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venerdì 17 novembre 2017 4 vostri commenti

E' tempo di essere visti


L'Arca nell'immaginario collettivo, a volte dettato dal retaggio religioso indotto, rappresenta qualcosa che prova a portarci in salvo per un nuovo inizio. 


Questo il nome del Teatro all'interno delle mura circondariali del Carcere di Marassi a Genova inaugurato nel 2016. Un palcoscenico che questa mattina e domani sera abbiamo calcato e calcheremo con la Compagnia Stranità, del Teatro dell'Ortica di Genova, composta da pazienti psichiatrici, operatori, educatori, attori e cittadini. 
In scena con "Temporaneamente presenti... è già qualcosa" uno spettacolo basato sulle parole, le storie e la vita delle persone psichiatriche che riguardano il tempo. Questo nemico amico che spesso ci portiamo dietro, rincorriamo, sfuggiamo, che può avere differenti dimensioni a seconda del posto in cui ci troviamo e del nostro stato d'animo.
Tempo che per un ex paziente psichiatrico tenuto in manicomio era rappresentato dal susseguirsi di piccoli eventi, il momento del caffè, il pasto se possiamo chiamarlo così, l'attesa infinita per una cena che non arrivava mai. 
Lo stesso vale per il carcere dove a detta di chi è dentro o ci è stato il tempo si ferma, come una sospensione momentanea. Attenzione qui non si parla di colpevoli o pena da scontare, ma di altro. Ovvero colmare spesso un vuoto, provare a portare le persone attraverso il mezzo teatrale ad aprirsi, cercare di mettersi in gioco uscendo dagli schemi predefiniti che sono presenti in un carcere.
Perché ognuno, al di là dello stigma che può essere sempre in agguato per tutti noi, deve essere visto. 



venerdì 25 novembre 2016 25 vostri commenti

Che non sia solo una data

La sensazione che si prova entrando in un carcere anche da libero cittadino è difficile da descrivere, sa di costrizione, di sguardi che ti seguono e non solo quelli elettronici delle telecamere. Probabilmente anche il retaggio dei film visti o dei libri letti. Tutto ciò soprattutto, come nel mio caso, quando si tratta della prima volta, ma credo che sia una sensazione che accompagni poi sempre. 
Collaboro e sono socio del Teatro dell'Ortica un'associazione di Genova che fa Teatro Sociale, quel tipo di attività che spesso viene dimenticata dalle istituzioni e spesso anche dai cittadini che preferiscono spendere di più per vedere 300 volte l'Amleto. Ci occupiamo di psichiatria, disabilità, carcere e da qualche anno anche di violenza sulle donna. 
In collaborazione con i centri antiviolenza abbiamo fatto dei laboratori teatrali dai quali è venuto fuori uno spettacolo "Double face. Donne adatte ad ogni stagione" che domani andrà in scena a Genova interpretato dalle donne e da alcuni operatori dei centri. 
Contemporaneamente però stiamo lavorando anche con i maltrattanti, assieme ai CAM, centro ascolto uomini maltrattanti, perché crediamo che non si possa trovare rimedio alla violenza se non si lavora anche con chi quella violenza l'ha commessa e magari ci vive tutti i giorni. Non parliamo solamente di quella fisica, ma di comportamenti controllanti, di modi sbagliati di volere bene ad uno persona, di parole dette per comprimere la personalità dell'altro. Per arrivare poi anche purtroppo a quella fisica.
Per questo motivo ho descritto le mie sensazioni provate la settimana scorsa quando per la prima volta sono entrato in un carcere, per interpretare con altri attori davanti ai detenuti colpevoli di violenze, alcuni pezzi tratti dal libro "Da uomo a uomo. Uomini maltrattanti raccontano la violenza." di Alessandra Pauncz, vi invio a leggerlo. Un incontro che ha permesso anche uno scambio di opinioni con alcuni addetti ai lavori dei centri antiviolenza e delle istituzioni politiche, carcerarie, della giustizia e dei carcerati.
Uno di quegli argomenti che non si possono citare nei social e nei dibattiti perché sicuramente non portano voti o commenti ripetibili, perché paga di più dare ragione al "buttate la chiave". Ecco, io credo che se una società non si decide ad occuparsi di chi "è dentro" e prima o poi uscirà, vuol dire che rinuncia ad un suo specifico compito.
Con questo non vuol dire che l'atteggiamento debba essere quello di pietismo e buonismo. Faccio mie le parole che ho sentito da un detenuto "io sono colpevole e mi merito il carcere, voglio solo cambiare", tenendo sempre a mente chi la violenza l'ha subita.
Oggi è la giornata contro la violenza sulle donne, un momento davvero importante, una settimana in cui nella mia città ci sono state iniziative di ogni tipo per ricordare ciò che succede nella porta accanto. Non deve però limitarsi ad una data, ad una ricorrenza che rischia poi di diventare un momento per citare un bollettino di guerra, ma una data di ripartenza e rinascita per tutti.

