Storia romana

storia di Roma dalle origini dell'Urbe alla caduta dell'Impero romano d'Occidente (VIII secolo a.C. - V secolo d.C.)
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«Il carattere della Roma antica è tutto in un inevitabile equivoco […] Non ci sono incertezze né ambiguità se diciamo «storia di Parigi», o di Londra, o di qualunque altra città del mondo. Ma se diciamo «storia di Roma», non sappiamo bene di quale storia esattamente si tratti: se della città intesa in senso stretto, o anche di quella parte cospicua della superficie e della popolazione terrestre che per molti secoli fu sottoposta al suo dominio»

La storia romana, o storia di Roma antica, espone le vicende storiche che videro protagonista la città di Roma, dalle origini dell'Urbe (nel 753 a.C.) fino alla costruzione e alla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476, anno in cui si colloca convenzionalmente l'inizio dell'epoca medievale.

Fondazione di Roma

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma e Roma quadrata.

Anno di fondazione

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Peter Paul Rubens, Romolo e Remo, 1615-16 (Roma, Pinacoteca Capitolina)

Secondo la leggenda, la fondazione di Roma, a metà dell'VIII secolo a.C. si deve ai fratelli Romolo e Remo. La data ufficiale, 21 aprile del 753 a.C., venne stabilita da Marco Terenzio Varrone, calcolando a ritroso i periodi di regno dei re capitolini (trentacinque anni circa per ogni re[2]). Altre fonti in realtà riportano date diverse: Quinto Ennio nei suoi Annales colloca la fondazione nell'875 a.C., lo storico greco Timeo di Tauromenio nell'814 a.C. (contemporaneamente, quindi, alla fondazione di Cartagine), Fabio Pittore nell'anno 748 a.C. e Lucio Cincio Alimento nel 729 a.C.[3] La datazione di Varrone - quella tradizionalmente celebrata - è considerata sia troppo alta (in relazione alla prima unificazione degli abitati, avvenuta presumibilmente nella metà dell'VIII secolo) sia troppo tarda (i primi insediamenti risalgono al II millennio a.C.).

Testimonianze archeologiche

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Dal punto di vista archeologico, nella zona del Latium si sono osservate alcune tracce di pastorizia (suini, ovini, meno i bovini) e di modesta agricoltura (soprattutto farro, spelta ed orzo, per quanto fosse permesso dall'area paludosa). Con le prime operazioni di bonifica intorno all'età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.), si sviluppano anche le prime coltivazioni di frumento, vite e olivo. Si hanno alcune tombe ad incinerazione, sostituite poi nel IX secolo dalle prime sepolture; alcune tombe arcaiche mostrano poche offerte, segno di una società omogenea, e alcuni oggetti preziosi dal secolo successivo.

Ma la vera e propria città si venne formando attraverso un fenomeno di sinecismo durato vari secoli e culminato appunto alla metà dell'VIII secolo a.C. In analogia a quanto accadeva in tutta l'Italia centrale, le origini della città si devono ad una progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano dei villaggi sorti sui tradizionali sette colli: si trattava di insediamenti dell'antica popolazione dei Latini, di stirpe indoeuropea (gruppo latino-falisco), già presenti dal X secolo, cui si aggiunsero genti sabine (pure di stirpe indoeuropea e appartenenti al gruppo osco-umbro), provenienti dalle montagne dell'alto Lazio, e nuclei di mercanti e artigiani etruschi[4].

Territorio

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«[…] Ma se l'Italia era la regione media dell'ecumene, Roma sorgeva nella regione media dell'Italia. La mens divina aveva voluto che Roma fosse il centro del centro.»

La località presentava ampie zone pianeggianti presso il Tevere, che tuttavia erano in parte occupate da paludi e stagni. Le colline che si affacciavano sul fiume erano inoltre ricche di acque e controllavano il guado del fiume presso l'isola Tiberina, al punto di intersezione di due importanti direttrici commerciali. La prima direttrice commerciale andava dalla costa alle zone interne della Sabina lungo la valle del Tevere ed era utilizzata per l'approvvigionamento del sale, indispensabile per le economie agricolo-pastorali: corrisponde alla via Salaria di epoca storica. La seconda era rappresentata dall'itinerario che andava dall'Etruria alla Campania, su cui transitavano altre due preziose merci: il ferro e gli schiavi. Inoltre, il Tevere stesso era una via commerciale, utilizzata per il trasporto del legname proveniente dall'alta valle tiberina. Alla base della futura espansione di Roma, quindi, c'è anche la sua posizione strategica che già in età arcaica la rendeva un importante emporio commerciale.[6]

Età regia o monarchica

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Età regia di Roma.

