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Pavel Pavlovič Muratov

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Pavel Pavlovich Muratov (1881 – 1950), critico d'arte, scrittore, traduttore, editore russo.

Citazioni di Pavel Pavlovič Muratov

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  • Chi giunge qui con tutta la sua anima e non solo con l'interesse della mente, o degli occhi, ma con tutti i suoi sentimenti, con tutta la sua energia, tutto ciò che ha vissuto, verità e inganni, gioie, dolori, sogni – costui non se ne andrà senza profonde intuizioni spirituali. Più vicino a Firenze è colui che ama. Per i pellegrini dell'amore essa è santa; nella sua aria luminosa il cuore brucia più lieve e puro. La felicità dell'amore qui è più nobile, la sofferenza più bella, il distacco più dolce. In questo antico cimitero dell'amore troppe anime sono state immolate e troppe preziose lacrime sono state sparse per non credere alla redenzione. Tutto ciò che qui è stato creato, è stato creato solo per amore.[1]
  • Firenze è viva e la sua anima non è tutta nei quadri e nei palazzi. Essa parla con ciascuno di noi in una lingua semplice e comprensibile come la lingua materna.[2]
  • Forse non sono affatto da ricercarsi nella luce dei musei le fonti di un autentico entusiasmo per gli antichi. Chi si risolverà a sostenere che ha realmente sentito la Grecia tra le quattro mura del "deposito londinese" e ha serbato nell'anima la sua immagine, uscendo sullo Strand eternamente umido o addentrandosi nei boschi nebbiosi, romantici, nordicamente sognanti di Hyde Park? Il genio del luogo a Londra è nettamente estraneo al genio del luogo in cui hanno visto la luce per la prima volta i marmi del Partenone e della Demetra di Cnido. Non è forse più vicino all'aria che ha alimentato l'invisibile vita di queste creature del mondo antico, quell’aria che ciascuno di noi respira nell'ampio cortile del Romano Museo delle Terme, anche se non vi si trovano oggetti di così grande qualità [...] Il visitatore che qui osserva i rilievi antichi può sentire a volte il cadere di una pera matura o il battere alla finestra di un albero di fico dalle foglie digitate mosse dal vento. Presso i vecchi cipressi, in mezzo al cortile, zampilla una fontana, l'edera avvolge le bianche pile sacrificali. Vi si trovano anche, in gran quantità, frammenti e sarcofaghi inondati di sole, che rende il loro travertino azzurro e trasparente, il loro marmo caldo e vivo. Per la meravigliosa vitalità di queste cose si può cedere la perfezione di un capolavoro conservato con cura in una sorda stanza.
    I petali di una rosa sfiorita rimasti sulle pieghe dell'abito di una donna, scolpita non si sa quando e da chi, la abbelliscono molto di più di qualsiasi lode dei conoscitori e di tutte le dispute degli studiosi. In questi petali, in queste ombre di foglie e di rami che scivolano sul marmo, nelle lucertole che vanno su e giù per i frammenti, c'è una specie di legame fra il mondo antico e il nostro, che da solo permette al cuore di riconoscerlo e di credere alla sua vita.[3]
  • Il Soratte, il monte Circeo, il monte Cavo nei colli Albani, sono tutti vulcani spenti. Come scrisse un antico viaggiatore del Lazio "Noi qui camminiamo sempre sui resti di un fuoco remoto, nella polvere dei secoli che hanno preceduto la comparsa dell’essere umano nella storia". Questo fuoco cosmico spento ormai da un pezzo e questa polvere dei secoli primordiali hanno conferito alla terra del Lazio le sue forme maestose e solenni. Da esse si leva una profondissima quiete e il riscatto da tutto ciò che comporta una vita meschina e affrettata. Forse quella pace e quel riscatto che inconsciamente cerca chiunque più tardi rammenterà esaltandosi le rovine di Ostia, le necropoli di Corneto e i monasteri di Subiaco.[4]
  • In qualunque altro Paese la rovine di Ninfa sarebbero soltanto un monumento del passato, interessante agli occhi di storici e archeologi. La natura del Lazio ne ha fatto un autentico prodigio. Gli affreschi sbiaditi delle chiese, i volti spenti di santi e angeli avevano acquisito un significato particolare grazie all'erba e ai fiori che li decorano. L'edera verde scuro conferiva un fascino romantico alle finestre gotiche e alle absidi bizantine. La potenza primigenia, la forza vegetale dell'antica terra del Lazio in nessun posto si percepisce così chiaramente quanto qui. [...] Nel silenzio che regna sulle rovine di Ninfa emerge lo sforzo enorme di quest'opera di assorbimento, inaccessibile e lenta per la nostra coscienza.[5]
  • L'interesse per le opere dell’intelletto e le impressioni dei sensi qui cedono il posto alla contemplazione, che domina ogni essere vivente e blocca ogni altra possibilità. Più che vedere il Lazio, bisogna immergersi nel suo spirito antico, segreto e beato, in cui si mescolano il profumo delle erbe fragranti della Campagna, l'odore del mare e la freschezza delle alture montane. Gli elementi naturali, il mare, le catene montuose e le pianure della Campagna, nelle più varie combinazioni, formano il paesaggio del Lazio.[4]
