Giuseppe Tardio

avvocato italiano

Giuseppe Tardio (Piaggine, 1º ottobre 1834Favignana, 6 giugno 1890) è stato un avvocato cilentano, legittimista borbonico e comandante di una formazione armata composta da centinaia di partigiani del regno delle due Sicilie briganti che combatterono sotto il vessillo di Francesco II di Borbone per l'indipendenza delle Due Sicilie tra il 1861 e il 1863. L'avvocato Tardio è considerato il maggiore esponente politico salernitano del cosiddetto brigantaggio postunitario.

Giuseppe Tardio
L'avvocato Giuseppe Tardio in un dipinto dell'epoca conservato in Piaggine.
SoprannomeIl Capitano Comandante l'armi Borboniche
NascitaPiaggine, 1 ottobre 1834
MorteFavignana, 6 giugno 1890
Cause della morteavvelenamento
Dati militari
Paese servito Regno delle Due Sicilie
Forza armataEsercito delle Due Sicilie
Anni di servizio1861-1863
GradoMaggiore e Ufficiale
ComandantiFrancesco II di Borbone
Campagne1861-1863
Comandante diSchieramento di legittimisti borbonici, contadini e braccianti.
Frase celebreIl Cilento è la seconda Valle dell'Eden.
Altre caricheGiurista
G. De Matteo Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia. A. Guida Editore, Napoli, 2000
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Biografia

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L'ambiente di provenienza e gli studi giuridici

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Di origine contadina, primo di quattro fratelli, trascorse gli anni dell'infanzia e della giovinezza a Campora. Nel 1858, a soli 24 anni, si laureò in giurisprudenza con sacrifici, ma con il massimo dei voti[1], presso il Reale Liceo di Salerno.

Le prime azioni politiche filoborboniche nel 1861

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Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, si recò a Roma dove prese contatto con il comitato legittimista borbonico. Imbarcatosi da Civitavecchia il 18 settembre 1861 con trentadue uomini, sbarcò ad Agropoli nella notte tra il 21 ed il 22 successivo, e raccogliendo volontari in qualità di capitano delle truppe borboniche.

In poco tempo, mise in sommovimento numerosi centri del Cilento appartenenti al Distretto di Vallo, tra cui Centola, Forìa, Camerota, Celle di Bulgheria, Novi Velia, Laurito, Vallo della Lucania. Eseguì azioni anche clamorose, tra cui può essere menzionata la cattura ed il disarmo dell'intera guarnigione della Guardia Nazionale di Futani.

Nel luglio 1862 Tardio e i suoi uomini entrarono in Camerota, e si diressero al palazzo comunale. Qui abbatterono gli stemmi sabaudi, distrussero il busto di Vittorio Emanuele II, una litografia di Garibaldi e strapparono tutte le carte dai muri. Gli abitanti, ed in particolare le sorelle Anna Teresa e Filomena Castelluccio, di 24 e 22 anni, parteciparono all'evento, calpestando i frammenti del busto.

Riorganizzazione dello schieramento tra il 1862 e il 1863

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Per via delle proprie capacità oratorie, derivate dagli studi effettuati, Tardio fu un agitatore molto efficace e riuscì ad arruolare centinaia di uomini nelle proprie file, facendo passare in secondo piano il fatto che non avesse neanche trent'anni[1]. Soprattutto diversi camporesi si unirono alla sua banda, tra cui si ricordano i nomi di Carlo Veltri, Andrea Perriello, Vincenzo De Nardo, Antonio Perriello; altri compaesani fungevano da fiancheggiatori, quali Giuseppe Galzerano, ed i fratelli Francesco e Angelo Ciardo.[2]

L'ideologia politica e i pubblici proclami contro lo Stato sabaudo

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Il 3 luglio 1862 pubblicò a Futani il suo primo "Proclama ai popoli delle Due Sicilie", in cui incitava le popolazioni cilentane alla rivolta, stigmatizzando le numerose fucilazioni che venivano effettuate a scopo repressivo da parte degli invasori.

«Cittadini, il fazioso dispotismo del subalpino regime nel conquistare il Regno vi sedusse con proclami fallaci. Amari frutti ne avete raccolti. Riducendo queste belle contrade a provincia, angariandovi di tributi, apportandovi miseria e desolazione. Inaugurando il diritto alla fucilazione a ragione di Stato (del re Galantuomo!). I più arditi è ormai un anno da che brandirono le armi. E l’ora di fare l’ultimo sforzo è suonata. Non tardate punto ad armarvi, e schieratevi sotto il vessillo del legittimo Sovrano Francesco II, unico simbolo e baluardo dei diritti dell’uomo e del cittadino; nonché della prosperità commerciale e ricchezze dei popoli. Esiterete voi ad affrontare impavidi gli armati Piemontesi, onde costringerli a valicare il Liri?»

Le attività del suo gruppo, tuttavia, subirono una pesante battuta d'arresto quando questo fu intercettato e decimato presso San Biase, in località "Fontana del Cerro". Rimasto con pochi superstiti, riparò sulle montagne di Pruno di Laurino, dove riuscì a riorganizzarsi ed a riprendere le proprie scorrerie nell'ottobre 1862.