I primi quattro re

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima monarchia di Roma.
 
Il ratto delle sabine nel dipinto di Jacques-Louis David

I primi re di Roma sono generalmente considerati come figure prettamente mitologiche, poiché la datazione proposta da Varrone - che considera un totale di 244 anni per i sette monarchi - è molto probabilmente troppo lunga. La tradizione attribuisce ad ogni sovrano un particolare contributo nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni romane e dello sviluppo sociopolitico dell'Urbe. Il primo re e fondatore fu Romolo, che avrebbe dotato la città delle prime istituzioni politiche, militari e giuridiche.[7] Morì in modo misterioso e si disse che fu accolto tra gli dèi col nome di Quirino.[8]

Numa Pompilio, il secondo re, che regnò dal 716 al 673 a.C., è un nome tipicamente italico, di origine osco-umbra. La leggenda lo vuole creatore delle principali istituzioni religiose, tra cui i collegi sacerdotali delle vestali, dei flàmini, dei pontefici e degli àuguri; istituì anche la carica di pontefice massimo (pontifex maximus), nonché la suddivisione dell'anno in dieci mesi e la precisa regolamentazione di tutte le feste e le celebrazioni, precisando i giorni fasti e nefasti.

Il terzo re, Tullo Ostilio, succeduto subito al precedente, sedette al trono fino al 641, sconfiggendo i Sabini e conquistando Alba Longa, con una iniziale espansione territoriale nel Lazio. Da un punto di vista storico, si tratta di un fatto possibile, poiché alla metà del VII secolo a.C. si è osservato un abbandono dei villaggi limitrofi. Al re venne attribuita anche la prima pavimentazione del Foro.

Il successore Anco Marzio - dal 640 al 617 a.C. - ne proseguì l'opera, fondando la prima delle colonie, ossia Ostia (traducibile in latino come foci);[9] la costruzione della nuova città era dovuta probabilmente alla necessità di controllare la zona meridionale del Tevere.

I re etruschi

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Tarquini.
 
Mappa d'Italia nel 500 a.C.

L'esistenza storica in particolare degli ultimi tre re pare essere accertata, sebbene sia possibile che i due Tarquini siano una duplicazione di uno stesso personaggio. Sotto questi sovrani, la città entrò nell'orbita etrusca ed ebbe una straordinaria fioritura oltre che una forte espansione territoriale.[10] Tarquinio Prisco, regnante dal 616 per una generazione, effettuò diversi lavori pubblici, come il drenaggio delle zone pianeggianti attraverso la Cloaca Massima. Istituì anche un esercito guidato da tre ufficiali, i tribuni militari (tribuni militum), a capo di 3 000 fanti e 300 cavalieri. Viene organizzato anche il sistema elettorale attraverso le curie (dal latino per co-viria, intendendo una riunione di uomini).

Il sesto re, Servio Tullio, riorganizzò l'esercito nella nuova falange oplitica, con una divisione dei cittadini in classi secondo il censo (comizi centuriati),[11] e in tribù secondo la residenza (comizi tributi); le tribù erano divise in quattro urbane (Suburbana, Palatina, Esquilina, Collina) e 17 rurali (poi divenute 31 dal V secolo a.C.). Servio Tullio effettuò anche un primo censimento e la tradizione lo vuole costruttore del tempio di Diana sull'Aventino. Venne introdotto anche l'aes signatum, ossia pani di bronzo contrassegnati.

L'ultimo re, Tarquinio il Superbo, venne cacciato nel 509 a.C., secondo la tradizione a causa dei suoi atteggiamenti arroganti e del disprezzo verso i suoi concittadini e verso le istituzioni romane:[12] si tratta probabilmente delle conseguenze del decadere della potenza etrusca, della quale Roma approfittò per conquistarsi una maggiore autonomia.[13]

Età repubblicana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica romana.

Il conflitto tra patrizi e plebei e la conquista della penisola italica

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Lucio Giunio Bruto è uno dei fondatori della Repubblica romana nel 509 a.C.

