5.
Il muro di Berlino
L’anello forte della cortina di ferro
Fin dalla sua costruzione, nel 1961, il muro di Berlino
assume una tale importanza politica e mediatica da
diventare la manifestazione stessa della cortina di ferro.
Occupando il proscenio del teatro della guerra fredda, se
non farà dimenticare la cortina di ferro nel suo complesso,
almeno la relegherà in secondo piano. E oggi è forse ancora
più vero. Eppure, quando fu costruito, era soltanto l’anello
mancante della cortina di ferro. Anello mancante, ma
subito anello forte.
Abbiamo visto come la sua nascita fosse il risultato della
constatazione da parte dei dirigenti comunisti che la
possibilità di passare abbastanza agevolmente da Berlino
Est a Berlino Ovest comprometteva la chiusura delle
frontiere tra i due blocchi. Tra i due settori di Berlino c’era
una grande permeabilità. Cinquantamila berlinesi dell’Est
lavoravano nel settore occidentale (ma anche 12000
dell’Ovest a Est) e 500000 persone varcavano
quotidianamente, in un senso o nell’altro, la linea di
demarcazione. Insomma, al cittadino dell’Est che voleva
passare all’Ovest bastava «dimenticarsi» di rientrare. Tra il
1949 e il 1961 la RDT ha perso 2,7 milioni di abitanti,
nonostante l’introduzione, nel 1957, del reato di «fuga dalla
Repubblica». Dalla RDT è fuggito un tedesco dell’Est su sei,
quasi sempre in età lavorativa; l’80% dei fuggiaschi è
transitato da Berlino Ovest per poi raggiungere la RFT in
aereo, evitando così di attraversare la RDT.
Alla fine degli anni cinquanta la situazione è diventata più
che preoccupante per il capo della RDT, Walter Ulbricht, al
punto che questi allerta il padrone del Cremlino, Nikita
Chruščëv. L’unica cosa da fare (a parte invadere Berlino
Ovest!) è chiudere il varco, ma Chruščëv esita, a tal punto
Berlino è diventata un luogo nevralgico dopo la fine della
guerra. Dal 1948 la situazione della città ha continuato a
deteriorarsi, e nell’agosto di quell’anno è culminata nel
blocco di Berlino Ovest da parte dei sovietici. Per otto mesi
gli americani hanno organizzato il più grande ponte aereo
della storia per approvvigionare due milioni di abitanti. Il
blocco è stato tolto il 12 maggio 1949, ma i due Grandi
sono stati a un passo dal conflitto. Dopo la creazione della
RFT, nel 1949, a cui risponde subito quella della RDT, tra i
due settori di Berlino la competizione è feroce. Berlino
Ovest è diventata un mondo di spie, dove tutti sorvegliano
tutti, al punto che questa nuova malattia viene chiamata
«berlinite». Il cavo telefonico che collega i due settori è
soprannominato «cavo chatterton», per via delle
numerosissime derivazioni clandestine. A partire dal
maggio 1952 la RDT tenta di strangolare Berlino Ovest
tagliando tutte le vie di accesso, tranne la metropolitana e
la S-Bahn (ferrovia veloce regionale).
Dal 1958 Chruščëv ha continuamente rimesso in
discussione lo status di Berlino Ovest, ritenendolo
anacronistico e paragonandolo a un «tumore canceroso»
che richiede un «intervento chirurgico». Aggiunge: «Solo
un pazzo potrebbe arrivare al punto di scatenare un’altra
guerra per difendere il privilegio di occupare Berlino
Ovest». Il primo segretario del PCUS propone di dichiararla
neutrale. Berlino diventerebbe «libera» e smilitarizzata,
però si ritroverebbe nel bel mezzo della RDT e sotto
l’influenza sovietica. Ovviamente gli occidentali rifiutano
(31 dicembre 1958) e non se ne parla più. Comincia allora
una lunga crisi riguardante Berlino, che nel giugno 1961
rimbalza alla conferenza al vertice di Vienna durante la
quale Chruščëv si scaglia violentemente contro il nuovo
presidente americano, J.F. Kennedy. L’anno precedente un
aereo americano U2 è stato abbattuto nel cielo dell’Unione
Sovietica ed è cominciata la crisi di Cuba. La guerra fredda
è al suo culmine.