  • [Il Mausoleo di Santa Costanza] La sua forma rotonda e il suo colonnato leggero che sorregge il portico che lo circonda, sono presi in prestito dal "tesoro" antico delle forme armoniosamente compiute, perfette, semplici e chiare. I mosaici delle volte della galleria circolare hanno sorpassato il balbettamento monosillabo delle raffigurazioni nelle catacombe. L'immaginazione dei maestri cristiani, rinvigorita con una libertà sempre più crescente, si è rivolta ormai ai "modelli antichi". Il medaglione con l'immagine di Cristo giovane, del quale il volgersi classico, il sorriso, e i capelli ricciuti fanno pensare a Dionisio, è circondato dalle scene di vendemmia. I contadini piccoli e tozzi tagliano i tralci di vite, riempiono con i grappoli i carri sostenuti da un paio di grandi ruote rotonde, schiacciano e pigiano il succo d'uva con i piedi, unendo, secondo le usanze antichissime, la loro fatica con la danza rituale. La scena di vendemmia, vindemia, si alterna con le ricche ghirlande ornamentali. È la ricchezza antica un po' ingenua, ancora lontana dall'opulenza bizantina. È costituita dalla semplice accumulazione di oggetti prediletti dall'occhio dell'uomo antico – gli innumerevoli uccelli, rami e tralci, fiori, cornucopie, piccoli genii "volanti". E, quasi esclusivamente, dappertutto, soltanto due colori – bianco e blu, ai quali si aggiunge ogni tanto il colore giallo – colore autunnale delle foglie di vite.
    Con una strana insistenza si ripete il motivo della vendemmia negli altri monumenti del IV secolo. Come se la luce d'autunno avesse illuminato con i suoi raggi il tramonto al quale si inchinava il mondo antico – la luce dell'ultimo autunno che lo incitava a compiere la sua ultima vendemmia.[6]
  • Le forme astratte delle statue, i colori sbiaditi dei vecchi dipinti, le impalpabili immagini del passato impallidiscono e scompaiono molto presto nello spettacolo rutilante di tutti i suoni e di tutte le luci della vita che ci offre la Napoli di oggi. Essa non ha più nessun legame con l'arte di quegli antichi maestri forestieri o con la storia di quei re stranieri da molti secoli ormai trasformati in cenere. Attorno alle mura di musei che custodiscono i resti di una raffinata, antica civiltà, ribolle la vita del popolo, capace, a quanto pare, di seppellirli ancora più profondamente che non la lava e la cenere del Vesuvio.[7]
  • [Sui napoletani] [...] nessun altro essere umano ama il mondo di un amore così forte, tenace, animalesco.[8]
  • Non ci si potrà mai immaginare Napoli senza il suo classico panorama di mare e montagne. La sua favolosa bellezza è entrata come un'impronta profonda anche nell'anima della gente. [...] Il forestiero può arrivare qui con qualsivoglia pregiudizio contro la "banalità" della bellezza del paesaggio napoletano, ma non potrà non provare un impeto di gioia nel vedere Napoli dalla Certosa di San Martino, o da villa Belvedere al Vomero. La linea della costa, che corre dolcemente fino ai boschi scuri di Sorrento, e i contorni nitidi di Capri e di Ischia risveglieranno nella sua anima un dolce ricordo del paradiso terrestre, antico come il mondo.[9]
  • Per il viaggiatore capace di mescolarsi alla folla del popolo, la vita stessa di Napoli rappresenta un tesoro infinito. Possiamo addirittura dire che chi non è stato a Napoli non ha visto lo spettacolo della vita del popolo.[10]
  • Questa felicità non ha ancora del tutto abbandonato Napoli. Le abbaglianti strade bianche conducono a Posillipo, e la veduta che si apre sulle forme vulcaniche del capo Miseno e dei Campi Flegrei si fondono col sapore della polvere sottile e dell'umidità amaro-salata del vento del mare.[11]
  • Si può soltanto sognare che un giorno tutti i rilievi e le statue che sono state trovate nel Foro e sul Palatino vi saranno riportate dai musei di Roma e Napoli. Un giorno capiremo che, per un oggetto antico, una morte onorevole per mano del tempo e della natura è meglio di un sonno letargico in un museo.
We can only dream that some day all the reliefs and statues that have been found in the Forum and on the Palatine will be returned here from the museums of Rome and Naples. Some day we will understand that, for an ancient object, an honourable dying at the hands of time and nature is better than lethargic slumber in a museum.[12]
  • Qui il tempo non ha nemmeno alterato la purezza dei lineamenti del viso. Il tipo antico dei primi abitanti del Lazio si è conservato con una fedeltà unica nel suo genere. La fronte bassa e sporgente degli Etruschi e l'ovale allungato dei Volsci si possono vedere anche ai giorni nostri per le strade di Corneto e di Cori. I Sabini, grossi e tarchiati, si affollano nelle processioni dalle parti di Subiaco. L'uomo antico è rimasto padrone di questa terra [...][4]
  • Solo i limoneti e la macchia sempreverde qui parlano dell’Italia. Per il resto il paesaggio di Ravello somiglia poco alla terra dove per secoli sono passate intere serie di civiltà. La stessa esistenza di questa antichissima città a tale altitudine appare incomprensibile, quasi incredibile. «Chi potrebbe credere che fra rupi inaccessibili sorge una città ricca di nobili stirpi e famosa per i suoi edifici?» Qualsiasi viaggiatore contemporaneo che visiti queste rovine, uniche nel loro genere, può ripetere questa esclamazione di un annalista medievale.[13]