giovedì 10 ottobre 2013 5 vostri commenti

Una storia da sudditi

Leggere oggi la notizia del sequestro preventivo della Villa di Arezzo di Licio Gelli fa sorridere amaramente, perché ci fornisce il reale stato di un paese che in tutta la sua storia non ha saputo mettere in galera personaggi del genere. Anzi il più delle volte sono stati premiati con incarichi in grandi aziende, banche o ministeri, con la libertà di dare "lezioni" dai loro pulpiti contro una democrazia che li ha graziati per il piacere di molti che avrebbero dovuto seguirli in prigione.
Quelle stesse prigioni che oggi fanno discutere. Dico oggi perché da domani non se ne parlerà più, visto che questo problema viene affrontato ciclicamente con interventi che solitamente servono solo a lasciare fuori dalle celle i colletti bianchi o gli amici degli amici, dimenticandosi la reale condizione di molti detenuti che in parecchi casi non si possono permettere un Ghedini della situazione. 
Ciò che ci da speranza è che in questo paese ci sono anche persone che si occupano di "carcere" tutto l'anno, in silenzio e molte volte senza essere riconosciuti, senza voler ergersi a paladini della verità ma comportandosi da persone che cercano una via, parlando di uomini e donne.
Il resto lo sappiamo è uno Stato che si fa deridere da quelli come Gelli e il suo delfino Silvio, che si accorge del vergognoso reato di clandestinità solamente in occasioni come la tragedia di Lampedusa, che si dimentica delle persone che tratta sempre più da sudditi piuttosto che cittadini.
giovedì 1 dicembre 2011 31 vostri commenti

