Alle Porte di Tangeri
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Info su questo ebook
La famiglia Benzimra è riunita per leggere le ultime volontà del padre. Scoprono così di avere un fratellastro al quale andrà parte dell'eredità.
Riusciranno a trovarlo? Sconvolgerà le loro vite?
Partiranno tutti insieme da Gerusalemme alla volta di Tangeri per cercarlo e inizierà così un viaggio alla ricerca delle loro radici e del loro passato, sulle orme di un fratello perduto e di un altro ancora da scoprire.
Mois Benarroch è nato a Tetuan, Marocco, nel 1959. A tredici anni emigra con i suoi genitori in Israele e da allora vive a Gerusalemme. Inizia a scrivere poesie a quindici anni, in inglese, poi in ebraico e infine nella sua lingua materna: il castigliano. Pubblica le sue prime poesie nel 1979. Negli anni Ottanta entra a far parte di vari gruppi d'avanguardia e pubblica la rivista Marot. Il suo primo libro in ebraico appare nel 1994 ed è intitolato "Coplas del inmigrante". Pubblica anche due racconti, vari libri di poesie in ebraico, inglese e spagnolo e quattro romanzi. Nel 2008 ha vinto il premio del Primo Ministro in Israele.
È anche traduttore professionista e ha tradotto in ebraico il racconto "Los aires dificiles" di Almudena Grandes, e cento poesie di Bukowski, così come parte dell'opera di Edmond Jabes e altri autori di romanzi e poeti.
"Non so, non smetto di pensare, non smetto di pensare a cosa significa tutto questo viaggio, che senso ha e cosa cerchiamo, un fratello, un fratello di cui non sappiamo nulla, magari cerchiamo un fratello morto, forse è già morto, la gente muore giovane, come sai. Trent'anni sono tanti. E in Marocco, con tutte le droghe, vai a sapere quanti rimangono uccisi."
"Anch'io penso in continuazione."
Chiesi un whisky alla cameriera, una bottiglia intera, bicchieri e ghiaccio. Invitai tutti. Nonostante J&B non sia la mia marca preferita, a tutti piace il whisky ed era una buona scusa per allentare la tensione.
Mois Benarroch
"MOIS BENARROCH es el mejor escritor sefardí mediterráneo de Israel." Haaretz, Prof. Habiba Pdaya.
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Anteprima del libro
Alle Porte di Tangeri - Mois Benarroch
Alle Porte di Tangeri
ISBN: 9781521487075
Alle Porte di Tangeri
Mois Benarroch
Editorial MOBEN
TRADUZIONE DI DANIELA Giovannetti
Editor : Valeria Poropat
ALL RIGHTS RESERVED ©2017
Alle Porte di Tangeri
Pensami ma senza rattristarti, né soffrire, né voler cambiare cammino o destino.
ESTHER BENDAHAN
La Vaca De Nadie
PRIMA PARTE
IL VIAGGIO VERSO CASA
NON PUOI CONTARE I chilometri fino a quando non li senti dentro.
TOWNES VAN ZANDT
Che figlio di puttana!
esclamò, sorpresa di aver detto quelle parole.
Un silenzio totale calò nell’ufficio dell’avvocato Ilan Oz sulla via Ben Yehuda 7, a Gerusalemme. Un silenzio simile a quello che c’è dopo un attentato terroristico. I presenti, seduti intorno a un grande tavolo, sembravano essere sotto shock. Cinque adulti che intenti a capire di cosa si trattava, che cose fosse successo loro.
Così, di punto in bianco, ci ha lanciato questa bomba
continuò Estrella, la madre dopo la sua morte
.
E se non lo cerchiamo? Che cosa potrebbe succedere se non lo cerchiamo?
Secondo quanto scritto nel testamento, il denaro rimarrà in un conto chiuso per cinque anni, trascorsi i quali vi potrete accedere. Quello che dice il testamento è che dovete fare tutto il possibile per trovarlo.
Il più giovane dei figli, Israel, fece girare la kippa nera sulla testa più di una volta.
Non capisco, davvero vuole che andiamo a cercare suo figlio...
Quel bastardo
disse il primogenito, Messod Che cosa significa tutto questo? Non ne ha mai parlato con nessuno?
La madre, con gli occhi fissi sull’avvocato, chiese:
Non poteva morire con il suo segreto?
L’avvocato iniziava a perdere la pazienza.
Non ne so di più di quanto non sia stato scritto nel testamento, l’unica cosa che posso spiegarvi è la parte giuridica del problema. E credo che a questo punto le disposizioni siano più che chiare. Potete provare ad annullare il testamento, ma non mi sembra così semplice.
Dobbiamo fare tutto il possibile per trovare suo figlio
disse David.
Chi deve? Tutti? O basta solo uno di noi? È che ora cinque persone devono bloccare la loro vita e cercare il figlio...?
Io no, di certo non vado in Marocco per trovare il figlio bastardo di mio marito; no davvero...