Dai primi di gennaio alla fine di febbraio 1961 sono
passati da Berlino Est a Berlino Ovest 130000 nuovi
fuggiaschi. All’inizio di agosto ne fuggono 1500 al giorno
(Cyril Buffet). Chruščëv autorizza Ulbricht a chiudere
Berlino, raccomandandosi che non ci sia alcuno
sconfinamento sul settore occidentale. «Nemmeno di un
millimetro», insiste. Parte così l’operazione «Muraglia
cinese», che consiste nel «cingere Berlino Ovest con un
cerchio di ferro».
Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, con un
formidabile spiegamento di soldati e di polizia a Berlino
Est, vengono intallate barriere e filo spinato che chiudono
la linea di demarcazione tra le due zone. All’alba Berlino è
tagliata in due. Nelle prime ore della notte le autorità del
settore occidentale si sono chieste se quello spiegamento
non fosse l’inizio dell’invasione, sempre temuta, da parte
delle truppe sovietiche. Invece no. Da Bonn il cancelliere
federale Konrad Adenauer invita alla calma parlando
vagamente delle misure che intende prendere insieme agli
Alleati. Va a Berlino solo due settimane dopo. J.F. Kennedy
tira un sospiro di sollievo e conclude che un muro è meglio
di una guerra. Per farsi perdonare dai berlinesi dell’Ovest
quella passività, due anni dopo pronuncerà il famoso
discorso in cui proclama che «tutti gli uomini liberi sono
cittadini di questa città» e che lui stesso, in quanto uomo
libero, è fiero di poter dire: «Ich bin ein Berliner!» Solo il
sindaco di Berlino Ovest, Willy Brandt, lancia un’energica
protesta: «Sotto gli occhi della comunità mondiale dei
popoli Berlino accusa chi divide la città, opprime Berlino
Est e minaccia Berlino Ovest, di crimine contro il diritto
internazionale e contro l’umanità». (Dieci anni più tardi,
dopo essere stato ministro federale degli Esteri, riceverà il
premio Nobel per la sua politica di riavvicinamento all’Est,
la Ostpolitik).
Nella RDT il muro di Berlino è stato ufficialmente
denominato «Muro di protezione antifascista». Lo ha
spiegato (per modo di dire) Ulbricht stesso il 28 agosto in
un editoriale del «Neues Deutschland», organo ufficiale del
partito comunista (SED): «I parassiti controrivoluzionari, le
spie, i sabotatori, i profittatori e i trafficanti di uomini, le
prostitute, gli adolescenti hooligan e altri nemici dell’ordine
democratico del popolo hanno succhiato il sangue della
nostra Repubblica degli operai e dei contadini [...]. Ecco
perché abbiamo chiuso le crepe della nostra casa e tappato
i buchi da cui potevano intrufolarsi i peggiori nemici del
popolo tedesco».
Mosca ha comunque ricevuto una nota di protesta
americana, mentre a Berlino Ovest è stato inviato un
simbolico contingente di rinforzo. Del resto, a contrario, la
materializzazione della linea di demarcazione conferma lo
statu quo e l’abbandono de facto delle esigenze di Chruščëv
rispetto a una Berlino Ovest evacuata dalle truppe alleate.
Ciò non impedisce le tensioni, per non dire accenni di
scontri, come il 27 ottobre, al checkpoint Charlie, quando
le guardie della RDT pretendono di controllare alcuni
ufficiali americani che si recano a Berlino Est, come sono
autorizzati a fare dalle convenzioni dell’occupazione. Per
tre giorni carri armati americani e sovietici si fronteggiano
dall’una e dall’altra parte del checkpoint Charlie. Le cose
non andranno oltre, ma ogni volta che la guerra fredda si
riscalda, si profila nuovamente lo spettro di una escalation
che potrebbe sfociare in un conflitto generalizzato.
