Le metamorfosi (Ovidio): differenze tra le versioni

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|titoloorig = {{la}}Metamorphosĕon libri XV
|autore =
|immagine = Ovidius Naso - Metamorphoses, del MCCCCLXXXXVII Adi X del mese di aprile - 1583162 Carta a1r.jpeg
|didascalia = ''[[Incipit]]'' dell'opera in un volgarizzamento stampato a [[Venezia]] nel 1492
|annoorig = ultimato nell'[[8|8 d.C.]]
|forza_cat_anno = 8
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|genere = [[poema epico]]
|lingua = la
|immagine = Ovidius Metamorphosis - George Sandy's 1632 edition.jpg
|didascalia = Frontespizio di una edizione della ''Metamorfosi'', datata 1632
}}
'''''Le metamorfosi''''' ({{latino|Metamorphosĕon libri XV}}) è un [[poema epico]]-[[Mitologia|mitologico]] di [[Publio Ovidio Nasone]] ([[43 a.C.]] - [[17|17 d.C.]]) incentrato sul fenomeno della [[Metamorfosi (mitologia)|metamorfosi]]. Attraverso quest'opera, ultimata poco prima dell'esilio dell'[[8|8 d.C.]], Ovidio ha perfezionato in versi e trasmesso ai posteri le più celebri storie della [[mitologia]] [[antichità classica|greco-romanaantica]].
 
== Datazione ==
Nell'ultima sua opera (''[[Tristia]]'') composta durantequando lagià ''relegatio''era esule a [[Costanza (Romania)|Tomi]], Ovidio scrisse che le ''Metamorfosi'' non erano ancora state ultimate e che dunque le copie esistenti altro non erano che abbozzi da bruciare<ref name="Fantham, p.4">{{cita|Fantham|p. 4}}.</ref>. Non ci sono dubbi in realtà che il suo lavoro ci sia pervenuto completo. Come ha scritto [[Elaine Fantham]], la sua affermazione altro non era che il tentativo ironico di porsi sullo stesso piano di [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], il quale – come narrava una storia che non sappiamo se essere veritiera o leggendaria – prima della morte chiese che venisse bruciata l{{'}}''[[Eneide]]'' poiché non era ancora stata completata. Solo grazie all'intervento del principe stesso, [[Ottaviano Augusto|Augusto]], il poema si conservò<ref name="Fantham, p.4" />. L'affermazione di Ovidio dunque è da intendersi come un'amara constatazione: lo stesso imperatore che aveva salvato l'opera virgiliana, garantendo di conseguenza la fama eterna dello scrittore, ora aveva distrutto la vita di un altro poeta allontanandolo da Roma e da tutti i suoi affetti<ref name="Fantham, p.4" />.
 
Gli studiosi sono concordi nel datare la composizione dell'opera in un periodo compreso tra il 2 e l'8 d.C.<ref name="Fantham, p.4" /> Ovidio aveva già scritto gli ''[[Amores]]'', la ''[[Medea (Ovidio)|Medea]]'', le ''[[Eroidi]]'', l{{'}}''[[Ars amatoria]]'', i ''[[Medicamina faciei femineae]]'' e i ''[[Remedia amoris]]'', distinguendosi nella corte augustea come scrittore di tematiche prevalentemente amorose e licenziose. Contemporaneamente alle ''Metamorfosi'', Ovidio lavorava anche ai ''[[Fasti (Ovidio)|Fasti]]''.
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== Contenuto e interpretazioni==
Le Metamorfosi, che in 11&nbsp;995 versi raccolgono e rielaborano più di 250 miti greco-romani, sono state definite più volte una "enciclopedia della mitologia classica"<ref>Paulo Farmhouse Alberto, {{collegamento interrotto|1=[http://estudosclassicos.googlepages.com/Cultura-Classica-TP1-1s-07-08.doc "Cultura Clássica"] |data=marzo 2018 |bot=InternetArchiveBot }}. Consulta:Accesso 26/08/2009.</ref>. La narrazione copre un arco temporale che inizia con il [[Chaos (mitologia)|Chaos]] (è lo stato primordiale di esistenza da cui emersero gli dei) e che culmina con la morte di [[Gaio Giulio Cesare]] e il suo [[catasterismo]].
{|
| valign="top" |
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| 416-451
|-
| [[Apollo]] e [[Dafne (mitologia)|Dafne]]
| 452-567
|-
| [[Giove]] ed [[Io (mitologia)|Io]]
| 568-667; 724-747
|-
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| 367-380
|-
| [[Giove]] e [[Callisto]]
| 401-530
|-
Riga 113:
| 633-675
|-
| [[Batto (pastore)|Batto]] e [[Mercurio]]
| 676-707
|-
| [[Mercurio]], [[Aglauro (figlia di Cecrope)|Agraulo]] e [[Erse (mitologia)|Erse]]
| 708-832
|-
| [[Giove]] e [[Europa (figlia di Agenore)|Europa]]
| 833-875
|}
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| 138-259
|-
| [[Giove]] e [[Semele]] - nascita di [[Bacco]]
| 259-315
|-
Riga 172:
| 190-255
|-
| [[Apollo]] e [[Clizia (ninfa)|Clizia]]
| 256-270
|-
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|
|-
| Medea e [[Esone (mitologia)|Esone]]
|
|-
Riga 635:
| 623-627
|-
| Le figlie di [[Anio (mitologia)|Anio]]
| 643-674
|-
Riga 711:
| '''Versi'''
|-
| Ercole, Crotone e [[Miscello di Ripe|Miscelo]]
| 11-59
|-
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[[File:Hendrik Goltzius - Lycaon.jpg|240px|center]]
|}
 
 
=== La creazione dell'universo: modelli filosofici e letterari ===
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La [[Elaine Fantham|Fantham]] scrive che Ovidio sembrerebbe preferire la seconda interpretazione e il racconto - insieme all'uso di alcune specifiche parole come ''rudis'' (nel senso di “materia grezza”), ''finxit in effigiem deorum'' (a immagine degli dei, col verbo fingo che può assumere proprio il significato di “modellare” “scolpire” “forgiare”) e ''figuras'' (che in latino poteva avere anche il significato di “statua”) - suggerisce l'idea che [[Prometeo]] abbia agito come un artigiano<ref name="Fantham, p.25">{{cita|Fantham|p. 25}}.</ref>. Il mito sembrerebbe la mescolanza di due versioni precedenti: quella narrata da [[Protagora]] nell'omonimo [[Protagora (dialogo)|dialogo]] platoniano (nella quale l'uomo è forgiato dai due fratelli Prometeo ed [[Epimeteo (mitologia)|Epimeteo]]) e quella più parodica di [[Callimaco]] (nella quale l'uomo viene modellato dal fango)<ref name="Fantham, p.25" />.
