Gallia Cisalpina

denominazione antica per l'attuale territorio dell'Italia settentrionale; provincia della Repubblica romana, poi annessa all'Italia romana nel 42 a.C.
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Gallia Cisalpina o Gallia Citeriore è il nome conferito dai Romani in età repubblicana ai territori dell'Italia settentrionale compresi tra il fiume Adige a Levante, le Alpi a Ponente e a Settentrione e il Rubicone a Meridione. Il Po divideva la regione in Gallia Transpadana e Gallia Cispadana. Si trattava dei territori che corrispondevano all'attuale Pianura Padana, attorno al grande fiume Po, compresi i territori della Liguria a sud-ovest, fino all'attuale Veneto nella sua parte nord-orientale.[senza fonte] La regione divenne provincia romana includendo però tutti i territori a ovest del fiume Adige, fino alle Alpi piemontesi.[1]

Popolazioni della Gallia Cisalpina nel III secolo
  Lo stesso argomento in dettaglio: Province romane e Governatori romani della Gallia Cisalpina.
Gallia Cisalpina
Informazioni generali
Nome ufficiale(LA) Gallia Cisalpina
CapoluogoMediolanum
Dipendente daRepubblica romana
Amministrazione
Forma amministrativaProvincia romana
GovernatoriGovernatori romani della Gallia Cisalpina
Evoluzione storica
Iniziopost 90 a.C.
Causaguerra sociale?
Fine42 a.C.
Causaaccorpamento alla Repubblica romana
Cartografia
 

La cultura di Canegrate

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di Canegrate.

La cultura di Canegrate fu una civiltà dell'Italia preistorica che si sviluppò a partire dall'età del bronzo recente (XIII secolo a.C.) fino ad arrivare all'età del ferro, nella Pianura Padana in Lombardia occidentale, in Piemonte orientale e in Canton Ticino. Essa rappresenta l'irrompere di una prima ondata migratoria di popolazioni probabilmente celtiche (Protocelti) provenienti dal Nord delle Alpi che, oltrepassati i valichi alpini, s'infiltrano e si stabiliscono nell'area padana occidentale. Dalle testimonianze archeologiche ritrovate si può dedurre che l'impatto con le popolazioni autoctone non sia stato del tutto pacifico.

La popolazione di Canegrate mantenne la propria omogeneità per un periodo limitato di tempo, circa un secolo, per fondersi poi con le popolazioni indigene liguri e dare origine con questa unione a una nuova fase chiamata cultura di Golasecca[2].

La cultura di Golasecca

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Elmo della cultura di Golasecca
  Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di Golasecca.

La cultura di Golasecca si diffuse, tra l'età del bronzo finale e la prima età del ferro nell'area compresa tra la Lombardia nord-occidentale e il Piemonte, compreso il Canton Ticino. Sul finire dell'epoca preistorica quest'area fu punto di transito e di contatto con la cultura di Hallstatt a ovest, con quella dei Campi d'Urne nel nord continentale e con la civiltà villanoviana a sud. Inizialmente concentrati in zona pedemontana e poi dilagati in tutta l'area dei laghi, qui si svilupparono numerosi agglomerati abitativi di una cultura originale, i cui reperti più antichi oggi disponibili sono databili a partire dal IX secolo a.C.

Etruria padana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Etruria padana.

A partire dall'VIII secolo a.C. gli Etruschi espansero il loro dominio verso l'Emilia e la Lombardia, regioni che vennero comprensivamente chiamate "Etruria padana" (Etruria campana s'intende la regione interessata dalla parallela espansione verso sud, in Campania).

Dal 540 a.C. circa la presenza etrusca nella Pianura Padana conobbe una rinnovata espansione nello scenario successivo alla battaglia di Alalia[3] risoltasi in una progressiva limitazione dei movimenti etruschi nell'Alto Tirreno. L'espansione a nord degli Appennini si caratterizza da quel momento come finalizzata all'individuazione e al controllo di nuove vie commerciali. Con il controllo di Adria e le fondazioni di Spina, Marzabotto e del Forcello di Bagnolo gli Etruschi stabiliscono una rete di traffici che viene a collegare la Grecia, attraverso i porti adriatici, l'asse fluviale Po-Mincio, i laghi insubrici e i passi alpini, con le terre dei Celti transalpini. Il V secolo a.C. segna così il "periodo d'oro" dell'Etruria padana.

