Nell'azzurro - Chiaroscuro: Racconti
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Info su questo ebook
I racconti sono:
"Vita silvana", "Sulla montagna", "Memorie infantili", "Una terribile notte", "La casa paterna", "Chiaroscuro", "Le tredici uova", "Un grido nella notte", "Il cinghialetto", "La porta aperta", "La porta chiusa", "Il Natale del consigliere", "Padrona e servi", "Le scarpe", "Al servizio del re", "La scomunica", "L'uomo nuovo", "Lasciare o prendere?", "La volpe", "La cerbiatta", "La festa del Cristo", "Un po' a tutti", "Libeccio", "La moglie", "I tre fratelli", "L'ultima", "La vigna nuova".
Maria Grazia Cosima Deledda è nata a Nuoro, penultima di sei figli, in una famiglia benestante, il 27 settembre 1871. E’ stata la seconda donna a vincere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1926. Morirà a Roma, all'età di 64 anni, il 15 agosto 1936.
Grazia Deledda
Grazia Deledda was born in 1871 in Nuoro, Sardinia. The street has been renamed after her, via Grazia Deledda. She finished her formal education at 11. She published her first short story when she was 16 & her first novel, Stella D'Oriente in 1890 in a Sardinian newspaper when she was 19. Leaves Nuoro for the first time in 1899 and settles in Cagliari, the principal city of Sardinia where she meets the civil servant Palmiro Madesani who she marries in 1900 and they move to Rome. Grazia Deledda establishes an international reputation as a novelist& wins the Nobel Prize for Literature in 1926.
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Anteprima del libro
Nell'azzurro - Chiaroscuro - Grazia Deledda
2009
Nell’azzurro
Vita silvana
Vi parrà un romanzo, o mia bionda e piccola lettrice, ma è una storia vera: tanto vera che io, per narrarvela, cambio i nomi delle persone e dei luoghi alle quali e nei quali accadde.
Figuriamoci in Sardegna, nella mia verde e sconosciuta Sardegna, e cominciamo.
Si chiamava Cicytella, nome che nei nostri dialetti sardi significa Franceschina: niente altro che Cicytella, perché non aveva famiglia, non aveva nome: probabilmente era una trovatella, ma nessuno era anche certo di ciò. Dieci o dodici anni prima un vecchio pastore che cambiava il gregge dalla pianura alla montagna, all'entrata dei boschi, sul musco verde di un masso, aveva trovato una piccola bambina, riccamente vestita, ma quasi morta dalla fame. Figuratevi la sua meraviglia e un po' anche il suo dispetto: perché quel vecchio pastore, che si chiamava zio Bastiano, era un uomo a cui i bambini davano orribilmente ai nervi, se vi potevano essere nervi sotto l'epidermide nera del suo corpo.
In gioventù Bastiano aveva molto sofferto per causa degli uomini: la sua vita di sventure era stata un vero romanzo, uno di quei romanzi sardi tutti pieni di odio e d'amore, d'inimicizie e di sangue, un romanzo che qui tornerebbe inutile e troppo lungo il raccontare: alla fine Bastiano, lasciato il suo villaggio per non più ritornarvi, venduti i suoi averi, si era comperato cento pecore e due grossi cani - chiamati Nigheddu e Biancu¹, dal loro colore - e aveva cominciato la vita del pastore, calma, tranquilla, senza sventure e senza passioni, nei nostri boschi, sulle montagne di granito, nelle valli fertili, striate di torrenti d'argento, nelle pianure verdi dai pascoli lussureggianti, fra i placidi silenzi del cielo e delle campagne solitarie... Aveva finito col dimenticare tutto e tutti, e si trovava tanto bene in quella vita quasi selvaggia, lontano dagli uomini e dalle donne, che s'era deciso di vivere sempre così: non andava nei villaggi e nelle piccole città se non per vendere i suoi prodotti, comprare le cose più necessarie alla sua vita errante, ed affittare le pasture per il suo gregge.
Il suo gregge, i suoi cani! Era tutta la sua famiglia ed egli l'amava svisceratamente; e forse ne era ugualmente amato, almeno dai cani: conosceva, chiamava con cento nomi, una per una, le sue pecore, ed allorquando ne moriva qualcuna, per malattia o per vecchiezza, egli provava un immenso dolore.