 
Se dalla [[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]] Ovidio si era lasciato influenzare per spiegare una parte della sua cosmogonia, un'altra opera esiodea s'intromette nel I libro delle Metamorfosi, [[Le opere e i giorni|Le Opere e i Giorni]] in cui vengono descritte le diverse [[età dell'oro|età dell'uomo]]<ref name="Fantham, p.26-27">{{cita|Fantham|pp. 26-27}}.</ref>: da quella dell'oro a quella del ferro, passando da quella argentea e del bronzo. L'età del ferro è caratterizzata da “ogni empietà; fuggirono il pudore e la sincerità e la lealtà, e al loro posto subentrarono le frodi e gli inganni e le insidie e la violenza e il gusto sciagurato di possedere” (I.128-31), si scoprirono i metalli preziosi nascosti sottoterra e gli uomini iniziarono a farsi guerra tra loro. Fu in quest'epoca che dal sangue dei [[Gigante (mitologia)|Giganti]] (i quali avevano osato aspirare al regno del cielo ed erano stati annientati da [[Giove (divinità)|Giove]]) sparso ovunque, la Terra dette vita a un'altra schiera di esseri umani, ma “anche questa schiatta fu spregiatrice degli dèi, e assetatissima di strage crudele, e violenta. Si capiva che era nata dal sangue” (I.160-2). Da questi esseri aveva origine anche [[Licaone (figlio di Pelasgo)|Licaone]], il famoso re dell'[[Arcadia]] che fu trasformato in lupo per aver servito a Giove come pasto suo figlio [[Arcade (mitologia)|Arcade]]. Fu questo il principale motivo che causò la convocazione dell'[[assemblea divina]] nella quale venne deliberata la distruzione del genere umano. Molti critici credono che dietro al piano letterale descritto da Ovidio per l'assemblea, se ne nasconda uno metaforico: in realtà Giove altri non sarebbe che lo stesso [[Ottaviano Augusto|Augusto]] e gli dei minori rappresenterebbero il senato<ref name="Fantham, p.28">{{cita|Fantham|p. 28}}.</ref>. D'altronde è lo stesso Ovidio a suggerire questa lettura, paragonando la decisione di Giove con quella che a sua volta fece Augusto nel cancellare tutti i traditori e assassini di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] (I, 200-5): “Così, quando un'empia schiera infierì per estinguere il nome di Roma nel sangue di Cesare, il genere umano restò sbigottito di fronte a tanto spaventosa e improvvisa sciagura, e un brivido d'orrore percorse il mondo intero; e la devozione dei tuoi non è meno gradita a te, Augusto, di quanto quella degli dèi fu gradita a Giove” (I.200-5).<br />
 
[[File:Beccafumi, deucalione e pirra.jpg|thumb|left|[[Domenico Beccafumi]] - Deucalione e Pirra]]
Un diluvio quindi ha annientato non solo il genere umano, ma ogni essere vivente. Tuttavia Giove - che durante l'assemblea divina promise che “una stirpe diversa dalla prima, una stirpe di origine prodigiosa” (I.251-2) sarebbe ricomparsa sulla Terra – salvò dal diluvio gli unici due esseri umani che erano stati giudicati “innocuos ambo, cultores numinis ambo” - "entrambi innocenti, entrambi devoti agli dèi"- (I.327): [[Deucalione e Pirra|Deucalione]] con la cugina e moglie [[Pirra]], rispettivamente figli dei fratelli Prometeo e Epimeteo. Furono loro che ripopolarono la Terra del genere umano: lanciandosi alle spalle dei sassi (le ossa della terra), i sassi stessi si trasformavano in esseri umani. Ecco dunque che si compiva una delle “più sorprendenti metamorfosi” del libro, in cui l'intera natura viene “paragonata a ununo scultore”<ref name="Fantham, p.30">{{cita|Fantham|p. 30}}.</ref>. Per quanto riguarda gli altri animali, essi furono generati dalla terra spontaneamente. In questo caso Ovidio si rifà a una teoria di [[Lucrezio]] secondo cui “l'umidità e il calore, se si temperano a vicenda, concepiscono, e dalla loro fusione nascono tutte le cose. Il fuoco, è vero, fa a pugni con l'acqua, ma la vampa umida crea tutto: discorde concordia feconda. Quando dunque la terra, tutta fangosa per il recente diluvio, si riasciugò al benefico calore dell'astro celeste, partorì un'infinità di specie e in parte riprodusse le forme di una volta, in parte creò mostri sconosciuti” (I.430-37).
 
=== Il ciclo tebano ===
[[File:Zuccarelli, Francesco - A Landscape with the Story of Cadmus Killing the Dragon - 18th c.jpg|thumb|[[Francesco Zuccarelli]] - Cadmo uccide il serpente]]
Quello che viene definito come “ciclo tebano” riguarda alcune storie presenti nel III e nel IV libro delle ''Metamorfosi'' che coinvolgono una intera dinastia che ha avuto origine da [[Cadmo]]. Questi, figlio di [[Agenore (figlio di Poseidone)|Agenore]] e fratello di [[Europa (figlia di Agenore)|Europa]], viene costretto dal padre a partire dida casa in cerca della sorella rapita da [[Giove (divinità)|Giove]]. Dopo aver errato per il mondo come un esule senza alcun risultato, si rivolge all'[[Oracolo di Delfi]] supplicando [[Apollo]] di dirgli dove fermarsi, allora il dio rispose “in una campagna deserta incontrerai una vacca che non ha mai conosciuto il giogo, non ha mai tirato l'aratro ricurvo. Seguila per dove ti guiderà, e nella pianura in cui si adagerà costruisci delle mura e chiama Beozia quella regione” (III.10-3). Cadmo riesce nell'impresa, ma in una sorgente vicina al luogo prescelto dimora un enorme e mostruoso serpente che uccide alcuni dei suoi compagni di viaggio. Il futuro re di [[Tebe (città greca antica)|Tebe]] riuscirà, dopo un eroico duello, a sconfiggere il mostro, ma non farà in tempo a godere della vittoria che immediatamente una voce misteriosa che “non era chiaro da dove venisse, ma udita fu” disse “che stai a guardare il serpente ucciso, o figlio di Agènore? Anche tu sarai guardato serpente” (III.97-8). Solo la dea [[Pallade Atena|Pàllade]], protettrice dell'eroe, riesce a distogliere Cadmo dal terrore che lo aveva colpito dopo aver ascoltato quella voce. La dea gli ordina di seminare i denti del serpente “germi di un futuro popolo” (III.103). Allora dal terreno nascono dei guerrieri che si combattono tra loro in una “guerra civile”, solo cinque rimangono in vita - tra questi vi è anche Echione – e accordandosi con loro, Cadmo fonderà la sua nuova città, Tebe. Ma l'origine violenta della città e l'inimicizia di alcune divinità come [[Giunone]] (che odiava tutta la stirpe di Cadmo, essendo questi il fratello di Europa e padre di [[Semele|Sèmele]], entrambientrambe amanti di Giove) e [[Diana]], provocheranno la rovina se non della città stessa, di tutta la dinastia di Cadmo: [[Atteone]], [[Ino]], [[Agave (figlia di Cadmo)|Agave]], [[Autonoe (figlia di Cadmo)|Autonoe]], Semele e infine [[Penteo]]. Tutte le storie di questi personaggi infatti si concludono tragicamente e Cadmo:<br />
[[File:Jacob Jordaens - Cadmos and Minerva.jpg|thumb|left|[[Jacob Jordaens]] - Cadmo e Minerva]]
{{citazione|vinto dal dolore, da quella serie di sciagure e dai tanti prodigi che ha visto, […] parte dalla sua città, come se la maledizione gravasse sul luogo invece che su di lui.