I rapporti internazionali di Roma, testimoniati dal primo trattato con Cartagine del 508 a.C., furono bloccati temporaneamente per le tensioni e le guerre con i popoli confinanti quali gli Etruschi guidati da Porsenna,[14] i Latini (che furono sconfitti dai Romani nel 496 a.C. presso il lago Regillo), e varie popolazioni unite come Ernici, Equi, Volsci e Sabini, che i romani sconfissero nel 431 a.C. sul monte Algido.

Inoltre, proprio in questo periodo cominciò il conflitto degli ordini, conflitto politico-sociale tra il ceto dei patrizi e quello dei plebei, che erano privi dei diritti politici e civili dei patrizi e mal sopportavano i privilegi economici degli aristocratici. Dopo una serie di secessioni, la plebe ottenne i suoi rappresentanti politici (tribuni) e l'accesso definitivo a tutte le magistrature (metà del IV secolo a.C.).

Nel frattempo, dopo la guerra contro Veio (per il controllo della valle del Tevere),[15] Roma venne saccheggiata e danneggiata nel 390 a.C. da un incendio appiccato dai Galli guidati dal re Brenno, che con successo avevano già invaso parte dell'Etruria.[16] L'intensità di quella vergogna verrà superata solo dal sacco di Roma nel 410 d.C. Superato lo choc del sacco ad opera dei celti di Brenno, i Romani avviarono una vigorosa espansione nell'Italia centromeridionale, favorita anche dalla necessità di trovare nuove terre da distribuire alla plebe romana e a una città sovrappopolata.[17] Dapprima i Romani si scontrarono con le tribù dei Sanniti (343-295 a.C.) e poi contro i Tarantini aiutati da Pirro (re dell'Epiro), che vennero sconfitti nel 275 a.C. a Maleventum (che da quel momento fu ribattezzato Beneventum). Nel 270 a.C., con la vittoria sui Bruzi che detenevano fino a quel momento il controllo di molte città della Magna Grecia della Calabria centrosettentrionale, anche le poleis greche vennero annesse al territorio romano. Roma si ritrovò così a controllare un territorio che andava dallo Stretto di Messina a sud al fiume Rubicone, presso Rimini, a nord.

L'espansione nel Mediterraneo

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Repubblica romana (264-146 a.C.).

Le guerre contro le diverse popolazioni italiche, contro i Galli, i Cartaginesi e i Macedoni, porteranno a consolidare il dominio sull'Italia e a iniziare l'espansione in Spagna, in Macedonia e in Africa. Data simbolo di questa espansione nel Mediterraneo è il 146 a.C., anno in cui, dopo un assedio durato tre anni (Terza Guerra Punica) e altrettante guerre combattute (Prima Guerra Punica e Seconda Guerra Punica) nell'arco di più di un secolo contro Roma, cadde definitivamente Cartagine, la quale venne completamente rasa al suolo dalle truppe romane comandate da Publio Cornelio Scipione Emiliano. Anche Corinto, città simbolo della resistenza greca alla politica di espansione romana, venne conquistata e distrutta. Con queste due grandi vittorie, Roma abbandonò il ruolo di potenza regionale nel Mediterraneo Occidentale per assurgere a superpotenza incontrastata di tutto il bacino,[18] il quale d'ora in poi, non a caso, verrà rinominato mare nostrum.

I problemi connessi ad una espansione così grande e repentina[19] che la Repubblica dovette affrontare furono enormi e di vario genere: le istituzioni romane erano fino ad allora concepite per amministrare un piccolo Stato; adesso le province (da non confondere con le colonie romane propriamente dette, le quali erano stanziamenti di cittadini romani a pieno titolo, cives optimo iure in territori extracittadini soggetti all'amministrazione e organizzazione diretta dello Stato romano) si stendevano dall'Iberia, all'Africa, alla Grecia, all'Asia Minore.

Il contatto con la cultura ellenistica

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Repubblica romana (146-31 a.C.).

Anche la struttura originale della famiglia, delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca e l'arrivo nella città di moltissimi schiavi ellenici (in molti casi più colti e istruiti dei loro stessi padroni) generò nel popolo romano, specialmente tra la classe dirigente, sentimenti e passioni ambivalenti: i Romani si divisero tra chi voleva conservare e chi invece desiderava innovare i costumi rurali romani - mos maiorum -, introducendo usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente. L'accettazione della cultura ellenistica fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi, crescesse significativamente - basti pensare all'introduzione della filosofia, della retorica, della letteratura e della scienza greca. Tutto ciò naturalmente non accadde senza provocare una strenua opposizione e resistenza da parte degli ambienti più conservatori, reazionari e anche retrivi della comunità romana.

