Utente:Harlock81/Prova3
- Kelly Beatty, Asteroid Flyby Yields New Thinking, in Sky & Telescope, Sky Publishing, 5 luglio 2011. URL consultato il 12 luglio 2011.
Mercurio
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) G.J. Scott, E.R.D., Mercury (PDF). URL consultato il 4 marzo 2011.
Note
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Voci da creare per Mariner 10 e Mercurio:
- Centaur (lanciatore), en:Centaur (rocket stage)
- Radarastronomia per Mercurio
Mariner 4
[modifica | modifica wikitesto]Strumenti ed esperimenti scientifici
[modifica | modifica wikitesto]Fotocamera
[modifica | modifica wikitesto]Magnetometro
[modifica | modifica wikitesto]Rilevatore di polvere interplanetaria
[modifica | modifica wikitesto]Telescopio sensibile ai raggi cosmici
[modifica | modifica wikitesto]Rilevatore di particelle
[modifica | modifica wikitesto]esperimento per l'analisi del plasma del vento solare
[modifica | modifica wikitesto]Camera a ionizzazione/contatore Geiger
[modifica | modifica wikitesto]Celestial Mechanics and Radio Science Experiment
[modifica | modifica wikitesto]Con Celestial Mechanics and Radio Science Experiment non si indica un vero e proprio strumento presente a bordo quanto piuttosto l'utilizzo della sonda stessa e del suo sistema di comunicazione per condurre degli esperimenti che permisero di desumere informazioni sulla massa, sulle dimensioni e sulla struttura di Venere e Mercurio.
Nel Celestial Mechanics Experiment furono sfruttate le rilevazioni telemetriche della sonda e le modifiche impartite alla sua orbita dai pianeti nel corso dei sorvoli, che venivano confrontate con i modelli matematici dell'orbita stessa.[1]
Nel corso del Radio Science Experiment, che fu condotto durante i sorvoli di Venere e Mercurio, ma anche durante il periodo di congiunzione superiore con il Sole, fu comandato alla sonda di inviare verso i radiotelescopi dell'osservatorio Goldstone, nel deserto del Mojave in California, un segnale prestabilito nella banda X e nella banda S. Misurando gli istanti di scomparsa e ricomparsa dei segnali, mentre la sonda transitava dietro il pianeta rispetto alla congiungente con la Terra, fu possibile misurare il raggio dei due pianeti. L'attenuazione dei due segnali fornì inoltre informazioni sull'opacità alle microonde ed alle onde radio dell'atmosfera venusiana e della corona solare.[1][2]
L'esperimento fu seguito da una squadra di lavoro i cui membri provenivano dal Center of Radar Astronomy dell'Università di Stanford, dal JPL e dal MIT. H. T. Howard dell'Università di Stanford ne fu il referente.[3]
Ref
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) R.S. Lewis, The Message from Mariner 4, in Bulletin of the Atomic Scientists, vol. 21, n. 9, 1965, pp. 38-40, ISSN 0096-3402. URL consultato il 9 aprile 2011.
- (EN) R.K. Sloan, Mariner Mars 1964 project report - Scientific experiments, NASA, 1968. URL consultato l'11 aprile 2011.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatorech3
- ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatorebul-17
- ^ Mariner Venus-Mercury 1973 Project, pp. 25-26, 1976.
Gruppo Caloris
[modifica | modifica wikitesto]Il Gruppo Caloris è un insieme di strutture geologiche presenti su Mercurio, formatesi in conseguenza dell'impatto che ha generato la Caloris Planitia. Trask e Guest identificarono nel 1975 quattro elementi del gruppo nelle fotografie del Mariner 10.[1] McCauley at al. nel 1981 hanno suggerito il nome collettivo in uso.[2]
Come il Mare Imbrium ed il Mare Orientale sulla Luna, la Caloris Planitia è circondata da un'estesa
Like the Imbrium and Orientale Basins on the Moon, Caloris Basin is surrounded by an extensive and well-preserved ejecta blanket[3][1][4] As on the Moon, where ejecta from the better preserved basins was used to construct a stratigraphy, the ejecta from the Caloris Basin also can be used as a marker horizon. This ejecta is recognizable to a distance of about one basin diameter in the Tolstoj quadrangle and the adjacent Shakespeare quadrangle to the north. Undoubtedly, the ejecta also influences a large part of the terrain to the west that was recently photographed by MESSENGER. A stratigraphic and structural comparison between the Orientale and Caloris Basins has been made by McCauley.[5] McCauley and others[2] have proposed a formal rock stratigraphy for the Caloris Basin that we have adopted on the present map. This stratigraphy is patterned after that used in and around the Orientale Basin on the Moon[6] and should aid in the future recognition of pre- and post-Caloris events over a broad expanse of the surface of Mercury. Crater degradation chronologies, such as the one modified from Trask,[2] and correlations between plains units on the basis of crater frequency may aid in tying much of the remainder of the surface of Mercury to the Caloris event.