La costruzione del muro vero e proprio comincia già prima
della fine di agosto 1961. Un muro di mattoni e blocchi di
calcestruzzo prefabbricato alto un metro e sessanta e
spesso trenta centimetri, sormontato da filo spinato. Per la
sua sorveglianza sono mobilitate più di 11000 guardie con
armi pesanti. Contemporaneamente il governo della RDT fa
confluire l’insieme delle truppe di frontiera (50000 uomini)
nell’esercito popolare nazionale (NVA).
Da questo momento il muro di Berlino sarà costantemente
perfezionato, sul modello della cortina di ferro. Ai 43
chilometri di muro che separano le due Berlino si
aggiungono ben presto i 112 chilometri che isolano Berlino
Ovest dalla RFT tagliando tutte le vie di comunicazione, le
foreste, i fiumi e i laghi. A partire dal 1968 il calcestruzzo
sostituisce i mattoni e raggiunge i tre metri di altezza.
Nella terra di nessuno che precede il muro sul lato
orientale ci sono non soltanto guardie che hanno l’ordine di
sparare a vista sui fuggiaschi, ma anche i cani che corrono
nel loro settore legati a lunghi guinzagli, come sulla cortina
di ferro.
Con il 1975 il muro di Berlino assume l’aspetto che
manterrà fino al 1989, al momento del suo crollo. Il muro
propriamente detto, un po’ arretrato rispetto alla linea di
demarcazione e quindi in territorio comunista, è ormai
composto di pannelli uniformi di calcestruzzo grigiastro alti
3,60 metri, larghi 1,20 e spessi 15 centimetri. Un piede a
forma di L, interrato in profondità, impedisce di scalzarlo. Il
bordo superiore è cilindrico, per non offrire alcuna presa a
eventuali ganci. Fino al 1989 intorno a Berlino Ovest sono
stati montati 45000 pannelli. Ma questo è solo il muro
propriamente detto, concepito in modo da rendere
impossibile avvicinarsi. Chi volesse farlo dovrebbe, cento o
centocinquanta metri prima, superare innanzitutto un muro
interno alto da due a tre metri senza farsi individuare
subito dalle guardie, poiché è vietato avvicinarsi già a
questo primo muro. Dovrebbe poi oltrepassare una
recinzione metallica alta due metri, che al primo contatto fa
scattare un allarme silenzioso, poi percorrere un’ampia
terra di nessuno sormontata da alte torrette e sbarrata da
difese a X o da strisce chiodate (soprannominate «denti di
drago» o anche «erba di Stalin»). Resterebbero poi il
cammmino di ronda e la strada di accesso, illuminati tutta
la notte da riflettori, con le pattuglie e i cani (quasi mille).
Infine dovrebbe superare anche una striscia di controllo
accuratamente cosparsa di sabbia spianata per individuare
eventuali tracce di passi, detta «striscia della morte»
poiché è la zona dove le guardie sparano a vista. Proprio
davanti al Muro questo dispositivo infernale è completato
da una barriera-fossato antiveicoli. Il 20 settembre 1961,
quando ancora esisteva solo una recinzione di filo spinato
fissata a pali di calcestruzzo, un camion lanciato a tutta
velocità era riuscito a passare, sfondandola. Ma con i
pannelli di calcestruzzo solidamente ancorati al suolo ormai
ci vorrebbe un carro armato.
«Secondo il regime questo muro, che il generale Klaus
Dieter Baumgarten [comandante delle truppe di frontiera]
non esita a definire pulito, bello e di facile manutenzione,
avrà l’effetto di aumentare l’influenza politica della capitale
della RDT» (Cyril Buffet). Il 19 gennaio 1989, quando ormai
tutto si sta sfasciando, Erich Honecker, capo sia della RDT
sia del Partito comunista (SED), principale artefice della
costruzione del muro di Berlino, pronuncia parole che
vorrebbe fossero profetiche: «Il Muro sarà ancora qui tra
cinquanta o cento anni». Del resto, è allo studio un nuovo
muro. «La direzione delle forze di frontiera elabora il
progetto Muro High-Tech 2000, che si propone un duplice
obiettivo: rendere la frontiera ancora più impenetrabile pur
evitando il più possibile l’uso di armi da fuoco che
danneggia l’immagine internazionale della RDT. Si prevede
di attrezzare il Muro con sistemi elettronici sofisticati,
come un’intera gamma di sensori acustici, ottici, a
infrarossi, magnetici e chimici» (Cyril Buffet).