Costoro si scagliarono contro le culture extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità, di sacrilegio nei confronti delle abitudini religiose romane. Questi due opposti schieramenti furono ben rappresentati da due gruppi di potere di eguale importanza, ma di radicalmente opposta visione: il circolo culturale degli Scipioni, che diede a Roma alcuni tra i più dotati comandanti militari della storia (l'Africano su tutti), e il circolo di Catone, il quale lottò accanitamente contro l'ellenizzazione del modo di vivere romano con una tenacia e un vigore che diventarono leggendarie (o famigerate a seconda dei punti di vista), tutto a favore del ripristino del più antico, genuino ed originale mos maiorum, quell'insieme di costumi e usanze tipiche della Roma arcaica che, secondo Catone, avevano permesso al popolo romano di rimanere unito di fronte alle avversità, di sconfiggere ogni sorta di nemico, di piegare il mondo al proprio volere.

Questo scontro tra nuovo e antico, come è facile immaginare, non si placò fino alla fine della repubblica, anzi possiamo dire che questo scontro tra "conservatorismo" e "progressismo" è stato presente in tutta la storia romana, anche nel periodo imperiale, a testimonianza di quale trauma deve essere stato la scoperta, il contatto e il confronto con civiltà al di fuori dei brulli paesaggi laziali.

La crisi della Repubblica

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre civili (storia romana).

La crisi della piccola proprietà terriera

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Gaio Mario, un homo novus e generale che riformò drasticamente l'esercito romano

Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immisero sul "mercato" una quantità enorme di schiavi, i quali vennero usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, con ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano. Infatti la piccola proprietà terriera andò rapidamente in crisi a causa della maggior competitività dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero).[20] L'impoverimento della classe dei piccoli proprietari provocò da una parte la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani[21] e una grande quantità di merci a buon mercato,[22] dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano: tutte quelle famiglie costrette a lasciare le campagne si rifugiarono a Roma, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi, dando origine a pericolose tensioni sociali (tentativi di riforme democratiche da parte dei fratelli Gracchi) abilmente sfruttate dai politici più scaltri.[23]

Strumento delle nuove conquiste, ma anche delle violente guerre civili, fu la nuova, formidabile organizzazione dell'esercito progressivamente sviluppatasi, poi sancita dai provvedimenti di Gaio Mario intorno al 107 a.C.[24] A differenza di quello precedente, formato da cittadini-contadini ansiosi di tornare ai propri campi una volta finite le campagne belliche, questo era un esercito stanziale e permanente di volontari arruolati con ferma quasi ventennale, ovvero un esercito di professionisti attratti non solo dal salario, ma anche dal miraggio del bottino e dalla promessa di una terra alla fine del servizio. I proletari ed i nullatenenti vi si arruolarono in massa. Non era tanto un esercito di cittadini motivati dal senso del dovere, ma piuttosto di militari legati dallo spirito di corpo e dalla fedeltà al capo.[25]

Nel I secolo a.C. la Repubblica cominciò a cedere: si affermarono, infatti, forti poteri personali dei personaggi politici più influenti che, facendosi interpreti dei bisogni delle masse meno favorite (fazione dei populares) o della necessità di mantenere il controllo nelle mani delle principali e più ricche gentes che controllavano il Senato (fazione degli optimates), porteranno a diverse guerre civili: Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo, Ottaviano contro Marco Antonio.

Nonostante le fortissime tensioni politiche interne, arriveranno comunque altre conquiste: la Numidia grazie alla campagna di Mario contro Giugurta; la Bitinia, il Ponto, l'isola di Creta, la Cilicia e la Siria con le campagne militari di Pompeo contro i pirati e Mitridate VI del Ponto; la Gallia con le legioni guidate da Giulio Cesare.

La Repubblica dovette affrontare anche un grande tentativo di invasione da parte di tribù germaniche (guerre cimbriche), gravi rivolte di schiavi in Sicilia e nel Sud Italia (guerre servili e, soprattutto, la guerra sociale (90-88 a.C.) contro una coalizione di Italici, che si concluse con la vittoria romana, ma nello stesso tempo con la concessione della cittadinanza romana a tutti i popoli della penisola italica.