Nell'Etruria padana venne probabilmente istituita una dodecapoli, in analogia alla dodecapoli etrusca, ma non si ha la certezza di quali città ne facessero parte. Appartennero certamente alla dodecapoli padana le città di Felsina (Bologna), Spina e Marzabotto, mentre si possono solo supporre città come Ravenna, Faenza, Cesena, Rimini, Modena, Parma, Piacenza, Mantova e forse Milano. Questa ipotesi tradizionale sembra non essere supportata da prove: difatti, le indagini archeologiche inducono a porre i limiti dell'area etrusca a ovest con l'area di Rubiera (RE) e a nord con Mantova e l'abitato del Forcello di Bagnolo San Vito (MN)[4].

I Celti e i Celto-Liguri

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Spedizioni celtiche in Italia e Battaglia del Ticino (600 a.C.).

Tito Livio riferisce che attorno al 600 a.C. (Prisco Tarquinio Romae regnante), un'orda di Galli guidata da Belloveso oltrepassò le Alpi, sconfisse gli Etruschi sul Ticino presso Pavia[5] e occupò il territorio tra Milano e Cremona (fondando la città di Mediolanum), identificando gli abitanti del luogo, gli Insubri, con questi invasori Galli.[6] Nel Periplo di Scilace, di Scilace di Carianda, viaggiatore e geografo greco attivo tra nel 522-485 a.C. viene attestata la presenza di genti di lingua celtica insediate nell'Italia nord-orientale. Il testo, riscritto circa un secolo dopo dallo pseudo-Silace dopo la perdita dell'originale, racconta del viaggio lungo le coste del mediterraneo compiuto dal viaggiatore greco che descrive le tribù celtiche presenti sulla costa appena a Meridione degli insediamenti dei Veneti in un'epoca che, considerando le date note della vita di Silace, deve aggirarsi attorno al 490 a.C.

Il riesame delle fonti archeologiche, in particolare proprio del passo di Livio che documenta l'arrivo di Belloveso e dei suoi Insubri all'epoca del regno di Tarquinio Prisco (VI secolo a.C.) con la fondazione di Milano, ha costretto a collocare la presenza celtica in Italia almeno al VII secolo a.C. se non prima.

 
Popolazioni celtiche, liguri e veneti della Gallia Cisalpina

Arrivi di nuove popolazioni si verificarono attorno alla fine del V inizi del IV secolo a.C. Comincia una decadenza irreversibile della grecità d'Italia sotto la spinta delle popolazioni italiche, le vie dei commerci attici sono distrutte dalla guerra del Peloponneso e non si riprenderanno più. L'interruzione della circolazione di beni è fonte di una crisi economica che porta, di riflesso, all'impoverimento e alla crisi di tutti quei popoli che erano interlocutori commerciali dei Greci: tra di essi anche i Celti. Le invasioni, siano esse tumultus Gallici o episodi di mercenariato, denotano un quadro di necessità, le popolazioni celtiche dell'Italia settentrionale rinforzano i legami con l'Oltralpe e questo provoca l'arrivo di nuove genti tra le quali i Senoni, i recentissimi advenarum di cui parla Livio, autori del sacco di Roma nel 390 a.C. Le popolazioni celtiche che popolarono la Pianura Padana sono storicamente note dal famoso passo di Livio.[7] Subito dopo gli Insubri arrivano i Cenomani che occupano il territorio a est dell'Adige, indeterminato è invece l'arrivo delle altre popolazioni che, con un meccanismo "a scavalco" occupano via via tutta la Pianura Padana meridionale scacciandone Etruschi e Umbri. Livio ricorda Libui e Salluvi che si fermano accanto all'antica tribù dei Laevi, stanziata vicino al Ticino; i Boi e i Lingoni e, da ultimi, i Senoni.[8]

I "nuovi" Celti stabilitisi in Cisalpina potevano tra l'altro acquisire a sé il controllo del mercato di un materiale che da lungo tempo esercitava su di loro una potente attrazione, grazie alle virtù magiche che essi gli attribuivano: il corallo, proveniente soprattutto dal golfo di Napoli, conobbe una vera esplosione, con frequenti applicazioni in torque, elmi, foderi di spada e fibule,[9][10] dando origine, soprattutto in Svizzera, sia a un surrogato bronzeo, sia a vere e proprie imitazioni, grazie all'invenzione celtica di uno speciale smalto colorato,[10] realizzato con un particolare procedimento e ampiamente diffuso dal centro-Europa fino all'arcipelago britannico.[11]

Conquista dell'Ager Gallicus a nord degli Appennini

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Carta della Regio V Picenum e VI Umbria, con a nord l'Ager Gallicus
  Lo stesso argomento in dettaglio: Ager Gallicus e Guerre tra Celti e Romani.

