Le cattive madri
Le cattive madri è un dipinto del pittore italiano Giovanni Segantini, realizzato nel 1894 e conservato al Österreichische Galerie Belvedere di Vienna.
Le cattive madri | |
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Autore | Giovanni Segantini |
Data | 1894 |
Tecnica | olio su tela |
Dimensioni | 120×225 cm |
Ubicazione | Österreichische Galerie Belvedere, Vienna |
Storia
modificaLe cattive madri costituisce la seconda opera del cosiddetto ciclo del Nirvana, una serie di dipinti che Segantini realizzò ispirandosi ad un testo del Nirvana del librettista Luigi Illica.[1] L’artista, infatti, trasfigura i celebri versi dell’autore e li riporta sulla tela, seguendo un procedimento tipicamente simbolista, che consiste nel partire dal concetto per poi giungere all’immagine[2]. È proprio grazie a quest’opera, la quale fu acclamata dalla Secessione viennese e acquistata dal governo austriaco, che Segantini venne annoverato tra gli esponenti del Simbolismo europeo, mentre in Italia erano numerose le critiche che si stavano diffondendo nei confronti del ciclo del Nirvana, ritenuto un’erronea interpretazione del testo di Illica[3].
La tematica affrontata nel quadro si lega alle vicende autobiografiche del pittore, il quale perse la madre a causa di una malattia quando era ancora un bambino. Questo fatto spalancò in lui un enorme vuoto che, in seguito, si trasformò in una vera e propria ossessione[4]. Nelle cattive madri l’artista mette, infatti, in scena una vera e propria condanna rivolta a tutte coloro che, per un qualunque motivo, in vita rifiutarono la maternità per affermare la propria libertà sessuale[2].
«Amai e rispettai sempre la donna in qualunque condizione essa sia pur che abbia viscere di Madre.»
Aspetto tipico della corrente simbolista è, infatti, la contrapposizione binaria tra donna come madre, che viene celebrata dallo stesso Segantini nel dipinto L’angelo della vita, e donna come femmina, che avendo abdicato alla sua missione primaria, deve necessariamente scontare la propria pena[2].
Descrizione
modifica«Or ecco fuori della vallea livida / appaion alberi! Là da ogni ramo chiama forte un’anima / che pena ed ama; ed il silenzio è vinto e la umanissima / voce che dice: Vieni! A me vieni, o madre! Vieni e porgimi / il seno, la vita. Vien, madre!... Ho perdonato!... Là fantasima / al dolce grido vola disiosa e porge al ramo tremulo / il seno, l’anima. Oh, portento! / Guardate! Il ramo palpita! / Il ramo ha vita! Ecco! E il viso d’un bimbo, e il seno succhia / avido e bacia! Poi bimbo e madre il grigio albero lascia / cadere avvinti... Là su Nirvana irradia! Là su il figlio / con seco tragge la perdonata Madre... I monti varcano / le due fantasime!... Varcan l’angoscia de le nubi e volano / dove è Nirvana. Oh, umana questa fede che dimentica / e che perdona.»
Come nel poema di Illica, al di fuori della “vallea livida”, gli alberi contorti, che ricordano cordoni ombelicali e dai cui rami spuntano le teste dei bambini, chiamano le proprie madri e, attaccandosi al loro seno, le perdonano e permettono alle coppie di raggiungere il Nirvana. Nella tela Segantini, abbracciando i diversi stadi della condanna e lasciando intravedere la redenzione, riunisce queste tre fasi: a sinistra, in cui si svolge il momento più duro del castigo, le madri, impigliate negli alberi, odono le voci dei propri bambini, le cui teste, rompendo il ghiaccio, spuntano dal terreno attaccate alla radice dell’albero; in primo piano, in cui è collocata la scena dotata di maggior rilievo e di grande potere visivo, si osserva la testa di un bambino che, uscendo dal ramo, si attacca al seno della madre tormentata; sullo sfondo, è rappresentata la coppia redenta che inizia il proprio percorso verso il Nirvana[3] e che rende meno drammatica la solitudine della figura collocata in primo piano[5]. Il tormento delle madri prende forma nel paesaggio naturale[2], raffigurato dall’artista con estremo naturalismo[3], in cui gli alberi contorti e i ghiacci sembrano evocare fantasmi ed i corpi femminili fluttuano a mezz’aria, calati in un’atmosfera che ricorda il Purgatorio dantesco[2], come Segantini stesso riporta:
«Quando voli castigare le cattive madri, le vane sterili lussuriose, dipinsi i castichi in forma di purgatorio»
Ogni elemento del paesaggio è intriso di un forte simbolismo: gli alberi spogli e piegati e le folate di vento gelido che avvolgono l’intera valle sembrano, infatti, personificare gli strumenti di tortura adoperati per castigare le madri[2], i vuoti presenti sul dipinto sono bilanciati dalla potenza emotiva e visiva esercitata dalla madre impigliata all’albero ed, inoltre, la betulla intricata, avvicinabile per i tratti alla pittura giapponese, si trasforma da albero della vita ad albero della redenzione[3].
Note
modifica- ^ Cecilia Giovannelli, Tra poesia e pittura: il Nirvana di Luigi Illica e Le cattive madri di Giovanni Segantini, in Otto/Novecento: rivista quadrimestrale di critica e storia letteraria, XXXVIII, n. 2, 2014, DOI:10.1400/243410.
- ^ a b c d e f Nicoletta Frapiccini, Nunzio Giustozzi, Le storie dell'arte 3, Hoepli, 2012, p. 232.
- ^ a b c d Segantini, Skira masters, pp. 140-141.
- ^ a b c Segantini: il ritorno a Milano, Mazzotta (Skira), pp. 234-235.
- ^ a b A cura di Gabriella Belli, Segantini, Electa, p. 254.
Bibliografia
modifica- Nicoletta Frapiccini, Nunzio Giustozzi, Le storie dell'arte 3, Milano, Hoepli, 2012, ISBN 978-88-203-5020-8.
- Segantini, Skira masters, ISBN 978-88-572-2572-2.
- Segantini: il ritorno a Milano, Mazzotta (Skira), ISBN 978-88-572-2212-7.
- A cura di Gabriella Belli, Segantini, Electa.
Voci correlate
modificaAltri progetti
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Collegamenti esterni
modifica- Giovanni Segantini, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.