Klara Milič
Klara Milič (titolo originale in russo: Клара Милич (После смерти)) è l'ultimo lavoro letterario dello scrittore russo Ivan Sergeevič Turgenev, scritto tra agosto e ottobre 1882 a Bougival e pubblicato in patria sul Vestnik Evropy nel numero di gennaio del 1883. Il racconto è la sottile analisi psicologica dell'anima di un giovane che scopre di amare una donna solo dopo il suicidio di lei.
Klara Milič | |
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Titolo originale | Клара Милич (После смерти) |
Autore | Ivan Turgenev |
1ª ed. originale | 1882 |
Genere | racconto |
Sottogenere | drammatico, psicologico, fantastico |
Lingua originale | russo |
Ambientazione | Mosca, 1878 |
Protagonisti | Jakov Aratov, Katerina Milovidova (Klara Milič) |
Storia dell'ideazione e pubblicazione
L'idea della storia fu ispirata a Turgenev nel dicembre nel 1881 da un fatto realmente accaduto: l'amore dello zoologo Vladimir Alenicyn per l'attrice e cantante lirica Evlalja Kadmina, un amore che assunse connotazioni patologiche giacché scoppiò dopo il suicidio della donna. La vicenda di questa passione inusuale fu raccontata allo scrittore dall'amico Jakov Polonskij. In una lettera del 20 dicembre 1881 (1 gennaio 1882)[1] a lui diretta scrive: «Assai singolare è la vicenda psicologica dell'amore postumo di Alenicyn che mi avete reso noto. Da ciò si può ricavare un racconto semi fantastico nello stile di Edgar Poe». La stesura del racconto è però cominciata tempo dopo, come risulta da una lettera a Michail Stasjulevič del 14 (26) agosto 1882 nella quale annuncia di aver cominciato pochi giorni prima a scriverlo. L'opera fu in linea di massima realizzata già il 3 (15) settembre, quando fu inviata in lettura al critico letterario Pavel Annenkov che apprezzò moltissimo il racconto e consigliò a Turgenev di darlo alle stampe senza alcuna modifica, essendo privo di anche una sola «riga falsa, di una sbavatura, di enfasi, o di uno slancio troppo esasperato della fantasia».
Il 7 (19) ottobre Stasûlevič fu informato da Turgenev dell'invio del suo racconto, un manoscritto di settantaquattro pagine, dal titolo Posle smerti (Dopo la morte), che fu poi pubblicato sul numero di gennaio del Vestnik Evropy con la modifica del titolo in Klara Milič. A detta dell'editore, infatti, il titolo originale era «lugubre». Nel suo diario Turgenev annota il 12 gennaio 1882[2] che il giorno dopo il suo racconto sarebbe apparso sul Vestnik Evropy e il 15 sulla Nouvelle Revue con il titolo da lui scelto Après la mort. Dal carteggio di Turgenev con gli amici si evince comunque che lo scrittore non si risentì per il cambio del titolo imposto da Stasûlevič senza neppure consultarlo in merito. In seguito il titolo originale nella versione russa sarà aggiunto come sottotitolo.
Alencyn, a quanto riferito da Polonskij, non gradì il lavoro di Turgenev, ritenendo che nessuno, fuorché lui, poteva comprendere l'animo della Kadmina, ed era altresì infuriato con lui perché questi aveva parlato di Evlalija e del suo amore per lei allo scrittore, essendo la donna sua e di nessun altro.[3] Ma chi era Evlalija Kadmina?
Evlalija Kadmina
Evlalija Pavlovna Kadmina nacque a Kaluga il 7 (19) settembre 1853 dal mercante Pavel Maksimovič e dalla bellissima zingara Anna Nikolaevna, rapita, secondo la voce corrente, da un campo di gitani, ma altri assicuravano che era stata portata via da un coro musicale tzigano di Mosca e poi sposata. Eulalja fu la terza figlia della coppia. All'età di dodici anni il padre la mandò a studiare presso l'Istituto di Elisabetta,[4] di Mosca, che curava l'educazione di fanciulle povere. Avendo una voce meravigliosa, cantava spesso per i visitatori dell'Istituto e in una di queste occasioni, quando aveva diciassette anni, fu notata da Nikolaj Rubinštejn, che la convinse a frequentare il Conservatorio e non mancò di aiutarla economicamente.