Età imperiale

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero Romano.
 
L'impero romano raggiunse la sua massima estensione nel 117

«Anche se spietati in guerra, nella sottomissione delle nazioni vinte e nella repressione delle rivolte, non c'è stato dominio nella storia che abbia saputo legare a se stesso tanta parte della cultura e della classe dirigente dei sudditi: con il consenso, e non solo con la violenza»

La tesi secondo cui il dominio di Roma ormai si estendesse su un territorio troppo vasto e fosse troppo complicato per le strutture della Repubblica gestirlo,[27] provocando così la nascita del Principato, è ancora valida.[28] Le ragioni dell'ascesa di un modello di governo centrale su base sempre più spiccatamente personale si devono ricercare, tuttavia, anche nel declino del governo senatoriale della Repubblica Romana, il cui primo atto va riallacciato alla figura emblematica di Scipione Emiliano. La diffusione di un sempre più marcato senso individualistico a Roma ha sicuramente traccia nella diffusione di effigi monetali ritraenti non più solo il più rappresentativo degli antenati del magistrato in carica, ma spesso il magistrato medesimo. Questo processo si manifestò in concomitanza con la penetrazione dei valori della civiltà ellenistica, favorita indubbiamente dalla conquista romana delle pòleis elleniche sulle coste della Magna Grecia (Italia meridionale) e della Sicilia, e sospinta dalla conquista romana della Macedonia, della Grecia e di gran parte del mondo ellenistico, ad eccezione dell'Egitto dominato dalla dinastia Tolemaica (l'Egitto venne comunque sottoposto a un sempre più pressante protettorato).

Il ricorso sempre più assiduo al mandato della dittatura iniziato con Gaio Mario, stravolse poi la portata costituzionale della magistratura dittatoriale, prevista dall'ordinamento repubblicano, fino all'esito della dittatura sillana, intesa come mandato a restaurare lo Stato romano in senso conservatore-oligarchico (a favore degli optimates) e non pervenuta ad un esito monarchico per l'esclusiva volontà di Silla. La dittatura cesariana (46-44 a.C.) riprese in pieno il modello sillano, seppur partendo da un campo politico opposto (quello dei populares, gli oligarchi più propensi ad usare la demagogia sul popolino, il vulgus, per assumere il potere) e formalizzò il rifiuto di un esito monarchico naturale adducendo la ragione del rifiuto culturale della Romanità per l'istituto monarchico ufficiale.

Alto Impero (31 a.C. - 284 d.C.)

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Alto Impero romano.
 
Il centro di Roma al tempo dell'Impero Romano

L'ascesa di Augusto (44-30) attraverso la partecipazione ad un istituto apertamente sovversivo come il "secondo" Triumvirato, si formalizzò nel 27 a.C. nella rinuncia ai poteri dittatoriali ormai estesissimi in cambio di un cooptato riconoscimento senatoriale di un "bisogno dello Stato romano" ad una figura di guida e di ispirazione politica del governo: con l'appellativo di Augusto, Ottaviano inaugurò così quel particolare istituto costituzionale romano noto come principato (da princeps senatus, presidente del Senato), erroneamente talvolta chiamato "impero" per l'appellativo di imperator assunto da Augusto, dimenticando che tale termine nella Repubblica non designava altro che il generale vittorioso e che la creazione di un'amministrazione decentrata attraverso la creazione di provinciae risaliva già al 237 a.C., con la conquista della Sicilia.

L'abilità di Augusto, in sostanza, risiede nel fatto che seppe imporre un governo personale, dotato di poteri amplissimi (imperium proconsolare maius et infinitum, cioè un comando superiore a quello dei proconsoli su tutte le province e gli eserciti; tribunicia potestas, ovvero l'inviolabilità, il diritto di veto e la facoltà di proporre e fare approvare le leggi; carica di pontifex maximus, che poneva sotto il diretto controllo anche la religione), camuffandolo da Repubblica restaurata, tramite la rinuncia formale alle cariche eccezionali tipiche della dittatura (rinuncia al consolato a vita, alla dittatura, ai titoli di re o di signore-dominus), non urtando così la suscettibilità della classe aristocratica, che aveva accettato il compromesso della cessione del potere politico e militare in cambio della garanzia dei propri privilegi sociali ed economici.

