Friedrich Meinecke

storico tedesco

Friedrich Meinecke (1862 – 1954), storico tedesco.

Friedrich Meinecke

Esperienze 1862-1919

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  • [...] ogni vita umana, anche la più modesta, possiede il proprio autonomo valore non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi alla storia; anche se fosse solo un'onda, o perfino, una piccola goccia, nel flusso del tempo. Ogni vita umana, infatti, quand'è vissuta, dà una qualche notizia delle trasformazioni storiche in grande. E consapevolmente il suo contributo ad esse, sia anche minimo, non manca. Sempre si ripete un segreto fondamentale della vita storica: qualcosa di tipico, simile in molti, è fuso indissolubilmente con qualcosa di prettamente individuale e che mai si ripete allo stesso modo. (p. 29)
  • [...] proprio i semplici avvenimenti vissuti da bambini, possiedono qualche volta un che di storicità naturale. Infatti non è da bambini che si vive nel modo più vitale, e non è da qui che una catena ininterrotta di influssi reciproci conduce in tutta la vita circostante e infine in ciò che chiamiamo storia? E anche la più superba storiografia dovrà riconoscere che il semplice modo in cui persone di vari secoli e di diverse generazioni hanno narrato autobiograficamente la propria infanzia e vi si sono rispecchiate, rappresenta un pezzo notevole di storia della natura e dell'evoluzione. Non bisogna mai dimenticare interamente quel che di insito e radicato opera dal basso in ogni vivere storico. (p. 33)
  • [...] gli abitanti di Salzwedel[1], specialmente le donne, sono un tipo umano particolare. Sono profondamente affezionati alla loro cittadina, qualche volta timidi verso estranei, con incredibile interesse l'uno per l'altro, pieni di ricordi, pettegoli; ma anche pronti in modo commovente ad aiutarsi e sacrificarsi l'uno per l'altro. I contrasti sociali fra i notabili, i commercianti e i piccoli borghesi sono di natura assai mite. Così dev'essere stato anche in passato, come mi mostrano i racconti di mio padre. S'interessano l'un per l'altro, notabili e non, grandi e piccoli; spettegolano a vicenda; ma sono pure uniti a fil doppio. Si meravigliano se qualcuno fa domande intorno alle loro condizioni, che, secondo loro, dovrebbe naturalmente conoscere. La loro vita intellettuale, a parte i loro vivi interessi e gioie musicali, è qualche volta un po' indolente; e gli uomini sono di natura un po' materiale e grossolana. Ma la loro vita nel suo insieme, incorniciata dai loro giardini, possiede un'involontaria poesia. (pp. 45-46)
  • [...] cultura significa trasformare ciò che si è appreso a scuola, in interezza e umanità naturali. (p. 87)
  • Le rigorose regole metodiche che si imparano nei seminari, la paziente raccolta ed esame delle fonti e delle loro particolari qualità e rapporti: tutto ciò non significa pedanteria di consorteria. Lo si adopera invece come chiodi e ferri applicati alle scarpe, per ascendere al ripido ghiacciaio della conoscenza. L'immagine è già troppo utilitaria, poiché è in giuoco qualcosa di etico. Chi crede di possedere il dono dell'intuizione, può sentirsi indagatore avendo la coscienza tranquilla solo se eserciti una rigorosa critica metodica e sia fedele nelle piccole cose. (p. 89)
  • [...] la scienza libera era da identificarsi con la scienza priva di presupposti della quale aveva parlato Mommsen? È stato spesso dimenticato che lo stesso Mommsen, in una seconda dichiarazione, ha smorzato il concetto, nel senso di sostenere che l'essere priva di presupposti era soltanto la «meta ideale, cui ogni uomo di coscienza tende, ma che nessuno raggiunge né può raggiungere». Già allora questa parola d'ordine non mi persuadeva del tutto, e ben presto sono andato oltre, vedendo nei presupposti sotto i quali studiamo non solo una remora con la quale dobbiamo seriamente lottare, ma anche una fonte di forza spirituale di cui non possiamo fare a meno. Anche questo fa parte delle contraddizioni ed antinomie della vita, le quali ci dànno lotta, dolore e felicità. Nelle dolorose esperienze fatte dal 1914, abbiamo cominciato ad imparare a comprendere più nettamente queste irrecusabili antinomie. (pp. 180-181)