La prima apparizione sul palcoscenico della Kadmina fu l'anno seguente come contralto nel ruolo di Orfeo nell' Orfeo ed Euridice di Gluck, mentre come professionista esordì nel 1873, quando si fu diplomata al Conservatorio, al Bol'šoj nel ruolo di Vanja nell'opera di Glinka Una vita per lo Zar. Nel 1875 iniziò a lavorare al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, ma la sua voce fu giudicata da alcuni settori della critica non abbastanza potente per gli standard del Teatro della capitale e lei, carattere orgoglioso e sensibile, tornò a Mosca per poi lasciarla e partire alla volta dell'Italia. Qui si perfezionò nel canto e si provò come soprano. Cantò a Napoli, Torino, Firenze e Milano, suscitando interesse anche per la sua tenebrosa bellezza. A Milano si ammalò e fu curata dal medico Ernesto Falconi, che sposò. Lavorò quindi a Kiev, ma la sua passione per i ruoli da soprano finì col rovinarle presto la voce. Intanto a causa della gelosia del marito, il matrimonio naufragò nel 1880: Ernesto tornò in Italia e lei andò a lavorare presso il teatro dell'Opera di Kharkiv.
Senza più voce, dovette ripiegare sul teatro drammatico. Il suo debutto come attrice la vide interpretare il ruolo dell'Ofelia shakespeariana. Fu un grande successo e altri ne seguirono. Il pubblico l’adorava, ma Evlalija era sempre più depressa e infelice. Nel 1881 la donna s'innamorò di un ufficiale appartenente a una nobile famiglia decaduta, sennonché lui decise presto di sposarsi e di cercare perciò un buon partito. Il 4 (16) novembre 1881 Evlalija stava interpretando sul palcoscenico il ruolo di Vasilisa Melent'eva nell'omonima commedia di Ostrovskij, quando vide l'amato con la sposa tra il pubblico. Durante l'intervallo Evlalija prese la scatola di fiammiferi che aveva in camerino, sciolse le capocchie di fosforo nel bicchiere e bevve il veleno. Tornata sul palcoscenico, cadde svenuta poco dopo, per morire al termine di sei giorni d'agonia.[5]
La trama
«Era tutta fuoco, tutta passione, tutta contraddizione: vendicativa e buona, generosa e astiosa, credeva nel destino e non credeva in Dio […]; amava tutto ciò che era bello, ma non si curava della propria bellezza e si vestiva come capitava; non sopportava che i giovani le facessero la corte, ma nei libri leggeva soltanto le pagine in cui si parlava d'amore; non voleva piacere, non amava le carezze, e non dimenticava mai una carezza, così come non dimenticava un'offesa; aveva paura della morte e si era uccisa! A volte diceva: "Uno come voglio io non lo troverò… e degli altri non ho bisogno!". "Ma se lo incontri?" le chiedeva Anna [sorella di Klara]. "Se l’incontro… lo prenderò." "E se lui non si lascia prendere?" "Allora… mi ucciderò. Questo vorrà dire che io non valgo nulla…"»
Il venticinquenne Jakov Andreevič Aratov, orfano, vive a Mosca con la zia paterna Platonida Ivanovna, detta affettuosamente Platoša, che si dedica solo a lui e invoca continuamente il soccorso del Signore perché protegga il nipote. E’ un giovane dai tratti delicati, debole di salute, molto nervoso, sensibile, apprensivo, che conduce una vita appartata, allietata dai libri, ex studente per mancanza di fiducia nell'istruzione universitaria e ambizione di entrare nel servizio statale, che crede nella scienza e nei misteri insolubili dell’anima umana, nonché nell’esistenza di forze e influssi inspiegabili, in ciò influenzato dal padre. Vergine d'animo e di corpo, non ha mai conosciuto una donna a causa dell'«innato pudore», vigile nel frenarne gli slanci emotivi.
