Come Ebon Moss-Bachrach è diventato uno degli elementi chiave di The Bear

Quest'anno ha vinto un Emmy per il ruolo di Richie, l'irascibile mina vagante nella cucina di The Bear. L'anno prossimo sarà Ben Grimm nei Fantastici 4 della Marvel. Alcuni attori aspettano tutta la vita un momento del genere. Ebon Moss-Bachrach non è tra loro: «Non mi sono mai chiesto quando sarebbe arrivato»
Ebon MossBachrach The Bear intervista

Ero alla ricerca di Ebon Moss-Bachrach nel parco di Cobble Hill quando mi è balzato alla mente un ricordo. L'ultima volta che sono stato in questo luogo così particolare, nascosto dal resto di Brooklyn e più simile alla zona verde di un piccolo villaggio che a un parco giochi, era l'inizio degli anni Ottanta, avevo 24 anni e il mio vecchio compagno di stanza si trovava qui per incontrare il suo spacciatore di coca. Mi ero messo in disparte a guardare, con la sensazione di essere un po' cool per il fatto di essere stato coinvolto.

Quando Ebon Moss-Bachrach è apparso sul lato opposto del parco, sembrava una macchia nera. Il recente vincitore di un Emmy per la sua interpretazione in The Bear della FX Productions nei panni di Richie, l'irascibile anima persa verso cui non si può fare a meno di provare sentimenti di empatia, indossa una felpa nera con cappuccio, jeans neri e Chuck Taylor nere. Ricordo che io, il mio compagno di stanza e lo spacciatore eravamo tutti vestiti allo stesso modo. E forse perché Ebon Moss-Bachrach ha fatto un ottimo lavoro nell'interpretare un affascinante outsider, una delle prime cose che gli dico è quanto non riesca a fare a meno di sentirmi un po' strano e fuori posto nel tornare in questo stesso parco decenni dopo, in quella che oggi è una zona elegante di Brooklyn. Vent'anni fa ho accompagnato qualcuno nello stesso posto per un acquisto di droga, a pochi metri da dove ora sto guardando un gruppo di ragazzi che probabilmente si chiamano Kale e Sufjan disegnare faccine sorridenti sul vialetto di mattoni rossi con gessetti color pastello.

Mi aspetto che Ebon Moss-Bachrach mi dica: “Che figata” o condivida una storia simile dei suoi bei tempi da teppista di Brooklyn. Siamo solo una coppia di quarantenni che ricordano come erano una volta, ma lui congela rapidamente questa immaginazione. «Indossi una giacca Barbour, fratello», sottolinea lui. «Secondo me, sei un tipo in gamba».

Il fatto che Ebon Moss-Bachrach mi riporti sulla terra ricordandomi che allora non stavo vivendo esattamente lo stile di vita rock and roll e di certo non lo sto vivendo adesso è stata una divertente introduzione. Non mi preoccupo di redimermi dicendo che il Barbour è vintage e l'ho preso a una svendita per 30 dollari. Tuttavia, nel corso delle due ore successive e dei cinque chilometri di cammino da Cobble Hill a Williamsburg, dove l'attore sta ritirando una bicicletta in riparazione, mi rendo conto che la nostra interazione iniziale contiene una metafora. Mi ci vuole solo un po' di tempo per capirlo.


Quando ho detto a un'amica che avrei fatto una chiacchierata con Moss-Bachrach, mi ha accennato di averlo visto in giro per Williamsburg nei primi anni 2000. «Era proprio lui, il tipo che aveva recitato in un film di Wes Anderson senza cercare di imitarne lo stile», mi ha confidato lei sorprendendomi. Mi sono riaffiorate alla mente le voci di qualcuno che aveva avuto un ruolo minore nell’originale mondo di Anderson e che poi era tornato a vivere come una persona qualunque. Non avevo mai fatto il collegamento prima. È comprensibile: il ruolo di Frederick il Cameriere, interpretato da Moss-Bachrach nel film I Tenenbaum del 2001, non lo aveva trasformato in una star, ma fu uno dei suoi primi lavori, e l’esperienza di recitare al fianco di un mito come Gene Hackman fu indimenticabile. «È un professionista. Non ha mai fatto le prove», così Moss-Bachrach ricorda Hackman. «L'uomo che era stato la sua controfigura per, credo decenni a quel punto, aveva un tipo di personalità alla Gene Hackman. All'improvviso, mi ha guardato e ha detto: “Odio girare a New York, cazzo. Non ci sono ristoranti decenti in questa cazzo di città”».

