricordi d’infanzia
L’analfabeta
La severità dei genitori
Le ombre della sera
Il pastore bambino
Sardo o romano, il nostro pecorino
Giovani lavoratori
La semina
Routine familiare
Da Cagliari a Ballao
A Ballao dal 1948
Il Genio Militare
La Cassa Agraria
Il Dopoguerra
L’olio
Altri tempi
La vendemmia
La mietitura
Il fiume e la pesca delle anguille
Le alluvioni
Su carrettoneri
Il lavoro del calzolaio
Il lavoro in miniera
Il bucato
Il lavoro delle donne in miniera
L’emigrazione in Germania
Alla ricerca di un impiego
Le cose fatte in casa
La scuola
Il collegio
Il Sabato e la Befana fascista
Il divertimento dei ragazzi
Il gioco del calcio
Sa tzaccarredda e sa ranedda
Is animmeddas, su cinnadroxu e su tunditroxu
Il Natale e l’Epifania
I balli in casa
Le feste, i balli e le passeggiate
Le feste
La processione di Gesù e il Corpus Domini
Battesimo, Prima comunione e Cresima
Il fidanzamento e il matrimonio
I giochi nel piazzale della chiesa
Giochi e is pipieddas de tzapulas
Il vestiario
L’ostetrica
Il medico condotto
La morte
I funerali
Religione e superstizione
La chiesa
Don Cerina
Il parroco
POA, CIF e CRES
Antiche credenze
Is cogas
Filastrocche scolastiche
Filastrocche
Mutettus
Mutettu religioso
Preghiere
© EDITORIALE DOCUMENTA
www.editorialedocumenta.it
in copertina
Ritratto di Benigno Congiu
Proprietà letteraria riservata
Prima edizione ebook: luglio 2021
ISBN 978-88-6454-440-3
Prefazione
Racconti come immagini, ricordi come ritratti, storie come schegge di vita di un tempo perduto che rivive nelle testimonianze documentali, ora intense e vibranti, ora flebili e periture, degli abitanti di Ballao, protagonisti di un'antologia di pensieri sulla storia sociale ed economica del paese all'alba del Novecento. Brani vergati di seppia per riecheggiare, sul filo di una memoria divenuta storia, uno spaccato di vita comunitaria, sospesa tra racconto e fantasia, mito e leggenda, all'ombra di un passato che è nostalgia, malinconia, tormento, ma anche inviolabile eredità storica e spirituale, da custodire e tutelare.
Nota editoriale
Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume Raccontando Ballao
di Maria Elena Caredda (Cargeghe, Editoriale Documenta, 2020, Isbn 978-88-6454-420-5) ad esclusione del repertorio fotografico.
Il volume raccoglie una selezione di testimonianze orali di abitanti di Ballao. I testi, trascrizione di interviste realizzate sul campo nell’arco temporale intercorrente tra i mesi di novembre 2018 e luglio 2019, riportano il contenuto dei documenti orali originali con larga fedeltà alle forme sintattiche e semantiche adottate dagli informatori.
Se i soldi mancavano
Ai miei tempi Ballao non era povero, era poverissimo! Non c’era niente e, anche se costava poco, non potevamo permetterci nemmeno un gelato perché soldi non ce n’erano.
I gelati erano quelli col cono, sfusi. Quelli piccoli costavano cinque lire, quelli più grandi dieci. Io l’ho potuto mangiare qualche volta quando sono andata a lavorare in un bar per sostituire mia sorella che si era ammalata. Capitava infatti che a volte la padrona ne mangiasse uno e lo dava anche a me.
All’epoca avevo circa quattordici anni, ricordo che per fare il gelato c’era una macchina dentro la quale si mettevano zucchero, torrone e altro ancora, ottenendo un composto che si spalmava sul cono con la paletta, così come si fa oggi.
La gente era davvero povera; ricordo che in quegli anni, dove adesso c’è la casa del parroco, arrivavano dei sacchi contenenti soprattutto indumenti e farina da destinare a chi ne avesse bisogno. Una volta mi diedero un cappotto verde con tanti bottoni che a me sembrava un cappotto militare. Non so perché fosse toccato a me, forse a me stava meglio.