Note

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  1. Da Obrazy Italii, citato in Aleksej Kara-Murza, Firenze Russa, traduzione Maria Cristina Moroni e Nadia Cicognini, Sandro Teti Editore, Roma, 20051, pp. 144-145. ISBN 88-88249-08-7
  2. Da Obrazy Italii, citato in Firenze Russa, p. 145.
  3. Citato in Pavel Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di N. Misler, Gangemi Editore, Roma, pp. 57-67; in Il rito ortodosso come sintesi delle arti, di Pavel Florenskij, Gli scritti. Centro Culturale
  4. a b c Da Lazio, in Obrazy Italii (Immagini d'Italia), Svarog e K., Mosca, 2005, tomo II, pp. 242-243. Citato in Nicola Cariello, Il Lazio nelle "Immagini d'Italia" di Pavel Muratov, aequa.org
  5. Da Immagini dell'Italia, citato in Silvia Ascione, Il Lazio e l'Agro pontino all'inizio del Novecento in Immagini dell’Italia di Pavel Muratov, in Il progetto MAGISTER. Ricerca e innovazione a servizio del territorio, a cura di Riccardo Morri, Franco Angeli, Milano, 2018. ISBN 9788891767639. In iris.uniroma1.
  6. Da Immagini d'Italia, due volumi, Mosca, 1993-19944, vol. II, pp. 39-41, in Xenia Muratova, «Anima naturaliter christiana»: La transizione dal Mondo antico al Medioevo cristiano a Roma negli scritti di Pavel Muratov; in AA.VV. L'officina dello sguardo, Scritti in onore di Maria Andaloro, a cura di Giulia Bordi, Iole Carlettini, Maria Luigia Fobelli, Maria Raffaella Menna, Paola Pogliani, Gangemi Editore, Roma, p. 398. ISBN 978-88-492-9817-8
  7. Da Immagini d'Italia, in Kara-Murza, p. 247.
  8. Da Immagini d'Italia, in Kara-Murza, p. 254.
  9. Da Immagini d'Italia, in Kara-Murza, p. 239.
  10. Da Immagini d'Italia, in Kara-Murza, p. 247.
  11. In Ettore Lo Gatto (a cura di), Correnti e tendenze nella letteratura russa dalle origini ad oggi; citato in Salvatore M. Ruggiero, Storie da Posillipo, p. 13
  12. Citato in Pavel Florenskij, Beyond Vision, Essays on the Perception of Art, compiled and edited by Nicoletta Misler, translated by Wendy Salmond, Reaktion Books, Londra, p. 115
  13. Da Obrazy Italii [Immagini d’Italia], Moskva, Galart 1993, vol. I, p. 153, citato in Russi ad Amalfi, Aleksej A. Kara-Murza – Michail G. Talalay – Ol’ga A. Žukova, traduzione di Luisa Agnese Dalla Fontana e Marina Moretti, Quaderni del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 2015, Academia.edu, pp. 44-45.

Bibliografia

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Aleksej Kara-Murza, Napoli Russa, introduzione di Vittorio Strada, a cura di Valerij Sirovskij, Sandro Teti Editore, Roma, 2005. ISBN 88-88249-06-0

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