Moss-Bachrach ha partecipato ad altri due film usciti nel 2001, lo stesso anno dei Tenenbaum, e ad altri tre due anni dopo, nel 2003 (con un ruolo da protagonista nella satira sulla musica rap diretta da Damon Dash, Death of a Dynasty, che non è famoso come ci si aspetterebbe da un film con camei di Jay-Z, Chloë Sevigny e Mariah Carey). Ma se si guarda alla filmografia di Moss-Bachrach, si nota che per quasi un decennio è stato un attore da tre titoli all'anno, con qualche occasionale ingaggio televisivo (anche nella tripletta dorata dello sceneggiatore Dick Wolf: Law & Order: Criminal Intent, Law & Order: Unità vittime speciali e Law & Order: Il verdetto).
Era un attore che lavorava, felice di poter pagare le bollette. Poi, nel 2014, è passato dall'essere quello che la gente di Williamsburg conosceva come il tizio che aveva recitato in un film di Wes Anderson all'essere l'uomo che viveva nel quartiere e appariva in Girls.

Mentre percorriamo l'affollata Atlantic Avenue, dove la lussuosa Cobble Hill si trasforma nella prestigiosa Brooklyn Heights, la felpa di Moss-Bachrach non gli copre più la testa. È in movimento. In genere i newyorkesi sono abbastanza bravi da non disturbare le persone che riconoscono (o forse sono solo troppo occupati per notarlo). «Ho sempre fatto ciò che volevo», mi confida Moss-Bachrach quando gli chiedo della sua mentalità da vincitore lento e costante, anche se si affretta a precisare che non si tratta di vincere, ma di lavorare e di farlo alle proprie condizioni. «Non mi sono mai trasferito a Los Angeles», dice. «Sono rimasto a New York, sempre molto impegnato nella realizzazione di varie produzioni. Sono stato qui in un periodo piuttosto eccitante del cinema newyorkese. Ho sempre guadagnato abbastanza soldi per tirare avanti. Non avevo una gran voglia di diventare ricco e famoso o altro. È bello che ora ci siano più riconoscimenti, ma non mi sono mai chiesto quando sarebbe arrivato il mio momento».

La maggior parte delle persone che conosco nel mondo della recitazione diventa matta solo per cercare di ottenere ruoli non recitativi in pilot che hanno zero possibilità di essere presi; come ha fatto Moss-Bachrach a mettere giù la testa e a lavorare? Gli chiedo se ci sia voluta molta pazienza.
«No», mi risponde. Stiamo attraversando Dumbo, sotto il ponte di Manhattan, e un treno inizia a rombare sopra le nostre teste. Riprende appena è passato. «Non è pazienza perché ero soddisfatto di quanto facevo». Sembra una frase pronunciata a posteriori da qualcuno che ha avuto successo. Ma più parlavo con altre persone che lo conoscono e hanno lavorato accanto a Moss-Bachrach, più scoprivo che ha sempre avuto la stessa mentalità.

«Non invidio nessun attore al mondo. Penso che sia una cosa molto, molto difficile da fare, ed è un mestiere duro. Sei obbligato verso chiunque altro sulla terra, e hai pochissimo controllo», afferma Jenni Konner che ha conosciuto Moss-Bachrach quando lavorava come coproduttrice e co-showrunner di Girls. Ha capito subito di trovarsi di fronte a un attore in grado di immedesimarsi in ogni personaggio che interpretava senza avere grandi ambizioni di fama. «È solo un uomo che si presenta pronto a svolgere il suo lavoro, e gli piace davvero farlo».

