Emanuela Fanelli
attrice italiana (1986-)
Emanuela Fanelli (1986 – vivente), attrice e comica italiana.
Citazioni di Emanuela Fanelli
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- [...] ho cominciato a fare teatro a 15 anni e non ho mai smesso, ma lo consideravo un hobby. Pensavo: "Non credo che il mondo dello spettacolo abbia bisogno di me". E lo penso tuttora... [«Come è diventato un lavoro?»] Ho fatto il primo provino per il film Non essere cattivo di Claudio Caligari. L'ho superato e ho avuto l'onore di avere quella cosa che un attore sogna: il nome sulla locandina. E finalmente, eccolo là: accanto al ruolo "prima smandrappata" c'era il mio nome. Sfido chiunque ad avere un esordio del genere![1]
- [«Quando ha scoperto di saper fare ridere?»] Da piccola passavo i pomeriggi con mia nonna. Insieme, all'insaputa di mia madre, facevamo scherzi telefonici: chiamavamo gente a caso, lei diceva qualcosa in calabrese stretto, poi mi passava la cornetta e io improvvisavo. Poi, quando ho imparato a scrivere, ho iniziato a produrre sceneggiature. Costringevo le mie cugine a imparare i dialoghi: se sbagliavano le battute mi incazzavo da morire. Poveracce.[2]
- La mia è una specie di maledizione che mi fa cogliere il lato comico di ogni cosa. Anche nelle situazioni più inopportune è come se mi vedessi dall'alto e mi venisse da ridere. Un disastro nei rapporti sentimentali.[2]
- [«Farà mai pace con il successo e la visibilità che il suo mestiere le sta dando?»] È che mi sento una cretina appena vedo dietro l'angolo il pericolo di risultare una fanatica. Ci sono stati molti giorni in cui la mia quotidianità era lavorare in un call center o come maestra. So bene quante persone non facciano come lavoro la cosa che più le appassiona. Io lo faccio e sono molto conscia della mia fortuna [...]. Forse un giorno ci farò pace, ma non sono proprio sicura se ho voglia di farci pace.[3]
- Fondamentalmente io credo di essere una peracottara. Una volta un mio amico attore mi ha detto che si sentiva alienato, perché il suo personaggio era alienato. Sono scoppiata a ridere, pensavo fosse una battuta. Era serio.[3]
Intervista di Arnaldo Greco, linkiesta.it, 11 gennaio 2021.
- Si sta formando anche un galateo dei social. Retwittare un complimento è educato o cafone? Altro discorso per quelli che ti insultano. A me pochi, eh, sono stata fortunata e relativamente esposta, mica ho fatto Sanremo. Ma comunque li vedi. Oppure c'è il tizio che scrive secco: "A me questa non piace". Solo che, soffrendo da un po' queste cose, ho imparato a dargli il giusto valore. Sia ai complimenti che alle critiche. A novembre, quando c'è stato il compleanno di Monica Vitti, ho letto che uno ha scritto: "Peccato per quella vociaccia, però bella donna". Mi ha fatto pensare. Siamo in un'epoca in cui una persona può scrivere "peccato per quella vociaccia di Monica Vitti, però bella donna". Pensa se lei avesse avuto modo di leggerlo tanti anni fa, se fossero già esistiti Twitter o Instagram... magari aveva una giornata storta chissà e si sarebbe fatta due giornate di complessi perché aveva letto che Tizio da Dovevuoi le aveva scritto che aveva la vociaccia. Oltretutto la voce era una delle cose più belle di Monica Vitti.
- Credo che un po' a tutti capiti di dare più peso alla critica di uno che ai complimenti di cento, sia essa scritta o verbale. Soprattutto in un mestiere come il mio in cui il pubblico è il datore di lavoro principale. Solo che ora sono tanti, magari prima Gina da Rimini lo diceva a un'amica sua mentre prendevano il caffè, adesso lo scrive su Twitter. E, anzi, ti tagga pure. [«Infatti, pure questa è una cosa interessante, che ci tengono a dirlo al diretto interessato»] Quella è una pratica che mi incuriosisce molto. Che una persona pensi "ora sai che faccio? Scrivo a questa tizia a me estranea che secondo me deve cambiare lavoro, glielo voglio proprio far sapere" e lo fa perché può farlo, mi colpisce. Tutto è molto vicino. Mastroianni, invece, era lontano. Non è che potevi dirgli: "Sai che secondo me in Una giornata particolare sei stato scarso?". Pure se avessi pensato questa bestemmia, non avresti potuto dirglielo. Ma vale anche in positivo, al contrario, coi complimenti. Che qualcuno si prenda la briga di cercarmi e scrivermi delle cose belle, perdendo del tempo suo personale, è bello.