Io esco tutti i giorni


Io esco tutti i giorni.
Io esco tutti i giorni.
Io esco tutti i giorni.
Io esco tutti i giorni.
Io esco tutti i giorni.
Io esco tutti i giorni.
Si io esco. Ad esempio ieri sono uscito come al solito per partecipare al laboratorio teatrale come ogni mercoledì mattina. Mi sono alzato come uno zombie dal letto, una lentissima colazione con ancora gli occhi chiusi, la ricerca della roba (a caso), chiavi, sigarette, portafoglio, accendino, la mia compagna che mi fa l'elenco (come fa a sopportarmi la mattina non lo so) e poi via, bacio, moto e via.
Quindi teatro, l'abbraccio con i miei compagni, prima il laboratorio di "Stranità" e poi le prove per lo spettacolo del 17 dicembre (che ansia..). Poi pranzo. Di corsa come al solito, e poi TAC timbro del cartellino... al lavoro. Poi RITAC timbro d'uscita, moto, e via fino al campo sportivo, allenamento. Discorsi, le solite sfuriate perchè i ragazzi fanno casino e poi fine, doccia e via.
Sempre veloce perchè devo arrivare in tempo a vedere uno spettacolo... non uno dei soliti. Arrivo, gente tanta gente, tanti bambini, genitori, amici, famiglie e divise blu.
Già uno spettacolo... prima piccoli attori vestiti di bianco, che danzano nello spazio su note musicali bellissime, rappresentano il viaggio, i viaggi. La felicità della partenza, l'ansia, la voglia di scoprire nuovi posti, la mancanza dei genitori, le cose nuove, le amicizie, la solitudine, il gioco, la la scoperta della diversità, l'accoglienza... che solo la magia di un palcoscenico può mettere insieme.
Poi pausa. Si chiude il sipario. Si accendono le luci. Rivedo le facce, gli amici, i bimbi che scendono dal palco, non tutti, e diventano spettatori. E rivedo le divise blu. E poi loro.
Grandi attori vestiti di nero. Genitori, attori, insegnanti e 6 detenuti del carcere di Pontedecimo.
Anche loro parlano del viaggio... quello fatto da tutti noi normalmente e poi quello fatto da loro. Quei 4 passi per 4 passi che ogni giorno fanno nella loro cella "16 splendidi metri quadrati".
Io esco tutti i giorni.
Te lo sei comprato il telefonino figo eh?!? Perchè con quello normale non riuscivi?!?
Io esco e vado da mia madre.
Io nella valigia ci metto la torcia perchè le ombre mi fanno paura.
Io abbraccio tutti i giorni mia moglie.
Questo spettacolo, "Voci del verbo andare", è frutto di un laboratorio teatrale di un anno e più messo in piedi dalla Compagnia del Teatro dell'Ortica (che frequento) con la scuola Daneo di Genova e i detenuti del carcere di Pontedecimo. Un "andare" prima rappresentato dai bambini e poi dai grandi. Un lavoro lungo, meraviglioso, faticoso e che ha incontrato durante il percorso tanti e troppi ostacoli che potete immaginare. A partire dal fatto che per queste cose non ci sono mai soldi e la maggiorparte delle volte le persone coinvolte devono lavorare gratis oppure addirittura mettendo del loro. Qualcuno potrà obiettare che prima ci sono altri problemi, vero si, ma è anche vero che in questi giorni abbiamo letto di sprechi e di privilegi imbarazzanti per un paese civile che spostano soldi che potrebbero finanziare progetti per la disabilità e per il sociale. Quindi l'applauso che va a tutti coloro che hanno lavorato a questo progetto è triplo.
Con questo sia chiaro non si vogliono cancellare le colpe di nessuno, nessuna retorica, nessun buonismo, nessuna riga su niente. E' un messaggio lanciato, per far conoscere l'umanità delle persone, l'importanza di questo tipo di lavoro nelle carceri. Per far conoscere alla popolazione che in quelle strutture che alcune delle nostre città ospitano ci sono persone, in 16 metri quadrati sovraffollati e che nella maggiorparte dei casi non hanno niente di rieducativo.
Per fa conoscere l'uomo non l'etichetta.
La mia vita è come una partita di calcio. Il primo tempo l'ho giocato male, ora sono negli spogliatoi ma il secondo tempo lo voglio giocare bene.
lunedì 2 novembre 2009 4 vostri commenti

Ancora violenza sui detenuti...il vergognoso audio dal carcere di Teramo "un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto".



"Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto..."

...parole dal carcere di Castrogno a Teramo. Parole che arrivano a pochi giorni dall'omicidio di Stefano Cucchi, perchè noi lo vogliamo dire che è stato un omicidio, giorni in cui abbiamo potuto vedere grazie al coraggio di una famiglia che livello può raggiungere la bestia umana. Una violenza commessa da coloro che invece dovrebbero tutelare l'incolumità delle persone.
Parole che fanno bruciare il sangue nelle vene quelle che dobbiamo ascoltare ancora una volta, che devono far riflettere sullo stato delle nostre carceri, sulla vita nelle nostre carceri, sulla verità che non esce dai portoni delle carceri.
Una continua vergogna per un paese che si dichiara civile.
venerdì 18 settembre 2009 0 vostri commenti

Grillo. Morire di carcere. Il gioco dei numeri che il ministero fa con la morte dietro le sbarre



"...noi ogni anno raccogliamo all’incirca 170/180 casi di cui all’incirca 1/3 sono suicidi, il Ministero ne classifica 20/30 in meno sul totale delle morti e giusto nel 2008 avevamo contato 48 suicidi, il Ministero ne ha contati 42, da cosa è data questa differenza? Che per noi i morti di carcere sono quelli che, per esempio, si impiccano mentre sono in cella, in carcere, vengono soccorsi in tempo, non sono ancora morti, sono in fin di vita, spesso, vengono caricati in autoambulanza, sull’autoambulanza muoiono prima di arrivare all’ospedale, oppure arrivano all’ospedale in coma, muoiono dopo alcuni giorni, per questi casi noi parliamo di morte di carcere e li mettiamo nei nostri dossier, per il Ministero se una persona esce dal muro di cinta del carcere ancora viva, quindi viene caricata in autoambulanza viva, per lui non è più morto in carcere, arriva in ospedale, viene ricoverato in coma, però è vivo, non è morto di carcere e quindi non rientra nelle statistiche del Ministero..."

intervista "Morire di carcere" da www.beppegrillo.it

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