Per tutto il primo secolo continuò l'accrescimento territoriale dell'Impero (nuove province: Rezia, Norico, Pannonia, Mesia, Galazia, Egitto, Cappadocia, Britannia) sotto le dinastie dei Giulio-Claudii, e dei Flavi. Sotto Traiano, con la conquista della Dacia e di nuovi territori in Oriente, l'Impero raggiunge la sua massima estensione (117 d.C.). Sotto la dinastia degli Antonini si ebbe un periodo di pace e prosperità, sebbene verso la fine cominciò ad essere sempre più pressante il compito di difendere i confini dell'impero dalla pressione dei nemici esterni.

La crisi del principato, avviatasi già alla morte di Marco Aurelio, si concretizzò nell'ascesa di Settimio Severo (193-211) e nella riforma dell'istituto del principato, ormai estraneo alle dinamiche dell'ambito senatoriale e dominato da quelle dell'esercito. La monarchia militare severiana (193-235), seppure ripescò talvolta la necessità di una legittimazione senatoria, fu il preludio dell'avvento del dominato (285-641), dopo la fase assai dinamica dell'anarchia militare (235-285). Dopo la dinastia dei Severi, per tutto il III secolo saranno infatti le legioni a proclamare imperatori che spesso regneranno solo per brevi periodi e saranno perennemente impegnati in campagne militari di difesa dei confini dalle penetrazioni barbariche e di mantenimento del proprio potere dai rivali interni. La crisi economica fu anche crisi ideale e si diffuse il Cristianesimo, in parte combattuto ed in parte tollerato.

Tardo Impero (284-476 d.C.)

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano.

Con la Tetrarchia voluta da Diocleziano cominciò la divisione dell'Impero e vennero avviate profonde riforme nel tentativo di fissare lo status quo. Roma finì per perdere il suo ruolo di sede imperiale a favore di metropoli più vicine alle frontiere da difendere. Inoltre, in Oriente venne fondata da Costantino I sul sito della città di Bisanzio la "Nuova Roma", Costantinopoli.

La progressiva adozione della religione cristiana (che di converso si istituzionalizzò a contatto con lo Stato romano, assumendone tratti organizzativi e alcuni modelli iconografici) avviata da Costantino (306-337), si concluse, dopo periodi di oscillazione tra scelte protoereticali (Costanzo II, 337-361) e tentativi di restaurazione dei culti tradizionali, mediante l'organizzazione di un'istituzione ecclesiale parallela a quella civile (Giuliano, 361-363), con l'adozione ufficiale del culto cristiano (Teodosio I, 379-395). Nel successivo IV secolo il cristianesimo divenne progressivamente l'unica religione.

Nel IV secolo, l'Impero romano, piegato da una inarrestabile crisi politica ed economica ed incapace di respingerne le invasioni, fu costretto ad accettare sempre più frequentemente lo stanziamento di popoli germanici ("barbari") nei suoi territori.

Fine dell'Impero romano d'Occidente

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Tarda antichità, Impero romano d'Occidente e Impero romano d'Oriente.

Nel V secolo l'impero d'Oriente e quello d'Occidente erano ormai stabilmente divisi. Nell'Impero d'Occidente, ridotto ormai quasi alla sola Italia, Roma subì il sacco dei Visigoti di Alarico I nel 410 e quello dei Vandali di Genserico nel 455. Erano ormai i generali di origine germanica che difendevano l'Impero a esercitare un enorme potere, arrivando a creare e deporre imperatori a loro piacimento.

Nel 476 il re barbaro Odoacre depose l'imperatore Romolo Augusto e Costantinopoli lo riconobbe come rappresentante imperiale in Italia di Giulio Nepote, l'imperatore precedente che dalla Dalmazia ancora governava, almeno formalmente, sulla parte occidentale dell'impero. Odoacre coniò monete a nome di Giulio Nepote fino alla morte dell'imperatore nel 480, quando annesse la Dalmazia, segnando definitivamente la fine dell'Impero romano d'Occidente, e con esso l'inizio dell'Alto Medioevo.