Nel 332 a.C. tra Roma e i Senoni della Cisalpina fu stipulato un trattato di pace che, a quanto sembra, garantì un interludio di pace durato circa trent'anni.[12] Quasi quarant'anni più tardi, nel 295 a.C., nell'ambito della terza guerra sannitica, i galli Senoni dell'Italia settentrionale si allearono con gli Umbri, gli Etruschi e i Sanniti contro Roma. La coalizione, inizialmente vincitrice (con la presa di Arezzo), venne in seguito sconfitta dai Romani nella battaglia del Sentino. E così nell'ambito della terza guerra sannitica, i Senoni seguirono le sorti della coalizione italica etrusco-sannita con cui si erano alleati: insieme a essi furono sconfitti nella battaglia del Sentino, che permise a Roma l'istituzione dell'Ager Gallicus e la fondazione della colonia di Sena Gallica,[13] che ancora conserva, nel moderno toponimo di Senigallia, la duplice memoria dell'etnonimo e dell'origine di quel popolo celtico. Nel 283 a.C., si concludeva questa prima fase, dove Roma riusciva a occupare tutti i territori a sud degli Appennini, battendo ancora i Senoni nella battaglia del lago Vadimone, combattuta contro una coalizione celto-etrusca.[13][14]

Nel 249 a.C. i Boi chiamarono in soccorso i Galli transalpini, innescando una nuova crisi che si concluse nel 225 a.C.,[15] l'anno in cui si registra l'ultima[16] invasione gallica dell'Italia. Quell'anno, infatti, cinquantamila fanti e venticinquemila cavalieri Celti varcarono le Alpi in aiuto dei Galli cisalpini (si trattava di una coalizione di Celti insubri, Boii e Gesati[17]), e se prima riuscirono a battere i Romani presso Fiesole, vennero poi sconfitti e massacrati dalle armate romane nella battaglia di Talamone (a nord di Orbetello),[18] spianando così a Roma la strada per la conquista della pianura padana.

La conquista romana della Cisalpina (fine del III-inizio del II secolo a.C.)

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista romana della Gallia Cisalpina.

Per la prima volta[13] l'esercito romano poteva spingersi oltre il Po, dilagando in Gallia Transpadana: la battaglia di Clastidio, nel 222 a.C., valse a Roma la presa della capitale insubre di Mediolanum (Milano). Per consolidare il proprio dominio Roma creò le colonie di Placentia, nel territorio dei Boi, e Cremona in quello degli Insubri. A seguito di questi eventi, secondo lo storico greco Polibio, iniziò la rarefazione dei Celti in Pianura Padana, espulsi dalla regione o confinati in alcune limitate aree subalpine, cosa che egli poteva testimoniare al suo tempo.[19] I Galli dell'Italia settentrionale si ribellarono nuovamente in seguito alla discesa di Annibale. Come alleati del condottiero cartaginese furono fondamentali per le sue vittorie al Trasimeno (217 a.C.) e a Canne (216 a.C.). I Boi riuscirono, inoltre, a battere i Romani nell'agguato della Selva Litana. Dopo la sconfitta di Annibale a Zama (202 a.C.), vennero definitivamente sottomessi da Roma, quando risultarono vittoriosi nella battaglia di Cremona, nel 200 a.C., e in quella di Mutina (Modena), nel 194 a.C. All'indomani della vittoria nella seconda guerra punica, Roma procedette alla definitiva sottomissione della pianura padana, che aprì un territorio vasto e fertile agli emigranti originari dell'Italia centrale e meridionale.[20]

L'avanzata continuò anche nella parte nord-orientale con la fondazione della colonia romana di Aquileia nel 181 a.C., come ci raccontano gli autori antichi,[21] nel territorio degli antichi Carni:[22]

«Nello stesso anno [181 a.C.] fu dedotta nel territorio dei Galli la colonia di Aquileia. 3.000 fanti ricevettero 50 iugeri ciascuno, i centurioni 100, i cavalieri 140. I triumviri che fondarono la colonia furono Publio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino[23]

Si trattava di una colonia di diritto latino,[21] con la funzione prioritaria di sbarrare la strada alle popolazioni limitrofe di Carni e Istri, che minacciavano i confini orientali dei possedimenti romani in Italia.[24] La città dapprima crebbe quale avamposto militare in vista delle future campagne contro Istri e Carni, più tardi quale "quartier generale" in vista di un'espansione romana verso il Danubio. I primi coloni furono 3.000 veterani,.[25] seguiti dalle rispettive famiglie provenienti dal Sannio, per un totale di circa 20.000 persone, a cui fecero seguito dei gruppi di Veneti; più tardi, nel 169 a.C., si aggiunsero altre 1.500 famiglie.[26]

Nel luglio dell'89 a.C., Gneo Pompeo Strabone, padre di Gneo Pompeo Magno, promosse la Lex Pompeia de Transpadanis, che concesse il diritto latino anche ai Transpadani. Secondo alcuni studiosi è anche colui che l'ha proposta a Roma.

