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Anni zero
Anni zero
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E-book168 pagine1 ora

Anni zero

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Info su questo ebook

Sei racconti.

Sei storie di umanità sconfitta, serial killer per caso, omicidi improvvisati, la banalità del male che diventa l’orrore della porta accanto. Nessuno sfugge al destino impietoso, siamo tutti condannati a morte.

È come se i personaggi di anni zero sapessero che il verdetto è già stato pronunciato e che per loro non c’è più speranza. E cercassero, con i loro ultimi efferati gesti, di invocare in modo tragico la clemenza della corte.

(Edizioni ARPANet)
LinguaItaliano
EditoreARPANet
Data di uscita5 ago 2012
ISBN9788874261598
Anni zero

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    Anteprima del libro

    Anni zero - Alessandro Berselli

    Copyright © 2012 Società Editoriale ARPANet Srl, Milano

    Tutti i diritti su testi, marchi e immagini sono riservati.

    Edizione: novembre 2013

    via Stampa, 8

    20123 Milano

    tel. +39.02.670.06.34

    [email protected]

    www.EdizioniARPANet.it

    I libri e gli eBook della Società Editoriale ARPANet

    sono disponibili qui:

    www.ARPABook.com

    www.EdizioniARPANet.it

    Collana diretta da: Paco Simone

    Art director: Francesca Fasoli

    PREFAZIONE

    Riprendere in mano questi racconti scritti durante gli anni zero (2003-2009) mi fa davvero uno strano effetto.

    E non soltanto perché nella storia breve ci si sente più liberi da schemi (di trama, stilistici, lessicali), e per uno scrittore (il sottoscritto) che da sempre pensa a Carver come modello di perfezione (il più grande narratore di racconti del Novecento, a mio avviso), prendersi questa licenza dalle claustrofobie che il romanzo inevitabilmente comporta è sempre stata fonte di grande divertimento, ma soprattutto perché ritornare al decennio scorso rileggendo gli esordi della mia vita di inventore di trame è come andare a recuperare vecchie fotografie delle quali ci eravamo dimenticati, abbandonate in qualche cassetto o nascoste tra le pagine di sperduti libri che non aprivamo più da tempo.

    Voglio bene a questi racconti.

    Dal primo Morte di una puttana (2003), al pulp frenetico di Il bidello (2004) e Cobain (2006), dai più sperimentali Il barattolo della cioccolata è sulla mensola in alto (2007) e Spiral (2009 - una storia a ritroso con struttura circolare dove ogni paragrafo precede quello che lo anticipa fino a ritornare nel finale al punto di partenza) all’inedito Palla di lardo, scritto nel 2005.

    E voglio bene ai loro protagonisti.

    Un’umanità dolente fatta di emarginati e figure borderline che ci provano ma non ci riescono, facendo i conti con le loro miserie e le loro paure per poi uscirne (inevitabilmente, inesorabilmente) sconfitti.

    Dedico questo libro a chi per primo ha creduto che le mie storie meritassero di essere pubblicate, ARPANet e tutte le persone che ci lavorano o ci hanno lavorato.

    A Giorgia e Camilla. Alla mia famiglia.

    Ai miei colleghi. Ai miei amici. A chi mi legge e mi scrive mandandomi pareri, critiche, suggerimenti.

    A chi mi vuole bene.

    Alessandro Berselli

    morte di una puttana (2003)

    (andrea)

    Vanessa Mengoli.

    Non ricordavo nemmeno il tuo nome, pur avendo già altre volte comperato il tuo amore da puttana.

    E pur avendoti già ucciso.

    È così fredda la notte di Bologna.

    Guardo il tuo corpo, riverso per terra, il fiato che ancora esce dalla tua bocca, e il rumore del tuo respiro, lento, disperato, in cerca di quella compassione che (mi dispiace) non avrai.

    Mi piace guardare la tua agonia, finalmente padrone di una vita, anche se non della mia. Continua a supplicarmi, te ne prego, ma fallo in silenzio, senza parlare.

    La tua voce non deve disturbare la mia contemplazione, il mio desiderio di morte. Della tua morte. Temo di non potere restare ancora a lungo. Presto sarò costretto ad allontanarmi.

    (uno che passava)

    L’ultima birra, Matteo, e poi te ne devi andare a casa. Angela ha smesso di preoccuparsi per te da un pezzo, era quello che volevi no? Essere dimenticato, inghiottito dal buio, dall’indifferenza.

    Non avere nessuno che ti aspetta, e dovere accendere la luce ogni volta che entri nella tua casa, questo intendo.

    Inciampare nel tappeto, addormentarti vestito sul divano. Piangere o ridere, ma non sapere mai il perché.

    Oramai ti sei già giocato tutte le carte, e non hai vinto mai, nemmeno una volta.

    Vattene a casa, Matteo. È l’ultima cosa che ti resta.

    (andrea)

    Devo allontanarmi da qua, ho già corso troppi rischi.

    Ti lascio morire da sola, lo so che è triste, me ne rendo conto, ma sempre meglio che vivere, non credi?

    Presto ti addormenterai e tutto diventerà dolce ed eterno, come la mia dannazione.

    Un bacio sulla fronte, poi devo scappare. Davvero.

    Sento il tuo respiro che si allontana, velocemente.

    L’autobus, il mio autobus, sta già partendo.

    (uno che passava)

    Che posto di merda la fiera stasera.

    Sarà la nebbia, sarà la birra, sarà che ho una solitudine dentro che mi divora e non ho nemmeno voglia di scopare una puttana per distogliermi da questo schifo.

    Per non pensare a questo schifo.

    Anche solo se per pochi istanti.