Unlike the Imbrium-related stratigraphy of Shoemaker and Hackman,[7] that devised for Mercury is a rock rather than a time stratigraphy. It recognizes the existence of an orderly, in essence isochronous sequence of mappable units around Caloris that are similar in character to those recognized around the better preserved impact basins of the Moon such as Orientale, Imbrium, and Nectaris.
The four formations are described in order of occurrence from the rim of Caloris Basin outward:
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) C.I. Fassett, et al., Caloris impact basin: Exterior geomorphology, stratigraphy, morphometry, radial sculpture, and smooth plains deposits (PDF), in Earth and Planetary Science Letters, vol. 285, n. 3-4, 2009, pp. 297–308, DOI:10.1016/j.epsl.2009.05.022. URL consultato l'11 maggio 2011.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b (EN) N.J. Trask, Guest, J.E., Preliminary geologic terrain map of Mercury, in Journal of Geophysical Research, vol. 80, n. 17, 1975, pp. 2461–2477. URL consultato il 10 maggio 2011.
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- ^ Scott, D. H., McCauley, J. F., and West, M. N., 1977, Geologic map of the west side of the Moon: U.S. Geological Survey Miscellaneous Investigations Series Map I-1034, scale 1:5,000,000.
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Vesta
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- (EN) Fred W. Price, The Planet Observer's Handbook, Cambridge University Press, 2000, pp. 189-191, ISBN 9780521789813.«Owing mostly to unavailability of good star charts, no furthe asteroids were discovered until 1845 when K. J. Hencke discovered another after searching for 15 years. It was named Astraea. When new and better star charts were prepared (to aid in the finding of Neputune) these helped in the discovery of asteroids gave rise to difficulties in naming them. Names were chosen from classical mythology, mostly feminine. Masculine names were conferred on asteroids of especial interest. The choice of suitable names gave rise to arguments during the 1850s owing to the rapis rate of discovery of asteroidal bodies.»
5 Astraea
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5 Astraea | |
---|---|
Modello tridimensionale di Astrea ottenuto invertendo la curva di luce.[1] | |
Scoperta | 8 dicembre 1845 |
Scopritore | Karl Ludwig Hencke[2] |
Classificazione | Fascia principale Fam. di asteroidi Astrea |
Classe spettrale | S[3] |
Designazioni alternative | 1969 SE[4] |
Parametri orbitali | |
(all'epoca 31 luglio 2016 (JD 2457600,5)[4]) | |
Semiasse maggiore | 385,064 Gm (2,574 AU) |
Perielio | 311,313 Gm (2,081 AU) |
Afelio | 458,816 Gm (3,067 AU) |
Periodo orbitale | 1508,682 g (4,13 a) |
Velocità orbitale | |
Inclinazione sull'eclittica | 5,367° |
Eccentricità | 0,1915 |
Longitudine del nodo ascendente | 141,591° |
Argom. del perielio | 358,878° |
Anomalia media | 43,434° |
Par. Tisserand (TJ) | 3,396[4] (calcolato) |
Dati fisici | |
Dimensioni | 106,699 ± 3,140 km[6] |
Massa | |
Densità media | 3,7 × 103kg/m³ |
Periodo di rotazione | 16,80061 ore[9] |
Temperatura superficiale | |
Albedo | 0,274 ± 0,033[10] |
Dati osservativi | |
Magnitudine ass. | 6,85[4] |
Astrea (formalmente 5 Astraea ovvero 5 Astræa nella prima letteratura scientifica; dal greco Ἀστραῖα, Astraia) è un grande asteroide della fascia principale, con un diametro medio superiore ai 100 km.[6] Fu il quinto asteroide a essere scoperto, l'8 dicembre 1845 da Karl Ludwig Hencke dalla sua città natale di Driesen, Prussia..[2] Fu così nominato in onore della dea greca della Giustizia, Astrea,[11] su indicazione di Johann Encke.[12]
Astrea si compone di silicati di ferro e magnesio, come gli altri asteroidi di tipo S - classe a cui spettroscopicamente appartiene.[3] Percorre un'orbita inclinata di circa 5° rispetto al piano dell'eclittica, mediamente eccentrica, che completa in 4 anni e 47 giorni,[4] nella porzione intermedia della fascia degli asteroidi. È il prototipo della famiglia Astrea.[13]
Sebbene non sia fisicamente rimarchevole, la sua scoperta, avvenuta 38 anni dopo quella di Vesta, ravvivò la ricerca di nuovi asteroidi nella meta dell'Ottocento.