- [Su Una pezza di Lundini] Quando abbiamo iniziato a pensare al programma, non l'abbiamo impostato con l'idea "facciamo questa cosa perché questo in TV spacca" oppure "questo diventa virale". È stato tutto fatto con "noi lo guarderemmo?". Quindi con un gusto simile al nostro [...], ma per me è il modo più onesto per presentarsi, sempre. Faccio cose che a me piacerebbero o che mi farebbero ridere, poi magari se non funzionano o non fanno ridere, almeno è il gusto mio. Non ci siamo mai detti con Giovanni [Benincasa, ideatore del programma, ndr] o con Valerio "facciamo il programma dell'anno". Anzi, mentre registravamo, ogni tanto ci guardavamo e dicevamo "secondo te ci mandano in onda alla fine?". E una volta, stavamo per registrare un pezzo per la 19esima puntata, Valerio scherzando mi ha detto: "Vabbè, ma che lo registriamo a fare, qui è da mo' che ci hanno chiuso". Non voglio rispondere per Valerio o Giovanni, ma io non mi aspettavo andasse così bene. Anche perché non abbiamo fatto un programma accomodante.
- Un ragazzino di 15 anni si guarda la televisione adesso? È solo un oggetto che si trova in salone.
- [Sulla «sensibilità molto più accentuata» nel mondo della comicità] L'unico freno, nella maggior parte dei casi, è il mio gusto. Non mi piace essere maleducata, né mi piace pensare di poter offendere qualcuno deliberatamente. Ci sono delle volte in cui qualcuno si può offendere comunque, però se sono serena con me stessa, vado tranquilla. Poi ovviamente mi succederà che una volta sbaglierò e offenderò moltissimo qualcuno... Ma quello che mi preoccupa di più non è tanto sentire "ormai non si può dire più niente", quanto il fatto che non ci sia più libertà di sbagliare. Parte subito la sassaiola e prima ancora di potersi giustificare "scusate, ho detto una cazzata" diventa subito "dimentichiamo tutto ciò che ha fatto o detto di buono questa persona".
Intervista di Simonetta Sciandivasci, ilfoglio.it, 28 marzo 2021.
- [«È insicura?»] Certo che lo sono. [...] qualcuno si è accorto di me, ma io non riesco a non chiedermi se sia successo perché sono brava o perché sono, semplicemente, non mediocre. Ora sembrerò presuntuosa. [«Mi sembra soltanto esigente»] È che vorrei diventare bravissima. Mi chiedo se questo non sia altro che un momento in cui qualcuno mi vede meglio non perché io sia granché ma perché viviamo un tempo che tende a livellare tutto verso il basso, ad accorciare le distanze, a dire che tutti possono fare tutto e questo inevitabilmente squalifica gli standard. Mi domando, allora: se mai mi riuscirà di diventare bravissima, si vedrà la differenza, si noteranno la crescita, lo scarto, il passaggio?
- [...] io non voglio vivere di rendita, né penso di potermelo permettere. Se non faccio altro, se non invento, se non rischio e mi adagio su una cosa che ha funzionato, allora non merito niente. [«Si finisce per forza con lo stufare il pubblico?»] Io sono sicura che capiterà. È come con il marziano a Roma di cui scrisse Flaiano. All'inizio tutti impazziscono per lui e vogliono vederlo, poi diventa un'attrazione come le altre, una specie di tappa obbligata, e poi nessuno se lo fila più. [«Succede solo a Roma?»] No, naturalmente. Però Roma ti prepara. Credo che crescere in un posto in cui dopo Cesare è arrivato Augusto, dove hai sotto gli occhi che passa tutto, passano cose enormi, e quindi figurati se non passo io, ti dia la misura della tua piccolezza. Puoi farne una malattia, e impegnarti a diventare un'eccezione, oppure puoi vivere con un sano distacco il fatto che perderai tutto quello che hai, diventerai irrilevante, stuccherai le stesse persone che oggi ti acclamano.
- [«Vive male le critiche?»] Se domani incontrassi per strada un pazzo che circola con un cartello al collo su cui ci sia scritto che quando apre la bocca dice solo bugie, e questa persona mi si avvicinasse e mi dicesse che sono una persona orribile, soffrirei per tre o quattro giorni. Poi, finito di soffrire, mi chiederei su cosa posso lavorare per non essere orribile.
- Ai workshop degli attori arriva sempre la parte in cui si confessa di non essere stati amati da piccoli, di portarsi una ferita inguaribile dentro. E io mi sento sempre male e a disagio perché quella ferita proprio non ce l'ho. [...] Una volta sono andata al seminario di una maestra di recitazione americana molto ammirata, una di quelle che credono che se non vinci l'Oscar devi buttarti dal balcone, sa, una di quelle che chiamano i figli "campione", una cosa che a me fa sempre pensare a Manuel Fantoni. Comunque, anche lì a un certo punto è partito questo pianto generale, questa confessione collettiva di insopprimibili sofferenze dalle quali non ci si è mai ripresi, e io ricordo di aver pensato, guardando tutta la scena dall'alto, altezza satellite: ma guarda tu se dei professionisti adulti per provare una scena devono raccontarsi di quando il padre si è scordato di andare a prenderli a scuola.
- [«Cos'è il talento?»] Fare ciò che vuoi senza faticare troppo.