Moss-Bachrach ha ottenuto un ruolo nella terza stagione dello show come Desi Harperin, un musicista che Marnie, interpretata da Allison Williams, sposa e da cui poi divorzia. Inizialmente Desi doveva andare e venire nel giro di uno o due episodi, ma sia Konner sia Lena Dunham hanno finito per amare il personaggio. Sulla carta, ammette Konner, Desi era «un po' un cliché ridicolo»: il tipico musicista-artista stronzo di Brooklyn del centro del casting. «Ebon, però, ha aggiunto tanta inventiva a Desi. È davvero una delle persone più divertenti che abbia mai conosciuto, tanto quanto qualsiasi autore di commedie con cui abbia mai lavorato, ed è anche molto piacevole da vedere. È stato un po' come trovare un unicorno».

Il periodo in cui Moss-Bachrach ha recitato in Girls, dove è rimasto fino alla sesta e ultima stagione dello show, potrebbe essere stato il primo momento in cui gli spettatori hanno iniziato a notare il suo talento. Tuttavia, tra i colleghi attori, Moss-Bachrach aveva già una reputazione.
«Ha fatto un'audizione per un film che ho scritto anni fa, ed era così fottutamente bravo», mi racconta l'attore e scrittore Bob Odenkirk. Il film non è mai stato realizzato, ma Odenkirk dice di aver tenuto d'occhio il giovane attore, curioso di vedere cosa stesse combinando. «Faceva qualche cosa qua e là», dice, «e soltanto dopo quasi 20 anni ha ottenuto una parte che gli ha permesso di mostrare a un pubblico più vasto quanto sapeva fare».

Odenkirk avrebbe finalmente lavorato con Moss-Bachrach nel 2023, in Fishes, l'episodio più discusso e caotico dell'acclamata seconda stagione di The Bear. L'esperienza ha consolidato la sua opinione sull'attore che aveva cercato di ingaggiare anni prima: «Credo davvero che sia uno dei migliori attori della nostra generazione. Ne sono davvero convinto».


Moss-Bachrach è nato a New York City dove è tornato per frequentare la Columbia a metà degli anni Novanta. Ha trascorso gli anni intermedi ad Amherst, nel Massachusetts; suo padre era un educatore che ha fondato e gestito la Community Music School nella vicina Springfield, mentre sua madre lavorava per il programma Big Brother Big Sister. Nel corso della carriera, Moss-Bachrach ha mantenuto un profilo talmente basso che la sua pagina di Wikipedia lo indica erroneamente come nativo del Massachusetts, anche se è nato all'ospedale della New York University sulla First Avenue e ha vissuto in città da quando aveva circa quattro anni.

Tutto questo nonostante i suoi legami con l'Universo Cinematografico Marvel, dove ha interpretato David Lieberman, l'alleato di Frank Castle, in The Punisher di Netflix, e dove l'estate prossima sarà Ben Grimm, la Cosa, nei Fantastici 4, un progetto di cui non può dire di più. Sappiamo, però, che non è stato un ragazzino appassionato di fumetti. La sua passione era la fantascienza: Dune di Frank Herbert, Dr. Who sul televisore in bianco e nero che i genitori gli lasciavano guardare raramente. È una cosa che ha in comune con Richie, che ha citato Philip K. Dick più di una volta in The Bear; mi ha detto che lui e il creatore della serie, Christopher Storer, hanno ideato alcune battute insieme, e Richie è diventato un po' più simile a Ebon (resta da vedere se vedremo Richie ammettere di amare Dungeons & Dragons, come ha fatto Moss-Bachrach).