Osservazione
[modifica | modifica wikitesto]All'opposizione, Astrea raggiunge mediamente una magnitudine pari a 9,8,[14] In condizioni particolarmente favorevoli può raggiungere la nona grandezza.[15][16] L'asteroide quindi non è mai visibile ad occhio nudo ed è osservabile con un telescopio di 50 mm di diametro o superiore.[17]
Storia delle osservazioni
[modifica | modifica wikitesto]Scoperta
[modifica | modifica wikitesto]Alla fine del Settecento, nell'ambito della comunità astronomica tedesca era avvertita l'importanza di verificare la correttezza della legge di Titius-Bode, magari individuando il pianeta da essa previsto tra le orbite di Marte e Giove. Per raggiungere tale obiettivo, nel 1787 von Zach aveva iniziato a redigere un catalogo delle stelle presenti in una fascia centrata sull'eclittica, ritenendo ciò necessario per individuare eventuali oggetti in movimento. Nove anni dopo, nel 1796, il tema fu oggetto di una conferenza convocata dalla stesso von Zach a Gotha, nel corso della quale Lalande gli suggerì di coinvolgere altri astronomi in una ricerca sistematica e ben pianificata. Il primo nucleo di questo gruppo di astronomi fu costituito da sei scienziati tedeschi che si riunirono presso l'osservatorio di Lilienthal, vicino Brema, nel settembre del 1800: von Zach (indicato come segretario), Karl Harding, Johann Schröter (indicato come presidente), Heinrich Olbers, Freiherr von Ende e Johann Gildemeister. Si diedero il nome di "Polizia Celeste" (Himmelpolizei).[18][19]
von Zach intendeva chiedere a Giuseppe Piazzi (e ad altri 17 astronomi europei) di partecipare alle attività di ricerca, ma prima che ciò avvenisse, il 1º gennaio 1801, l'astronomo palermitano individuò il primo asteroide, Cerere, nel corso di osservazioni di verifica del catalogo redatto da Lacaille che stava conducendo dall'osservatorio di Palermo.[20] Un secondo asteroide, Pallade, fu scoperto il 28 marzo 1802 da Olbers che stava osservando Cerere da Brema.[21][22] La ricerca che avrebbe dovuto confermare la legge di Titius-Bode aveva condotto in meno di due anni alla scoperta di due pianeti lì dove avrebbe dovuto essercene al più uno. Fu Olbers stesso, sorpreso dall'accaduto, ad avanzare l'ipotesi che i due oggetti fossero i frammenti di un unico pianeta preesistente, distrutto da un impatto astronomico o da un cataclisma interno.[23]
Assumendo corretta questa congettura, risultava plausibile che esistessero altri frammenti, le cui orbite avrebbero presentato delle similitudini rispetto a quelle di Cerere e Pallade; in particoloare, i nodi sarebbero venuti a trovarsi in due zone circoscritte della sfera celeste, approssimativamente entro le costellazioni della Vergine e della Balena.[24] Nel 1804, Harding individuò Giunone nei Pesci, mentre, nel 1807, Olbers trovò Vesta nella Vergine. Le loro caratteristiche orbitali sembravano confermare la congettura iniziale e Olbers continuò ad osservare le stesse zone fino al 1816, senza trovare altro. Interruppe quindi le sue ricerche convinto che non ci fossero altri oggetti che potessero essere trovati.[25] Con la morte di Schröter nello stesso anno, anche gli altri astronomi del gruppo cessarono le loro attività di ricerca.[26] Ad aggravare la situazione, poi, c'erano state le Guerre napoleoniche, che avevano portato difficoltà agli astronomi tedeschi, anche con il danneggiamento di alcuni osservatori.[27]
Nel 1821 Karl Ludwig Hencke, impiegato presso l'ufficio postale di Driesen, in Prussia, allestì un osservatorio astronomico privato presso la propria abitazione, acquistando un telescopio da Joseph von Fraunhofer. Dopo il suo ritiro dall'ufficio postale nel 1837 per motivi di salute, si dedicò pienamente all'attività astronomica, stabilendo contatti con Johann Franz Encke.[28] Ricevette così delle copie delle Berliner Akademische Sternkarten, mappe del cielo realizzate presso l'osservatorio di Berlino contenenti tutte le stelle fino alla 9 magnitudine entro 15° dall'equatore.[29] Per qundici anni, Hencke percorse i cieli, seguendo il moto degli asteroidi noti e integrando le mappe in suo possesso, con l'obiettivo di scoprire un nuovo pianeta.[2]