Ed ecco ad un tratto quella piccola signorina veniva a turbargli l'anima e la vita.
Appena la vide, Bastiano si domandò se doveva o no scendere da cavallo - aveva anche un cavallo, un cavallino grigio dai grandi occhi languidi, chiamato Murrittu - e si decise per il sì quando la sentì piangere.
La prese fra le mani e l'esaminò come un oggetto curioso: la piccina poteva avere un anno, ma era mingherlina mingherlina, pallida, con gli occhi grandi castanei come i capelli, il profilo sottile e delicato.
Era vestita signorilmente, con biancheria fra i cui ricami si notavano due lettere: V. L. Ma Bastiano non conosceva neppure l'alfabeto.
- Si chiamerà Francesca - pensò macchinalmente. - Franceschina, Cicita... sì, Cicytella...
Era quello il secondo battesimo della bambina.
Intanto essa piangeva, piangeva sempre, spalancando gli occhi, e Bastiano, accorgendosi che quel pianto era desto da una gran fame, cominciò a sentire pietà della povera smarrita, e più che pietà interessamento, come scosso dal fascino innocente e supplicante di quei grandi occhi velati dalle lagrime.
- Perdeu! - sacramentò. - Cosa devo fare?
Per tutta risposta una grande pecora dalle mammelle piene di latte si avvicinò alquanto: il pastore depose la bimba per terra e lì, su due piedi, munse la pecora; e caldo caldo fece bere il latte a Cicytella: due minuti dopo essa dormiva saporitamente, davanti a zio Bastiano, su una morbida pelle nera - sul cavallino che saliva, saliva, fra le ombre verdognole del bosco, su per il sentiero assiepato di felci color d'oro e di liane color di smeraldo - mentre le pecore, guidate dai cani, procedevano, sempre avanti.
Zio Bastiano aveva pensato subito di scendere al villaggio per restituire la bimba, che egli credeva fosse stata dimenticata (?!) in campagna da qualche comitiva di signori e signore venuti per divago, ma in quel momento gli era impossibile lasciare il suo gregge solo, sulla strada: quindi pensò di condurre prima questo ai pascoli destinati, poi ridiscendere al villaggio.
Zio Bastiano aveva settant'anni, ma era ancora vigoroso e svelto come un uomo di cinquanta.
I suoi capelli lunghi e inanellati erano bianchi come la neve, il suo viso, d'un bruno oscurissimo, fatto più scuro ancora da quella bianca e fluente cornice, era tutto increspato, specialmente agli angoli degli occhi e della bocca grande, pulitissimo, senza baffi, senza barba, senza macchie di sorta; i suoi occhi erano fulgenti, grandi e neri come in gioventù, il suo profilo regolarissimo, la fronte alta, il naso greco e il mento sporgente: in gioventù Bastiano doveva essere stato bellissimo; adesso l'insieme del suo viso aveva una strana espressione, l'espressione dell'uomo buono fatto insociabile dalle avversità e dalle sventure, che si sente cattivo pensando al male che ha sofferto; che si sente buono pensando all'avvenire, confidando nella sua coscienza e in Dio.
Così era lo zio Bastiano, il vecchio pastore dalle vesti pulite che ricordavano in lui il ricco e azzimato proprietario dei villaggi sardi; il vecchio pastore che non amava punto i bimbi, nelle cui mani era caduta Cicytella. Che cosa pensò durante il resto di quella giornata, speso da lui nel dar nuovamente da mangiare alla bimba, nel rimettere a nuovo e arredare una vecchia capanna che trovò lassù, nelle terre dove durante l'estate, doveva nascere il suo gregge?
Non sappiamo: ma la sera, quando accese il fuoco e alla sua luce rossastra vide Cicytella che dormiva su una stuoia, in un angolo ben riparato della capanna, pensò:
- Farò tutte le possibili ricerche per ritrovare i suoi parenti, ma se nessuno s'incarica di lei io non la consegnerò punto al Municipio, no; l'alleverò io e ne farò una brava donnetta che mi aiuti nella vecchiaia...
Quale mai doveva essere la sua vecchiaia se a settant'anni si sentiva ancora forte e pieno di vita?