All’ombra del Muro
A differenza delle autorità occidentali (tranne Willy
Brandt), i berlinesi hanno reagito spontaneamente. Già
all’alba del 13 agosto, a Ovest come a Est si sono formati
assembramenti. Scegliendo la notte tra un sabato e una
domenica per compiere il misfatto, i responsabili della RDT
hanno calcolato che la domenica mattina per strada ci
sarebbe stata molta meno gente, e hanno avuto ragione. A
fine mattina non è più così, ma in tutti prevale la sorpresa e
l’indignazione. A Ovest non si può parlare di vere e proprie
manifestazioni. Si stigmatizzano i comunisti e si sbeffeggia
il «modello democratico». A Est le reazioni sono più vivaci,
in particolare da parte dei «frontalieri» che si ritrovano
disoccupati dall’oggi al domani in quanto la costruzione del
Muro interrompe il pendolarismo quotidiano. Tuttavia,
poiché la maggior parte dei berlinesi dell’Est che non
vanno mai a Ovest li considera dei privilegiati, nessuno si
impietosisce sulla loro sorte.
Già la domenica e nei giorni successivi si verificano fughe
all’Ovest, ma molto meno numerose di quanto avesse
previsto la STASI, la potente e onnipresente polizia politica
della RDT. Da tempo a Berlino Est regna la paura. Proprio
mentre Berlino Est si proponeva come modello sovietizzato
delle «democrazie popolari» dell’Europa orientale, una
manifestazione operaia, nel marzo 1953, veniva repressa
nel sangue. Nata come manifestazione «di categoria» (le
pessime condizioni di lavoro per la realizzazione della
Stalinallee), proclamata a due mesi dalla morte di Stalin,
essa rappresentava in realtà la prima rimessa in
discussione del potere comunista in una democrazia
popolare. Il nuovo regime mostrava il suo vero volto, quello
di uno Stato di polizia, lontano dagli ideali socialisti e
antifascisti della Ricostruzione.
Da tempo i berlinesi dell’Est hanno imparato a «vivere ad
Absurdia» (Cyril Buffet). La madre di Maxim Leo,
giornalista tirocinante che ha scelto l’Est, scopre sempre
più amareggiata che il suo mestiere consiste nel ricopiare i
proclami degli apparatčik senza poter cambiare una parola
e nemmeno correggere gli errori di ortografia. Alcuni
argomenti e persino molti termini sono vietati (per
esempio, «lavatrice»): insomma, tutto ciò che viene
dall’Ovest. Tuttavia quei berlinesi «vivono all’Est di giorno
e all’Ovest di notte», ascoltando la radio o guardando la
televisione di Berlino Ovest, cosa ovviamente vietata e
soggetta alle più gravi sanzioni.
Il muro è il coronamento del regno di Absurdia e,
sostanzialmente, si iscrive nella sua logica: vengono
interrotte 193 vie, chiuse, sbarrate o murate quindici
stazioni. A poco a poco le facciate che danno sul muro e
sulla terra di nessuno sono murate, mentre gli edifici sono
stati sgombrati dai residenti in attesa di raderli al suolo.
Resta solo la stazione di Friedrichstrasse. Si può ancora
passare da Ovest a Est, con un sacco di visti e cambio
obbligatorio ampiamente favorevole alla RDT, a condizione
di rientrare entro mezzanotte e non importare nessuna
pubblicazione occidentale. Nell’altro senso non si passa
più. È nell’atrio della stazione di Friedrichstrasse, ben
presto soprannominato «il palazzo delle lacrime», che le
famiglie si separano, quando hanno la sfortuna di abitare
da una parte e dall’altra del nuovo muro. Maxim Leo,
bambino, domanda stupito al nonno, personaggio
emblematico della fondazione della RDT: che cos’è questo
«muro antifascista» che lascia entrare persone dall’Ovest e
impedisce a quelle dell’Est di uscire?
