La marijuana della mamma è la più bella

opera teatrale di Dario Fo

«Nonno: La droga non risolve niente di serio. Né quella pesante, né quella leggera. Se uno è stronzo prima del viaggio, dopo il viaggio sempre stronzo è

La marijuana della mamma è la più bella è un'opera teatrale di Dario Fo che affronta il tema della droga, andata in scena per la prima volta a Milano nel 1976.[1]

La marijuana della mamma è la più bella
Commedia
AutoreDario Fo
Lingua originale
Composto nel1975
Prima assoluta2 marzo 1976
Palazzina Liberty, Milano
Personaggi
  • Rosetta, la madre
  • Nonno
  • Luigi, ragazzo
  • Camelia, ragazza giovane e timida
  • Amico, tossicodipendente
  • Antonino, nipote di Rosetta
  • Prete
 

La vicenda si svolge in un appartamento della periferia milanese abitato abusivamente da una famiglia di origine meridionale composta da madre, figlio e nonno. Madre e nonno cercano di salvare il figlio-nipote dalla strada degli stupefacenti fingendo di entrare anch'essi nel tunnel della droga, in realtà indagando e cercando di capire le radici profonde del problema.

Il problema della droga è affrontato in modo ironico e satirico. In un'intervista del 1978 fu chiesto a Fo quale messaggio intendesse proporre con questa commedia, ed egli rispose:

«Ho cercato di partire dalla chiave storica, perché la droga è, prima di tutto, un fatto culturale. [...] La droga è un fatto di classe. Così, mentre è il ricco che consuma la droga, è la droga che consuma il povero. Il ricco beve whisky e si droga, ma riesce sempre a gestirsi; ha incentivi, ha interessi, per cui non fatica a staccarsene. Il povero che si avvicina alla droga lo fa per alienarsi, per dimenticare, per superare la propria disperazione, i disagi, la solitudine, la mancanza di rapporti, l’assenza di prospettive. [...] Per avviare a soluzione il problema (cosa che sembrano volere tutti) non servono ospedali, né cliniche, né leggi. Gli esclusi vanno recuperati ribaltando il rapporto politico ed economico che condiziona e degrada il tessuto sociale. [...] Bisogna strappare soprattutto i giovani alla solitudine, interessarli e coinvolgerli aprendo per loro quelle prospettive di lavoro e di vita che oggi mancano, annullare il rischio dello sradicamento sempre sospeso sulla loro testa.»

La decisione di Dario Fo di affrontare il tema della droga derivò da un suggerimento del pubblico durante un incontro-dibattito in cui l'autore sottopose al giudizio alcuni suoi lavori da mettere ancora in scena.[2] Racconta l'autore:

«Avevo già pronti due copioni, uno sulla Cina, uno su una famiglia di baraccati in Piazza del Duomo. Mi hanno risposto: vanno bene, però ci sono problemi più urgenti da discutere, la droga ad esempio.»

Accoglienza

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Dopo la buona accoglienza del pubblico milanese, l'opera subì pesanti critiche durante le rappresentazioni a Roma nel giugno del 1976, soprattutto da parte di ambienti normalmente favorevoli all'autore che lo accusavano di logoramento a causa dell'eccessiva quantità di lavoro che si era imposto negli anni.[3]

  1. ^ Chiara Valentini, La Storia di Dario Fo, Economica Universale Feltrinelli.
  2. ^ Simone Soriani, Fo tra la pagina e la scena.
  3. ^ Joseph Farrel, Dario e Franca, Ledizioni.
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