Poesie
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Info su questo ebook
William Blake
William Blake was born in London in 1757. He was apprenticed to a master engraver and then studied at the Royal Academy under the guidance of Joshua Reynolds. In 1789 he engraved and published Songs of Innocence and the contrasting Songs of Experience came later in 1794. A poet, painter and printmaker of great originality and imagination, his work was largely unrecognized during his lifetime and he struggled to make a living. Blake is now considered a seminal figure in the history of both the poetry and visual arts of the Romantic Age. He died in 1827.
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Recensioni su Poesie
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- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5This book contains Songs of Innocence and of Experience, followed by an Appendix containing A Divine Image and The Book of Thel. My favourite poems are in Songs of Experience. They are darker and more critical of society, human nature and the Church than the Songs of Innocence. As they are well out of copyright, I will include a couple of them here. The Garden of LoveI laid me down upon a bankWhere Love lay sleepingI heard among the rushes dankWeeping, weepingThen I went to the heath and the wildTo the thistles and thorns of the wasteAnd they told me how they were beguiledDriven out, and compelled to the chasteI went to the Garden of LoveAnd saw what I never had seenA Chapel was built in the midstWhere I used to play on the greenAnd the gates of this Chapel were shutAnd "Thou shalt not," writ over the doorSo I turned to the Garden of LoveThat so many sweet flowers boreAnd I saw it was filled with gravesAnd tombstones where flowers should beAnd priests in black gowns were walking their roundsAnd binding with briars my joys and desiresLondonI wander through each chartered street,Near where the chartered Thames does flow,And mark in every face I meet,Marks of weakness, marks of woe.In every cry of every man,In every infant’s cry of fear,In every voice, in every ban,The mind-forged manacles I hear.How the chimney-sweeper’s cryEvery blackening church appalls;And the hapless soldier’s sighRuns in blood down palace-walls.But most, through midnight streets I hearHow the youthful harlot’s curseBlasts the new-born infant’s tear,And blights with plagues the marriage-hearse.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5An eternal source of inspiration. Beyond staggering.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5An awesome little book full of great poems. Blake is a favorite of mine so I was very happy to get my hands on this and add it to my library!
Anteprima del libro
Poesie - William Blake
258
Prima edizione ebook: gennaio 2012
© 1976, 2012 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-3830-8
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
William Blake
Poesie
Con un saggio di James Joyce
Cura e traduzione di Giacomo Conserva
Introduzione di Sergio Perosa
Testo inglese a fronte
Newton Compton editori
Introduzione
William Blake è uno dei più intensi, complessi e rivoluzionari poeti inglesi. E uno dei meno letti, almeno, nel suo complesso e nella sua complessità. Si legge il presunto «primo» Blake – il Blake delle liriche di stampo elisabettiano, delle poesie brevi e brucianti; si rifugge dalle opere «epiche» e profetiche della maturità. O, peggio ancora, le si lasciano al culto degli iniziati.
Ce n’è parzialmente motivo, sia per l’indubbia eccellenza della sua voce lirica, sia per certa prolissità e oscurit๠della vena profetica. Eppure è un errore, giacché l’un Blake è non solo complementare all’altro, ma parte unitaria dell’altro. La esperienza lirica o il canto sono solo apparentemente grido immediato del cuore: si fondano anch’essi su una mitopoiesi ben precisa, mentre a loro volta la concezione profetica o la visione si sostanziano di intensa partecipazione emotiva e forza di linguaggio. C’è poi una terza difficoltà (cui si accennerà qua e là di sfuggita), e cioè il fatto spesso dimenticato che la poesia di Blake è strettamente connessa alla sua forma visiva, a quel particolare tipo di incisione colorata a mano (illuminated etching) da lui inventata, in cui il poeta scelse di esprimersi e che costituisce un affascinante tutt’uno di figurazione e parola, illustrazione e poesia, dove l’una scaturisce e dipende dall’altra, intensificandone significato ed espressività.