Anna Mullano
Le case
Le case? Erano dei veri e propri buchi, specialmente quelle dei poveri, fatte di una stanza adibita a cucina e una in cui si dormiva.
Il pavimento, in terra battuta e ottenuto da una miscela di terra e sterco di mucca che una volta asciutto sembrava cemento, veniva pulito ogni mattina buttandoci sopra dell’acqua e spazzando.
Le sedie erano fatte con un materiale che si raccoglieva nei posti umidi, solitamente vicino al fiume, su sessini, mentre i materassi e i cuscini erano imbottiti di lana, per chi poteva permettersela, altrimenti di fieno d’orzo.
Le galline erano libere di entrare e uscire dalla cucina e facevano l’uovo in is fronestras, dentro delle nicchiette sui muri delle stanze. Tra il tetto, fatto di canne e tegole, e le stanze del piano terra, c’era un altro livello col pavimento in terra, paglia e canne, a cui si accedeva usando all’occorrenza una scala a pioli.
Il bagno ovviamente non era incluso tra gli ambienti domestici e si trovava all’esterno, in cortile, in genere vicino al ricovero del maiale o il pollaio. Poteva essere uno spazio chiuso alla bene e meglio, ma senza porte e spesso senza copertura o, se l’aveva, era fatta di canne, quindi se pioveva ci si bagnava lo stesso. Era molto spartano, costituito da una tavola su cui appoggiare i piedi, e lo si ripuliva ogni giorno buttandoci sopra della paglia che a sua volta veniva buttata nei pressi del fiume, lontano dal centro abitato.
In casa non c’era nemmeno l’acqua corrente e per lavarci andavamo a prenderla con le brocche presso i rubinetti sparsi in paese per riempire, una volta a settimana, una bacinella che mettevamo in cucina per fare il bagno a turno.
Eh, sì! C’era chiaramente un po’ di arretratezza!
Felice Caredda
Il fuoco in cucina
Il fuoco si faceva in cucina, in mezzo alla stanza. Camino ancora non ce n’era e la stanza si riempiva di fumo. Per questo si usava appendere prosciutti, salsicce e lardo in modo che affumicassero.
Per riscaldarci, noi ragazzi ci mettevamo tutti intorno al fuoco. Gli uomini erano soliti mangiare seduti col piatto sulle ginocchia invece mio padre sedeva a tavola dove prendeva anche il caffè. Noi ragazzi invece tottus a traversu.
Mio fratello lavorava in miniera e, con quel poco di stipendio che aveva, nel 1940 era riuscito a mettere la corrente elettrica a casa. In pochi a Ballao potevano permettersela e noi ne alternavamo l’utilizzo con l’uso di una candela a carburo. Ricordo che tutti insieme intorno al fuoco dicevamo: «Non è ancora rientrato Giovanni dalla miniera che ci porta la candela?», e mentre aspettavamo cuocevano le castagne arrosto. Era una felicità!
Nel fuoco si faceva anche l’arrosto nello spiedo e i ceci alla brace che erano buonissimi: « Non furiat a papai ciocolatinus no, furiat a papai cixiri!».
Vincenza Lecca
Le fontane
Acqua in casa non ne aveva nessuno. La prendevamo dai rubinetti sparsi in paese. Funzionavano a orario: venivano aperti la mattina presto e richiusi la sera da un signore che aveva le chiavi della valvola.
C’era sempre una gran fila e per prendere il posto ci alzavamo anche alle due del mattino, posizionavamo la nostra brocca e tornavamo a letto. Alle prime luci del sole tornavamo al rubinetto e aspettavamo il nostro turno, con la speranza di non dover ricominciare la fila altrove se l’acqua finiva proprio quando toccava a noi.
Il primo deposito pubblico, quello di Via Cagliari, risale al 1905. Poi misero altri rubinetti, come Sa Funtana de Mesu Idda, Su Semucu, quello di Capudali, di Via Sulis e di Pratza