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[[File:CadmusHarmoniaEvelynMorgan.jpg|thumb| [[Evelyn De Morgan]] - [[Cadmo]], trasformato in serpente, avvolge la moglie [[Armonia (mitologia)|Armonia]] che sta per trasformarsi anch'essa in serpente]]
 
* Interpretazione di Hardie, l{{'}}''Anti-Eneide'' e il contrasto natura-civiltà: in un articolo del 1990 intitolato “''Ovid's Theban History: The First Anti-Aeneid?''”, il critico inglese, ipotizza che dietro alle storie riguardanti il ciclo tebano, si nasconda la volontà di Ovidio di costruire una vera e propria “anti-Eneide”, un capovolgimento del tema fondante il poema virgiliano: la fondazione di Roma<ref name="Philip Hardie">{{cita|Philip Hardie|1990}}.</ref>. A supporto di tale ipotesi, Hardie porta numerosi esempi e paralleli che possono essere fatti tra i due poemi. Ad esempio entrambi gli autori iniziano il libro terzo con la storia di un esule che vaga per il mondo in cerca di un posto dove insediarsi (Met III.6; En I.756 e 2.294-5), marcato in tutti e due i casi da una profezia divina che comanda di fondare la città là dove un animale deve riposarsi e stendersi: una “vacca” in Ovidio (III.10) e una “scrofa” in Virgilio (III.389 ma anche VIII.42)<ref name="Philip Hardie, p.226-7">{{cita|Philip Hardie|1990|p.226-7}}.</ref>. Hardie poi paragona l'episodio in cui Cadmo cerca i suoi compagni nella foresta con l'Ercole virgiliano del libro 8 che va in cerca dei buoi che gli sono stati rubati, e prosegue mettendo in parallelo il combattimento tra Cadmo e il serpente con quello tra Ercole e Caco<ref name="Philip Hardie, p.227">{{cita|Philip Hardie|1990|p.227}}.</ref>. Due dettagli, secondo il critico, ci permettono di mettere a confronto i due libri: il primo è che Cadmo mentre combatte il serpente indossa una pelle di leone (3.52-3.81), il costante attributo di Ercole; secondo, che Cadmo attacca il serpente con una grande pietra (''molaris'', III.59) una parola rintracciabile soltanto nel III libro delle Metamorfosi e nell'VIII dell'Eneide (VIII.250) come una delle armi usate da Ercole contro Caco<ref name="Philip Hardie, p.227" />. Infine in Virgilio la storia di Ercole si conclude con un inno celebrativo in onore dell'eroe che è riuscito a sconfiggere il mostro (VIII.301), mentre quella di Cadmo con una voce misteriosa che gli predice la sua sventura e la sua futura metamorfosi in un serpente<ref name="Philip Hardie, p.227" />. In questo dunque consisterebbe il rovesciamento del poema virgiliano, e Hardie continua a elencare una serie di esempi a sostegno della sua teoria. Particolarmente interessanti sono poi le osservazioni che il critico fa sulla differenza tra città e natura selvaggia. Se la prima sembra essere un rifugio sicuro per i Tebani, la seconda invece si mostra fatale in quasi tutte le storie del ciclo a partire dallo stesso serpente (che dimora in una foresta vicina alla città) e arrivando ad Atteone e a Penteo<ref name="Philip Hardie, p.227-30">{{cita|Philip Hardie|1990|p.227-30}}.</ref>.
* Interpretazione di Anderson, l'umanizzazione dell'epica: in un articolo del 1993 “''Ovid's Metamorphoses''”, il critico statunitense prende le distanze non solo dalla teoria di Hardie, ma da tutta una tradizione critica che vede nelle Metamorfosi o una semplice parodia o una brutta copia (nel caso di Brooks Otis) dell'Eneide o, infine, la volontà ovidiana di comporre una anti-Eneide<ref name="W.S.Anderson 1993, p.108-18">{{cita|Anderson|pp. 108-18}}.</ref>. Il Ciclo Tebano è per lui nient'altro che uno dei tanti esempi che si possono fare sul come Ovidio abbia cercato di umanizzare gli eroi tipici dell'epica. Non nega che ci siano dei collegamenti tra le Metamorfosi e l'Eneide, ma crede che l'intenzione di Ovidio sia quella di “razionalizzare”, di creare un poema non-eroico<ref name="W.S.Anderson 1993, p.115-17">{{cita|Anderson|pp. 115-17}}.</ref>. Gli esempi che Anderson porta, sono molti, sul ciclo tebano è interessante in particolare l'analisi sul discorso fatto da Penteo ai suoi uomini per spronarli al combattimento contro il dio (e cugino) Bacco e i suoi seguaci, il tipico discorso che un re o un generale fa al proprio esercito prima della battaglia<ref name="W.S.Anderson 1993, p.115-17" />:
 
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[[File:Alpheus and Arethusa 02 - Carlo Maratta.jpg|thumb| [[Carlo Maratta]] - Alfeo e Aretusa]]
* Lo stupro: il tema dello stupro di dèi o uomini ai danni della donna è molto ricorrente all'interno dell'opera<ref name="Fantham, p.61-73" />. Il poema inizia con il tentativo di stupro di [[Apollo]] su [[Dafne (mitologia)|Dafne]] e continua con una serie interminabile di altre storie: lo stupro di Giove su [[Ino]] e su [[Callisto]], quello tentato da [[Pan (mitologia)|Pan]] su [[Siringa (mitologia)|Siringa]] o da [[Alfeo (mitologia)|Alfeo]] su [[Aretusa]] e molti altri. Come [[Aracne]] rende esplicito nel proprio arazzo, gli dei ottengono sempre quello che vogliono e spesso lasciano gravide le vittime delle loro violenze. Come suggerisce la [[Elaine Fantham|Fantham]], il fatto che questo tema sia così ricorrente all'interno dell'opera ci fa capire quanto il pubblico ovidiano ne fosse coinvolto a livello di intrattenimento<ref name="Fantham, p.61-73" />. Particolarmente cruento è l'unico stupro che ha per protagonisti soltanto esseri umani, quello di [[Tereo]] ai danni della cognata [[Filomela]], sorella di [[Procne]]. In questa storia Ovidio combina i peggiori crimini a cui l'uomo possa spingersi: oltre allo stupro, l'incesto, l'infanticidio e il cannibalismo. Tereo, come d'altronde Apollo, Pan, Alfeo e tutti gli stupratori, sono descritti come veri e propri predatori, animali che ambiscono sessualmente alla propria preda.