I varchi restanti sono severamente controllati, siano essi
strade, ferrovie o vie d’acqua. L’unico varco stradale per gli
stranieri è il checkpoint Charlie. Al ritorno da Berlino Est i
veicoli sono minuziosamente ispezionati nel caso
nascondano eventuali fuggiaschi.
A Est, quando una via costeggia la zona antistante il muro
è obbligatorio camminare sul lato opposto. Ed è meglio non
fermarsi. Wolf, il padre di Maxim Leo, allora diciannovenne,
ricorda di essersi trovato insieme a un amico davanti a uno
dei varchi, a fine agosto 1961. Allora c’era soltanto filo
spinato poco sorvegliato. Sarebbe stato facile passare
dall’altra parte. I due ragazzi restano immobili per
mezz’ora. «In realtà non c’era nessun rischio, solo la paura
di fare qualcosa di male, di lasciare sola la mamma, di
interrompere l’apprendistato di ritoccatore» (Maxim Leo).
Alla fine spuntano le guardie di frontiera e portano via i
due ragazzi, che passano la notte in cella. Dovranno
convincere la polizia di non avere avuto alcuna intenzione
di evadere. All’epoca Wolf pensava che quella frontiera non
sarebbe durata.
Si impara a convivere con il Muro. La parola ha ormai
l’iniziale maiuscola che le hanno dato i media occidentali. Il
muro di Berlino, dapprima chiamato «muro della
vergogna», e poi «il Muro», simboleggia per gli Occidentali
(tranne i comunisti francesi e italiani) ogni forma di
negazione della libertà e dei diritti umani nel blocco
dell’Est, nel mondo al di là della cortina di ferro. Il Muro è
la guerra fredda che si può additare concretamente
indicando con chiarezza da che parte stia la libertà.
Ossessiona il mondo intero e ancor di più chi vive alla sua
ombra. Dopo la «berlinite» degli anni cinquanta, e il suo
mondo di spie, d’ora innanzi a Berlino Est ci sono «le
malattie del Muro»: depressione, nevrosi, disperazione
silenziosa che rafforza ulteriormente il desiderio di fuggire
da quella RDT che non ha mantenuto le sue promesse di un
mondo nuovo.
Diventato adulto e avendo avuto il raro privilegio di fare
un viaggio in Francia grazie al nonno, che appartiene alla
nomenklatura, Maxim Leo è così ossessionato dal Muro che
al ritorno fa tappa a Berlino Ovest per guardarlo dall’altra
parte. «Passo la giornata a camminare lungo la frontiera,
tocco il calcestruzzo freddo che, sul lato occidentale, è
stato dipinto a colori vivaci. Salgo sui belvedere e guardo
dall’altra parte. Per ore. Vedo la striscia della morte, il
terreno accuratamente spianato, le guardie sulle torrette,
con i binocoli. Tutto è così vicino e al tempo stesso così
lontano». Più volte Maxim prende anche il treno fino alla
stazione di Friedrichstrasse e ritorno. «Se resti sulla stessa
banchina, puoi ripartire verso Ovest. Non mi stanco di
questa sensazione di pendolarismo: andare all’Est e subito
uscirne di nuovo. È al tempo stesso eccitante e opprimente,
perturbante e esaltante, grandiosa e triste».
Il giovane potrebbe benissimo restare a Berlino Ovest e
chiedere asilo, ma rinuncia, pensando ai gravi problemi che
causerebbe alla sua famiglia, e al divieto definitivo di
tornare nella RDT, che dopotutto è casa sua. «Poco prima di
mezzanotte, a qualche minuto dalla scandenza del visto,
vado di nuovo alla stazione di Friedrichstrasse. Questa
volta non è possibile tornare indietro. Presento il
passaporto a uno sportello. Una guardia mi scruta in viso, il
timbro schiocca sulla pagina e io proseguo fino a quella
porta metallica con una sola maniglia, all’interno. La porta
mi si richiude alle spalle come una trappola. Sono tornato a
casa».