Nella notte dell'8 dicembre 1845, Hencke stava eseguendo osservazioni di Vesta in una zona del cielo a lui ben nota nella costellazione del Toro, quando individuò una oggetto dall'aspetto stellare della nona magnitudine che non era presente nelle carte in suo possesso.[2] Poiché cattive condizioni metereologiche gli avrebbero impedito di proseguire le osservazioni nei giorni seguenti, il 10 dicembre scrisse una nota a Johann Encke affinché l'osservatorio di Berlino potesse confermare la scoperta. Una conferma ottenuta il 14 dicembre condusse Encke a divulgare la notizia a Heinrich Schumacher il 15 dicembre. «Il nuovo pianeta fu osservato da Altona ed Amburgo il 17 dicembre; da Londra e Cambridge il 24; da Pulkovo il 26; da Bonn, il 2 gennaio; e successivamente da quasi tutti gli osservatori d'Europa».[30] La scoperta di Astrea, seguita da quella di Ebe quasi un anno e mezzo dopo, invogliò numerosi altri astronomi a riprendere la ricerca degli asteroidi; ciò determinò un rapido incremento nel nuemero degli oggetti scoperti.[31]
Karl Hencke invitò Johann Encke ad assegnare un nome all'asteroide,[12] che fu così battezzato in onore della dea greca della Giustizia, Astrea, già identificata dai Greci nella costellazione della Vergine.[11] Come per gli altri asteroidi scoperti precedentemente, ad Astrea fu assegnato un simbolo astronomico, 15px|Antico simbolo di Astraea.[32] Tuttavia, nel 1851 (quando il numero di asteroidi scoperti raggiunse le 15 unità) Johann Encke propose l'adozione di un differente sistema di identificazione, suggerendo di utilizzare un numero corrispondente all'ordine di scoperta racchiuso in un circoletto, che fu rapidamente adottato nelle riviste scientifiche. Al crescere del numero degli asteroidi scoperti, si ricorse poi al numero tra parentesi tonde seguito dal nome, secondo l'uso odierno della designazione asteroidale.[32]
Osservazioni successive
[modifica | modifica wikitesto]Astrea fu oggetto di osservazioni volte soprattutto a misurarne la posizione, in modo da determinarne l'orbita, e le dimensioni. Johann Encke calcolò una prima orbita già nei giorni seguenti alla scoperta. I dati relativi al nuovo pianeta non contraddicevano la congettura di Olbers sull'origine degli asteroidi, che ne risultò quindi rafforzata. Olbers, deceduto nel 1840, non potè tuttavia sapere che tra il 1808 e il 1816 avrebbe potuto essere lui l'artefice della scoperta, ma evidentemente «Astrea gli era scorsa davanti inosservata».[30]
John Russell Hind, nel suo trattato The Solar System: Descriptive Treatise Upon the Sun, Moon, and Planets, Including an Account of All the Recent Discoveries del 1852, ben evidenzia le difficoltà incontrate nell'osservazione di Astrea negli anni seguenti alla sua scoperta:
«Astræa will not be seen without a tolerably good telescope; and, however powerful may be the instrumental means employed, it is necessary to have a pretty exact knoledge of her position in respect to the neighboring stars, to guard against observing a wrong object. At the opposition in 1847 she was not brighter than a star of the tenth magnitude, and no charts of the heavens hitherto published contain stars of so faint a class.»
«Astrea non sarà osservabile senza un telescopio abbastanza buono; e, per quanto possa essere potente lo strumento utilizzato, è necessario avere una conoscenza piuttosto esatta della sua posizione rispetto alle stelle vicine, per non osservare l'oggetto sbagliato. All'opposizione del 1847 non è stata più luminosa di una stella della decima magnitudine, e nessuna carta celeste finora pubblicata include stelle così fievoli.»