 
Territori della Gallia Cisalpina (evidenziati in rosso trasparente) tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C.

La conquista romana dell'Italia a nord degli Appennini sostituì il precedente ordinamento a carattere tribale delle popolazioni celtiche, retiche e venete. Anche il paesaggio della Pianura padana venne pesantemente modificato e il territorio fu ridisegnato attraverso il sistema della centuriazione. L'ager centuriatus veniva tracciato dall'agrimensore, che individuava l'umbilicus agri, cioè il punto in cui si sarebbero incrociati due assi stradali perpendicolari tra loro: il primo era generalmente in direzione est-ovest ed aveva il nome di "decumano massimo" (in latino, decumanus maximus), mentre il secondo correva in direzione nord-sud, ed era detto "cardo massimo" (cardo maximus). La suddivisione del territorio in appezzamenti era compiuta attraverso la realizzazione di lotti separati fra loro da decumani (assi paralleli al decumano massimo) e cardini (assi paralleli al cardo massimo). Per ragioni pratiche, l'orientamento degli assi non sempre coincideva con i quattro punti cardinali: a volte si basava sull'orientamento di vie di comunicazione preesistenti (così per le centuriazioni lungo la via Emilia) o su altre caratteristiche geomorfologiche. Si trattava di un processo già iniziato in val padana con la fondazione di colonie e che finì, al termine della conquista, per coinvolgere l'intera pianura.

In Gallia cisalpina transpadana, cioè a nord del Po, dove erano stanziati Insubri, Cenomani e Paleoveneti, la proprietà agraria romana si sovrappose quasi pacificamente ai preesistenti sistemi tribali celtici delle tribù galliche ed ai centri abitati Venetici (popolo questo, va ricordato, assolutamente non celtico, e probabilmente di stirpe italica[27]). Roma lasciò ampi spazi alla sopravvivenza dell'insediamento originario e questo fu uno degli elementi che favorì un epilogo non violento del processo di romanizzazione. Notevole importanza per aggregare i villaggi e le tribù non ancora urbanizzate l'istituto del'Adtributio[28], grazie al quale i villaggi e le tribù rurali venivano "ascritti" ad un centro urbano esistente.

L'intervento romano in Cispadana (attuali Emilia-Romagna e Liguria), invece, fu caratterizzato da confische agrarie e di redistribuzione di terre. Qui, all'interno della ritorsione romana contro gli alleati di Cartagine durante la seconda guerra punica, intere popolazioni vennero quasi del tutto sterminate o deportate, così da far posto a nuovi coloni romano-italici. Questa quasi decimazione toccò prevalentemente i Boi e i Senoni tra i Celti e gli Apuani tra i Liguri, determinando un radicale sconvolgimento dell'assetto demografico di queste regioni. A questo fece seguito l'impianto di un'economia agraria, la più avanzata dell'epoca, articolata tra piccole, medie e grandi proprietà condotte come aziende a monocultura, i cui prodotti venivano quindi smerciati nei mercati urbani.

La fondazione di nuove colonie nella pianura padana porta con sé l'arrivo di numerose famiglie dall'Italia centrale e meridionale già acquisita da Roma. Le migrazioni vengono programmate con blocchi di seimila famiglie, poiché ogni famiglia era tenuta per legge a fornire un soldato, seimila famiglie fornivano seimila soldati, ovvero una legione. I coloni erano tutti volontari, rispondendo a regolari bandi del Senato romano e ricevendo un contributo per le spese di viaggio e di primo impianto. Provenivano dal centro e dal sud potevano essere ex nemici di Roma come Piceni, Equi o Sanniti, oppure cittadini romani di bassi strati sociali, allettati da una nuova autonomia economica che veniva loro garantita.

Di conseguenza l'esperienza della colonizzazione impone ai romani di portare alle popolazioni cisalpine la propria strutturazione giuridico-politica per organizzare le proprie comunità lontane e inglobare i popoli conquistati. Così, attorno alle nuove comunità, si dispongono le tribù vinte che vengono assorbite o integrate, già verso il 150 a.C. la lingua dei Galli scompare dalla Valle padana.[29][30]

Provincia romana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Gallia Cisalpina (provincia romana).
  Lo stesso argomento in dettaglio: Province romane e Governatori romani della Gallia Cisalpina.