Discografia

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  • Synaulia, La musica dell'antica Roma, Vol. I – Gli strumenti a fiato - Amiata Records Arnr 1396, Firenze, 1996
  • Synaulia, La musica dell'antica Roma, Vol. II – Gli strumenti a cordaAmiata Records, Arnr 0302, Roma, 2003
  1. ^ Giardina, 2000, introduzione.
  2. ^ Rendina, 2007, 19.
  3. ^ De Bernardis-Sorci, 2006 I, 7.
  4. ^ Ruffolo,  p. 10.
  5. ^ Giardina, 2000, XXXI; cfr. Vitruvio, De architectura, 6,1,10 e Tito Livio, Ab urbe condita, 5,54.
  6. ^ Ruffolo, p. 9.
  7. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 212.
  8. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 210.
  9. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 213.
  10. ^ Francesco De Martino ha accuratamente calcolato che, all'inizio del VI secolo a.C., Roma occupava un territorio di 150 chilometri quadrati con 10 000 abitanti; alla fine della monarchia etrusca, cento anni più tardi, il suo territorio si estendeva invece su 820 chilometri quadrati, con una popolazione di 50 000 abitanti: Roma era diventata, quindi, non solo una delle più grandi città italiche (la potente Siracusa in quel periodo contava circa 40 000 abitanti), ma una rispettabile potenza mediterranea (Francesco De Martino,Storia economica di Roma antica, La Nuova Italia, 1980).
  11. ^ Allo Stato romano mantenere la legione oplitica, in fondo, costava poco: erano gli stessi cittadini-soldati a finanziarla, a proprie spese, fino alla conquista della penisola (Ruffolo,  p. 46).
  12. ^ Secondo alcuni studiosi, combinando diversi dati storici e archeologici, si può ragionevolmente concludere che Tarquinio il Superbo fu cacciato non da una rivolta popolare, ma da un altro re etrusco, Porsenna, re di Chiusi, che si impadronì di Roma, prima di essere sconfitto da una coalizione latino-cumana nella battaglia di Aricia (sulla battaglia e le sue conseguenze vd. in particolare Giulio Giannelli, La data e le conseguenze della battaglia di Aricia, in Ricerche Barbagallo, vol. I pp. 391 ss., Napoli 1970). Secondo altri storici, invece, il dominio che il patriziato sembra avere esercitato sulla prima Repubblica induce a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire a una violenta rivolta (confermata anche dall'odio feroce che l'aristocrazia romana dimostrò nei confronti dell'istituto monarchico in tutto il corso dell'età repubblicana) del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato notevolmente i suoi caratteri autocratici (Geraci e Marcone, Storia Romana, Le Monnier, 2004)
  13. ^ Secondo Giorgio Ruffolo, la fine della monarchia etrusca e l'instaurazione dell'oligarchia chiusa di proprietari terrieri (regime repubblicano dei "patrizi") segnò da un lato l'emarginazione politica dei ceti commerciali e artigiani (i "plebei"), che erano stati favoriti dai re etruschi, dall'altro una catastrofe politica ed economica: le terre conquistate sotto i Tarquini vennero perdute sotto gli attacchi concentrici di Latini, Equi e Volsci dal sud ed Etruschi dal nord, mentre l'economia tornò alle forme modeste di un'economia agricola povera (Ruffolo).
  14. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 225.
  15. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 230.
  16. ^ Cantarella-Guidorizzi, 2002 I, 231.
  17. ^ Giorgio Ruffolo fa un'interessante considerazione sulle differenze fra la deduzione di colonie romana e la colonizzazione greca e fenicia. Quest'ultima era di tipo "diffusivo", ovvero Greci e Fenici fondavano colonie di là dal mare che presto si distaccavano politicamente dalla madre patria. La colonizzazione romana era invece di tipo "cumulativo", ovvero si trattava di una progressiva espansione terrestre di Roma stessa, che presidiava e consolidava con i suoi cittadini-soldati i territori appena conquistati (Ruffolo,  pp. 16-17).
  18. ^ Giorgio Ruffolo afferma che Roma è diventata un impero da città-stato qual era, saltando la dimensione che oggi diremmo "nazionale". Nel II secolo a.C. si assiste, infatti, alla nascita della Repubblica imperiale. Nell'antichità le forme dello Stato erano sostanzialmente due: la città-stato e l'Impero. Per Ruffolo, Roma è la sola che le abbia percorse entrambe (Ruffolo, , p. VII).