Un giorno il suo unico amico, l'esuberante Kupfer, riuscì a persuaderlo a intervenire a una serata da una certa principessa georgiana «dalla personalità indefinibile», protettrice di artisti e grande conoscitrice di musica. Aratov, seppur riluttante, accetta l'invito, ma a metà serata torna a casa afflitto da una sensazione di malessere che non sa a cosa riferire. Qualche tempo dopo Kupfer prega l'amico di assistere a una «matinée letterario-musicale» organizzata da lui e dalla principessa. Una delle partecipanti è una ragazza dai molteplici talenti di nome Klara. A sentire questo nome Aratov ha un sussulto perché ha da poco letto il romanzo di Walter Scott Le fonti di Saint-Roman, nel quale due fratellastri si contendono l'amore di Clara Mowbray, una fanciulla che finisce con l'impazzire per le forti emozioni vissute, e conosce una poesia di Krasov (1810-1854) dedicata a questo personaggio, la cui chiusa, che rimarca l'infelice destino della donna, lo aveva particolarmente colpito.[6] Quando Klara compare sul palcoscenico Aratov ricorda di averla già vista alla serata dalla principessa e realizza che era stata lei a lasciargli quel senso inspiegabile di turbamento.
La ragazza, l'espressione del cui «viso olivastro dai tratti vagamenti ebraici o zingareschi, gli occhi... neri, sotto folte sopracciglia, il naso dritto un po' all'insù, le labbra sottili con una curva bella ma marcata, una enorme treccia nera, di cui si indovinava la pesantezza, la fronte bassa, immobile, quasi pietrificata», denota una natura impetuosa, decisa, non gli piace. Lei, invece, che scortolo tra il pubblico mostra di rallegrarsene, comincia a fissarlo e per tutta la sua esibizione guarderà «attraverso le palpebre socchiuse» solo lui. Canta una romanza di Glinka e una di Čajkovskij, mostrando particolarmente in quest'ultima, dal titolo No, solo chi ha conosciuto il desiderio di un incontro, una grande emozione allorché intona gli ultimi due versi: «Comprenderà quanto ho sofferto e quanto io soffro». Dopo essersi esibita come cantante, Klara offre un saggio di recitazione, declamando la celebre lettera di Tatjana a Onegin, nel capolavoro di Puškin. E anche questa volta Klara si anima quando pronuncia queste significative parole: «Un altro!... No, a nessun altro al mondo darei il mio cuore! Tutta la mia vita è stata un pegno del fedele incontro con te», e guarda con arditezza il solo Aratov. Poi rovina gli ultimi versi, ma il pubblico no se ne cura e chiede il bis; Jakov, invece, fugge via turbato da quegli occhi sfrontati sempre posati su di lui.
La modestia non fa neppure immaginare a Jakov di aver potuto suscitare un sentimento d'amore in una donna e comunque Klara non somiglia alla donna dei suoi desideri. Il giorno successivo riceve un biglietto anonimo nel quale lo sconosciuto estensore gli chiede un rendez-vous per l'indomani nel centrale boulevard Tverskoj. Aratov indovina subito che l'invito viene da Klara e ne è parecchio indispettito: soprattutto non gradisce la sfrontatezza di un modo di fare tanto scoperto e teme il ridicolo insito nell'incontro tra due sconosciuti. Deciso a non recarsi all'appuntamento, tuttavia si presenta sul luogo convenuto perfino in anticipo.
