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Gaio Licinio Calvo Stolone: differenze tra le versioni

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Nel racconto di Tito Livio Licino fu agevolato nella sua carriera politica, da Marco Fabio Ambusto, a ciò spinto dalle insistenze della secondo genita, Fabia, moglie di Licinio<ref>Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4, 34-35.</ref>.
Nel racconto di Tito Livio Licino fu agevolato nella sua carriera politica, da Marco Fabio Ambusto, a ciò spinto dalle insistenze della secondo genita, Fabia, moglie di Licinio<ref>Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4, 34-35.</ref>.


Licinio e il collega [[Lucio Sestio Laterano]] avrebbero posto il veto per 5 anni consecutivi all'elezioni dei [[tribuno consolare|tribuni consolari]] (dal [[375 a.C.]] al [[371 a.C.]]), in risposta al veto posto dai colelghi tribuni, veto propiziato dai Patrizi, alle loro proposte, volte a migliorare la situazione dei Plebei.
Licinio e il collega [[Lucio Sestio Laterano]] avrebbero posto il veto per 5 anni consecutivi all'elezioni dei [[tribuno consolare|tribuni consolari]] (dal [[375 a.C.]] al [[371 a.C.]]), in risposta al veto posto dai colleghi tribuni, veto propiziato dai Patrizi, alle loro proposte, volte a migliorare la situazione dei Plebei.


{{q|Vennero eletti Gaio Licinio e Lucio Sestio, i quali proposero solo leggi volte a contrastare l'influenza dei patrizi e a favorire gli interessi della plebe. Uno di questi provvedimenti aveva a che fare con il problema dei debiti e prescriveva che la somma pagata come interesse fosse scalata dal capitale di partenza e che il resto venisse saldato in tre rate annuali di uguale entità. Un'altra proposta riguardava la limitazione della proprietà terriera, e prevedeva che non si potessero possedere più di 500 iugeri pro capite. Una terza proponeva che non si eleggessero più tribuni militari e che uno dei due consoli fosse comunque eletto dalla plebe.|Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4,35}}
{{q|Vennero eletti Gaio Licinio e Lucio Sestio, i quali proposero solo leggi volte a contrastare l'influenza dei patrizi e a favorire gli interessi della plebe. Uno di questi provvedimenti aveva a che fare con il problema dei debiti e prescriveva che la somma pagata come interesse fosse scalata dal capitale di partenza e che il resto venisse saldato in tre rate annuali di uguale entità. Un'altra proposta riguardava la limitazione della proprietà terriera, e prevedeva che non si potessero possedere più di 500 iugeri pro capite. Una terza proponeva che non si eleggessero più tribuni militari e che uno dei due consoli fosse comunque eletto dalla plebe.|Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4,35}}

Versione delle 05:47, 13 ago 2012

Gaio Licinio Calvo Stolone
Console e tribuno della plebe della Repubblica romana

Nessuna immagine disponibile
Tribunato della plebedal 376 a.C. al 367 a.C.
Consolato364 a.C., 361 a.C.

Gaio Licinio Calvo Stolone [1] (latino: Gaius Licinius Calvus Stolo; floruit 376 a.C.-361 a.C.; ... – ...) è stato un politico romano, assieme a Lucio Sestio Laterano, fu uno dei due primi tribuni della plebe dell'antica Roma che aprirono ai plebei la via del consolato, prima d'allora riservato ai patrizi.

Biografia

Nel racconto di Tito Livio Licino fu agevolato nella sua carriera politica, da Marco Fabio Ambusto, a ciò spinto dalle insistenze della secondo genita, Fabia, moglie di Licinio[2].

Licinio e il collega Lucio Sestio Laterano avrebbero posto il veto per 5 anni consecutivi all'elezioni dei tribuni consolari (dal 375 a.C. al 371 a.C.), in risposta al veto posto dai colleghi tribuni, veto propiziato dai Patrizi, alle loro proposte, volte a migliorare la situazione dei Plebei.

«Vennero eletti Gaio Licinio e Lucio Sestio, i quali proposero solo leggi volte a contrastare l'influenza dei patrizi e a favorire gli interessi della plebe. Uno di questi provvedimenti aveva a che fare con il problema dei debiti e prescriveva che la somma pagata come interesse fosse scalata dal capitale di partenza e che il resto venisse saldato in tre rate annuali di uguale entità. Un'altra proposta riguardava la limitazione della proprietà terriera, e prevedeva che non si potessero possedere più di 500 iugeri pro capite. Una terza proponeva che non si eleggessero più tribuni militari e che uno dei due consoli fosse comunque eletto dalla plebe.»

«Licinio e Sestio vennero rieletti tribuni della plebe e non permisero la nomina di alcun magistrato curule. Questa carenza di magistrati andò avanti per cinque anni, poiché la plebe continuava a rieleggere i due tribuni e questi ultimi a impedire l'elezione di tribuni militari.»

Gli annali indicano che Gaio Licinio fu tribuno della plabe dal 376 a.C. al 367 a.C. Durante questo periodo furono approvate le Leges Liciniae Sextiae (dal nome dei due colleghi) che riformò la figura politica dei consoli, assegnando ai plebei almeno un dei due seggi, limitò l'estensione di terra pubblica che ogni cittadino era autorizzato a possedere e regolamentò in senso favorevole ai più poveri l'esazione dei debiti.

Gaio Licinio, nonostante la violenta opposizione del patriziato, fece anche approvare una legge che stabiliva la supervisione di decemviri sulla consultazione dei Libri Sibillini. Almeno la metà dei decemviri doveva essere di estrazione plebea per prevenire l'uso fraudolento dei Libri da parte dei patrizi.

Gaio Licinio fu eletto console nel 364 a.C. ed ebbe come collega Gaio Sulpicio Petico[3]. Durante l'anno a Roma continuò ad imperversare la peste, che l'anno prima aveva colito anche Marco Furio Camillo, e per scongiurarla furono istituiti i ludi scenici per la prima volta [4].


Fu eletto console una seconda volta nel 361 a.C., sempre con Gaio Sulpicio Petico[5]. I due condussero i soldati romani, che espugnarono Ferentino, ma all'arrivo dei Galli, il comando militare fu affidato a Tito Quinzio Peno Capitolino Crispino, nominato dittatore.

Come vendetta per la sua riuscita attività politica a favore della plebe, fu accusato di aver infranto la sua stessa legge sul possesso della terra e condannato a pagare una forte multa.

Critica storica

Anche se Tito Livio descrive le attività pubbliche di Gaio Licinio con dovizia di particolari, vi sono sospetti che le notizie non siano veramente accurate. Basandosi Livio anche su scritti di Licinio Macro, è probabile che l'annalista abbia abbellito le gesta del suo antenato. Inoltre molte degli eventi descritti sono troppo simili a quanto accadde duecento anni dopo all'epoca dei Gracchi.

Note

  1. ^ William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company, Vol.1 p. 586 n.4
  2. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4, 34-35.
  3. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 2.
  4. ^ Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili II 4, 5
  5. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 9.

Collegamenti esterni

Predecessore Console romano Successore
Lucio Genucio Aventinense I
e
Quinto Servilio Ahala I
(364 a.C.)
con Gaio Sulpicio Petico
Gneo Genucio Aventinense
e
Lucio Emilio Mamercino II
I
Lucio Genucio Aventinense II
e Quinto Servilio Ahala II
(361 a.C.)
con Gaio Sulpicio Petico II
Marco Fabio Ambusto
e Gaio Petelio Libone Visolo
II