- Cicytella! -. Probabilmente a quel nome il pastore univa anche un ricordo, perché il suo viso s'alterava ogni volta che egli lo pronunziava. Bastiano non poteva prendere sonno. Uscì dalla capanna e guardò le campagne sottostanti velate dalle ombre della notte. Tutto dormiva, anche le chiome del bosco che scintillavano in silenzio ai raggi della luna, anche il cielo sereno, verdognolo e trasparente, senza sfumature, chiuso fra le alte siepi fiorite, anche i grandi fiori della montagna dal forte profumo, e i grandi massi bruni e le roccie coperte d'ellera e di muschio che nella penombra della luna parevano castelli e torri rovinate.
Bastiano gustò a lungo l'incanto di quella notte di argento, poi si ritirò: guardò ancora la piccina e si stese sulla stuoia mormorando:
- Cicytella!
L'indomani scese al villaggio con la bambina, e in breve tutti furono informati dello strano modo in cui il pastore l'aveva trovata: figuratevi il subbuglio, la confusione, le ipotesi, le opinioni, i pareri di tutta quella buona gente che per due o tre giorni non pensò più ai fatti suoi parlando di Cicytella. Ma nessuno l'aveva perduta, nessuno la conosceva, nessuno aveva sentito parlare, neanche nei vicini villaggi, di quello smarrimento madornale.
In questi tempi si sarebbe subito ricorso ai giornali, ma allora i giornali erano cosa rara nel centro della Sardegna e Bastiano ignorava del tutto la loro esistenza. Quindi comprò un completo corredino per la bambina e se la riprese alla montagna.
Passarono dieci anni.
Bastiano mantenne la parola: in capo a quel tempo Cicytella era già una brava donnetta, una completa massaia, una bambina coraggiosa come un uomo, senza esagerazione. Il pastore aveva gelosamente conservato gli abitini che ella indossava il giorno in cui l'aveva ritrovata, affinché ciò facilitasse la sua ricognizione; ma dieci anni erano scorsi e i genitori di Cicytella non erano ancora comparsi; forse non comparirebbero mai più.
Impossibile narrare minutamente l'infanzia della bambina trascorsa nei boschi ombrosi e solitari, nelle ardenti pianure, nelle valli dirupate ove il torrente impetuoso rumoreggia in eterno fra gli ulivi, i salici e i pioppi dalla foglia argentea; sulle montagne nere flagellate dal sole, attraverso gli ampi e silenziosi paesaggi delle campagne sarde; luoghi che avevano formato il suo carattere ardente e coraggioso, che avevano influito a formare la sua anima e la sua fantasia, serie, forti, assennate. Nessuna bambola, nessun giocattolo era venuto nella sua vita: i suoi fidi amici d'infanzia erano stati gli agnellini bianchi e i grandi cani di zio Bastiano; i suoi divertimenti l'arrampicarsi sugli alberi per cogliere i nidi, sulle roccie, attraverso le liane e le macchie di lentischio, l'esplorare i nuraghes per ritrovare i favolosi tesori che i giganti vi lasciarono, o per cogliervi i fiori delle eriche e delle rose selvaggie, e suonare le leoneddas. Zio Bastiano non sapeva suonare questo armonioso e semitico strumento, ma Cicytella aveva preso lezioni da un pastore del Campidano e non solo suonava stupendamente arie che lo stesso Meyerbeer avrebbe ammirato, ma sapeva persino fabbricare quel flauto di canne.
Nei meriggi ardenti, quando zio Bastiano e Cicytella avevano finito di mugnere le pecore, di fare il formaggio e la ricotta e il latte coagulato - l'avreste vista la piccina con le maniche rimboccate, il fazzoletto legato sulla nuca, tutta affaccendata, come se fosse stata lei a fare tutte quelle operazioni - zio Bastiano si coricava sull'erba molle, all'ombra degli alberi o delle grandi rupi ricoperte di muschio, e Cicytella gli suonava un'aria triste, armoniosa, sonnolenta, guardandolo furbamente come per dirgli: Ti farò dormire anche se non ne hai voglia!
mentre lei stessa, come cullata dal mormorio del torrente, dal venticello che scuoteva intorno a lei gli alti pascoli di smeraldo, finiva col chiudere gli occhi al sonno.
Così d'estate, di primavera e d'autunno: ma nell'inverno quando la nebbia velava l'orizzonte e sui boschi brulli fischiava il vento e cadeva la neve, Cicytella non vagava per la campagna, non aiutava lo zio Bastiano, perché questi, sapendo che il freddo le avrebbe fatto male e un soffio impetuoso di vento avrebbe potuto sbatterla a qualche rupe o precipitarla in un burrone, glielo proibiva assolutamente. Ella rimaneva nell'ampia e ben coperta cucina, davanti al fuoco, e... cuciva!