Storicamente, il momento di rottura impersonificato da Blake è definibile con sufficiente precisione. La sua è innanzitutto rottura con la poesia settecentesca didattica e didascalica, rococò e neoclassica. I manuali insegnano che la prima forma di tale reazione è nella riscoperta della voce e dell’intensità lirica, del song elisabettiano. Il passaggio è appena segnato nella raccolta giovanile Poetical Sketches; felicità e musicalità del verso, leggerezza di tocco e di dettato, freschezza della parola e del tono spirano in ciascuno dei Songs of Innocence and of Experience. Ma la rottura col Settecento è ben più profonda e rivoluzionaria. Ha fondamenti filosofici ed ideologici. Fin dall’inizio, e poi sempre più nel procedere degli anni, assoluta e viscerale si fa in Blake l’opposizione all’empirismo e al razionalismo settecenteschi. «Solo il pensiero crea mostri, non gli affetti», scrive nelle «Annotazioni a Swedenborg». Nel Pantheon che, come vedremo, si costruisce, Bacone, Newton e Locke finiscono per assumere i connotati di una trinità diabolica.
«May God us keep / From Single vision & Newton’s sleep», si conclude la sua seconda lettera in versi a Butts; e come si legge nella poesia del «Notebook 1800-3»:
Mock on, Mock on! Voltaire, Rousseau,
Mock on, Mock on! ’tis all in vain!
You throw the sand against the wind,
And the wind blows it back again.
...
The Atoms of Democritus
And Newton’s Particles of Light
Are sands upon the Red sea shore
Where Israel’s tents do shine so bright.²
La sua opposizione è da un lato alla fredda visione matematica («Dio non è un Diagramma Matematico») e meccanicistica del mondo (in Jerusalem accentuerà la polemica proprio contro il «telaio» di Locke e gli «ingranaggi» di Newton, identificandoli con i macchinari e le macchinazioni satanici). D’altro canto, è opposizione al Deismo e alla ragione trionfante dell’illuminismo, che porta a riscoprire il valore dell’ispirazione e della visione. Nelle sue «Annotazioni a Reynolds», Blake scrive di disprezzare e aborrire Locke e Bacone, letti da giovane, giacché essi «deridono l’Ispirazione e la Visione. L’Ispirazione e la Visione erano allora, come oggi, e spero sempre rimarranno, il mio Elemento e mia eterna Dimora».
Si sviluppa da qui la sua concezione, che è già romantica, del potere creativo dell’immaginazione, vista come facoltà suprema dell’uomo in opposizione ai sensi e all’intelletto. Le citazioni potrebbero farsi fin troppo abbondanti. «L’Immaginazione è il corpo divino in Ogni Uomo»; «Il Corpo Eterno dell’Uomo è l’Immaginazione, cioè, Dio Stesso, Il Corpo Divino – Gesù»; «L’Immaginazione è Eternità», sono frasi recise e conclusive del Blake maturo. Ma fin da giovane egli era stato fra i primi a parlare di genio poetico, sostenendo che «Un solo Potere fa il Poeta: l’Immaginazione, la Visione Divina», e che l’artista «copia» non già la natura, ma l’immaginazione, che diventa energia incorporata nella forma.³ L’arte è per Blake, come sarà per S.T. Coleridge, creatrice, e non imitativa o associativa. La poesia non è figlia della memoria, come per i greci, ma dell’ispirazione, unifica e non divide, non rispecchia ma rivela. Ecco perché, e questo è l’altro passo in avanti di Blake, la poesia è soprattutto visione.