Bene
disse Silvia, non credo che troveremo una soluzione rimanendo seduti in questo ufficio. Credo che dobbiamo tornare a casa e pensarci su e se abbiamo dei dubbi la contatteremo, signor Oz.... Molte grazie.
E fece segno agli altri che era giunto il momento di andarsene.
Una domanda
disse Alberto, una domanda importante: di quanti soldi stiamo parlando?
Ho qui il numero del conto
disse l’avvocato, e non so quanto denaro ci sia. È un conto svizzero.
Non c’è molto
disse la madre, circa seicentomila dollari, più o meno.
Questo è quanto, è tutto ciò che rimane della grande fortuna leggendaria della famiglia Benzimra, è meno di centomila dollari ciascuno, questo è quello che resta della fortuna che poteva comprare principi, ministri e tirar fuori qualsiasi ebreo dalla prigione?
Già
disse Israel, gli Ashkenaziti si arricchiscono qui e noi diventiamo poveri, un’altra generazione ancora e non rimarrà più nulla.
Già abbiamo iniziato
disse Alberto. Già abbiamo iniziato...
Bene, ora non è il momento di parlarne; grazie, signor Oz, la chiameremo in caso di bisogno.
DOVE VAI FIGLIOLO?
Vado da solo.
Vedi qualcuno?
Vi vedo tutti ma siete lontani.
E quando torni?
Sono già tornato, torno sempre.
Dove torni?
Al mare
Ti piace?
Le onde non lasciano tracce.
Una roccia aspetta sempre.
Io sono la roccia.
Madrid
FORTU/MESSOD
ASPETTO SEMPRE CHE succeda qualcosa, aspetto sempre qualcosa. E quando succede, aspetto ancora. Trent’anni lontano da Tetuan, senza andarci mai. Ero sempre lì, un lì eterno che non finisce mai, una parola del passato, una parola dell’oblio, una parola della memoria. Trent’anni in fuga da questo viaggio. Alberto mi ha detto che è stato lì, che si è trovato molto bene, che ogni minuto è stato meraviglioso. Ma altri, tanti altri, mi hanno parlato della spazzatura, dello sporco dappertutto, mi hanno detto che tutta la città è un porcile e che è piena di mori, come se lì non avessero mai vissuto i mori. E magari non c’erano, magari non facevano parte della nostra vita, nonostante vivessero con noi, a fianco a noi, sono sempre stati cerchi tangenti che non penetravano nelle nostre vite, erano universi paralleli che soddisfacevano le nostre necessità, la Fátima che faceva i lavori domestici, comprava arance o pesce. E noi eravamo lo stesso per loro, quelli che muovono l’economia, quelli che danno lavoro. Sentono la nostra mancanza, ci chiedono perché ce ne siamo andati, se ci siamo sentiti male, e credo di no. Non tutti si sentivano male ma alcuni sì, come mamma e nonna; le donne si sentivano a disagio nella città, parlavano di Israele come un qualcosa di obbligatorio, sempre le donne, le donne sono quelle che hanno deciso di andare in Israele, gli uomini, come me, hanno preferito luoghi più rinomati, Madrid, Parigi. Chi ha avuto ragione? Non lo so, ma quando sono arrivato in Israele nel 1977 ho sentito che era troppo tardi per me, troppo tardi per cambiare la mia vita e lasciare Madrid, l’odore dei calamari, le chiacchiere mentre si gustano le tapas, era troppo tardi, dissi a mio padre, a mia madre e lui capì, ma lei no. Mi voleva accanto a lei, lui avrebbe preferito essere da un’altra parte, a Palma de Maiorca, dove mio cugino voleva che dirigesse o comprasse un hotel, o in Canada.
Questo non fa per noi
mi ha detto migliaia di volte. Ti capisco, magari è per la prossima generazione.
I nipoti, forse per loro sarà meglio, ma vedo i tuoi fratelli e tua sorella e nessuno di loro si sente davvero a casa sua, a nessuno sta veramente bene, nemmeno a tuo fratello Isacco, che non è mai stato un tipo convenzionale, sta meglio a New York.
Non credo che saremmo stati meglio a New York, credo che sarebbe meglio Madrid o Parigi o Gerusalemme, ma New York non è troppo lontano? Forse no, il posto più lontano per uno nato in Marocco è Gerusalemme, ci credi?
E questo lo dissi a voce alta, seduto accanto alla mia amata sorella Silvia.
Cosa?
disse, Cosa dovrei credere?
Non so, non smetto di pensare, non smetto di pensare a cosa significa tutto questo viaggio, che senso ha e cosa cerchiamo, un fratello, un fratello di cui non sappiamo nulla, magari cerchiamo un fratello morto, forse è già morto, la gente muore giovane, come sai. Trent’anni sono tanti. E in Marocco, con tutte le droghe, vai a sapere quanti rimangono uccisi.
Anch’io penso in continuazione.