Giunge Klara. Con tanta timidezza lo ringrazia di essere venuto. Aratov inizia a dire di essersi presentato solo perché invitato e per «dissipare» l’eventuale malinteso che può averla indotta a fare questo passo. Dalle mezze parole di Klara si intuisce che lei aveva visto fin dalla prima volta in lui qualcosa che l'aveva fatta innamorare e sperare che il sentimento potesse essere reciproco. Aratov si mette sulla difensiva e Klara lo rimprovera di non aver capito quanto le fosse costato scrivergli, di aver temuto solo per la sua dignità e essersi fatto di lei un’opinione sbagliata. Il silenzio di Aratov, disorientato e inesperto nelle faccende di cuore, esaspera la focosa Klara che scoppia in una fragorosa risata nervosa e si allontana. Trascorso un po' di tempo, capita tra le mani di Aratov un vecchio numero di un giornale moscovita dal quale apprende che Klara si è suicidata a Kazan' ingerendo del veleno proprio in teatro, e che il movente del gesto è da ricercare in un amore infelice.
Sconvolto, Jakov si reca da Kupfer. Viene a sapere che Klara, il cui vero nome è Katerina Semënovna Milovidova, era una ragazza dal carattere ribelle, fiera, inaccessibile, dalla condotta esemplare e perciò «l’amore infelice» chiamato in causa dal giornale era di sicuro una frottola. Quella notte Jakov fa uno strano sogno nel quale vede una donna vestita di bianco, dal volto indistinguibile, e con una coroncina di rose rosse sul capo correre sulla neve, e all’improvviso lui si ritrova sdraiato a terra assieme a lei, «come un’effigie tombale». Lei prende vita, si solleva e fugge lontano, mentre Aratov non può più muoversi. Poi la donna torna verso di lui: è Klara. Kakov si sveglia e decide di partire per Kazan'. Porta con sé l’impressione che durante la notte qualcuno sia penetrato in lui e lo tenga ora in suo potere.
A Kazan' Aratov ha un lungo colloquio con Anna, la sorella maggiore di Klara e da lei apprende che la fanciulla era stata promessa a un giovane mercante, che l’aveva rifiutato due settimane prima del matrimonio, ritenendolo vile, contro la volontò paterna, che aveva poi conosciuto un’attrice ed era partita con lei. Anna conferma che Klara non aveva una storia d'amore in atto: «Chi poteva raggingere quell'ideale di onestà, di sincerità, di purezza... sì, di purezza che, nonostante tutti i suoi difetti, si ergeva sempre davanti a lei?». Anna presta a Jakov il diario di Klara e gli regala una sua fotografia in abito di scena. Aratov strappa la pagina dove Klara parla del matinée in cui ha veduto per la seconda volta l'uomo che tanto l'ha colpita, e rimanda ad Anna il quadernetto, quindi torna a casa.
Jakov non è persuaso di amare Klara, ma è sicuro di essere suo prigioniero: lei non aveva forse detto a sua sorella che se avesse trovato l'uomo giusto, se lo sarebbe preso? E lui sente di essere stato preso. L'anima è immortale e la sua influenza può proseguire dopo la morte, ma cosa le ha dato il potere su di lui? Jakov non ha dubbi che sia stata la purezza: «È pura e anch'io sono puro...».