[[File:Rubens-Death-of-Semele.jpg|thumb|left|[[PieterPeter Paul Rubens]] - Morte di Semele]]
* La maternità: nelle ''Metamorfosi'' la vita delle donne descritte da Ovidio prosegue anche dopo uno stupro, un concepimento, un matrimonio, un parto e nei casi più tragici, anche dopo la perdita prematura del proprio figlio. Ovidio dedica molto più spazio di quanto non abbiano fatto i poeti a lui antecendenti e contemporanei al rapporto madre figlio durante la gestazione e nei primi mesi del neonato<ref name="Fantham, p.61-73" />. Anche in questo caso gli esempi non mancano: la gravidanza di [[Semele]], odiata da [[Giunone]] che con un tranello riuscì a farla uccidere da [[Giove (divinità)|Giove]], porterà alla nascita miracolosa e prematura del dio [[Dioniso]]; quella di [[Latona]] che partorirà i divini [[Apollo]] e [[Diana]], dopo una gestazione passata a fuggire continuamente l'ira di Giunone; quella di [[Alcmena]] che partorirà [[Ercole]] - contro la volontà ancora una volta di Giunone – grazie alla furbizia di [[Galantide]]; e quella tragica di [[Driope]] il cui figlio ancora bambino la guarderà trasformarsi nella pianta del loto acquatico (il [[Ziziphus jujuba|giuggiolo]]). La [[Elaine Fantham|Fantham]] crede che Ovidio scrivesse per un'audience femminile e sapesse benissimo non soltanto descrivere la donna come l'oggetto del desiderio dell'uomo, ma nella sua psicologia e nella sua posizione all'interno del contesto familiare<ref name="Fantham, p.61-73" />. Il monologo di Driope, la maternità disperata di Latona, le intimità che si raccontano Alcema e Iole dipingono un mondo femminile conosciuto e profondamente sentito.
[[File:Johann König - The Death of Niobe's Children - WGA12263.jpg|thumb|[[Johann König]] - La morte dei figli di Niobe]]
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{{citazione|Intanto però una gran fiamma si accende nel cuore della figlia del re, la quale dopo avere a lungo lottato, quando vede di non poter vincere con la ragione quella folle passione, dice: “Invano, Medea, cerchi di resistere: deve esserci qualche dio che si oppone. Strano comunque se non fosse questo (o almeno qualcosa di molto simile a questo), quel sentimento che è chiamato amore”.
|Ovidio, Metamorfosi|it}}Il suo amore per lo straniero è avvertito come azione proibita e la maga è consapevole del suo possibile sviluppo nefasto<ref name="Fantham, p.74-76" />. Così, nonostante la storia di Ovidio si concentri principalmente sull'esercizio della magia da parte di Medea per salvare il padre di Giasone e distruggere il suo nemico [[Pelia]], i lettori del primo monologo sentono la drammatica ironia generata dalle prospettive di Medea, dai tragici eventi che verranno a svilupparsi in seguito e da come un futuro immaginato riesca a innescare una serie di pensieri e desideri pieni di speranza<ref name="Fantham, p.74-76" />. La voce della ragione fa costantemente parlare Medea in seconda persona singolare (17-8, 21-4, 69-71). Nel monologo comprendiamo che il dovere e la castità hanno trionfato fino a quando non hanno incontrato Giasone, poi l'amore ha preso il controllo e il dovere è stato dimenticato. Da questo punto di vista, Medea anticipa gli amori incestuosi e proibiti di [[Scilla (figlia di Niso)|Scilla]], di [[Biblide]] e [[Mirra (mitologia)|Mirra]] che seguiranno nei libri successivi<ref name="Fantham, p.74-76" />.
* Scilla: [[Scilla (figlia di Niso)|Scilla]] è figlia di [[Niso (figlio di Pandione)|Niso]] re di [[Megara (Attica)Nisea|Megara]] (VIII libro), si innamora di [[Minosse]] re di [[Creta (Grecia)|Creta]] durante l'assedio di questi alla città del padre. Decide di porre fine alla guerra tradendo Niso, ovvero tagliandogli durante il sonno il capello rosso che, secondo la versione ovidiana, garantiva l'inespugnabilità della città. Quando Scilla lo consegna a Minosse insieme alle chiavi di Megara, il re cretese conquista la città, ma non porta con sé la principessa, inorridito lui stesso dal suo gesto. Disperata, Scilla si tuffa in mare per raggiungere le navi di Minosse che tornava in patria. Il padre, guardandola, si tuffa disperato probabilmente per ucciderla, ma si trasforma in aquila marina, mentre Scilla in gabbiano.[[File:William-Adolphe Bouguereau (1825-1905) - Biblis (1884).jpg|thumb|upright=1.2|[[William-Adolphe Bouguereau]] - [[Biblide (Bouguereau)|Biblide]]]]
* Biblide: l'altra storia d'amore proibita si svolge al libro IX e ha per protagonisti i figli [[Biblide]] e [[Cauno]], gemelli figli di [[Mileto (mitologia)|Mileto]] (a sua volta figlio di [[Apollo]]) e di [[Cianea|Ciànea]]. Man mano che crescono insieme Bibilide si accorge che l'affetto che nutre nei confronti di Cauno è più di un semplice amore fraterno. Dopo un tormentato monologo il cui meccanismo è simile a quelli di [[Medea]], [[Scilla (figlia di Niso)|Scilla]] e come vedremo di [[Mirra (mitologia)|Mirra]], Biblide decide di scrivere una lettera a Cauno in cui confessa il proprio amore. Respinta, scappa in preda al rimorso e alla follia fin quando sfinita dal troppo errare non si scioglie in lacrime, trasformandosi in una fonte che prenderà il suo nome.
