Genova.
50 mila luci per illuminare la speranza.
50 mila storie diverse.
50 mila età diverse.
50 mila voci.
50 mila in cammino con un sogno.
Pace e Libertà.
...aggirandosi nelle vie naufragando tra le esperienze quotidiane...
Un anno fa, dopo la morte di mamma, Greta mi disse “ora papà dobbiamo aspettare la cicatrice ma non dimenticare”.
Mi porto dietro da tempo un bagaglio a mano di parole di cura, medicine da prendere al bisogno, rilasciate nel tempo da stelle che ho incontrato.
Queste su tutte.
E’ dura però, perché certe cicatrici impiegano tanto per rimarginarsi. Hanno bisogno di cura, la stessa che mamma con il suo sorriso, anche nella drammaticità di una malattia degenerativa, riusciva a donare.
Ora il vuoto è tanto, ed io, abituato a voler sistemare le cose, di fronte a questo arranco.
Così i bei ricordi si mischiano a troppe immagini di dolore di un anno fa. Fotogrammi difficili da dimenticare.
Come quella notte tra il 21 e il 22 agosto, papà che accarezzava la donna che ha amato per tutta la vita, guardarmi chiedendomi se era finita davvero.
Ora proviamo ad andare avanti, scorrendo le immagini di una vita, come seduto guardando dal finestrino del treno. Amavo farlo da piccolo.
Col ricordo a quella sensazione che ancora sento “se mi stringi forte fino a ricambiarmi l’anima”.
Ma è un film che va di fretta.
E io sono alla ricerca della pausa.
Magari per un fotogramma.
Il tuo sorriso.
A Genova questi 3 giorni di luglio non saranno mai giornate normali.
24 anni fa nella mia città venne sospesa la democrazia e le strade si trasformarono in una macelleria legalizzata, un piano premeditato per distruggere un movimento che faceva paura, perché in grado di smuovere coscienze, risvegliare i popoli da un torpore, aprendo gli occhi su ciò che poi stiamo vivendo in questo momento.
Quei ragazzi avevano ragione. Avevamo ragione e ci hanno massacrato.
Una lezione impartita con tanto di spartito scritto dal Governo Italiano. Manifestazioni autorizzate attaccate dai blindati.
Temo che oggi pochi sappiano di quelle giornate e si rendano conto di ciò che è successo a Genova, derubricando tutto con la solita frase "se la sono cercata".
La frustrazione è tanta vedendo gli eredi di quel governo ancora al potere, sapere che tutti quelli che commisero dei crimini sono stati promossi.
Abbiamo il diritto e il dovere di ricordare cosa furono quei giorni, ricordare la Diaz e la macelleria da dittatura, ricordare la Caserma d Bolzaneto dove ragazze e ragazzi vennero torturati.
Ricordare, ricordare.
Così scriveva Eduardo Galeano nel Libro degli abbracci.
Siamo spesso travolti dalla frenesia della quotidianità. Immersi in un universo parallelo che ormai la realtà digitale ci ha convinti essere l'unica possibilità di relazione. Arrivati al punto che troppe volte perdiamo i volti e i nomi delle persone. Che passano così rapidamente da non lasciare il segno.
Ma noi siamo se esistiamo al plurale.
Alla ricerca di punti fissi nella nostra vita, pensando a quelli persi, cercando di ricordarli e percorrere i sentieri che ci hanno lasciato.
Una cosa è certa. Dopo questa tornata referendaria almeno ognuno di noi, che si è speso per i diritti degli altri, avrà ben chiaro con chi continuare a rimanere in rapporti e chi tagliare fuori.
Non c'è più spazio per qualunquisti, fascisti, razzisti, opportunisti, menefreghisti, ignoranti ed egoisti che guardano solo al loro praticello di casa.
Grazie a chi ci ha creduto, ci ha provato e nonostante tutto continuerà a lottare per i più deboli, con sempre meno strumenti, anche se credo che in questo paese, ma non solo, ormai la speranza sia difficile da trovare anche nel dizionario.
Ovviamente la destra sta già pensando di portare ad 1 milione le firme necessarie per chiedere un referendum.
Non ve la meritate la democrazia.
“Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano” scriveva Antoine de Saint-Exupéry.
Già, è come se ogni posto alla fine tenesse una traccia, un sentiero battuto più volte che riporta alla mente diversi ricordi.
Non sappiamo dove vanno, ma cosa hanno fatto si. Sappiamo bene cosa hanno trasmesso, lasciando una polverina magica, come quella delle fate, che al tocco del ricordo ci fa volare.
Il presente è già passato, corrono uno incontro all’altro e si abbracciano.
Infinitamente.
I libri sono fatti così, ti aspettano.
Li compri, li sistemi negli scaffali oppure sul comodino.
Se ne possiedi troppi ti affanni a cercare un posto, pur sapendo che non ce n’è più.
A volte li leggi subito altre invece stanno in una sorta di anticamera.
Attendono i tempi giusti.
Così capita di riprendere in mano un classico, proprio nel giorno, 15 marzo, in cui quell’amico nelle parole di Uhlman fece il passo in avanti.
E poi quelle righe capaci di dipingere una madre, che riportano alla mente una sera di 17 anni fa quando quegli occhi erano di un azzurro color cielo, in grado di dirmi “va tutto bene”.
Nonostante tutto, nonostante il dolore.
“Non dimenticherò mai la sera in cui — avevo sei o sette anni — entrò in camera mia per darmi il bacio della buona notte. Indossava un abito da ballo e io la fissai come se fosse stata un'estranea. Mi aggrappai al suo braccio, rifiutandomi di lasciarla andare, e cominciai a piangere, cosa che la turbò molto.
Chissà se capì che non ero né infelice né malato ma che, per la prima volta nella vita, la vedevo obiettivamente com'era: una donna attraente con un'individualità tutta sua”
L’amico ritrovato.
"...a volte la follia sembra l'unica via per la felicità..."