Philippe Pergola / Ricardo Santangeli Valenzani / Rita Volpe (a cura di): Suburbium. Il suburbio di Roma dalla crisi del sistema delle ville a Gregorio Magno (= Collection de l'École française de Rome; 311), Rom: École française de Rome 2003, XIII + 758 S., 1 CD-ROM, ISBN 978-2-7283-0671-8, EUR 93,00
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Questo grosso volume miscellaneo è dedicato al complesso degli insediamenti e delle infrastrutture del suburbio di Roma in epoca tardoantica (grossomodo dal III agli inizi del VII secolo). Si tratta degli atti di un Convegno e di una Tavola Rotonda sullo stesso tema tenutisi a Roma nel marzo del 2000. Sono incluse 18 relazioni e 6 articoli, di differente ampiezza, collocati in appendice. Un CD-ROM allegato al volume contiene la schedature di 372 "invenimenti nel suburbio databili al periodo tardoantico [...] la più ampia raccolta di dati archeologici sul suburbio di Roma in epoca tardoantica" (IX). Le schede del CD sono organizzate, a partire da una mappa iniziale sulla quale si può scegliere l'area da visualizzare, secondo un criterio stradale e sono corredate da bibliografia.
Volendo suddividere la materia potremmo individuare due raggruppamenti. Una prima serie di studi mira alla ricostruzione della viabilità tardoantica del suburbio e alla rappresentazione dei dati archeologici (strutture edilizie, sepolture nelle ville viste anche come sintomo del superamento fra insediamento dei vivi e necropoli, paesaggio) della campagna romana. Una seconda serie di studi a carattere tematico riguarda specifiche tipologie di elementi archeologici caratterizzanti il suburbio: gli acquedotti, l'onomastica dei proprietari alla luce delle iscrizioni ordinarie o di quelle in instrumentum, l'organizzazione della proprietà della Chiesa (peraltro non molto diffusa nel suburbio), l'utilizzazione del suburbio a scopi funerari e in generale il quadro insediativo del territorio.
Mi limiterò dunque a descrivere un po' meglio i contenuti dell'opera - irriducibili a unità sintetica - e ad alcune osservazioni di massima. Il concetto di suburbium avrebbe potuto destare varie difficoltà legate alla disparità delle sue possibili definizioni in rapporto ai confini dell'Urbs, al problema di "dove finisce la città". I curatori e gli autori raramente hanno fornito le loro coordinate del concetto, di norma comunque ponendo sotto osservazione l'area inclusa entro le 8 miglia da Roma (ma cf. A.M. Nieddu, 546: "suburbio [...] entro il terzo miglio dalle mura aureliane") lungo le strade consolari. Proprio dalle vie consolari e da quelle minori partono e si diramano numerose 'passeggiate archeologiche', aggiornatissime e ricche di sorprese.
a) Le strade. La storia del sistema viario nel suburbio è una storia di decadenza materiale e di ridefinizione funzionale. In mezzo a lavori preziosi ma talvolta troppo analitici per potere essere esaminati in questa sede, quello di Arnold Esch ("La viabilità nei dintorni di Roma fra tarda antichità e primo medioevo", 1-24) si caratterizza per il suo più ampio respiro: è l'esame della trasformazione da strade rettilinee, destinate a congiungere l'Urbs a mète lontane, a percorsi che subivano maggiormente i condizionamenti orografici e del paesaggio, che si riorientavano e creavano diverticoli in un mondo più ristretto, allo scopo di servire cittadine e comunità minori.
La viabilità primaria e secondaria del suburbio romano era costituita da strade che si collegavano a luoghi di culto per lo più martiriali così come alle proprietà terriere, in particolare quelle della Chiesa di Roma. Da quest'ultimo punto di vista Esch dimostra efficacemente il ruolo giocato dalle strade nel quadro dell'amministrazione del patrimonio ecclesiastico. Esch esamina in successione una serie di percorsi stradali, evocando via via i restauri, i monumenti, l'evoluzione tardoantica dei tragitti e stabilendo con puntualità i riscontri fra dati archeologici e fonti letterarie (registri e documenti notarili ecclesiastici, epistolari, atti di martiri, notitiae ecc.).
Fra le strade che ancora nell'alto medioevo mantennero una certa importanza troviamo la Cassia (futura Francigena) e la via Amerina. Analogamente la via Appia (11-14; su cui cf. anche L. Spera, "Il territorio della via Appia: forme trasformative del paesaggio nei secoli della tarda Antichità", 267-330) continuò fino al tardo VI secolo a essere concepita come strada a lunga percorrenza, da Roma a Capua, sino alla caduta della città campana sotto i Longobardi, nel 593; la Appia continuò anche a costituire la più celebrata strada romana in Italia, mentre le fonti letterarie testimoniano senza dubbio come la sua manutenzione rimanesse a quest'epoca una concreta preoccupazione degli amministratori pubblici.