* Mirra: nel libro X [[Orfeo]] si propone di narrare gli amori omosessuali degli dei per i mortali, ma si sofferma a un certo punto a cantare l'amore incestuoso di [[Mirra (mitologia)|Mirra]] per il padre, un amore che secondo lui può essere stato indotto soltanto da una [[Menade]], non da [[Cupido]]. La principessa avrebbe molti corteggiatori, ma lei li respinge tutti perché nessuno somigliante a [[Cinira]], suo padre. Ovidio introduce il racconto con venti versi in cui non dice niente del fatto, ma si limita a descriverlo aumentandone la suspense con aggettivi e allusioni all'oscenità di ciò che sta per raccontare (“Canterò cose terribili. Allontanatevi, o figlie, allontanatevi, o padri! [...]” X.300)<ref name="Fantham, p.78-80">{{cita|Fantham|pp. 78-80}}.</ref>. D'altronde il pubblico ovidiano conosceva già la storia di Mirra e la rielaborazione più prossima del mito era la ''Zmyrna'' (l'altro nome con cui è conosciuta la principessa), un poema di [[Gaio Elvio Cinna|Cinna]], amico di [[Gaio Valerio Catullo|Catullo]]<ref name="Fantham, p.78-80" />. Come nel caso di Medea, anche l'innamoramento di Mirra è descritto attraverso un lungo monologo in cui contrastano la ragione e il sentimento. [[File:'Birth of Adonis', oil on copper painting by Marcantonio Franceschini, c. 1685-90, Staatliche Kunstsammlungen, Dresden.jpg|thumb|left|[[Marcantonio Franceschini]] - Nascita di Adone]] Stesso Mirra infatti ammette che l'amore provato nei confronti del padre è vergognoso e ispirato da una [[Erinni|Furia]], ma è la nutrice a interrompere i suoi pensieri e a convincerla a passare all'azione. Numerosi critici hanno notato che la scena è stata ispirata dall'[[Ippolito (Euripide)|Ippolito]] di [[Euripide]] in cui la nutrice di [[Fedra]] la matrigna innamorata del figliastro Ippolito, va da lui a confidargli il segreto<ref name="Fantham, p.78-80" />. A differenza però della tragedia euripidea in questo caso l'amore incestuoso viene consumato e l'atto sessuale combinato dalla nutrice avviene di notte con luna e stelle coperte e con Mirra che travestita va dal padre Cinira che la aspetta in una stanza buia<ref name="Fantham, p.78-80" />. Ma come con [[Tereo]] una volta non basta e lei consuma la sua passione fino a quando il padre non decide di accendere una luce per vedere con chi ha a che fare. Appena vede la figlia, sguaina la spada per ucciderla, ma Mirra riesce a scappare. Rimasta gravida del padre fugge per nove mesi, poi sfinita supplica gli dèi che le diano una pena consona alla sua empietà: ovvero che non meriti né la morte e quindi la discesa nell'[[Ade (regno)|Ade]], né tantomeno la vita. Gli dèi esaudiscono la preghiera trasformandola in un albero, la Mirra appunto. In questo modo la principessa perde la sua umanità ma continua a stillare lacrime profumate dall'albero. Ovidio dedica poi ampio spazio alla descrizione di come Lucina riesca a estrarre dall'albero il bambino che Mirra aspettava: [[Adone (mitologia)|Adone]]. In questo modo Orfeo si ricollega in parte al proprio proposito iniziale di raccontare gli amori omosessuali degli dei per i mortali, anche se in questo caso l'amore descritto è eterosessuale, tra [[Venere (divinità)|Venere]] e, appunto, Adone<ref name="Fantham, p.78-80" />.
 
==== I tragici amori degli dèi per i mortali ====
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|Ovidio, Metamorfosi, VIII.707-19|it}}
 
* Orfeo ed Euridice: in Ovidio il loro rapporto prima delle nozze non è descritto. È solo [[Orfeo]] a sentire così tanto la mancanza della coniuge da discendere nell'[[Ade (regno)|Ade]] per riportarla con sé nel mondo dei vivi. Fallendo in questo tentativo, vive nel ricordo della moglie e giura che non guarderà più nessuna donna e anzi invita gli uomini a dedicarsi solo ad amori omosessuali. Le donne della [[Tracia]] però colte dalla [[Erinni|Furia]], lo faranno a pezzi. Quando Orfeo muore e scende nell'Ade può finalmente raggiungere la sua amata [[Euridice (ninfa)|Euridice]] e stare con lei. Come hanno notato [[Charles Segal|Segal]] e la [[Elaine Fantham|Fantham]], sembrerebbe che un amore sincero non possa avverarsi nel mondo reale, ma abbia bisogno di una trasformazione che se nel caso di [[Cadmo]] e [[Armonia (mitologia)|Armonia]] e di [[Filemone e Bauci]] si rispecchia in una metamorfosi, nel caso di Orfeo ed Euridice in un passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti<ref name="Fantham, p.82-7" />. Solo in questo modo è possibile un lieto fine.[[File:Peter Paul Rubens - Cephalus and Procris, 1636-1637.jpg|thumb|left|[[PieterPeter Paul Rubens]] - Cefalo e Procri]]
* Cefalo e Procris: come scrive la [[Elaine Fantham|Fantham]], quella tra [[Cefalo (mitologia)|Cefalo]] e [[Procri]] è una storia d'amore diversa dalle altre perché basata sulla gelosia<ref name="Fantham, p.82-7" />. La vicenda è raccontata dallo stesso Cefalo a [[Foco]] che incuriosito dal suo giavelloto ne chiede la provenienza. Cefalo risponde che gli è stato regalato, ma avrebbe preferito non averlo mai ricevuto visto quel che capitò successivamente. Così inizia a raccontare la sua storia. Cefalo fu rapito dall'[[Aurora (divinità)|Aurora]], ma era così innamorato di Procri che la dea lo ricacciò indietro dalla moglie avvertendolo però che si sarebbe pentito di tale scelta. Cefalo rimuginando su questo avvertimento crede che la moglie possa essergli stata infedele. Decide così di rendersi irriconoscibile a Procri e di corteggiarla facendole una serie di proposte. Quella respinge ogni corteggiamento, mostrandosi fedele fintanto che l'uomo non le fa una offerta così conveniente da lasciarla per un attimo perplessa. Cefalo sfrutta questa sua perplessità e si svela maledicendola. I due però si riappacificano e passano giorni felici insieme. Ma durante una battuta di caccia Procri, preoccupata per alcune dicerie che volevano Cefalo amante dell'Aurora, segue in segreto il marito, il quale sentendo un rumore tra i cespugli e credendo si trattasse di una preda lancia il giavellotto trafiggendo così la moglie. Le dicerie che erano arrivate all'orecchio di Procri nascevano in realtà da un fraintendimento: Cefalo era infatti solito riposarsi un poco dalla calura durante le battute di caccia e pronunciare queste parole:
{{citazione|“Aura, vieni, sii gentile ed insinuati, carissima, nel mio seno, e allevia, ti prego, come sai fare tu, l'ardore che mi brucia. Tu sei la mia grande gioia, tu mi accarezzi e mi ristori, tu mi fai amare i boschi, i luoghi solitari, e la mia bocca non si stanca di captare il tuo alito soave”
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* Giasone: [[Giasone (mitologia)|Giasone]] è una eccezione perché Ovidio in questo caso preferisce concentrarsi maggiormente sul personaggio di [[Medea]] che in realtà oltre a essere la vera protagonista dell'episodio è anche colei cui vanno meriti della missione riuscita<ref name="Fantham, p.90">{{cita|Fantham|p. 90}}.</ref>.[[File:Filippo Falciatore - Perseus Rescuing Andromeda.jpg|thumb|left| [[Filippo Falciatore]] - Perseo e Andromeda]]
* Perseo: [[Perseo]] è il primo eroe che porta con sé qualcosa di nuovo. Prima di tutto Ovidio lo introduce quando ha già combattuto e vinto [[Medusa (mitologia)|Medusa]] nella sua impresa più celebre<ref name="Fantham, p.90-2">{{cita|Fantham|pp. 90-2}}.</ref>. Due sono le imprese a cui deve sottoporsi nelle ''Metamorfosi'', entrambe svoltesi in terra africana e al tempo meno note: quella con [[Atlante (mitologia)|Atlante]] e il salvataggio di [[Andromeda (mitologia)|Andromeda]].