Il mondo dei sensi è illusione, maschera o guscio della vera realtà (come il corpo è mero guscio della parte spirituale, «quella parte dell’anima percepita dai cinque sensi»), e va perciò penetrato per vedere la sostanza oltre l’apparenza, l’eterno oltre il contingente, l’essenza dietro il fenomeno.⁴ D’altro canto, per Blake quel mondo è mera creazione mentale, e quindi esiste veramente solo come o nell’immaginazione e visione:
Solo le Cose Mentali sono reali; di ciò che si chiama Corporeo, Nessuno conosce la Dimora: è nella Fallacia, & la sua Esistenza un’Impostura. Dov’è l’Esistenza fuor della Mente o Pensiero? ...Per Mio conto io asserisco che non vedo la Creazione esteriore & che per me è ostacolo e non Azione; è lo sporco sul miei Piedi, non parte di me. «Come», mi si chiederà, «Quando si leva il Sole, non vedi un disco rotondo di fuoco come una ghinea?». O no, no, io vedo un’Innumerevole compagnia delle schiere Celesti che intonano «Santo, Santo, Santo è il Signore Dio Onnipotente». Non mi rivolgo al mio Occhio Corporeo o Vegetativo più di quanto non mi rivolga ad una Finestra per un Panorama. Vedo attraverso l’occhio, non con l’occhio.⁵
L’immaginazione è «il Mondo reale & eterno di cui questo Universo Vegetale è solo debole ombra», e a sua volta (si legge in una lettera) «per me questo Mondo è tutta una sola Visione di Fantasia o Immaginazione». Perciò Blake sostiene la visione, contrapponendola alla fiaba e all’allegoria degli antichi, in quanto «Rappresentazione di ciò che Esiste Eternamente, Realmente e Immutabilmente», e scrive, nel celebre inizio degli «Auguries of Innocence»:
To see a World in a Grain of Sand
And Heaven in a Wild Flower,
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.
In quanto visionaria, per di più, la poesia è profetica («se non fosse per il carattere Poetico o Profetico» si legge già nel 1788). Non per nulla le composizioni maggiori di Blake si definiscono libri profetici, e non è senza significato (personale e storico) che egli finisca per opporre all’arte classica e neoclassica la poesia della Bibbia, ispirata e profetica. E ciò non è solo o non tanto perché Blake concorre, come pur fa, a dar credito ad un concetto sacrale religioso dell’arte, quanto perché evidentemente la sua scelta filosofica ed ideologica è ben precisa. Come han fatto ben vedere, fra gli altri, sia Northrop Frye che Kathleen Raine,⁶ Blake si ricollega alla tradizione del contro-Rinascimento rimasta viva per tutto il Sei e Settecento – alla tradizione del neo Platonismo e dell’occulta filosofia, dei visionari alla Thomas Vaughan o degli occultisti alla Boehme e alla Swedenborg – e filosoficamente è seguace di George Berkeley (esse est percipi). Su tale aspetto si è insistito fin troppo. Ed anche per sciogliere Blake dall’abbraccio spesso soffocante di mistici e teosofi, qui sembra più utile insistere su come la sua rottura poetica col Settecento neoclassico, e la sua rottura ideologica col Settecento illuminista, prefigurino in lui la nascita di una poesia rivoluzionaria e romantica non solo perché visionaria o profetica, ma per le sue coordinate e articolazioni culturali, e per quella che diventerà la sua particolare tensione mitopoietica.
Fin dall’inizio, e non solo nei più tardi libri profetici, Blake individua e incarna quelle coordinate e quella tensione. È fra i primi – con Gray e Collins, Chatterton e Percy – a preferire le antichità nordiche alle antichità classiche, i miti di Ossian a quelli di Omero («Credo sia a Macpherson che a Chatterton ... mi professo ammiratore di Ossian», specificherà anche in seguito). Al culto degli scrittori greci e latini oppone la riscoperta del Medioevo e la rivalutazione del gotico. Se l’arte greca è forma matematica, quella gotica è forma vivente (e mentre «la Forma Matematica è Eterna nella Memoria Raziocinante, la Forma Vivente è Esistenza Eterna»);⁷ e quanto ai classici: «I Classici! sono i Classici, e non i Goti o i Monaci, che devastano l’Europa con le Guerre», scriverà nel 1820, dopo essersi scagliato, nella prefazione al poema Milton (1804-8), contro gli scritti «rubati e pervertiti» di Omero e Ovidio, Platone e Cicerone, che tutti dovrebbero condannare di fronte al «Sublime della Bibbia». È questa opposizione, mescolandosi alla teoria della poesia visionaria e profetica, che conduce Blake al suo esito peculiare e idiosincratico: il tentativo di far rivivere l’antica tradizione profetica e visionaria ebraica, la tensione verso l’Apocalisse e la Nuova Gerusalemme che anima la sua ultima poesia. «Ma quando la Nuova Era [continua la prefazione a Milton] avrà Tempo di pronunciarsi, tutto sarà rimesso a posto, & quelle Opere Grandiose degli Uomini più antichi & più consapevolmente & dichiaratamente Ispirati riprenderanno il loro giusto rango, & le Figlie della Memoria [le Muse classiche] diventeranno le Figlie dell’Ispirazione ... Non ci occorrono Modelli né greci né romani, se solo si è giusti & fedeli alla propria Immaginazione.»