Di un'altra grande via consolare, la Flaminia, ancora trafficatissima nel V e VI secolo, si occupa Gaetano Messineo ("Via Flaminia tra V e VI miglio", 25-46) in un intervento di taglio decisamente archeologico che fornisce una ampia e dettagliata "inventariazione" dei reperti. La ricerca di C. Calci e Z. Mari sulla via Tiburtina (175-209) offre un ottimo profilo dell'evoluzione del sistema della villa romana attorno ad un'area, quella interessata dalla strada, particolarmente fertile. Il dato per noi più interessante è l'affermazione della vitalità delle attività di villa nel IV-V secolo (cf. le notazioni di R. Volpe nel contributo sulla via Labicana, 218, 226) e con essa della funzionalità della Tiburtina nello stesso periodo. Anche dai successivi contributi dedicati all'assetto viario del suburbium emerge una prima provvisoria ma importante mappatura sull'ubicazione di luoghi di culto pagani e soprattutto cristiani, acquedotti, ville e poderi, impianti abitativi o funerari e altre tipologie di sito.
b) Il sistema idrico. La valutazione dello stato complessivo delle infrastrutture acquifere suburbane (utilizzate in buona misura per il rifornimento idrico di Roma) è facilitata dal fatto che nel libro esiste uno studio dedicato appositamente al problema: R. Coates-Stephens, "Gli acquedotti in epoca tardoantica nel suburbio" (415-436). Le fonti epigrafiche, letterarie, giuridiche (e.g. Cassiodoro, Procopio, Giustiniano, Liber Pontificalis) ci dicono che gli acquedotti furono restaurati e funzionarono bene almeno fino alla guerra greco-gotica. In considerazione dei limiti delle deduzioni ricavabili dalle tecniche murarie, prudentemente l'autore preferisce evitare di attribuire i non trascurabili resti materiali alle attestazioni di rifacimenti attestati dalle fonti letterarie.
Quanto all'uso degli acquedotti, essi furono solo uno dei canali di approvvigionamento di acque, accanto a varie altre tipologie di strumenti (cisterne, corsi naturali ecc.) e alle ruote idrauliche (su queste ultime cf. 435). La conclusione del lavoro è una 'chiamata alle armi': "Nella tarda antichità gli acquedotti [...] almeno potenzialmente erano in condizione di essere utilizzati: è necessario ora che la futura ricerca archeologica approfondisca come concretamente tale impiego ebbe luogo" (436). Essendo costretto dalla documentazione a concentrarsi sull'alto impero, ci limitiamo a ricordare qui che il secondo contributo integralmente dedicato al sistema idrico è quello di C. Bruun, "Le fistule acquarie e i proprietari terrieri nel suburbium di Roma" (485-501).
c) L'insediamento nel territorio. Fra i contributi che più ci sono sembrati suggestivi e stimolanti c'è quello di R. Santangeli Valenzani, "Vecchie e nuove forme di insediamento nel territorio" (607-618). È questo un conciso intervento che pone problemi metodologici e storiografici concreti: in primo luogo, il rapporto fra l'immagine del sistema delle proprietà restituita dalle fonti scritte e quella restituita dall'archeologia; in secondo luogo, il rapporto fra una documentazione archeologica degli insediamenti nel suburbio in progressiva rarefazione e invece le notizie positive sul ruolo attivo del suburbio stesso come fonte di approvvigionamento di Roma. Questo secondo approccio riceve una risposta brillante mediante l'applicazione di un modello (von Thünen) che spiega le trasformazioni nelle pratiche di produzione agraria in funzione del calo demografico (su cui cf. lo stesso Santangeli Valenzani nel dibattito conclusivo, 646-647) e mediante il confronto con la situazione dell'agro romano nel XIX secolo. Le chiavi sono: l'ipotesi di uno spopolamento della campagna contestuale al ricavo da essa di rendite latifondistiche elevate; la pratica del 'popolamento stagionale' che prevedeva insediamenti provvisori costruiti con materiale deperibile di lavoratori (residenti in città) in villaggi capannicoli. L'applicabilità del modello, naturalmente complesso, al suburbio tardoromano è implicito nelle seguenti righe: "Se, in assenza di notizie storiche, noi dovessimo ricavare il quadro del popolamento dell'Agro Romano nel XVIII-XIX secolo con metodologie archeologiche, la visibilità di insediamenti di questo tipo sarebbe evidentemente quasi nulla".
d) Riflessioni conclusive. Come si intuisce da quanto sin qui detto, Suburbium, ben illustrato da immagini e carte, è una sorta di grande cantiere di materiali storico-archeologici, fondato su evidenza documentaria edita e inedita dell'immediato circondario di Roma. Il progetto qui pubblicato ha inteso iniziare a coordinarne e organizzarne lo studio. Tale ricchezza di materiali e notizie è di solito elaborata in modo pregevole e organico, talvolta rimane allo stato di congerie nella quale un po' ci si perde. Comunque i singoli contributi forniscono quasi sempre informazioni originali e garantiscono sicuri piedistalli per le ricerche ulteriori sulle trasformazioni economiche sociali della Roma tardoantica e del suo territorio. Un libro come questo può essere consultato o letto con attenzione solo per singoli saggi. L'assenza di indici ne rende l'utilizzo meno pratico. Ma, per chi abbia voglia di esplorarne gli anfratti, è anche una miniera.
Giovanni Alberto Cecconi