* Teseo: anche per quanto riguarda [[Teseo]], Ovidio preferisce introdurlo quando ha già compiuto gran parte delle sue fatiche più note combattendo i briganti insediati tra [[Trezene]] e [[Atene]] e ripulendo l'[[Istmo di Corinto]]<ref name="Fantham, p.92-3">{{cita|Fantham|pp. 92-3}}.</ref>. Viene presentato quando giunge alla corte del padre [[Egeo]] che non lo riconosce. A riconoscerlo è invece [[Medea]] la nuova moglie del re (e dunque madrina dell'eroe) che prova ad avvelenarlo con l'aconite per paura che, ora che è tornato in patria, venga scelto come il vero successore al padre al posto del proprio figlio. Anche in questo caso Ovidio preferisce soffermarsi sull'origine di tale veleno e accennare soltanto all'impresa di [[Ercole]] che, secondo la tradizione, liberò Teseo dall'[[Ade (regno)|Ade]] trascinando via dagli Inferi [[Cerbero]] (dalla bava del quale nacque appunto l'aconite)<ref name="Fantham, p.92-3" />.
* Ercole: la vita di [[Ercole]] includeva troppe fatiche perché Ovidio potesse inserirle tutte all'interno della propria opera<ref name="Fantham, p.94-8">{{cita|Fantham|pp. 94-8}}.</ref>. Per quanto l'eroe all'interno delle ''Metamorfosi'' sia quello, tra gli eroi pre-Omerici, più amato dal pubblico ovidiano, il poeta non poteva dedicargli così tanto spazio<ref name="Fantham, p.94-8" />. Infatti i romani adottarono il culto di Ercole prima di ogni altro culto greco, tanto da non farne più solo un eroe greco, ma un eroe romano<ref name="Fantham, p.94-8" />. Nelle ''Metamorfosi'' l'eroe non si incontra mai direttamente, ma sempre attraverso il racconto di qualcuno: nel libro IX a raccontare le sue imprese è [[Acheloo]], il dio fluviale interrogato da Perseo sul perché avesse un corno spezzato<ref name="Fantham, p.94-8" />. La causa fu proprio Ercole che combatté con lui per ottenere la mano di [[Deianira]]. Vengono poi brevemente raccontate le fatiche principali dell'eroe, ma Ovidio ha particolare interesse a descrivere la terribile morte di Ercole e soprattutto la sua deificazione<ref name="Fantham, p.94-8" />. Infatti dietro alla drammaticità dell'evento Ercole simboleggia il primo uomo reso divino dopo la morte, facendo dell'eroe l'archetipo di [[Enea]] e più avanti di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]]<ref name="Fantham, p.94-8" />.
[[File:Peter Paul Rubens 010.jpg|thumb|[[PieterPeter Paul Rubens]] - Apoteosi di Ercole]]
{{citazione|Rimase l'immagine di Ercole, ma irriconoscibile, senza più nulla di quel che poteva aver preso dalla madre; serbava unicamente l'impronta di Giove. E come il serpente, deposta con la pelle la vecchiaia, rimbaldanzito torna tutto nuovo e smalgiante di fresche squame, così l'eroe di Tirinto, spogliato del corpo mortale, rifiorì con la parte migliore [parte meliore] del suo essere, e cominciò a sembrare più grande, e ad assumere un'aria maestosa e solenne, un aspetto venerando [augusta gravitate verendus]. Il padre onnipotente, avvoltolo in una nuvola cava, lo rapì e con un cocchio tirato da quattro cavalli lo portò tra gli astri radiosi.
|Ovidio, ''Metamorfosi'', IX.263-272|it}}
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=== Il discorso di Pitagora: vegetarianismo e metempsicosi ===
 
[[File:Pythagoras advocating vegetarianism (1618-20); Peter Paul Rubens.jpg|thumb|[[PieterPeter Paul Rubens]] - Pitagora che istruisce sul non mangiare carne]]
Nell'ultimo libro delle ''Metamorfosi'' [[Pitagora]] è il protagonista di un discorso di più di quattrocento versi (vv.60-478). Il tema centrale è il mutare del Tutto. Introdotto nel poema come maestro di [[Numa Pompilio|Numa]] a [[Crotone]], Pitagora apre la sua “lezione” con un appassionato invito, in nome della pietà, a non cibarsi di carne ma dei soli prodotti della terra, parla quindi dell'immortalità dell'anima e della [[metempsicosi]], e dicendo di ricordarsi di essere personalmente stato, in una vita anteriore, il troiano [[Euforbo]], spiega come tutto si trasformi e nulla si distrugga; come tutto scorre, e come le anime trasmigrano da un corpo in un altro, così il tempo al pari del fiume e il cielo e gli astri continuamente mutano, e l'anno e la vita hanno più fasi; e gli elementi trapassano l'uno nell'altro, e le figure cambiano perpetuamente, ogni cosa rinnova il proprio aspetto; si nasce e si muore, cambiano le età del mondo, la terraferma può cedere il posto al mare e viceversa, fiumi fonti laghi hanno acque con proprietà diverse, isole città monti sorgono e scompaiono, l'[[Etna]] non sempre butterà fuoco, esseri nuovi possono nascere da corpi di animali defunti, gli animali si riproducono e la crescita è cambiamento, la fenice rigenera sé stessa, la natura offre insomma infiniti esempi di trasformazioni; e anche la storia (popoli e paesi) è mutamento continuo, e mutamento sarà anche, un giorno, lo sviluppo della potenza di [[Roma]]. La chiusa è un nuovo invito al [[vegetarianismo]].