Sì, Cicytella cuciva e tagliava meravigliosamente, e nell'inverno rattoppava e preparava per sé e Bastiano le vesti per tutto l'anno.
Era stato lui ad insegnare alla sua figliuola
tante belle cose, altre ella le aveva apprese da una donna del villaggio nella cui casa aveva trascorso tutto il tempo da zio Bastiano impiegato a recarsi al sud dell'isola per vendere i prodotti, di due anni, delle sue pecore. Durante quel tempo Cicytella aveva un po' sofferto, un po' goduto, e molto imparato.
Sofferto perché si sentiva come imprigionata in quella casa, fra le pareti brune e i poveri mobili, lei ch'era avvezza allo sconfinato orizzonte, al verde, all'azzurro, ai molli seggioloni di muschio, alle amache di liane ed ai letti di felce e di eriche molli e profumate; perché non era vicina ai suoi amici, a Bastiano specialmente, di cui non aveva notizie: goduto perché, benché la donna dove stava non avesse figli, godeva la compagnia di altre bambine del vicinato, che le narravano tante cose strane e meravigliose, e che a loro volta si maravigliavano dei racconti che ella faceva loro della sua vita selvaggia; tante bambine fra le quali si aveva fatto qualche amica che giungeva a prometterle di visitarla spesso nei suoi boschi, nelle sue pianure, in casa sua, infine. Aveva goduto nel visitare le case vedute solo da lontano, le chiese povere e brune che a lei sembravano incantevoli; era andata in estasi nel sentire il suono melanconico, la musica divina dell'organo - lei che amava tanto, istintivamente, la musica - nell'aspirare il profumo della mirra e dell'incenso, quel mistico profumo tanto diverso dagli odori delle erbe e dei fiori, nel gustare i dolci che non aveva mai gustato, nel vedere da vicino gli svariati costumi degli uomini e delle donne, specialmente quello di qualche signora e signorina, nel vedere in qualche quadro dipinti i paesaggi che rassomigliavano ai luoghi dov'ella viveva e i mobili di qualche casa ricca e signorile.
A proposito però di queste ultime Cicytella aveva provato qualche delusione: spesso dalla cima di una montagna, nel guardare il profilo lontano
Sfumato nell'azzurro e nella luce,
di qualche grande casa di campagna, di qualche palazzo, di qualche villa, cinti dalla verzura del giardino, veniva colpita da strane idee - forse indistinti e misteriosi ricordi - sull'interno di quelle case, di quei giardini, e s'immaginava mobili di velluto, di legno scolpito, grandi specchi dalla cornice d'oro, statue di marmo e cortine di lampasso e fontane artistiche e fiori assai diversi da quelli ch'era avvezza a vedere: vedeva infine con lo sguardo della fantasia tutto il lusso e l'agiatezza delle case dei ricchi signori, e ora invece nel visitare i palazzi del villaggio non ritrovava nulla, proprio nulla, di tutto ciò.
Aveva molto imparato perché la donna le aveva molto insegnato. Dopo venti o trenta lezioni sapeva tagliare e cucire bravamente la sua camicia e quella di Bastiano, la sua gonnella e i calzoni di tela di Bastiano, il suo corpetto e le ghette di albagio di zio Bastiano. Per gli altri indumenti le sue manine non erano ancora adatte essendo essi di scarlatto, di velluto grosso, e di grossissimo albagio, ma col tempo avrebbe fatto anche quelli.
Figuratevi la sorpresa di zio Bastiano, quando al ritorno dal suo lungo viaggio Cicytella gli mostrò tante belle cose fatte da lei; egli le propose di rimanere nel villaggio per seguitare i suoi studi, per viverci sempre se così le fosse piaciuto, ma a quella proposta ella si fece seria, triste. No, non avrebbe potuto vivere lì, fra quelle pareti nere, in quelle stradicciuole scoscese, in quell'aria gelida in inverno, ardente d'estate, in quei luoghi senza verde, senza poesia!
Si ribellò all'idea del pastore, che fu costretto a ripigliarsela in campagna, in groppa al piccolo cavallo.