Nel 1847, due mesi dopo l'opposizione, Astrea raggiunse la dodicesima magnitudine, risultando osservabile solo attraverso i telescopi più potenti.[33] Karl Christian Bruhns propose nel 1856 una prima stima del diametro di Astrea (valutato in circa 98 km) e di altri 39 asteroidi, desumendo le loro dimensioni dalla luminosità ed assumendo quale loro albedo una media di quelle dei pianeti esterni e delle loro lune maggiori.[34] Come conseguenza di quest'ipotesi, i valori ottenuti risultarono tutti sottodimensionati.[35] Seguendo una procedura sostanzialmente analoga e utilizzando come termine di paragone le misure del diametro di Cerere e Pallade ottenute da William Herschel e Johann von Lamont, Edward James Stone fornì nel 1867 valori alternativi per il diametro di 71 asteroidi (stimando quello di Astrea in 57 miglia, pari a circa 105 km) da dati osservativi di Norman Robert Pogson.[36] Ad ogni modo, poiché tali stime si basarono su assunzioni errate, esse, così come altri valori indicati prima della seconda metà del Novecento, sono risultate nel loro complesso di scarsa accuratezza,[35] sebbene nel caso specifico di Astrea si discostino meno dal valore reale rispetto a quanto accada nel caso di altri asteroidi.
Nel 1917, l'astronomo giapponese Kiyotsugu Hirayama si dedicò allo studio del moto degli asteroidi e, confrontandoli attraverso tre parametri orbitali (moto medio, inclinazione ed eccentricità), individuò cinque raggruppamenti, successivamente indicati come famiglie di asteroidi o famiglie Hirayama.[37] Dirk Brouwer assegnò alcuni asteroidi alla famiglia Astrea, dal nome dell'oggetto più grande del gruppo, nel 1951.[38] Nel 1978, A. Carusi ed E. Massaro rianalizzarono i parametri orbitali di migliaia di asteroidi, individuando altri 34 membri della famiglia.[39]
Nel 1921, Eugenio Padova fornì una prima stima del periodo di rotazione di Astrea in 7,27 ore;[40] valore, tuttavia, ben lontano da quello effettivo. Una misura alquanto precisa del periodo di rotazione fu eseguita da Y. C. Chang e C. S. Chang,[41] che ottennero un valore di 16,806 ore.[42] Osservazioni successive hanno migliorato di poco questo valore. Tra di queste, sono risultate molto accurate quelle eseguite da A. Erikson e P. Magnusson nel 1993,[43] confermate da G. De Angelis nel 1995.[44]
Nel 1971, David Allen suggerì che le dimensioni dei maggiori asteroidi potessero essere dedotte dalla misura delle loro emissioni nell'infrarosso.[45] La tecnica fu adottata inizialmente sugli asteroidi più massicci, con osservazioni da Terra, e, successivamente al lancio del satellite IRAS nel 1983, in modo sistematico a tutti gli asteroidi noti, nell'ambito dell'IRAS Minor Planet Survey. Per Astrea, Edward F. Tedesco e colleghi dedussero un diametro medio di 119,07 ± 6,5 km.[46] L'osservazione degli asteroidi della fascia principale nell'infrarosso è stata ripetuta negli anni duemiladieci con il Wide-field Infrared Survey Explorer lanciato nel 2009 dalla NASA e con AKARI della JAXA, ottenendo valori leggermente minori per le dimensioni di Astrea. Nel 2005, Astrea è stata osservata con il telescopio Keck II, che monta ottiche adattive; ciò ha permesso di ottenere un'idea di massima della sua forma,[47] così come l'osservazione di alcune occultazioni stellari da parte dell'asteroide.[48] Di particolare rilievo è stata quella del 2008 che ha permesso a Josef Ďurech e colleghi di identificare anche l'orientamento dell'asse di rotazione dell'asteroide tra le due soluzioni speculari compatibili con la sua curva di luce.[9]
Negli anni ottanta, Astrea è stata oggetto sia di osservazioni radar (1983, 1987), ripetute poi nel 2012,[49] sia di osservazioni nell'ultravioletto.[50]
Parametri orbitali e rotazione
[modifica | modifica wikitesto]Astrea segue un'orbita compresa tra quelle di Marte e Giove, nella porzione intermedia della fascia degli asteroidi, che completa in 4,13 anni (4 anni e 47 giorni circa). L'orbita presenta un'inclinazione di 5,36° rispetto al piano dell'eclittica ed un'eccentricità di 0,191.[4] Al perielio, l'asteroide è raggiunge una distanza dal Sole di poco superiore alle 2 UA, mentre all'afelio supera le 3 UA.