Intervista di Francesca D'Angelo, rollingstone.it, 27 aprile 2021.
- Mi fa sorridere quando mi chiedono: "Ma dove sei stata finora?". In realtà io c'ero: ci sono sempre stata. La differenza è che ora ho incontrato qualcuno [...] che vede qualcosa in me. Dico davvero: è proprio questo che mi ha fatto svoltare. [...] adesso mi capita di partecipare ai casting un po' di corsa, senza nemmeno chissà quale verve, e spesso rientro fra i preferiti. Eppure in passato sostenevo molto meglio i provini... e non mi prendevano! Inizio a pensare che avere la fortuna di incontrare qualcuno che vede in te il talento è forse quasi più importante che avercelo. [...] La tv ti dà molto visibilità, poi ovviamente devi sapertela giocare: quando sei sul palco, o la va o la spacca. È lì che si capisce se hai davvero qualcosa da dire.
- Con i social abbiamo l'illusione che le nostre vite siano interessanti per gli altri. Siamo tutti diventati registi di questa splendida sceneggiatura che è la nostra vita e ci adoperiamo per renderla intrigante agli occhi del pubblico. Questo crea un meccanismo frustrante: quando scorri la bacheca di Instagram, pensi: "Ammazza oh, sono l'unica sfigata che le va tutto male?". Sembra infatti che il resto dell'umanità viva appassionanti relazioni d'amore, vacanze da sogno, per non parlare dei successi lavorativi... Tutti, tranne te.
- [...] dentro di me ho sempre nutrito il desiderio di fare l'attrice, ma dirlo ad alta voce e perseguirlo voleva dire assumersi il rischio di un possibile fallimento. Era un'ipotesi troppo dolorosa così, per molto tempo, ho preferito limitarmi a fantasticare sul mio futuro di attrice. Della serie: quanto sarebbe bello farlo, ma senza provarci mai.
- [Sulla «retorica» del femminismo] Mi colpisce molto il fatto che, se una donna dice qualcosa, parla a nome della categoria, mentre se invece parla un uomo è sempre a titolo personale. Questo non va bene. Non mi piace nemmeno quando un progetto è concepito a tavolino tutto al femminile: bisogna ingaggiare non le donne, ma i più capaci. Senza contare che io non voglio essere la più brava delle attrici, ma la più brava tra tutti i colleghi.
Intervista di Gianmaria Tammaro, repubblica.it, 23 maggio 2021.
- Vedo poco la televisione. Spesso vado sulle piattaforme e scelgo un film o una serie. È da tanto che non aspetto un programma davanti alla tv come invece facevo da piccola o da adolescente. [«No?»] Quando eravamo più giovani, i programmi avevano un'altra struttura. E parlavamo decisamente a pubblici diversi. Oggi non è così; oggi mi sembra quasi tutto livellato per un pubblico — chiamiamolo così — medio. Che forse non apprezza nemmeno queste proposte e che, addirittura, non esiste.
- [...] ultimamente, quando si presenta una donna, c'è l'abitudine di dire: la bellissima e bravissima. E tra i due aggettivi spesso c'è una pausa, e in quella pausa risuona forte: non ti vedo solo come un corpo. È una cosa che mi fa ridere. Perché non è spontanea, e si nota.
- Io faccio umorismo in tv, e sono sicura che prima o poi dirò una cavolata. Sono sicura che, prima o poi, toccherà a me finire nelle tendenze di Twitter. E non lo dico perché sono una mitomane. Lo dico perché so di poter dire una cavolata. E io rivendico il mio diritto di dire cavolate. [«Perché?»] Perché non deve essere una cavolata che dico a dovermi definire; non è quella cavolata che cancellerà le altre cose che ho detto e che ho fatto, cose magari buone, gentili e carine. La mia è un'opinione, e un'opinione può non essere condivisa.
- C'eravamo tanto amati è un capolavoro ed è uno dei miei film preferiti, e lei dirà: grazie al... Scola, Age e Scarpelli hanno scattato una fotografia di un momento che io, personalmente, non ho vissuto; hanno scelto di raccontarlo in un certo modo, facendo parlare tante voci, con un'idea chiara di quello che volevano dire. Oggi, invece, anche i personaggi che ci inventiamo in tv o al cinema devono essere infallibili, portatori di messaggi eticamente inattaccabili. Tra quaranta o cinquant'anni, quando rivedranno i nostri film, che cosa penseranno le persone? 'mmazza oh, che campioni di moralità che c'erano nel 2021!
Note
modifica- ↑ Dall'intervista di Stefania Zizzari, Emanuela Fanelli è l'attrice comica di "Una pezza di Lundini", sorrisi.com, 15 ottobre 2020.
- ↑ a b Dall'intervista di Silvia Nucini, Emanuela Fanelli: «Io rido da sola», vanityfair.it, 22 febbraio 2021.
- ↑ a b Dall'intervista di Alberto Infelise, Emanuela Fanelli: "Combatto l'ansia di non essere brava", lastampa.it, 11 luglio 2021.
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