Siamo arrivati nella zona di Williamsburg in cui gli Hasidim sono in numero maggiore rispetto agli abitanti del quartiere. Moss-Bachrach si è comportato in modo disinvolto per tutta la passeggiata, senza guardarsi intorno per vedere se la gente lo notava e senza tirare fuori il telefono nemmeno una volta. Tiene per lo più le mani nelle tasche della felpa; a un certo punto tira fuori uno stuzzicadenti da mordicchiare. Parliamo un po' dei film e delle produzioni che amava da bambino.

«Una volta mia nonna mi portò a vedere I Pirati di Penzance. Ero curioso di scoprire da dove sarebbero spuntati i pirati. Improvvisamente, mentre sul palco si scatenava il caos, sentii rumore anche alle mie spalle e i pirati apparvero da dietro, tra il pubblico. Rimasi esterrefatto». Si ricorda anche di uno spettacolo di magia a Broadway negli anni Ottanta che lo colpì profondamente. «In quei momenti», racconta, «si piantarono i semi. Non che avessi una consapevolezza precisa, del tipo: ’Ah, è questo che voglio fare!'». Quella consapevolezza arrivò più avanti, all’università, quando per curiosità si iscrisse a un corso di recitazione. Moss-Bachrach è sempre stato creativo e intuitivo. Ha studiato pianoforte con dedizione per anni e ha sempre avuto la passione per il disegno, che conserva ancora oggi. Ma la recitazione era qualcosa di diverso. Cominciò con esercizi che oggi definirebbe “banali”, come le scene tratte dalle opere di Čechov e Sam Shepard. Tuttavia, recitare non era un’attività solitaria come il disegno, e ben presto capì come riuscire a dare nuova vita a scene già interpretate innumerevoli volte, proprio come Glenn Gould riuscì a innovare la musica di Bach, secoli dopo la morte del compositore.

A 19 anni Moss-Bachrach ha ottenuto un apprendistato estivo al Williamstown Theater Festival e lì ha colto l'occasione. «Ero circondato da questo incredibile teatro e da tutti quegli attori e registi, ed è stato allora che mi sono sentito investito da una vera passione», racconta. «Ho pensato che se avessi potuto vivere frequentando quelle persone, giocando e costruendo, creando e immaginando, allora l'avrei fatto il più a lungo possibile».


Indipendentemente da come lo si consideri, che sia l’apprendistato estivo o il suo primo ruolo accreditato nei panni di Billy nel film giallo del 1999 Murder in a Small Town con Gene Wilder, come inizio del suo percorso di attore, Moss-Bachrach ha perseguito il suo sogno di recitare per tutto il tempo possibile. Quando ha realizzato che stava avendo successo? «È qualcosa di imprecisabile», spiega. «Quando puoi definirti veramente un attore? Ci sono stati anni difficili, all’inizio, in cui ho lavorato poco. Un anno ho lavorato solo un giorno. E mi chiedevo: “Posso ancora considerarmi un attore?”».

Abbiamo raggiunto il tratto di Kent Avenue in cui un tempo le fabbriche erano in funzione, prima di diventare luoghi in cui la gente ha cominciato a vivere, finché sono stati rasi al suolo per fare spazio agli edifici di vetro che ora sovrastano la strada. I passanti iniziano a notare chi sta camminando davanti a loro. Alcuni salutano e quasi tutti sorridono. Uno si ferma davanti a noi e dice a Moss-Bachrach: «Ehi, ti amo», poi gli dà il cinque. Alcune di queste persone probabilmente lo conoscevano da Girls, o forse erano fanatici di Star Wars entusiasti di aver individuato il ragazzo di Andor. Ma se dovessi tirare a indovinare, la persona che gli ha dato il cinque probabilmente lo conosceva per The Bear. I due che hanno urlato «Cugino!» dall'altra parte della strada sicuramente sì.