Astrea ruota in direzione prograda in 16,80061 ore, con il polo Nord puntato in direzione delle coordinate eclittiche (β, λ) = (40°, 126°).[9]
Come detto, sono stati individuati diversi asteroidi che presentano parametri orbitali prossimi a quelli di Astrea, ovvero semiasse maggiore compreso tra 2,552 e 2,610 UA, inclinazione compresa tra 3,095 e 5,451° ed eccentricità tra 0,146 e 0,236, che sono stati raggrupati nella famiglia Astrea, dal nome del primo oggetto scoperto. La famiglia è di natura collisionale e raccoglie più di duemila membri, tutti dal diametro inferiore agli 8 km, salvo Astrea stessa.[51]
Formazione
[modifica | modifica wikitesto]La fascia principale degli asteroidi si compone di oggetti sopravvissuti, relativamente intatti, al processo di formazione del sistema solare,[52] a differenza della maggior parte dei protopianeti del sistema interno che o si fusero tra loro per andare a costituire i pianeti terrestri, oppure furono espulsi dal sistema da Giove.[53] Igea si sarebbe formato quindi 4,57 miliardi di anni fa nella porzione esterna della fascia.
Caratteristiche fisiche
[modifica | modifica wikitesto]Massa e dimensioni
[modifica | modifica wikitesto]La massa di Astrea non è ancora stata determinata.[8] Nel 2001, l'astronomo polacco G. Michalak ne ha assunto il valore pari a 1,5 × 10-12 M⊙, pari a 2,9 × 1018 kg, per stimare l'effetto perturbativo dovuto ad Astrea nel suo studio volto alla determinazione della massa di altri otto asteroidi.[54] Stime eseguite da W. M. Folkner e colleghi del Jet Propulsion Laboratory nel 2009[7] hanno suggerito un valore pari a 2,38 ± 0,238 × 1018 kg.[55] Infine, William Zielenbach nel 2011 ha indicato come migliore stima della massa dell'asteroide il valore di 4,327 ± 1,136 × 10-12 M⊙, pari a 8,604 ± 2,258 × 1018 kg,[56] sebbene con una significatività del dato piuttosto incerta, pari a 4,09.
Il diametro medio di Astrea è stato stimato nel 2002 in 119,07 ± 6,5 km tramite osservazioni nell'infrarosso nell'ambito dell'IRAS Minor Planet Survey.[46] Osservazioni ripetute con WISE hanno condotto nel 2011 a rivedere leggermente al ribasso le dimensioni di Astrea, stimate in 106,699 ± 3,140 km.[6] Infine, osservazioni eseguite con il telescopio spaziale AKARI hanno fornito 110,8 ± 1,4 km.[3] Un valore simile, 110 ± 14 km, è stato ottenuto da osservazioni nel visibile condotte con i telescopi Keck;[3] mentre i dati raccolti nell'occultazione stellare del 2008 suggeriscono il valore di 115 ± 6 km.[57] Questi valori indicano che Astrea è l'oggetto più piccolo tra i primi dieci asteroidi scoperti, seguito da Flora.
Composizione
[modifica | modifica wikitesto]Informazioni parziali sulla composizione di Astrea sono state dedotte tramite l'analisi spettroscopica della sua superficie. Astrea appartiene alla classe degli asteroidi di tipo S,[3] che si compongono di silicati di ferro e magnesio.
Superficie
[modifica | modifica wikitesto]L'albedo geometrica è stata valutata pari a 0,2268 ± 0,027 nel corso dell'IRAS Minor Planet Survey[46] e rivista in 0,274 ± 0,033 grazie alle osservazioni condotte nel corso della missione Neo-WISE.[10] Astrea, cioè, riflette circa il 27% della luce solare incidente.
Sebbene le osservazioni condotte con i telescopi Keck abbiano permesso di risolvere la forma dell'asteroide,[3] non hanno consentito di individuare alcuna carattersica presente sulla superficie.
Note
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Bibliografia
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Articoli scientifici
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Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) 5 - Dati riportati nel database dell'IAU, su minorplanetcenter.net, Minor Planet Center.
- (EN) 5 - Dati riportati nello Small-Body Database, su ssd.jpl.nasa.gov, Jet Propulsion Laboratory.
- (EN) Josef Ďurech e Vojtěch Sidorin, 5 Astraea, in DAMIT - Database of Asteroid Models from Inversion Techniques, Astronomical Institute of the Charles University, 26 marzo 2011 (ultimo aggiornamento). URL consultato il 7 dicembre 2016.
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