Difesa ed esercito

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Mappa dell'antica città romana di Aquileia, sede militare romana per almeno due secoli, fino alla grande rivolta dalmato-pannonica del 6-9 d.C.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito romano, Limes renano e Limes danubiano.

Il fatto che a Cesare sia stata assegnata inizialmente la provincia dell'Illirico come parte del suo imperium, e che all'inizio del 58 a.C. ben tre legioni fossero state dislocate ad Aquileia (la VII, l'VIII e la IX), potrebbe indicare che egli intendesse cercare proprio in quest'area gloria e ricchezze con cui accrescere il suo potere e la sua influenza militare e politica. Cesare aveva infatti bisogno di importanti vittorie militari così da costruirsi un suo potere personale con il quale controbilanciare quello che Pompeo si era costruito con le vittorie ottenute in Oriente. A tal fine progettava probabilmente una campagna oltre le Alpi Carniche fin sul Danubio, sfruttando la crescente minaccia delle tribù della Dacia (corrispondente grosso modo all'odierna Romania), che si erano riunite sotto la guida di Burebista, il quale aveva poi guidato il suo popolo alla conquista dei territori dislocati ad ovest del fiume Tibisco, oltrepassando il Danubio e sottomettendo l'intera area su cui si estende l'attuale pianura ungherese, ma soprattutto avvicinandosi pericolosamente all'Illirico romano e all'Italia. Le sue armate si erano però fermate all'improvviso, forse per il timore di un possibile intervento diretto di Roma nell'area balcano-carpatica. Così, invece di continuare nella sua marcia verso occidente, Burebista era tornato nelle sue basi in Transilvania, rivolgendo poi le proprie mire ad Oriente: attaccò i Bastarni e infine assediò e distrusse l'antica colonia greca di Olbia (nei pressi dell'attuale Odessa).[31]

Geografia politica ed economica

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Italia romana.

Nel periodo preromano la Gallia cisalpina venne abitata da quattro principali popolazioni: i Celti (nella pianura padana centro-occidentale e successivamente nell'attuale Emilia-Romagna a scapito degli Etruschi), i Veneti (nella pianura padana nord orientale), i Liguri (nelle attuali Liguria e a sud del Piemonte) e gli Etruschi (nelle attuali Emilia-Romagna e Lombardia meridionale).

La Gallia Cisalpina dopo la progressiva conquista del territorio e deduzione di colonie nel corso del III e II secolo a.C., era stata costituita in provincia romana, poco dopo il conferimento della cittadinanza agli abitanti dell'Italia peninsulare nel 90 a.C. Nel 42 a.C. la provincia fu abolita e i confini settentrionali dell'Italia vennero portati ufficialmente alle Alpi.

Per la Gallia Cisalpina la modalità di integrazione di accorpamento alla penisola cambia, in quanto non possiamo parlare di vera e propria romanizzazione, bensì di colonizzazione. Con l'esclusione di Liguri, Venetici del Veneto/Friuli e degli Etruschi dell'Emilia, le popolazioni abitanti la Val Padana non erano demograficamente consistenti, almeno non da poter resistere a due invasioni romane (si ipotizzano 200.000 galli, che, in proporzione alla vastità del territorio, erano relativamente pochi)[32]. Durante la prima campagna di conquista romana il loro numero si ridusse drasticamente, sia per le perdite umane, sia per le loro migrazioni volontarie, sia per la riduzione in schiavitù. Il piccolo numero di Galli ancora presenti nella Cisalpina prima del III secolo fu quasi completamente annientato dopo la Seconda Guerra Punica, che li vide alleati, e sconfitti, con Annibale. Molti Galli, dopo la capitolazione di Annibale, preferirono migrare nelle regioni più a nord, cosa che avvenne ad esempio per i Galli Boi, che migrarono prima nell'Illiria, e successivamente nella Boemia (a cui hanno appunto dato il nome). Nel periodo successivo alla turbolenta guerra punica il nord Italia divenne meta di numerosi uomini di potere romani, si trattava di Cavalieri, politici ed ex militari che miravano a sfruttare quelle terre. Numerose lamentele arrivarono da questi ultimi per la scarsità di manodopera, cosa che ci fa ipotizzare una drastica riduzione demografica dovuta prima alla venuta di Annibale, e poi allo sterminio dei Galli perpetrato dai Romani come vendetta. I romani dunque, per rendere produttiva la Gallia Cisalpina, creano le Colonie di diritto latino (ovvero popolate da cittadini romani che rinunciavano ai propri diritti e da latini), come ad esempio Luni, Patavium e Rimini, e altre città di formazione mista (ovvero formate da coloni italici, etruschi, romani e greci). Il Senato romano, sia prima della Guerra Sociale sia dopo, emise più e più volte bandi di colonizzazione con numero fisso di 6.000 famiglie (si ipotizzano dunque 30.000 persone), che andavano a costituire i nuovi nuclei romani del nord Italia[33] In Liguria e in Veneto questi coloni romano-italici si sovrapposero alle precedenti culture, integrandole, arricchendosi di esse e, pian piano, assorbendole completamente.