Alla nomeklatura della capitale tedesca dell’Est piacciono
così tanto i muri che vi si rinchiude di sua volontà. Durante
una gita nei boschi a nord di Berlino, Maxim, ancora
bambino, si imbatte in un alto muro. Cartelli di divieto
indicano che al di là c’è una riserva di animali da
laboratorio. Il bimbo ci crede e torna indietro. In realtà
quegli animali sono i membri del Politburo, che vivono lì, al
riparo di un muro lungo cinque chilometri, in un complesso
residenziale protetto e privilegiato (dotato di stanze da
bagno), con negozi che forniscono prodotti occidentali.
È la residenza di Wandlitz, nella circoscrizione di Pankow.
Gli apparatčik ne escono su limousine sovietiche che però
consumano tanta benzina da essere sostituite con grosse
Volvo svedesi. I berlinesi dell’Est ribattezzano Wandlitz
«Volvograd».
Fin dalla costruzione del Muro, e soprattutto all’inizio,
prima che subentri una relativa rassegnazione, molti sono
quelli che evadono o cercano di evadere. Episodi fotografati
o filmati dalle cineprese occidentali fanno il giro del mondo.
Un’anziana signora approfitta di una casa ancora situata
sul confine per tentare di calarsi dal primo piano verso la
libertà. In alto, un poliziotto dell’Est la trattiene, mentre in
basso un poliziotto dell’Ovest la tira verso di sé. Un vero e
proprio simbolo... Ancora più celebre è la fotografia di quel
Vopo (Volkspolizei: polizia nazionale) che il 15 agosto 1961
scavalca il filo spinato con l’arma e in uniforme. Aveva
diciannove anni. Costretti al servizio militare dal gennaio
1962, e spesso assegnati alla sorveglianza della cortina di
ferro o del muro di Berlino ancora «poroso», molti giovani
poliziotti sono i primi a disertare. Ma l’onnipotente STASI li
infiltra, al punto da contare ben presto un informatore ogni
dieci soldati. «Si tratta di individuare gli incerti, i
disfattisti, gli scettici, tutti coloro che si interrogano sulla
validità della loro missione, che dubitano di poter sparare
su un innocente disarmato» (Cyril Buffet).
Tuttavia alcuni episodi drammatici suscitano
l’indignazione del mondo libero, come l’evasione di Peter
Fechter, un apprendista muratore di diciotto anni, che il 17
agosto 1962 tenta di varcare il muro nei pressi del
checkpoint Charlie insieme a un amico. Quest’ultimo ce la
fa, ma Fechter è colpito più volte proprio mentre passa
dall’altra parte. Agonizzerà e chiederà aiuto per quasi
un’ora ai piedi del Muro senza che i poliziotti di Berlino
Ovest possano intervenire perché anche il lato occidentale
si trova nella zona Est. Quanto ai poliziotti dell’Est, hanno
troppa paura di essere linciati dalla folla in tumulto a
Ovest.
Non si conosce esattamente il numero di persone uccise
mentre tentavano di varcare il muro di Berlino. La cifra
ufficiale è 136. Dal 1974 al 1979 ci sono stati 4956 tentativi
di evasione, ma 3984 sono falliti; 75000 persone sono state
arrestate e imputate del «reato di fuga dalla Repubblica».
In realtà, come per la cortina di ferro propriamente detta,
le evasioni sono attuate più con l’inganno che con la forza.
Alcuni veicoli sono appositamente modificati, come l’auto
sportiva abbassata perché riesca a passare sotto una
barriera di controllo. Un ferroviere dirotta un treno su cui
ha fatto salire tutta la sua famiglia. Alla stazione di
Alexanderplatz si verifica un tentativo di dirottamento della
metropolitana. Tuttavia il sistema più classico, ma sempre
efficace, è scavare un tunnel. È proprio in questo modo che
viene attuata la più grande evasione, dal 3 al 5 ottobre
1964. Per Wolfgang Fuchs è diventata una specialità, che
sovvenziona vendendo in esclusiva il reportage a giornali
occidentali. Nell’ottobre 1964 è al suo quarto tunnel, lungo
145 metri a partire dalla cantina di una ex panetteria. Lo
hanno attraversato già 57 fuggiaschi (sui 200 previsti)
quando le guardie lo scoprono. Nella sparatoria resta
ucciso un poliziotto dell’Est.