    Pochi passi, poi magari per questa volta prendo l’autobus, stasera non mi va proprio per niente di camminare.

    Brutta gente di notte, da queste parti.

    C’è un corpo per terra, sarà un altro stronzo che si lascia morire. Il solito tossico, chi altri se no?

    Meglio allontanarsi, e meglio farlo anche in fretta.

    (andrea)

    Spero che questo autobus mi porti lontano, lontano da tutto, da questo posto, da quella troia, e, soprattutto, lontano da me stesso.

    Vorrei che tutto questo silenzio smettesse di riempire la mia testa, e sentire di nuovo parole, di nuovo suoni, di nuovo musica.

    Vorrei potere dimenticare tutto e tornare ad essere il bambino di questa foto, quella della mia prima comunione.

    Ero felice quando avevo otto anni.

    Giocavo a pallone e avevo un sacco di amici, nel maggio del millevocentosettantatre.

    Di quel giorno ricordo che mio cugino non era potuto venire perché aveva la febbre e che la zia Martina era sempre la più bella di tutte.

    Se non fosse stata mia zia avrei voluta sposarla, anche se io ero solo un bambino e lei avrebbe compiuto trent’anni di lì a una settimana.

    (uno che passava)

    È una donna, Vanessa è il suo nome.

    Vanessa la rossa, come la chiamano da queste parti, se ben ricordo. Respira ancora, in effetti è conciata da far paura, ma almeno respira ancora, Dio mio.

    Ridotta così, lo stomaco aperto in questo modo.

    Abbiamo scopato qualche sera fa, e non era nemmeno la prima volta.

    Era una puttana a buon mercato, Vanessa, una che faceva quello che le veniva chiesto e lo faceva senza farti troppe domande, non serve poi tutta questa confidenza per un pompino sui sedili di una macchina.

    Sta perdendo molto sangue.

    Devo chiamare qualcuno.

    (andrea)

    Non è poi così difficile uccidere.

    Credevo che avrei avuto paura, e invece è bastato tirare fuori il coltello e piantartelo dentro, e continuare a guardarti.

    È stato strano vederti così, ridotta in quello stato.

    Tra l’altro deve essere pure brutto morire per strada, soprattutto se sei una puttana.

    È che ormai non sopportavo più i tuoi tentativi di farmelo diventare duro, anche quando me lo prendevi in bocca, e fingevi che ti piacesse, mentre sapevo bene che mi stavi solo commiserando, chissà quanto ti sarai divertita a succhiarmi questo ridicolo cazzo che mi ritrovo tra le gambe e a raccontare alle altre che a volte ti pagano anche per non fare niente, solo per ripetere ogni sera gli stessi inutili tentativi, fino a quando non me lo rimettevo nei pantaloni e ti chiedevo di andartene.

    (uno che passava)

    Non arriveranno mai in tempo.

    Posso prenderti la mano, Vanessa, l’aspettiamo insieme l’ambulanza, o la morte, chi arriverà prima, non so.

    Vorrei seguirti, sarebbe bello potessimo volare insieme in qualche posto senza dolore, senza fallimenti e bilanci sconsolanti.

    Mi piaceva scopare con te, quando dopo averlo preso in mano te lo infilavi dentro e mi davi con quel gesto semplice l’illusione di essere ancora vivo, perché era solo in quei pochi minuti in attesa dell’orgasmo che mi sentivo tale, poi tutto tornava uno schifo, mentre ti rinfilavi le mutande e scendevi dalla macchina, e ti guardavo allontanarti, in attesa di un altro cliente.

    Chissà a che cosa stai pensando.

    (andrea)

    Una volta ti ho raccontato che avevo una ragazza.

    Non era molto bella a dire il vero, ma era mia, ed era la prima volta che sentivo la lingua di una donna dentro la mia bocca, e le sue mani che mi abbracciavano, e mi stringevano, e il suo corpo contro il mio.

    Una donna che mi parlava, e che mi ascoltava, anche se so di non parlare molto bene, e che a volte la gente si annoia quando lo faccio.

    Ma lei teneva sempre gli occhi spalancati, e sembrava che ci fosse meraviglia nelle mie parole, o perlomeno lei me lo faceva credere, e questo per me era importante.

    Non so perché ho cominciato a picchiarla, ad un certo punto. Avevo paura che se ne andasse, e credevo che riempirla di botte potesse essere un modo come un altro perché non lo facesse. Quanto mi sbagliavo.

    Ti ho guardato andartene senza dire una parola, perché solo in quel momento ho capito che qualsiasi altra cosa sarebbe stata inutile.

    Anche ucciderti, probabilmente. Perché sarei rimasto solo comunque.

    (uno che passava)

    Mi hanno detto di aspettare, che devono farmi qualche domanda. Si è radunata un bel po’ di gente nel frattempo, chissà, magari alcuni di loro vedendomi qua avranno anche pensato che possa essere stato io quello che l’ha uccisa.

    Sì, perché alla fine poi è morta, Vanessa.

    Visto com’era ridotta non è che avessi tanti dubbi, però quando è successo mi sono sentito lo stesso un po’ strano, forse perché era la prima volta che partecipavo a qualcosa di fondamentale, che non facevo da spettatore alla vita degli altri.

    Ero l’ultima persona che l’aveva vista viva, l’ultima a cui aveva stretto una mano.

    Chissà a che cosa pensa una troia quando muore.

    A un cliente, forse.

    O a Dio.

    O a sua madre.

    O a tutte queste cose insieme.

    Chissà.

    (andrea)

    Mi spaventa l’idea di tornare a casa. Di ritrovare tutto uguale mentre adesso tutto è cambiato.

    Di vedere

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