I popoli sottomessi conservarono a volte la proprietà dei loro territori e il diritto di governarsi con una certa autonomia, come nel caso dei Salii, dei Libui, degli Ictimuli e di Vercellae, ovvero l'attuale Vercelli, in grazia, probabilmente, di un patto di antica data. In quest'ultima città, infatti, non si verificano centuriazioni con espropri e ridistribuzioni di terre così come invece accade nelle aree dei Salassi o a Ivrea.

Maggiori centri provinciali

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L'Italia settentrionale (ex Gallia Cisalpina) fu divisa da Augusto in quattro regioni intorno al 7 d.C.: Regio VIII Aemilia, Regio IX Liguria, Regio X Venetia et Histria e Regio XI Transpadana

I maggiori centri della provincia erano:

  • Forum Julii (Cividale del Friuli) è legata al nome di Giulio Cesare, come testimonia il fatto che il nome Friuli deriva proprio da Forum Iulii, ovvero il foro di Giulio. Tra il 56 a.C. ed il 50 a.C., infatti, grazie all'iniziativa del proconsole romano, qui fu creato un municipio, Forum Iulii, da cui prese poi il nome tutta la regione Friuli, successivamente divenne colonia. Le mura romane sono alla base delle mura veneziane tuttora presenti.
  • Forum Livii (Forlì), romanizzata e rifondata come città romana intorno al 200 a.C., deve il nome, secondo la tradizione, a Marco Livio Salinatore (ma forse si può pensare anche al figlio di lui, Gaio Livio Salinatore). L'abitato sorge lungo il confine tra Galli Boi e Senoni. La città era nota anche col nome di Livia (Livia tellus si legge in un'iscrizione), ma era anche conosciuta come Figline a causa della produzione di laterizi e ceramiche. Vi nacque il poeta Caio Cornelio Gallo.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Centuriazione di Mantova.
 
L'antica Milano romana (Mediolanum) sovrapposta alla Milano moderna. Il rettangolo più chiaro al centro, leggermente sulla destra, rappresenta la moderna piazza del Duomo, mentre il moderno Castello Sforzesco si trova in alto a sinistra, appena fuori dal tracciato delle mura romane di Milano
  • Patavium (Padova), fu una delle più ricche città dell'Impero grazie, anche, all'allevamento di cavalli, era inoltre l'unica città in Italia ad avere un circo come Roma. In età augustea Padova divenne parte della X Regio che aveva come capitale Aquileia, cui era collegata grazie alla via Annia che partiva da Adria.
  • Placentia (Piacenza), fu fondata dai Romani sulle rive del fiume Po nel 218 a.C., probabilmente su un preesistente insediamento celtico, sul confine tra i territori degli Insubri e dei Boii sconfitte in precedenza dai Romani. Nello stesso anno nacque la colonia gemella di Cremona. I romani preferirono costruire il castrum su un pianoro alluvionale più alto di 4-5 metri rispetto al territorio circostante aumentando in tal modo la capacità difensiva dell'insediamento. Essendo la zona popolata dai Celti, entrambe le città nacquero come avamposto per consolidare le conquiste in territorio gallico e per tenere a bada le genti celtiche. Sia Piacenza sia Cremona vennero fondate come colonie latine e furono inviati 6.000 coloni latini. La scelta fu dovuta all'incombente minaccia dell'invasione dell'Italia da parte del condottiero cartaginese Annibale. Quest'ultimo dopo aver vinto i Romani presso il Ticino, la Trebbia e aver espugnato Clastidium (Casteggio), non riuscì a occupare Placentia che gli resistette. Il fiume Po e la via Emilia, che la congiungeva con Ariminum o Rimini, già allora caratterizzavano la vocazione logistica della città. Lo schema viario romano con "cardo" e "decumano" è ancora ben visibile nel centro storico.
  • Ravenna (Ravenna), circondata dalle acque e accessibile solo dal mare, qui l'imperatore Cesare Ottaviano Augusto dislocò la flotta militare dell'alto Adriatico. Per questo fine l'imperatore fece eseguire importanti lavori di sistemazione idraulica: fece scavare la Fossa Augustea, un canale che collegava il Po con l'ampio specchio di acqua a sud di Ravenna e qui fondò il porto di Classe. Il porto fu realizzato con i criteri di una poderosa macchina militare. Secondo Plinio il Vecchio, poteva contenere fino a 250 triremi e 10.000 marinai o classari destinati al controllo di tutto il Mediterraneo orientale (la base destinata al controllo del Mediterraneo occidentale era invece il porto di Miseno sulla costa tirrenica).
  • Tarvisium (Treviso),
  •  
    Foto aerea del centro storico di Pavia, si notano ancora l'impianto ortoganle della città e il cardo maximus (Strada Nuova) e il decumanus maximus (Corso Mazzini-Corso Cavour)
    Ticinum (Pavia), assunse importanza a partire dal 187 a.C. quando fu raggiunta da una diramazione della via Emilia. Fu municipium e qui nacque lo storico Cornelio Nepote. Il centro storico di Pavia, un quadrato di circa 1 km², ha ancora oggi la tipica pianta derivata dal castrum, l'accampamento militare romano, dotato di due assi perpendicolari, il cardo e il decumano. La conservazione della pianta della città è stata permessa dal fatto che la città non è mai stata distrutta completamente.
  • Tridentum (Trento), sorta come accampamento militare romano, divenne municipium tra il 50 e il 40 a.C., ed accrebbe la sua importanza notevolmente dopo le campagne militari augustee nell'area. Ancor'oggi le linee del decumanus maximus e del cardo maximus sono visibili nella struttura abittaiva della città, la cui Porta Veronensis meridionale è oggi visibile nel museo diocesano tridentino.