Nel tempo che era stata nel villaggio Cicytella era diventata magra, pallida, ma all'avvicinarsi di nuovo alla campagna, nell'aspirare di nuovo i profumi dei pascoli fioriti, del fieno fresco, quando i suoi occhi vagarono ancora sul vasto orizzonte sfumato in color rosa, il giocondo sorriso tornò sulle sue labbra, il suo viso s'imporporò e le narici del suo nasino si aprirono frementi, come in segno di gioia.
Tornò, ridendo, ad accarezzare i suoi grossi cani che l'accolsero festevolmente, a visitare i suoi agnellini favoriti, i suoi uccelli, tutti i suoi amici, infine, e da allora in poi non ritornò al villaggio che le domeniche per ascoltare la Messa - poiché zio Bastiano s'era fatto un dovere d'istruirla ed allevarla nella Religione cristiana, ed ella ne seguiva le massime con una divozione ed una intelligenza ammirabile - e per visitare le sue amiche che di tratto in tratto venivano anch'esse a trovarla, a trascorrere con lei giornate deliziose che non dimenticarono giammai. Bastiano approvava tutto ciò che alla piccina piaceva di fare: era come affascinato da lei e l'amava tanto che spesso si domandava se davvero non era sua figlia. Se Cicytella gli fosse mancata, sarebbe morto di dolore. Essa riempiva tutto il vuoto della sua anima, della sua vita, e, piccola fata dei boschi, con un solo sorriso faceva svanire dal suo pensiero i tristi ricordi e le ultime disperazioni.
Così erano dunque passati dieci anni.
Impossibile fare perfettamente con la penna il ritratto di Cicytella: a prima vista, coi suoi abitini puliti sì ma quasi poveri, essa non mostrava una grande bellezza, qualcosa di rimarchevole; ma guardata attentamente, destava meraviglia e un artista sarebbe rimasto delle ore intiere a guardarla. Non era bionda, non era bruna. Il suo profilo, le forme eleganti della sua personcina piccola e sottile erano di un'estrema finezza, aristocratiche, regolarissime. I suoi capelli erano d'un biondo opaco, ondeggianti, quasi color rame, ma senza riflessi; la sua pelle morbida era anch'essa opaca, anch'essa di un colore bizzarro, calda, dorata dal sole; le labbra carnose, rossissime, la bocca piccola e i denti smaglianti; gli occhi... di che colore erano gli occhi?
Avete visto il cielo all'occidente, nel crepuscolo, dopo il tramonto del sole? Quella striscia splendida ma indefinita che lo fascia, mista di azzurro e di verde, di giallo e di viola, di color rosa e di oro come la madreperla? Gli occhi di Cicytella erano di quel colore che in una parola si potrebbe dire glauco, con una strana espressione, come quella degli occhi di un gatto alla luce delle candele: erano bellissimi e in loro si leggeva tutta l'anima della bambina, coi suoi affetti, i suoi sorrisi e le sue melanconie...
Un giorno d'autunno Bastiano rientrò nella capanna pallido come un morto, tremante di febbre, e si lasciò cadere sulla stuoia chiedendo acqua. Cicytella ne fu spaventata e gli chiese quasi piangendo che cosa aveva.
- Sono malato! Mi sento morire! - esclamò il vecchio pastore. - Vorresti farmi un favore, o mia piccola Cicytella? Scendi al villaggio e ritorna con un sacerdote. Ho anch'io i miei peccati...
La bimba impallidì anche lei, sentì una tremenda angoscia, pure si fece coraggio. Vide in lontananza un pastore e lo chiamò.
- Zio Francesco, - gli disse, - il mio babbo si sente male. Volete rimanere presso di lui finché io non ritorni dal villaggio con un sacerdote? Se potessi trovare anche il medico condotto!
Il pastore voleva scendere lui, ma Cicytella esclamò:
- No, no, io sono più agile e farò più presto!
Prese il suo piccolo mantello foderato di pelo, se lo gettò sulle spalle e partì dopo aver baciato Bastiano.
Durante il cammino non fece che piangere, mentre ogni tanto mormorava: - Che sarà di me, se il mio babbo muore?
