Finalmente completato il restauro dell’Edificio 11, la Facoltà di Architettura, realizzato nientemeno che da un trio d’elezione come: Giordano Forti, Gio Ponti e Piero Portaluppi tra il 1953 e il 1961 (anno di inaugurazione). Ci troviamo nel Campus del Politecnico di Milano a Città Studi.
L’edificio posto ad angolo tra via Bonardi e via Ampère rimase incompiuto per lungo tempo sino a quando Vittoriano Viganò lo completò con la spettacolare ala di via Ampère 2. Sviluppato su tre livelli, ha un sedie a L. In origine doveva essere rettangolare con al centro una corte coperta.
Presenta un basamento cieco su cui poggia un volume in aggetto dal profilo obliquo, destinato ad ospitare aule ad anfiteatro illuminate da lucernai posti in copertura. Venne concepito dai suoi progettisti come “edificio insegnate” (Ponti, 1954), in cui mettere in opera, in un sorta di campionario dell’edilizia moderna, tutti i tipi possibili di strutture, materiali, finiture, serramenti, arredi e di impianti che gli studenti avrebbero dunque potuto conoscere dal vero. In pianta, è organizzato a partire da un atrio rialzato rispetto alla quota stradale, raggiungibile da una breve scalinata preceduta da un portico. Dall’atrio partono le scale e i percorsi che conducono alle aule, ospitate ai piani superiori, mentre gran parte del livello d’ingresso è occupato dai locali della biblioteca: sul fronte rivolto a via Bonardi, tra il basamento inferiore – rivestito da piastrelle in ceramica di forma diamantata, sui toni del bianco – e la massa superiore – protetta da mattonelle quadrate, stavolta piatte e di colore bruno – corre una fascia vetrata continua che illumina gli spazi della sala di lettura. Anche al piede dell’edificio corre una sottile feritoia vetrata, che garantisce illuminazione naturale ai locali seminterrati e contribuisce a staccare visivamente il complesso dal suolo. La facciata rivolta a via Ampere è l’elemento del progetto che maggiormente risente dell’interruzione dei lavori, ma avrebbe dovuto essere una sorta di trasposizione su strada della sezione dell’edificio, trasformata in una composizione astratta ed asimmetrica.
Qui alcune immagini di come si presentava prima dell’intervento di restauro il palazzo.
Referenze Fotografiche: Roberto Arsuffi
Fonte: Lombardia Beni culturali, Ordine degli Architetti
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Finalmente pulito!
Uno scorcio di città che rappresenta la mia giuventù. Che nostalgia.
il “mostro” di Viganò lo definirei con innumerevoli aggettivi fra i quali non compare certo “spettacolare”. Figlio di una visione utopistica dell’insegnamento universitario totalmente slegata dalla realtà e che di fatto non ha mai funzionato, obbligando a modificarlo immediatamente dopo il termine della costruzione, mal progettato nella sua accessibilità con rampe di scale all’aperto assurdamente ripide e un patio condannato alla perenne oscurità in assenza di luce artificiale. Viganò volava nell’iperuranio mentre noi studenti dovevamo addentrarci nella pancia della bestia che avevano creato lui e la Falck.
ma la balaustra? o madonna!
Avendo frequentato la facoltà di architettura, vorrei aggiungere che questo edificio era chiamato dai suoi progettisti “Faemino” vista la somiglianza con la macchina da caffè della Faema
Vorrei specificare che l’edificio appena restaurato è stato progettato da Ponti negli anni ’50, come ben detto nell’articolo. La parte di Viganò è stata costruita in seguito collegandola a quella vecchia. Anche se non sembra sono due edifici separati.