Principali vie di comunicazione

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Strade romane.

Le vie romane che attraversarono in pochi decenni tutta la Cisalpina furono costruite per consentire in primo luogo i collegamenti militari. Le guerre contro i Liguri, con la conseguente fondazione di colonie nel loro territorio, non rappresentano solo l'espansione nella penisola, ma sono anche premessa dell'espansione verso l'occidente, quindi verso la Sardegna, la penisola Iberica e Cartagine.

Le principali vie di comunicazioni provinciali erano:

  1. ^ a b La Gallia Cisalpina corrispondeva ai territori della pianura padana compresi tra il fiume Adige e le Alpi piemontesi
  2. ^ G. Frigerio, Il territorio comasco dall'età della pietra alla fine dell'età del bronzo, in Como nell'antichità, Società Archeologica Comense, Como 1987.
  3. ^ La Battaglia del mare Sardo (540 a.C.)[1] Archiviato il 26 febbraio 2013 in Internet Archive..
  4. ^ Raffaele Carlo De Marinis (a cura di), Gli etruschi a nord del Po, 1988.
  5. ^ Nascita dell'Insubria (2017), su academia.edu.
  6. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 34.
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 35.
  8. ^ Polibio, Storie, II, 7; M.T. Grassi I celti in Italia, Milano 1991
  9. ^ Christiane Eluère, p. 71.
  10. ^ a b Kruta, La grande storia dei Celti, p. 202.
  11. ^ Lo smalto era ottenuto dal vetro di quarzo, addizionato di ossido rameico (Cu2O) e piccole quantità di piombo; durante la fusione, un processo di ossidoriduzione evitava la formazione di ossido rameico (CuO), dall'indesiderato colore verde. Cfr. Günter Haseloff, Lo smalto celtico, in S. Moscati et al., I Celti, 1991.
  12. ^ Christiane Eluère, I Celti "barbari d'Occidente", p. 68.
  13. ^ a b c Demandt, p. 86.
  14. ^ Floro, I, 13.
  15. ^ Christiane Eluère, p. 69.
  16. ^ Ogilvie, Cronologia.
  17. ^ Kruta, La grande storia dei Celti, pp. 251.
  18. ^ Polibio, Storie, II,25-27.
  19. ^ Polibio, Storie, II.35.4
  20. ^ Storia Romana, Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, pag.92
  21. ^ a b Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, I, 13.2.
  22. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126-127.
  23. ^ CIL V, 873.
  24. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXXIX, 55; XL, 34.2-3; XLI, 1; XLI, 9-10; XLIII, 1.
  25. ^ Luisa Bertacchi, Aquileia: l'organizzazione urbanistica, p.209.
  26. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XLIII, 17.1.
  27. ^ Tesi articolata, tra gli altri, da Aldo Prosdocimi in Popoli e civiltà dell'Italia antica; cfr. Villar, p. 490
  28. ^ Cfr. G. Luraschi, Problemi giuridici della romanizzazione delle Alpi. Origine dell'attributio, in Diritto e società nel mondo romano, Como, 1988, pp. 45-71.
  29. ^ Jean-Michel David, La Romanizzazione dell'Italia, Laterza, 2002.
  30. ^ D. O. Robson, The Samnites in the Po Valley, in The Classical Journal, vol. 29, n. 8, maggio 1934, pp. 599-608.
  31. ^ J. Carcopino, Giulio Cesare, Milano 1981, pp.255-260; A. Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano 1989, pp.432-433.
  32. ^ The Celts: a history