Nel copione dell'episodio pilota di The Bear, Richie Jerimovich (il nome del personaggio era originariamente Richie Kalinowski, in qualche modo ancora più tipico di Chicago) viene descritto come segue: "40 ANNI, STRONZO, T-SHIRT THE BEEF". Quando Richie appare nell'episodio pilota finale, dopo circa nove minuti, abbiamo già conosciuto Carmy, l'inquieto protagonista al centro della storia, e Sydney (Ayo Edebiri) con gli occhi spalancati e pieni di speranza e molti degli altri addetti alla cucina che fanno funzionare The Beef. Richie entra in scena come se fosse ancora il re del castello: chiama Sydney "tesoro" e accusa Carm di essere "woke", come se avesse aspettato tutta la settimana per usare questa parola come insulto.

Una volta che Carmy diventa proprietario del ristorante, Richie viene privato del potere che aveva in passato come manager e la retrocessione lo tormenta; è infelice e spaesato riguardo al suo posto nel nuovo contesto, e sembra non rispettare nessuno tranne Cicero, il losco zio di Carmy del South Side, interpretato da Oliver Platt. Per tutta la prima stagione e nella seconda, Richie è un'arma comica e fonte di tensione, ma il suo percorso come personaggio resta vago. Durante la seconda stagione, continuavo a chiedermi quando o se avremmo finalmente visto Richie emergere. Poi è arrivato Forchette, il settimo episodio perfetto di quella stagione. Fu il momento in cui io e, a quanto pare, i votanti agli Emmy, abbiamo capito quanto Moss-Bachrach si fosse appropriato del ruolo in modo profondo e sottile.

«Quando vediamo Richie per la prima volta nell'episodio intitolato Forchette, è molto arrabbiato», spiega Platt al telefono. «Si sente ignorato e non adeguatamente valorizzato e pensa: “Ma che ci faccio qui?” Tuttavia, nel corso della storia, diventa un personaggio chiave. Si fa in quattro per aiutare una famiglia, procurando loro una pizza deep dish perché dimostra di saper ascoltare e di essere in grado di cambiare. Ho riflettuto molto sull’evoluzione di Richie che è paragonabile a quella di un romanzo. Parte da una posizione di scetticismo e disillusione, senza alcuno scopo nella vita, arrivando a cacciare Carm dalla sua casa, per poi, in modo naturale, meritarsi un cambiamento. E, se ci pensiamo bene, tutto questo avviene principalmente in un singolo episodio».

Forchette si apre sulla voce del leggendario allenatore di basket universitario Mike Krzyzewski che parla della capacità di cambiare, lavorare con una squadra e diventare un leader. Quando vediamo Richie per la prima volta, si sta trascinando fuori dal letto alle 5:38 del mattino, nell'immagine successiva si getta dell'acqua sul viso, in quella dopo si accende una sigaretta in macchina, ogni sequenza comunica in qualche modo il peso di una sconfitta. Quando arriva all'Ever, un vero e proprio ristorante a due stelle Michelin, mormora: “Vaffanculo, cugino”. Ha 40 anni e deve timbrare il cartellino per il primo dei sette giorni di purgatorio che passerà a lucidare forchette nel retro della cucina. All'inizio la vede come una sorta di punizione che gli viene da Carmy e dal mondo, soprattutto dopo aver chiamato la sua ex moglie (Gillian Jacobs) che gli dice di essersi fidanzata. Nel corso dell'episodio, però, Richie raggiunge una sorta di trascendenza; arriva a capire non solo la soddisfazione di curare i dettagli, ma anche l'appagamento che si trova nel servire gli altri.

Sulla parete dell'Ever c'è una targa che ricorda alla squadra che "Ogni secondo conta". Alla fine dell'episodio, Richie ha imparato a conoscere l'origine della frase, ma anche il suo significato. Moss-Bachrach sembra saperlo: non ha mai dato per scontato un momento del suo tempo come attore. Esiste anche un altro parallelo che mi colpisce quando penso a Forchette. Moss-Bachrach, che si è dato da fare con soddisfazione per anni anche quando non c'erano i riconoscimenti e le parti più remunerative, alla fine ha vinto un Emmy grazie all'interpretazione di un uomo arrabbiato per quello che non ha ottenuto. Credo a Moss-Bachrach quando mi dice che è sempre stato soddisfatto di ciò che ha avuto la possibilità di fare, anche prima di The Bear, dell'Emmy e dell'attuale fama. Non riesco proprio a capire a cosa abbia attinto per riuscire a entrare in una parte diametralmente opposta alla sua personalità.