Chiesi un whisky alla cameriera, una bottiglia intera, bicchieri e ghiaccio. Invitai tutti. Nonostante J&B non sia la mia marca preferita, a tutti piace il whisky ed era una buona scusa per allentare la tensione.
1974. La famiglia si era sparpagliata: alcuni erano andati a Gerusalemme, e io ero rimasto a Madrid per terminare gli studi in medicina. Dopo il sogno si allontanò, la distanza tra noi aumentò, il linguaggio cominciò a cambiare, il loro linguaggio, il mio, il linguaggio dei miei fratelli. Parlavano di cose che non capivo: discriminazione, razzismo, oppressione ma mia madre non voleva sentir parlare di emigrare in un altro Paese, in un altro posto eccetto Gerusalemme. Più volte avevo proposto loro di venire a Madrid
Qui vi trovereste bene, i soldi non sono un problema.
Ma un anno passò e poi un altro, una scusa e poi un’altra, i fratelli più piccoli avrebbero avuto più problemi ad adattarsi a Madrid se fossero arrivati direttamente da Tetuan.
Si sono fatti dei nuovi amici
diceva mia madre, e parlano ebraico e questo è quello che conta, l’importante è che parliamo ebraico.
Forse aveva ragione, ma molti amici no, questo lo so per certo, l’ho sempre Saputo. Molti degli amici che sono qui a Madrid... non so perché continui a pensare a tutto questo. Forse per fuggire da me stesso, dalla situazione in cui mi
trovo, dalla morte di mio padre, dallo strano testamento che ci ha lasciato. Corro nei miei pensieri e ogni volta torno a questo strano fratello, il mio mezzo fratello. Cosa gli dirò quando lo incontrerò? Cosa? Magari niente. Sono io quello che deve parlare, il figlio maggiore, devo fare io il primo passo.
"Sei qui, Yosef, tu, figlio di mio padre, non sapevo che mio padre avesse un altro figlio, ma lui sì che si è ricordato di te e ti ha nominato suo erede, qui, vedi, firma e avrai centomila dollari, forse anche qualcosa di più, e questo è quanto, siamo fratelli, molte grazie, siamo felicissimi di averti conosciuto ma non ci vedremo mai più. Riceverai un assegno dal nostro avvocato, tra un mese o due, fino a quando non sistemeremo tutti i documenti legali, tutto qui.
Forse succederà proprio così, e forse... Cosa? Mi metterò a piangere? Gli dirò che è il sostituto di Israel, quello nato nel bel mezzo della guerra dei sei giorni e che è morto nella guerra del Libano? È stato l’unico israeliano della famiglia, ha amato la sua terra e la sua lingua, l’unico, ed è morto in Libano e ora tu, tu, Yosef, tu, Yosef, sei mio fratello, capisci? Sei mio fratello, così stanno le cose.
Così succederà, o forse no, forse troveremo il suo indirizzo e gli invieremo una lettera, le lettere sono più semplici, è più facile. In fondo chi sono io, che ho quarantasette anni, per aver bisogno di un fratello ora? Ho già un figlio. Perché dovrei aver bisogno di un fratello?
Ce lo chiediamo tutti
disse Silvia.
"E allora, se troviamo il suo indirizzo e gli mandiamo una lettera, se è d’accordo ci invierà una lettera del suo avvocato, altrimenti abbiamo fatto quanto richiesto nel testamento, no...?
Non hai pensato che magari papa voleva che lo incontrassimo, che lo vedessimo? Non ci hai pensato?
Io non so quello che voleva papà. È morto e non possiamo chiederglielo. O magari hai parlato con lui e ti ha detto qualcosa in merito, eri molto più vicina a lui di tutti noi, e di Ruth, non rispetto a me, non tanto rispetto a me. Ne ha parlato con te?
"No. Mai. Mai espressamente, ma ci sono state delle frasi che mi ha detto che dovevano avere a che fare con tutto questo e che ora hanno un significato nuovo, forse, forse è solo la mia immaginazione. Un anno fa mi disse che se fosse morte prima di mamma, ci saremmo dovuti occupare noi di lei, e ha insistito sul fatto di non parlare di soldi, a volte mi diceva che aveva lasciato in Marocco molto più che il denaro. Diceva delle frasi strane che ora acquistano tutto un altro significato.
Arriva da mangiare, Silvia chiede se è kosher e la hostess risponde che su questo volo tutto il cibo è kosher. C’è qualcosa da fare durante il volo. Il cibo sugli aerei è più qualcosa da fare che da mangiare. Serve per riempire le lunghe ore passate seduti e senza niente da fare. Ma i pensieri non mi danno tregua mentre provo con le migliori intenzioni di aprire la scatola del cibo senza far cadere nulla sui vestiti o su quelli di mia sorella, rimane comunque un po’ di whisky, ma il cibo è insapore, non come gli stuzzichini di Air France per New York, qui arriva da New Cork. Isaque, il nostro omeopata, inizierà