Milton, il poeta Milton, che influenzò Blake – e che questi prese a eroe del suo poema come figura appunto dell’uomo ispirato – aveva deliberatamente programmato nel suo Paradise Lost una contaminazione fra la forma classica dell’epica (quella di Omero e di Virgilio) e il tema biblico. Nei suoi libri profetici Blake tenta una sua forma di Bibbia o Apocalisse moderna, ma insistendo non tanto sul tema biblico, quanto sulla forma biblica. «Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono il Grande Codice dell’Arte», ripeterà nel «Laocoön» (1820), mentre nelle «Annotazioni al Dr. Thornton» (1827) identificherà i classici greci e romani con l’Anticristo.
Questo è forse il Blake più ostico alla sensibilità moderna, se non fosse, va detto subito, che la sua si configura almeno per buona parte come una sorta di Bibbia rovesciata, di un’anti Bibbia o «Bibbia dell’Inferno». Codesta sua costruzione di una mito centrale alla sua poesia in senso tutto privato e personale – e, al limite, «diabolico» – ci conduce all’ultimo punto caratterizzante della sua opera: il concetto e la pratica di poesia come esercizio di mitopoiesi, come creazione di un eterocosmo autonomo a sé stante. Il mito centrale di Blake può apparire fin troppo privato e idiosincratico nei suoi enunciati, nelle sue articolazioni (e ripetizioni), e nel suo simbolismo, giustificando in parte le critiche di un T.S. Eliot e di altri con lui.⁸ D’altra parte, come Blake farà dire a Los in Jerusalem,
I must Create a System or be enslav’d by another Man’s.
I will not Reason & Compare: my business is to Create.
E in ogni caso: la poesia come creazione del mito è un portato della sua stessa concezione dell’energia e dell’esuberanza come essenziali valori umani e poetici. Onde accanto alle coincidenze cominciano a manifestarsi, in Blake e nella sua poesia, quelle fertili antinomie che ne fanno la grandezza, la complessità e l’interesse anche contemporanei, al di fuori di catalogazioni o tentazioni «mistiche». Perché ben altro si muove appunto in lui e nella sua poesia, oltre a quanto s’è detto.
Blake è il genio rivoluzionario del Romanticismo inglese anche perché ne incarna gli aspetti di più accesa e convinta lotta per la libertà da ogni costrizione e paura, del tempo come del padre, della realtà politica come di quella religiosa, del conformismo e del filisteismo. È fra i più convinti assertori degli ideali (ma poi anche della realtà stessa) della Rivoluzione francese. Si fa paladino di ogni libertà individuale e del progresso umano e sociale. Dopo aver letto il neoplatonico Thomas Taylor, è poi anche lettore e amico dei radicali William Godwin e Mary Wollstonecraft. Suddito britannico un tantino sospetto, lui che magari secondo la leggenda se ne sta in giardino con la moglie a ricreare le scene del Paradiso terrestre, coglie nella Rivoluzione americana il senso di un incipiente rivolgimento che cambierà il mondo. È il primo grande poeta a farsi interprete e cantore dello spirito di ribellione (come sarà più avanti per Shelley e Keats), ma con assoluto candore e radicalismo, senza rientrare mai nei ranghi. Rifiuta ogni principio di autorità e il conformismo religioso. È il primo a cogliere, magari per motivi un po’ ambigui, il nefasto significato e le catastrofiche conseguenze della predominante rivoluzione industriale, dei dark Satanic mills.
È il «profeta contro l’Impero» e il cantore della libertà; è dalla parte degli oppressi, dei diseredati,