«Lo ammetto, sono un vecchio bacucco», scherza Platt quando gli dico quanto Forchette mi abbia commosso. «Ma è così bello vedere qualcuno che, all'improvviso, agli occhi degli altri, diventa autonomo a 40 anni. Bisogna amare storie come questa». Un minuto o due dopo aver riattaccato, mi rendo conto che non so se stesse parlando di Richie o di Ebon.


Cosa rende felice Ebon? È la domanda che mi appresto a fargli quando ci fermiamo all'ombra del ponte di Williamsburg. Mi indica un piccolo stabile residenziale, uno di quelli che stanno diventando sempre più rari in questo quartiere. Moss-Bachrach e sua moglie, la fotografa Yelena Yemchuk, hanno abitato lì fino a circa il 2007. «Qui è nato il nostro primo figlio», racconta. «L’appartamento aveva una disposizione particolare, con una serie di stanze in fila, una dopo l’altra. Eravamo all’ultimo piano». Guardiamo insieme l’edificio in silenzio per un momento. Una coppia ci passa accanto, salutandoci; Moss-Bachrach sorride e risponde al saluto come se fossero vecchi amici. Poi confessa di non averli mai visti prima, ma che è nel suo carattere essere cordiale con tutti. «Per chi fa il mio lavoro, è importante interagire con le persone. Vivo in questa città meravigliosa e voglio godermela appieno», dice, prima di tornare a guardare il vecchio appartamento e ricordare la vita che vi ha trascorso.

«Ho avuto la mia prima figlia a 28 o 29 anni», racconta Moss-Bachrach. Si tratta di Sasha, nata nel 2007; l'altra figlia, Mirabelle, è arrivata nel 2010. «Quindi a 30 anni, quando dovrebbe essere tutto carriera, carriera, carriera, per me era diverso. Credo che questa prospettiva sia davvero di aiuto», sostiene. «Mi occupavo della famiglia e andavo in giro. Era la soddisfazione della scoperta, della paternità e dello stare vicino alle mie bambine».

Continuiamo a chiacchierare per un minuto o due. Poi Moss-Bachrach va da una parte, a prendere la sua bicicletta, e io dall'altra. Prima di separarci, gli chiedo se si è sentito vicino al personaggio interpretato in The Bear, nella speranza di sentirgli dire che c'è un po' di Richie in lui. Ammette di sì. «Ma quando il lavoro sarà finito», dice, «piangerò la perdita di avere collaborato con le persone con cui abbiamo realizzato la serie, in questa sorta di ambiente di lavoro ideale e straordinario. Spero di non portare Richie in un tour, magari a Branson, nel Missouri, con il Bear Bus Experience».

Alcune persone impiegano tempo per scoprire chi saranno, proprio come me, che anni fa stavo in quel parco, credendo di essere Johnny Thunders per associazione. Moss-Bachrach, invece, sembra averlo sempre saputo. Il lavoro era importante quando viveva in quell’appartamento all’ultimo piano, dove ha iniziato la sua famiglia, è importante ancora oggi e lo sarà finché ci sarà chi gli chiederà di recitare. Le sue prospettive di carriera future sono sicuramente migliori di quelle di un tempo, ma questo non è mai stato il suo punto focale. «Adesso mi arrivano più proposte e ho maggiori opportunità di scegliere i ruoli che desidero, ma mi sono sempre sentito a mio agio con quanto facevo e nella posizione in cui mi trovavo. Sono bravo a vivere nel presente», mi ha detto. «Il presente è tutto ciò che abbiamo».