Nella notte tra il 3 e 4 giugno 1863 si trovava a Campora, e in questa località scrisse il secondo "Proclama ai popoli delle due Sicilie":

«Cittadini, Voi che destinati foste dalla Provvidenza, a godere le delizie, che la natura, le scienze e le arti hanno profuso a dovizia in questa parte Meridionale d’Italia, seconda valle dell’Eden. Ma da quasi un triennio di duro, tirannico e fazioso dispotico regime subalpino, vi ha ridotto alla triste condizione dei barbari del settentrione del Medio evo, riducendo queste contrade alla triste condizione di Provincia, disprezzando i vostri sinceri e pietosi atti direligione, angariandovi di tributi. Insorgete a un grido e accorrete a schierarvi sotto il vessillo del vostro Augusto e Legittimo Sovrano Francesco II, quale unico simbolo e baluardo pel rispetto della Religione, della sicurezza personale, dell’inviolabilità della libertà, della proprietà, del domicilio e della pace e dell’onore delle famiglie, nonché della proprietà commerciale e ricchezze dei popoli. Unico sia il vostro grido: viva Francesco II, l’indipendenza e autonomia delle Due Sicilie!»

Gli ultimi epiloghi prima della dispersione della formazione guidata da Tardio

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Nella notte dell'invasione del 3 giugno 1863, a Campora avvenne un episodio eclatante, ovverosia la fucilazione del cappuccino Padre Giuseppe Feola[3]. Dopo averlo fatto condurre in piazza e aver preteso dal medesimo una cifra di riscatto pari a duemila ducati, il liberale Feola cadde sotto i colpi di arma da fuoco esplosi da alcuni componenti del drappello e venne finito dalla sciabola dell'avvocato Tardio[4], che prima della sua morte si era rivolto al sostenitore di Vittorio Emanuele II con le suddette parole: "Tu devi morire perché quest’ordine mi è venuto da Roma"[5].

La mattina del 4 giugno 1863, Tardio e i suoi uomini furono nuovamente intercettati da un drappello di Carabinieri e da un reparto della Guardia Nazionale tra Stio e Magliano Vetere. Dopo una sanguinosa battaglia, Tardio e la sua banda furono costretti a ripiegare in direzione di Sacco e poi di Corleto Monforte, dove sciolsero il gruppo.

La cattura dell'avvocato Tardio, il processo e la condanna

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Tardio sfuggì alla cattura fino al 1870, quando fu tradito da Nicola Mazzei, un compaesano che prestava servizio come bersagliere a Roma, ed arrestato due volte (la prima riuscì a fuggire) insieme al commilitone Pietro Rubano, con lui dal dicembre 1861. Incarcerato prima a Roma e poi a Salerno, fu infine processato per brigantaggio dal Tribunale di Vallo della Lucania[6]. Al processo si difese strenuamente dall'accusa di essere un delinquente, scrivendo tra l'altro:

«Io non sono colpevole di reati comuni poiché il mio stato, il mio carattere e la mia educazione non potevano mai fare di me un volgare malfattore; io non mi mossi e non agii che con intendimenti e scopi meramente politici; talché non si potrebbe chiamarmi responsabile di qualsivoglia reato comune che altri avesse per avventura perpetrato a mia insaputa contro la espressiva mia volontà e contro il chiarissimo ed unico scopo per cui la banda era stata da me radunata.»

Nonostante gli sforzi dell'avvocato Carmine Zottoli[7], del foro di Salerno e famoso difensore di "partigiani delle due Sicilie ", Tardio fu condannato a morte, pena poi commutata in lavori forzati a vita nel terribile carcere di Favignana, ancora oggi il carcere peggiore d'Italia riguardo alle condizioni di vita dei detenuti[8]. Qui ebbe per compagno di prigionia il legittimista Cosimo Giordano, condannato per la distruzione di un reparto di fanti piemontesi, fatto cui seguì la rappresaglia operata dai bersaglieri del Regio Esercito nota come massacro di Pontelandolfo e Casalduni. Tardio rimase in carcere a Favignana fino alla morte[6], avvenuta a 58 anni per avvelenamento da parte di una donna per paura, pare, che facesse delle rivelazioni.

  1. ^ a b Tardio, su brigantaggio.net. URL consultato l'11 ottobre 2019.
  2. ^ "Istruttoria fatta per i fatti di Campora dal giudice Guerriero Filippo", Gioi, 30 settembre 1863. Archivio di Stato di Salerno, volume nº 99
  3. ^ Frate Giuseppe Feola, traduttore in poesia, di distici latini, su comune.campora.sa.it. URL consultato l'11 ottobre 2019.
  4. ^ Mariangela Cerullo, Al via la prima edizione del ‘Campora Cinelab Festival’, su Giornale del Cilento, 11 luglio 2014. URL consultato l'11 ottobre 2019.
  5. ^ Il brigante Tardio: "Quel prete deve morire". Un film riapre il caso di don Giuseppe Feola Le foto, su Unicosettimanale.it. URL consultato l'11 ottobre 2019.
  6. ^ a b Piaggine - La montagna del Cilento | Giuseppe Tardio, su lamontagnadelcilento.it. URL consultato l'11 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2019).
  7. ^ Nonno del critico letterario Angelandrea Zottoli, e fratello dell'insigne sinologo Angelo.
  8. ^ Le peggiori carceri d'Italia, su ildue.it. URL consultato il 12 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2008).

Bibliografia

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  • Antonio Caiazza: ”Giuseppe Tardio”, Tempi Moderni edizioni, Napoli, 1986
  • G. De Matteo: Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia. A. Guida Editore, Napoli, 2000

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Collegamenti esterni

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