Arrivò a stento presso l'unico prete del villaggio, la cui casa era ingombra di gente. Quella mattina era arrivato da Sassari un giovane medico militare, cugino del prete, e tutti i notabili del villaggio erano là, a stringergli la mano, ad ammirare la sua brillante divisa. Non s'era mai visto in quei luoghi un simile signore e tutti lo riverivano come se fosse stato il re in persona. Il giovine era commosso di quell'accoglienza, benché in fondo sorridesse dell'ingenuità di quella gente, ed anche lui a sua volta ammirava le belle fanciulle del paese che passavano sotto le finestre della casa.
Ne faceva anzi di tanto in tanto i complimenti alla vecchia serva, che in quel giorno, non ostante il trambusto che regnava in tutta la casetta, era la serva più felice del villaggio. D'un tratto ella disse al giovine:
- Dottor Azzo, ecco una bambina che si farà una bella, ma bella fanciulla!
E gli additò, attraverso la finestra che guardava nell'orto, Cicytella che era giunta a scoprire il vecchio sacerdote sotto un pesco, mentre leggeva tranquillamente, in un momento di quiete, il suo Breviario.
Il giovine la guardò fissamente e trasalì. Non era certo la bellezza della bimba che lo turbava in quella strana guisa: era qualche altra cosa che sulle prime egli non si seppe spiegare.
La guardò a lungo, attentamente. D'un tratto il prete e la bimba rientrarono in casa.
- Cugino Azzo, - esclamò il primo, - vuoi fare una buona azione? Questa bambina ha il padre malato; è venuta per pregarmi d'andare a trovarlo ed io volo. Vuoi venire anche tu, nella tua qualità di medico? Fra un'ora saremo di ritorno.
- Fra un'ora? È dunque un villaggio vicino?
- No, signor dottore - esclamò Cicytella avanzandosi tutta rossa, contenta all'idea di ritornare dal malato con un medico - è lassù sul monte, perché il mio povero babbo è un vecchio pastore. La malattia lo colse di repente, così che non gli lasciò neanche la forza di ripararsi nel villaggio.
Il giovine medico ascoltò la vocina tremula di Cicytella con somma attenzione, poi disse con premura:
- Andiamo pure.
- Oh, grazie, signor dottore!
Quando arrivarono alla capanna, zio Bastiano pareva moribondo, e la sola parola che ogni tanto mormorava era: - Cicytella, Cicytella.
Azzo l'esaminò.
- Febbre tifoidea! - disse. - Niente di grave, ma questa bimba bisogna che stia lontana.
Cicytella ebbe un lampo negli occhi e sentì sfumare dalla sua anima la gratitudine verso il giovine.
- Lontana! - gridò. - Lontana dal mio babbo? E chi lo guarderà, chi lo curerà, chi gli darà da bere e mangiare?
- Ed io non sono qui? - domandò zio Francesco.
Intanto Bastiano, porgendo la mano al sacerdote, chiedeva di confessarsi.
Cicytella, il pastore e il giovine medico lasciarono la capanna: Bastiano e il prete rimasero soli.
Azzo scrisse col lapis una ricetta e pregò zio Francesco di scendere al villaggio e comprare le medicine. Zio Francesco aveva accettato la parte d'infermiere perché il più affezionato amico di Bastiano: prese la ricetta e partì. Azzo e la bambina sedettero lontani dalla capanna, sui massi coperti di muschio, all'ombra dei grandi alberi. Il sole volgeva al tramonto, Cicytella singhiozzava e il giovine si domandava se non sognava. Dalla sua infanzia in poi non era più stato in campagna.
- Come ti chiami? - domandò a Cicytella.
- Cicytella!
- Vuol dire Franceschina, non è vero?
- Non lo so, mi chiamo Cicytella e il mio babbo che muore si chiama zio Bastiano! Oh, come farò, come farò io se il mio babbo muore?
- Non morrà, via, non piangere così, bambina: non è forse stato altra volta malato?
- No mai, mai! Babbo muore; non è vero che muore?
- Ma non hai mamma, non hai parenti? Vivete sempre in campagna?
- Sì, viviamo sempre in campagna. Non ho mamma, io, i nostri parenti sono pochi e non li conosco, eppoi il nostro villaggio è lontano.
- Come potete vivere in campagna? Sempre? - domandò il medico guardando melanconicamente la verde solitudine della montagna, ricordando le città ove sino ad allora aveva trascorso la sua vita, tra la folla e i rumori.
La bimba lo guardò con stupore.
