Mystery Time. Il mistero di Dark City
Di Manuel Mura
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Mystery Time. Il mistero di Dark City - Manuel Mura
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Percorso celato
Alla giovane Jennifer Phage scappò uno sbadiglio mentre imboccava l'ennesima curva dell'autostrada, pressoché deserta a quell'ora tarda della sera.
Diede un'occhiata all'orologio al polso che segnava le ventitré e cinquanta, un orario a cui era abituata ad andare a letto da un pezzo.
Era sempre stata una che si coricava e alzava presto, più per abitudine che necessità.
La sua vita era stata sempre agiata e tranquilla, grazie ai genitori che non le avevano mai fatto mancare nulla, ma anche molto piatta.
C'erano stati momenti di depressione totale in cui si sentiva inutile a non fare nulla, oltre che molto sola.
Era sempre stata un'anima solitaria e particolare, per non dire strana come la definivano gli altri.
Non che facesse cose insolite o vestisse in maniera particolare come molti né le piacevano anelli al naso o tatuaggi tanto in voga tra i giovani, anzi era una molto sobria.
Astemia, di buona famiglia, senza brutti vizi, non le mancava niente ma il suo brutto carattere, esplicito nel dire ciò che pensava senza mezzi termini e allo stesso tempo chiuso e sgraziato, la metteva spesso nei guai. O meglio le aveva procurato tanti nemici, anche se non se ne preoccupava.
C'era chi faceva cose ben peggiori al mondo che essere sinceri.
Molti nascondevano la loro vera indole dietro falsi sorrisi ma lei non ne era capace, anzi faceva l'esatto contrario. Ma il suo carattere la portava sovente a isolarsi ed avere pochi amici, ormai praticamente nessuno.
In fondo le andava bene così: chi non la rispettava o con cui non poteva parlare francamente preferiva di gran lunga farne a meno.
Le era successo così con Tony, un uomo conosciuto anni addietro con cui pensava di costruirsi una famiglia insieme, rivelatosi un oppressore e un presuntuoso.
Le era rimasto un brutto ricordo di lui, soprattutto perché il tempo passato insieme era stato un continuo sperare andasse meglio, rendendosi conto troppo tardi che era solo un'illusione. Così aveva deciso che sarebbe stato il primo e l'ultimo.
Nei mesi seguenti era seguita una considerevole depressione, cosa non nuova nella sua vita a cui mancava uno scopo.
Ma negli ultimi due anni qualcosa era cambiato: aveva cominciato a scrivere libri. Era una passione coltivata da sempre ma mai concretizzata.
Ricordava la sua fantasia da bambina che trasformava cestini della merenda in astronavi aliene, una porta rovinata in un passaggio per altri mondi o una scala storta nel più intrigato dei gialli. Fantasticherie che l'avevano trasformata nello zimbello dei coetanei che l'apostrofavano come matta perché aveva troppa fantasia. E col tempo aveva finito per trattenerla dentro di sé, troppo preoccupata di quello che pensavano o dicevano gli altri o finito per dar retta a persone come Tony che le rimarcava ogni giorno quanto non valesse niente e quanto gli altri fossero meglio.
Ora, a quasi trent'anni, non intendeva più dar retta a nessuno ma solo seguire il suo istinto ed essere sé stessa e chi non l'accettava per come era poteva andarsene in quel posto.
E anche se i suoi romanzi non avevano riscosso un gran successo, anzi pressoché minimo, non le importava, lo faceva perché le piaceva, perché la faceva sentire viva e perché dava un senso alla sua esistenza. Se ciò la portava alla solitudine poco male, la preferiva alle cattive compagnie.
Non intendeva seguire più nessuno né alcuna moda e quando le dicevano qualcosa ribadiva una frase sentita da bambina se tutti si buttano da un precipizio non per questo devo farlo anch'io
, frase che descriveva alla perfezione il suo pensiero.
E non era nemmeno una brutta ragazza, anche se niente di eccezionale. Piuttosto alta, magra, capelli biondi corti a caschetto, occhi castani e tratti del viso sottili e ben fatti, di sicuro il suo punto migliore. Nel fisico non spiccava nel seno, relativamente piccolo, e nemmeno nel fondoschiena, non brutto ma neanche eccezionale, solo le gambe lunghe e sottili avevano una parvenza di sensualità. E non era nemmeno una atletica in quanto gli sport e l'attività fisica in generale non le era mai piaciuta.
Probabilmente un po' abbellita e truccata sarebbe risultata meglio ma non le piaceva conciarsi come facevano le altre donne: trucco, orecchini, smalti per le unghie, tinture per capelli non le si addicevano proprio, tanto meno tatuaggi o piercing.
Amava invece la semplicità e la naturalezza: secondo lei ognuno andava bene così com'era senza bisogno d'aggiunte esterne.
Lasciò perdere i suoi pensieri per concentrarsi sulla guida e sulla strada da percorrere.
Ancora una volta si pentì d'essersi messa in viaggio per andare a trovare sua zia, un parente che non vedeva da più di vent'anni e con cui non avrebbe più voluto avere niente a che fare.
L'aveva fatto per fare un favore a suo padre ma pensava a un soggiorno di breve durata per non dire immediato. Doveva recuperare un oggetto appartenente alla sua famiglia e poi tanti saluti.