* Interpretazione di Bernardini: molti studiosi a questo punto si sono chiesti che cosa sia esattamente questo discorso: è un'esposizione valida delle dottrine pitagoriche, oppure no? Dà una motivazione filosofica all'intero poema, o è più che altro un pezzo di bravura? E come si concilia comunque il suo fondo razionalistico col resto dell'opera, dove dappertutto trionfano mito e fantasia? E perché Ovidio ha scelto Pitagora? Crede nel pitagorismo?<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLII.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLII.</ref>[[Piero Bernardini Marzolla|Bernardini]] scrive che “la difficoltà di giudicare proviene da due ordini di ragioni: primo, la solita ambiguità ovidiana, cioè la straordinaria capacità di Ovidio di combinare gioco e serietà; secondo, noi abbiamo delle vere teorie di Pitagora, come è noto, soltanto una conoscenza indiretta, lacunosissima e spesso deformata, e nel discorso molti elementi comunque certi e basilari del pitagorismo sono ignorati, mentre molte contaminazioni sembrano sicure”<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLII." />. Per quanto riguarda le fonti, il materiale costituito dalle testimonianze trasmesseci sul pitagorismo da autori anteriori a Ovidio o coevi, è insufficiente per svolgere un'indagine sul discorso considerato come “tessuto di idee<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLIII.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLIII.</ref>. Possiamo soltanto presumere che il poeta abbia attinto a qualche opera (perduta) di Varrone, o forse, ma è una ipotesi ancora più vaga, agli oscuri [[Nigidio Figulo]] o [[Sozione di Alessandria|Sozione]]"<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLIII." />.<br />I tre temi principali su cui si basa il discorso sono il [[vegetarianismo]], la [[metempsicosi]] e il [[Elementi (filosofia)|ciclo degli elementi]], tutti temi che secondo Bernardini sono assimilabili al [[pitagorismo]] e al [[neopitagorismo]] di epoca augustea e che quindi rendono l'idea dell'intenzione ovidiana di restituire l'immagine del Pitagora storico, piuttosto che di un personaggio letterario<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLIV.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLIV.</ref>. Molti studiosi hanno individuato un'influenza lucreziana all'interno del discorso, ma secondo Bernardini Ovidio si è servito soltanto del linguaggio e dello stile lucreziani per ribaltare le teorie dell'[[epicureismo]] e quindi di [[Lucrezio]] stesso. Il discorso è calato nel linguaggio poetico-filosofico creato da Lucrezio per due ragioni che si sommano tra di loro: perché Ovidio qui vuole scrivere una parte “lucreziana” (dopo averne composta una enniana, una omerica e poi una virgiliana) e perché nel suo gusto della mimesi, un filosofo deve poter parlare col gergo e nello stile di un filosofo-tipo. E così l{{'}}''aemulatio'' diviene smisurata; Ovidio si maschera da Lucrezio: usa il lessico e il periodare lucreziano, usa vezzi lucreziani (''et quoniam'', ''nonne vides'', ecc.), usa motivi lucreziani. Eppure fa tutto questo per presentare una dottrina agli antipodi dell'epicureismo, per dire cose che Lucrezio non solo non ha detto, ma non avrebbe mai detto e in certi casi ha anzi confutato. D'altronde il personaggio scelto da Ovidio è Pitagora, e Pitagora non può ovviamente dire che cose coerenti con la dottrina di Pitagora, cosicché se Lucrezio, come qui, aveva per caso confutato una tesi pitagorica, Pitagora non può che riaffermarla negando la tesi lucreziana<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLV-XLVIII.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. XLV-XLVIII.</ref>.<br />A questo punto Bernardini si chiede perché Ovidio abbia scelto proprio Pitagora<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p.LIII.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. LIII.</ref>. Pitagora si inserisce nel momento in cui il ''carmen perpetuum'', fluendo verso i ''mea tempora'', sta per passare dai tempi del mito alla storia, quando l'epoca delle belle fiabe finisce e la ragione spinge alla ricerca del ''quae sit rerum natura''<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p.LIII-LV.">Piero Bernardini Marzolla 1979, p. LIII-LV.</ref>. A questo punto la figura di questo pensatore poteva subentrare quanto mai a proposito: Pitagora, e nessun altro filosofo, era perfettamente al suo posto, in un'opera sul tema delle metamorfosi, perché predicatore di quella forma suprema di metamorfosi che è la metempsicosi. Questa trascende le metamorfosi individuali non solo per la sua universalità, ma anche perché al di là dei capricci della fortuna o del fato si presenta come una legge della natura. È per questo che la lezione prende a un tratto una piega decisamente razionalistica e si tramuta in un interminabile compendio di metamorfosi naturali che ha lo scopo di continuare e completare l'esposizione delle metamorfosi mitologiche: ormai, con [[Numa Pompilio|Numa]] e Pitagora, siamo nella storia, e l'interesse poggia sulla spiegazione di fatti e di eventi con base storica più o meno accertabile: fondazione di [[Crotone]], culto del dio [[Virbio]], leggenda di [[Cipó]], importazione del culto di [[Esculapio]] in [[Roma]]<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p.LIII-LV." />. In tutti questi miti l'elemento metamorfico c'è, ma è accessorio. Così, col passaggio dalla fantasia alla ragione, il discorso di Pitagora irrompe non come una motivazione del poema, ma come un culmine della lettura e della rappresentazione dei prodigi del mondo<ref name="Piero Bernardini Marzolla 1979, p.LIII-LV." />.