Fin dalle prime settimane della sua costruzione il muro di
Berlino è ampiamente fotografato e filmato dalla stampa
occidentale. Scene al tempo stesso assurde e strazianti
fanno il giro del mondo: fazzoletti sventolati, baci scambiati
a distanza, bimbi mostrati ai nonni prima che il muro
raggiunga l’altezza definitiva. A Ovest non si parla che del
«Muro della vergogna» e i graffiti se ne appropriano. Anche
dalla parte occidentale nessuno potrebbe dimenticare che il
muro è costruito in territorio comunista. Berlino Ovest
comincia soltanto tre metri più in là e le guardie di Berlino
Est possono arrestare chiunque si avvicini al muro. Nel
calcestruzzo sono state praticate a intervalli regolari porte
massicce, manovrabili solo dal lato orientale, da cui le
guardie possono sbucare in qualsiasi momento.
Il che non impedisce ai temerari di rischiare, anzi.
Scrivere slogan vendicativi sul muro diventa così un vero e
proprio atto di resistenza. In un primo tempo i Vopo,
all’alba, cancellano le scritte fatte durante la notte, ma alla
fine rinunciano, tanto sono numerose. Ai graffiti seguono
ben presto i tag, poi i murales, veri e propri affreschi. Il
muro non è forse il più lungo spazio vergine che esista al
mondo? Negli anni ottanta appare ricoperto da un intrico di
manifestazioni grafiche di ogni genere. È un modo per
protestare, ma anche per addomesticarlo, e persino
ridicolizzarlo. A partire dal 1984 due francesi residenti a
Berlino, Thierry Noir e Christophe Bouchet, vi realizzano
vere e proprie opere d’arte. Thierry Noir (i volti stilizzati,
con una grossa bocca, un grosso naso e grosse orecchie
sono il suo autoritratto) racconta che a volte i passanti gli
rimproverano di abbellire il Muro. In effetti è diventato
un’attrazione turistica, specie vicino a Potsdamer Platz, alla
porta di Brandeburgo, al checkpoint Charlie o a Kreuzberg.
Fa persino pubblicità sui depliant.
Nel 1987 il regista tedesco Wim Wenders, consacrato dal
successo di Paris, Texas (1984, Palma d’oro a Cannes),
torna in patria per girare Il cielo sopra Berlino. In questo
film filosofico e poetico, alcuni angeli, condannati
all’incomunicabilità con il mondo degli uomini, osservano la
vita quotidiana dei berlinesi prigionieri della loro
solitudine. Non è un film sul muro di Berlino in senso
stretto (anche se vi compare Thierry Noir intento a
dipingere il suo affresco) né su Berlino e il suo Muro; ma vi
compaiono entrambi e fanno sì che l’isolamento di una città
si coniughi con quello degli uomini. Persino Germania anno
zero (Rossellini, 1947), nonostante una Berlino annientata
dalla guerra e il suicidio finale del giovane Edmund, è
sostanzialmente un film meno disperato del Cielo sopra
Berlino, dove la città, divisa in due, è la metafora della
separazione e di un’umanità anch’essa esiliata.
Ritroviamo, meno allegoricamente, il muro di Berlino in
alcuni degli innumerevoli romanzi di spionaggio che
spopolano durante tutta la guerra fredda, il più noto dei
quali rimane La spia che venne dal freddo di John Le Carré.
Da questo libro pubblicato nel 1963, che riscuote un
successo mondiale, sarà tratto un film nel 1966 (con
Richard Burton come protagonista). Alec Leamas, agente
segreto britannico, viene infiltrato nella Germania Est per
smascherare un agente doppiogiochista, ma sarà lui a
essere manipolato. Significativamente, alla fine della storia
è Leamas, disilluso e stanco di tutto, a trovare la morte sul
Muro insieme a Liz. Appollaiato in cima, sta aiutando sua
compagna a salire quando la loro fuga viene scoperta. I
riflettori si accendono. Le guardie sparano, colpendo a
morte Liz, che cade. Leamas potrebbe ancora saltare a
Ovest. Gli amici lo chiamano e lo incoraggiano. Invece no:
ridiscende lentamente dalla parte sbagliata per trovarvi la
morte a sua volta.