  19. ^ Giorgio Ruffolo ha individuato essenzialmente due ragioni per spiegare la rapida espansione di Roma: la spinta demografica, ma anche la forza propulsiva della costituzione politico-militare romana. Roma è una città basata sostanzialmente sulla guerra, in cui la struttura militare coincide con quella politica. La conquista di terre consente di contemperare gli interessi dell'aristocrazia (classe senatoriale) con quelli della plebe (il popolo romano). In questa espansione si crea una solidarietà patriottica che non aveva riscontro in nessuna altra città. Ma la grandezza di Roma fu il risultato non solo della sua potenza militare, ma soprattutto della sua abilità nel tenere insieme ed integrare politicamente le varie parti di un Impero così velocemente conquistato. Il dominio politico romano fu il più capace tra quelli dell'antichità di suscitare consensi e gettare radici, lasciando segni nel paesaggio, nella lingua, nella cultura, nel diritto delle nazioni (Ruffolo,  pp. 19-20).
  20. ^ Il ceto dei piccoli proprietari terrieri era in difficoltà a causa, infatti, da una parte del "prelievo" dovuto alle continue guerre, dall'altra della pressione dei grandi proprietari, che estendevano i loro domini attraverso l'evizione dei coloni debitori o l'acquisto dei loro fondi (Ruffolo,  p. 18).
  21. ^ Per Giorgio Ruffolo si assiste proprio in questo periodo alla prima divisione economica in Italia: la piccola proprietà agricola (economia essenzialmente di autoconsumo) venne confinata nelle zone interne e nel nord della penisola, mentre nel sud e in Sicilia prevalsero i latifondi (coltivazione estensiva e pascolo) lasciati gestire dai padroni ad affittuari poveri o schiavi (Ruffolo,  p. 24).
  22. ^ La fusione degli antichi strati del patriziato con i nuovi ceti di ricchi plebei affermatisi grazie allo sfruttamento dei traffici commerciali fa nascere una nuova nobiltà, la cosiddetta nobilitas: una élite dominante aperta, a differenza di quella antica e isolazionista dei patrizi, perché accessibile attraverso le carriere politiche elettive (Ruffolo,  p. 17).
  23. ^ Il II secolo a.C. è il secolo dei Gracchi e delle rivendicazioni democratiche. I Gracchi cercarono, senza successo, di unire contro la nobilitas i nuovi proletari confluiti nell'urbe, i soci italici emarginati politicamente dalle conquiste e il nuovo ceto degli equites. Alla fine sarà la "democrazia militare", invece che quella "rurale", ad assumere il ruolo di antagonista dell'aristocrazia (Ruffolo,  p. 18).
  24. ^ Giovanni Brizzi, Il guerriero, l'oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico, Il Mulino, 2008.
  25. ^ Ruffolo,  p. 49.
  26. ^ Ruffolo, 2004, p. 53.
  27. ^ Da una popolazione di 10 milioni su 150.000 chilometri quadrati alla fine delle guerre puniche, il dominio romano passò all'inizio del I secolo d.C. a una popolazione di 55 milioni su una superficie di 3,3 milioni di chilometri quadrati (Ruffolo,  p. 22)
  28. ^ Come è quasi unanimemente sottolineato non solo dalla storiografia ma anche dal pensiero politico di età moderna, l'ultimo secolo dell'età repubblicana (133-31 a.C.) aveva mostrato che il sistema di governo guidato dall'oligarchia senatoria era inadeguato, e ciò per la sproporzione sempre maggiore fra la crescente estensione dell'Impero, che richiedeva pronte decisioni e interventi tempestivi, e gli organi dello Stato repubblicano, lenti e macchinosi. Inoltre, lo Stato era così lacerato da interminabili conflitti interni tra le classi e tra i capi militari, che ormai si sentiva il bisogno di una pacificazione generale, che potesse ridare stabilità e legalità. L'idea di un princeps o primo cittadino al di sopra delle parti, capace col suo prestigio di guidare la vita pubblica senza modificare le istituzioni, era ormai sentita come una necessità. Persino l'oligarchia senatoria, spaventata dalle violenze popolari e dalla ferocia delle guerre civili, sembrava ormai disposta a spartire il potere politico e militare con un "protettore" che sapesse garantire insieme il buon governo ed i privilegi e le ricchezze dell'aristocrazia (su questo aspetto vd. in particolare Ettore Lepore, Il princeps ciceroniano e gli ideali politici della tarda repubblica, Napoli 1954).

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