La notte stessa comincia a sentire la voce di Klara e attende di vederla. Scorge un chiarore, si alza dal letto e scopre che è la zia Platoša a essere entrata nella sua stanza e non la donna morta. La zia afferma di averlo sentito gridare di essere salvato; pertanto forse Jakov ha solo sognato e non era sveglio come credeva. L'indomani viene informato da Kupfer che Klara ha ingerito il veleno prima di salire sul palcoscenico e che è riuscita a recitare l'intero primo atto di una piece su «una fanciulla ingannata» con tanto ardore e sentimento come mai aveva fatto prima, secondo quanti hanno assistito allo spettacolo. Aratov prova qualcosa di simile al «disgusto» per quella morte ostentata, una sorta di «posa teatrale mostruosa», e questa riflessione lo aiuta a ricacciare nel profondo gli altri pensieri su di lei. Ma un nuovo sogno interviene a far vacillare il suo precario equilibrio, un sogno in cui tutto sembra arridergli, ricchezza e fortuna, e tuttavia aleggia il presentimento che una disgrazia stia per travolgerlo. E infatti sale su una barca d'oro e vede rattrappita sul fondo una creatura dall'aspetto scimmiesco tenere in mano una fiala con del liquido scuro. All'improvviso la barca è risucchiata in un turbine oscuro, nel quale si materializza la figura di Klara mentre si uccide a teatro. Aratov si sveglia e percepisce la presenza di Klara. La chiama, le parla, sente la mano di lei sfiorargli la spalla, indi la vede seduta di fronte a lui in abito nero. Jakov si lancia verso di lei, le confessa di amarla e la bacia. Un «grido di trionfo» squarcia il silenzio nella stanza. Accorre la zia Platoša e trova Aratov svenuto, incapace di muoversi, pallido e... felice.
«Aveva smesso di [...] dibattersi nell'incertezza, non dubitava più di essere entrato in comunicazione con Klara, di amarla di un amore ricambiato... Di questo non dubitava più. Soltanto... che cosa poteva venir fuori da un simile amore? Si ricordava quel bacio... e un brivido meraviglioso gli percorse dolcemente e rapidamente le membra. "Un bacio simile", pensava, "non se lo sono scambiati neanche Romeo e Giulietta! Ma la prossima volta resisterò meglio... La possiederò..."»
La notte successiva un urlo lacerante fa accorrere da Aratov la zia. Platonida Ivanovna trova il nipote senza sensi sul pavimento. Ha la febbre alta. Durante il delirio parla di un matrimonio consumato e di sapere finalmente cosa sia il piacere. Tornato un attimo in sé, Jakov prega la zia di non piangere e di rallegrarsi invece, perché «l'amore è più forte della morte».[7] Così Aratov muore, con le labbra illuminate da un «sorriso di beatitudine» e con una ciocca di capelli neri femminili racchiusi nella mano destra.
La filmografia
- Posle smerti, film muto del 1915 per la regia di Evgenij Francevič Bauer, con Vitol'd A. Polonskij e Vera A. Karalli.
- Nello stesso anno il regista polacco Edvard Puchal'skij girò un film con lo stesso titolo, ugualmente ispirato al racconto di Turgenev, che nnon si è conservato.
Note
- ^ Le date tra parentesi corrispondono al calendario gregoriano.
- ^ Vivendo in Francia, la data scritta sul diario corrisponde al nostro calendario e non a quello giuliano vigente all’epoca in Russia.
- ^ Ivan S. Turgenev, "Polnoe sobranie sočinenij pisem v tridčati tomach" (Raccolta completa delle opere e delle lettere in trenta volumi), Mosca, 1978, vol. 10, pp. 424-427.
- ^ Così chiamato alla morte della zarina Elizaveta Alekseevna.
- ^ "Biografia di Evlalija Kadmina
- ^ Turgenev ricorda male i versi. Lui scrive: «Infelice Clara! folle Clara! Infelice Clara Mobray», mentre l'esatta citazione è: «Tu, povera Clara, folle Clara. Clara Mowbray dal funesto destino!»
- ^ Citazione dal Cantico dei Cantici, VIII, 6, e incipit del racconto "Vera", incluso nei Racconti crudeli di Villiers de L'Isle-Adam.
Bibliografia
- Ivan S. Turgenev, Il canto dell'amor trionfante e altri racconti, a cura di Stefano Garzonio, traduzione di Francesca Gori, Milano, Feltrinelli editore, 2016.
Collegamenti esterni
- (RU) Analisi critica di "Klara Milič" a cura di Innokentij Annenskij, su az.lib.ru.
- "Posle smerti", film muto del 1915, su youtube.com.