- E lei, - esclamò, - come può vivere in città? Sempre?
Si alzò, gettando uno sguardo innamorato al bosco, al musco, al cielo scintillante, poi abbassò tristamente il capo mormorando:
- Se il mio babbo muore! Ah, sì, allora questa vita mi sarà dolorosa. Sempre sola!
Azzo la guardò in quell'atteggiamento, e pensò:
- È una bimba divina! Bisogna che ne scriva a Giacomo, se non per altro, perché venga a farne il ritratto. Ma no, forse rinnoverei il suo dolore!
- Cicytella, - disse poi, - andiamo a vedere il vostro gregge?
La bambina trasalì. Da un'ora non pensava più alle sue pecore, ai suoi cani, ai suoi agnelli.
- Venga, signor medico! -. E lo condusse un po' più giù, dove pascolavano le pecore, vicino al ruscello che mormorava fra gli alti giunchi e le felci.
Zio Francesco ritornò presto. Il giovine dottore gl'insegnò come somministrare le medicine al malato e rinnovò l'avvertenza a Cicytella di stare lontana.
- Puoi venire con noi, in casa mia - le disse il prete con dolcezza, accarezzandole i capelli.
- No, rimarrò qui. Non entrerò dal mio povero babbo, ma rimarrò qui...
Essi partirono, e appena furono lontani la piccina entrò nella capanna e baciò la fronte ardente del pastore.
- Cicytella! - esclamò Bastiano. - Sta lontana da me, ma ascoltami. Sento che morrò, e in questi estremi momenti, mia povera bambina, una voce segreta mi dice che ritroverai i tuoi genitori.
- Siete voi il mio babbo, voi solo! Non morirete, no, fate di non morire perché anch'io morrò di dolore...
Bastiano sorrise, e facendo uno sforzo per dominare il caos che la febbre apportava alla sua mente, riprese:
- No, Cicytella, non son io il tuo babbo! Tu sai la tua storia, tu sai come eri vestita riccamente, e che forse sei figlia di genti ricche e civili, non di un povero e rozzo pastore come me. Ho conservato gelosamente le tue vesti: sono sotterrate in questo angolo di capanna, qui, sotto il mio capo. Per mezzo loro potrai rinvenire la persona che ti smarrì, i tuoi parenti, ma siccome ciò, non essendo accaduto dopo tutte le mie ricerche in tutta la Sardegna, in dieci anni, non accadrà forse più, così ho pensato al tuo avvenire. Tutta la tanca che ora occupiamo col nostro bestiame è mia e sarà tua, come è mio e sarà tuo l'ubertoso pascolo che lasciammo nella pianura, prima di venir qui. Tu sai leggere. Ecco qui, in questa scatola di latta, il mio testamento.
- Ma allora siete ricco! - esclamò Cicytella giungendo le mani. - Ed io credevo che non avessimo che il cavallino, le pecore e i cani!
- Non è ancora tutto lì, cara Cicytella. Tu sei forte, vigorosa, istruita, sicché col prodotto delle tue pecore, senza pagare affitti di pascoli, potrai vivere bene, anche dando, se così vorrai, le tue pecore ad un altro pastore col quale dividere le rendite: inoltre ho pensato a procurarti qualcosa per il giorno in cui ti avrei lasciata sola. Ecco i miei risparmi. Sono duecento scudi!
Trasse dalle sue vesti una cassettina di ferro, una specie di salvadanaio, e gliela diede, mentre ella passava di meraviglia in meraviglia. Sino a quel giorno si era creduta poverissima, ed invece vedeva che poteva brillare fra le più ricche fanciulle del villaggio. Due tanche, cento pecore, duecento scudi, un cavallo, due cani!
Zio Bastiano fece chiamare l'altro pastore, e stendendogli la mano esclamò:
- Francesco, sei stato sempre il solo mio amico, il solo uomo che io, oltre don Martino (era il prete che lo aveva confessato) e Cicytella, abbia riconosciuto per persona buona, leale, affettuosa. Permetti che ti lasci un legato? Cicytella vuol seguitare la vita del pastore, la vita della campagna, non è vero?...
- Oh, sì, sì! - gridò la bambina.
- Ebbene, Francesco, tu che sei ancora giovine, tu, che Dio conserverà per lunghi anni, vuoi promettermi di vegliare su Cicytella