  33. ^ ^ The Samnites in the Po Valley. D. O. Robson. The Classical Journal, Vol. 29, No. 8 (May, 1934), pp. 599-608
  34. ^ Per la centuriazione ci si basò su strade preesistenti: il decumano massimo era la stessa Postumia, mentre il cardine era la via Aurelia; le due arterie si incrociavano nei pressi dell'attuale Vallà di Riese Pio X.
  35. ^ Dalla sezione Linea del tempo del sito asolo.it Archiviato il 5 maggio 2009 in Internet Archive.
  36. ^ Velleio Patercolo, Storia romana, I, 13.2.
  37. ^ Appiano di Alessandria, Guerra illirica, 11; CIL V, 8270; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 129; Fasti triumphales: AE 1930, 60; Appiano di Alessandria, Guerre celtiche, 13; Strabone, Geografia, V, 1.8.
  38. ^ CIL V, 903.
  39. ^ Massimiliano Pavan, Aquileia città di frontiera, in Dall'Adriatico al Danubio, Padova 1991, p.124.
  40. ^ La Lex Vatinia fu proposta dal tribuno della plebe Publio Vatinio, che fu poi luogotenente di Cesare in Gallia
  41. ^ Le tre legioni affidate a Cesare dalla Lex Vatinia erano la VII, l'VIII e la VIIII
  42. ^ Cicerone, In P. Vatinium ("Contro Publio Vatinio"), 38; Cesare, De bello Gallico, II, 35 e III, 7; Cesare, De bello Gallico, V, 1, 5-9; Cesare, De bello Gallico, VI, 44; Cesare, De bello Gallico, VII, 1.1; Aulo Irzio, De bello Gallico, VIII, 24.3; Appiano di Alessandria, Guerra illirica, 18 e 52.
  43. ^ Appiano di Alessandria, Guerre illiriche, 16-22.
  44. ^ Quilici.
  45. ^ Pani.
  46. ^ Abeni, La storia bresciana, Brescia, Del Moretto, 1984.
  47. ^ CIL V, 4459.
  48. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XLI, 36.
  49. ^ CIL V, 4191, CIL V, 4377.
  50. ^ CIL V, 4186, CIL V, 4355, CIL V, 4459, CIL V, 4485 e AE 1952, 136.
  51. ^ AE 1978, 344.
  52. ^ Polibio, Storie, II, 34.10-15; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XII, 51-52; Zonara, L'epitome delle storie, VIII, 20.
  53. ^ CIL V, 5854.

Bibliografia

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Fonti primarie
Fonti storiografiche moderne
  • Luisa Bertacchi, Aquileia: l'organizzazione urbanistica, in Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.), catalogo della Mostra Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.) tenutasi a Milano, Palazzo Reale dal 24 gennaio al 22 aprile 1990, Ed. Silvana Milano, 1990, pp. 209–212.
  • Luigi Bossi, Della istoria d'Italia antica e moderna, Milano, 1819
  • Jean Bousquet, La Cisalpine gauloise du IIIe au Ier siècle avant J.-C.
  • Lawrence Keppie, The Making of the roman army, From Republic to Empire, University of Oklahoma, 1998
  • Giuseppe Micali, L'Italia avanti il dominio dei Romani, Genova, 1830
  • Raffaele de Marinis e Venceslas Kruta in Italia, omnium terrarum alumna, Garzanti-Scheiwiller, 1990
  • Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, Urbanizzazione delle campagne nell'Italia antica, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2001, pp. 74-75.
  • Mario Pani, Epigrafia e territorio, politica e società, vol. 4, Bari, Edipuglia, 1996, pp. 78, 84, 105, 106.
  • Mauro Poletti, La frontiera padana, Reggio Emilia, Consulta Librieprogetti, 2020.

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