  • [...] nella stessa Strasburgo non si scorgevano vuoti fra passato e presente. Medioevo romanico e gotico, barocco e le più recenti costruzioni dopo il 1871, stavano tutti l'uno addosso all'altro, costituendo, non proprio un'unità armoniosa, ma tuttavia quella unità e continuità della vita storica che sovrasta anche le più enormi tensioni e ricorda la continua lotta e le alterne fortune dei popoli. Il duomo di Strasburgo costituisce il più possente centro di questa unità. Spesso ci sembrava che fosse stato costruito non dalla mano dell'uomo, ma dall'eternità, quale monito alle passeggere generazioni degli uomini, perché servissero l'eterno con le loro deboli forze, e in particolare servisse ai Tedeschi perché si mostrassero degni di questo duomo. [...] E nel guardare la meravigliosa abside romanica, avevo la sensazione che qui fosse nascosto ancora un supremo e impenetrabile mistero (come accade forse in ogni grande esperienza storica).(pp. 184-185)
  • Firenze divenne per me una rivelazione che mi rese infinitamente felice. Per quante opere d'arte del Rinascimento italiano avessi già veduto in riproduzioni, e negli originali dei musei di Berlino, Monaco e Parigi, solo ora esso mi apparve non solo come una bellezza da godere esteticamente, ma come il culmine supremo della vita di un popolo altamente dotato, in cui civiltà e Stato operavano nel modo più intimo l'uno sull'altro. E ovunque sentii anche la tragicità insita in questa grandezza e nella sua caduta. (p. 206)
  • [L'inizio della Prima guerra mondiale] Fu un momento decisivo della mia vita, di natura singolare, inserito in un grandissimo momento decisivo di un'epoca, che in quel torno di tempo si poteva solo intuire, ma non riconoscere con precisione. Oggi lo sappiamo: stava finendo l'èra borghese, l'èra in cui la personalità autonoma era riuscita ancora ad affermarsi, nonostante la tensione, continua ma anche feconda, con tutte le potenze superpersonali della vita. Cominciava l'èra di un legame e di un'integrazione più forte, e che diveniva sempre più forte, della personalità in queste potenze della vita; e allora la personalità rischia di decadere a semplice funzione, senza valore autonomo; a persona strumentale, com'è stato detto. (p. 274)
  • La politica di potenza e realistica, una volta liberata da motivi universalistici (cioè in fondo etici), poteva troppo facilmente degenerare in ibrida politica di violenza. Questo naturalmente lo sapevamo anche allora, e ne trovavamo l'esempio in Napoleone; ma ci consolavamo guardando a tutto quello che di positivo era scaturito dalla sua azione. Questo stato d'animo somigliava alla fiduciosa speranza nel genio dell'Occidente – che sempre tornava ad affermarsi salvando – [...]
    Ma questi accenti hanno cominciato a spostarsi per me a causa e dopo la guerra mondiale. Vidi un'orribile degenerazione della politica realistica in quegli strati del popolo tedesco che fino a quel momento avevano rappresentato la sua civiltà. La speranza che la sconfitta servisse loro di lezione, andò a vuoto. E vidi la hybris, forse ancor peggiore, della pace di Versailles. Ma quando più tardi volevo spiegare al mio amico danese Aage Friis il turbamento della mentalità del popolo tedesco come dovuto al trattamento fattogli dalla pace di Versailles, egli domandò: «La Germania, se avesse vinto, avrebbe imposto una pace più moderata?».
    La mia delusione non mi ha fatto cadere nell'estremo opposto, di dichiarare malvagio il potere in sé, come fa Burckhardt. Esso è solo un tentatore che vuole indurre al male. Ma il demonismo del potere fu da me sentito da quel momento in modo tutto diverso e più acuto che non nell'anteguerra. (pp. 317-318)
  • [...] questo fa parte dell'essenza più intima del divino, per quanto ci è dato comprenderlo: esso si manifesta alla coscienza umana non solo in figure e comandamenti antichi, che mille volte hanno fatto la loro prova; ma assume anche, sempre di nuovo, per noi forme nuove e non immaginate. (p. 384)
  1. Città natale di Meinecke.

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