Almeno questa era l'idea ma durante il viaggio si era imbattuta in un grosso ingorgo in centro, seguito da un incidente fuori città che l'aveva tenuta inchiodata per ore.
Così ora era in forte ritardo e aveva fatto notte senza essere ancora giunta a destinazione.
Sua zia viveva in un paesino di montagna neanche troppo distante in linea d'aria dalla città ma difficilmente raggiungibile se non tra sentieri impervi e strade scoscese.
Lei aveva preso l'autostrada che allungava un po' il giro ma almeno era più sicura e meno trafficata.
Giusto nella corsia opposta era passata qualche macchina ogni tanto ma nell'ultima ora non aveva visto anima viva.
A dire il vero pensava d'aver sbagliato strada ma ricordava bene che sulla destra, finite le gallerie, c'era uno svincolo da prendere per raggiungere il paese di sua zia. Tuttavia le gallerie le aveva passate da un pezzo senza scorgere lo svincolo; forse l'aveva superato senza accorgersene.
Un improvviso sfrecciare davanti a lei la colse alla sprovvista facendola frenare di colpo, stridendo le ruote sull'asfalto.
Guardò avanti ma la luce dei fari proiettava solo la strada mentre intorno c'erano due costoni rocciosi a ridosso della zona montagnosa che stava attraversando.
Le pareva impossibile qualcuno fosse in un posto così desolato a quell'ora della notte.
Le venne da pensare a qualche ubriaco o drogato ma in quello spazio così ristretto l'avrebbe scorto di certo, almeno di giorno.
Dietro e di lato vedeva pochissimo e pur aguzzando la vista non notò nulla di strano.
Poteva scendere e controllare meglio ma non aveva alcuna intenzione di farlo, oltre che inutile poteva essere pericoloso.
Una strana sensazione la prese di colpo: mise in moto accelerando rapidamente, togliendosi dal punto in cui si era fermata.
Dopo un po' si calmò, chiedendosi cosa le fosse preso e se non era solo la stanchezza a farle qualche brutto scherzo.
Diminuì l'andatura guardando sulla destra per vedere se c'era quel beato svincolo che sembrava scomparso dalla faccia della Terra.
Guardò anche dallo specchietto retrovisore per scorgere qualcosa che le poteva essere sfuggito ma non vide niente.
Fece un sospiro di sollievo avendo per un attimo creduto ci fosse davvero qualcuno in quei luoghi che una donna sola non aveva di certo piacere d'incontrare.
Non ci pensò più e si accostò il più possibile al bordo della strada cercando di scorgere qualche segno del punto che cercava o capire se per sbaglio l'aveva superato.
In quel caso era un bel problema e doveva fare una grossa deviazione che le avrebbe fatto perdere molto tempo.
Guardò con attenzione ma lo svincolo non si vedeva e la strada discendeva leggermente facendole capire che doveva aver superato da un pezzo il punto che cercava.
Represse la parolaccia che le venne spontanea e pensò rapida al da farsi.
Non c'era molta alternativa, doveva svoltare più avanti a sinistra e poi girare nuovamente a destra e da lì puntare al paese di sua zia.
Tanto per non porre limiti al tardi e alla stanchezza, pensò. Tuttavia era inutile piangere sul latte versato, si prodigò piuttosto di vedere il punto dove sarebbe dovuta girare cercando stavolta di non sbagliarsi.
Finalmente lo vide e lo imboccò, cominciando con le curve che seguivano una dietro l'altra, dall'alto verso il basso in un circolo che le faceva venire in mente i gironi infernali.
Solo dopo un tempo che le sembrò infinito finirono e la strada si fece rettilinea: non doveva essere distante dall'altro punto che l'avrebbe portata fino al paese di sua zia.
Vide infatti un altro svincolo che al buio e senza un cartello non era certa fosse quello giusto.
Rallentò fino quasi a fermarsi, pensando velocemente se era proprio quella la strada che doveva imboccare.
Così a occhio le pareva di si, però non ne era sicura e se sbagliava rischiava di perdersi o alla meglio perdere altro tempo.
Era stanca e voleva solo arrivare a destinazione, così prese quello svincolo e proseguì per un po' lungo una strada che la portò presto in aperta campagna.
Si ricordava che prima di giungere in paese c'era una zona di campagna da attraversare e quello la mise sull'avviso che fosse sulla strada giusta.
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Quel pensiero le dette la forza di continuare tra uno sbadiglio e l'altro. Guardò l'orologio e mancava poco all'una meno venti, un orario inconcepibile per lei.
Si sforzò di resistere al sonno e proseguire. Era in una strada larga ma totalmente deserta e intorno c'era terreno agricolo in gran parte lasciato andare dove qua e là spuntava qualche albero.
Non vedeva il paese ma poteva anche essere vicino e ritrovarcisi in un attimo, visto che a quell'ora tutti erano a dormire e le luci spente.
Proseguì entusiasta pensando di essere alla fine del viaggio ma ciò che vide davanti a sé la lasciò spiazzata e sconcertata: un manto bianco copriva tutto.
Si ricordò solo in quel momento che in quelle zone la nebbia era sempre presente, soprattutto alla sera e alla mattina.
Ricordava da bambina l'aver visto quel manto bianco per la prima volta che ricopriva ogni cosa: era corsa dalla zia spaventata chiedendole cosa fosse.
Ora le veniva da ridere a quel pensiero ma la