* Interpretazione di Segal: l'analisi di [[Charles Segal|Segal]] parte da un punto di vista diverso rispetto a quello del Bernardini. Il critico statunitense nel saggio ''Mito e filosofia nelle Metamorfosi: l'augusteismo di Ovidio e la conclusione augustea del libro XV'', inserisce il discorso pitagoreo in una problematica critica più ampia: l'augusteismo o l'antiaugusteismo ovidiano (v. sotto), se cioè Ovidio abbia rispettato i canoni augustei della serietà morale<ref name="Segal p.95-130">{{cita|Segal1|pp. 95-130}}.</ref>. Lasciando da parte per ora il dibattito critico su tale problematica, guardiamo solo all'interpretazione di Segal sulla sezione pitagorica del poema. In maniera del tutto opposta a quanto affermato da Bernardini, Segal crede che Ovidio non abbia voluto presentare le teorie pitagoree “come un culmine della lettura e della rappresentazione dei prodigi del mondo”, tutt'altro egli crede che [[Pitagora]] sia stato introdotto come personaggio da parodiare<ref name="Segal p.116-128">{{cita|Segal1|pp. 116-128}}.</ref>. Per quanto il tono della sezione sia molto più elevato e solenne di quello usato in quasi tutto il resto del libro; per quanto Ovidio sembri prendere una posizione contro gli spargimenti di sangue, esaltando la pace, lasciando trapelare qua e là una concezione più elevata degli dei; per quanto la lunghezza straordinaria del discorso sottolinei la sua importanza tematica, Segal crede che dietro a questa superficie di solennità si nasconda una sottile ironia<ref name="Segal p.117">{{cita|Segal1|p. 117}}.</ref>. In primo luogo, scrive Segal, è discutibile quanto la figura di Pitagora fosse dignitosa e seria agli occhi del romano colto dell'epoca di Ovidio<ref name="Segal p.117" />. Le [[metempsicosi]] di Pitagora ([[Euforbo]], [[Omero]], Pitagora, un pavone) potevano essere oggetto di ridicolo e il Pitagora ovidiano non fa nulla per evitare il rischio del ridicolo<ref name="Segal p.118">{{cita|Segal1|p. 118}}.</ref>. Ovidio infatti, in un lieve accenno parentetico, ma molto probabilmente ironico, sottolinea i ricordi delle trasmigrazioni del suo narratore (XV.160-2): ''Io stesso, ricordo, al tempo della guerra di Troia / ero Euforbo figlio di Panto, colui ch'ebbe un tempo / infitta in pieno petto la lancia del minore degli Atridi'' (XV.160-2).<br />In generale per i romani, nonostante la rinascita di interesse legata alla figura del dotto [[Nigidio Figulo]], Pitagora e i pitagorici erano “tipi equivoci”<ref name="Segal p.118" />: avevano per esempio fornito a [[Cicerone]] l'opportunità di un'invettiva contro [[Publio Vatinio]] (''Contro Vatinio'' VI.14). Anche nel II secolo a.C. sembra che a essi si sia guardato con diffidenza, come si può probabilmente inferire dalla storia molto discussa del rogo dei presunti libri pitagorici ordinato dal Senato. Sembra che le caratteristiche dei pitagorici li abbiano spesso resi lo zimbello dei mimi<ref name="Segal p.118" />. [[Leonardo Ferrero]] ha scritto sul pitagorismo romano della tarda Repubblica<ref name="L.Ferrero, p.386-87">{{cita|Ferrero|pp. 386-87}}.</ref>:
{{citazione|Alla loro determinazione e delimitazione contribuiva efficacemente la intuizione dell'animo popolare. Circolavano voci sinistre sulle pratiche della setta nigidiana, si fantasticava di sacrilegi e di misfatti che i pitagorici avrebbero perpetrato nel chiuso delle loro conventicole; ma accanto al tragico circolava anche il ridicolo, ed il teatro popolare in Roma riprendeva gli spunti e gli argomenti che già un tempo ad Atene avevano contribuito a screditare gli ultimi rappresentanti della setta crotoniate: tipici soprattutto, e che più si prestavano allo spirito comico, i temi della metempsicosi e del vegetarianismo, beffati non soltanto da Lucrezio e da Orazio, ma anche nelle produzioni dei mimografi.
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[[Karl Galinsky|Galinsky]] nel saggio ''Ovid's Metamorphoses and Augustan cultural thematics'' (1999) crede che sia importante mettere in chiaro tre concetti prima di poter parlare di “augusteismo” o “antiaugusteismo” di Ovidio:
* Prima di tutto non dobbiamo credere che [[Augusto]] fosse l'unico critico letterario del tempo. E pertanto è sbagliato farsi un'idea del princeps come l'uomo che decideva cosa fosse di suo gradimento e cosa no. Non ci sono dubbi che perfino le opere dei poeti della generazione d'oro (Virgilio e Orazio) sarebbero state realizzate diversamente se fossero state scritte da Augusto<ref name="Galinsky, p.103">{{cita|Galisnky|p. 103}}.</ref>.
* Non abbiamo la prova che Augusto occupasse il suo tempo a controllare la correttezza politica di tutte le opere letterarie del suo tempo. Dalla Vita di Donato sappiamo che seguì e si interessò alla stesura virgiliana dell'[[Eneide]]; [[Svetonio]] (89.2) scrive che ''Augustus ingenia saeculi sui omnibus modis fouit'' (“incoraggiò i geni del suo tempo in tutti i modi possibili”) e fu presente alle loro orazioni e recitazione pubbliche<ref name="Galinsky, p.103-4">{{cita|Galinsky|pp. 103-4}}.</ref>. Eppure potremmo controbilanciare questo assunto proprio con le parole usate da Ovidio nei [[Tristia]] (II.239), quando il poeta (in esilio a Tomi) scrive che il principe non aveva tempo da sprecare per leggere l{{'}}''Ars Amatoria'' occupato come era negli affari di stato e negli impegni politici (impegni che Ovidio non dimentica di enumerare in ben 25 versi [213-38])<ref name="Galinsky, p.104">{{cita|Galinsky|p. 104}}.</ref>. E lo stesso Ovidio, sempre nei ''Tristia'', supplica Augusto di prendersi un poco di tempo per leggere le ''Metamorfosi'' e accorgersi così quanto gli era sempre stato fedele. Sebbene questo passaggio sia stato spesso interpretato come una richiesta adulatrice da parte del poeta, non è detto che non vada interpretato come quello che è realmente: dedicare un po' di tempo alla lettura di un'opera. D'altronde non dobbiamo presumere che siccome le opere degli scrittori augustei sono al centro dei nostri dibattiti accademici, lo fossero anche per Augusto stesso che aveva sicuramente altro di cui occuparsi<ref name="Galinsky, p.104" />.
* Infine, se vogliamo parlare di augusteismo e quindi di “ideologia augustea”, dovremmo almeno definirne i termini. I critici letterari, più degli storici hanno sempre insistito sul concetto di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” parlando delle opere di Virgilio, Orazio, Ovidio e di tutti i poeti che hanno scritto tra la crisi della Repubblica e la nascita del Principato<ref name="Galinsky, p.104-5">{{cita|Galinsky|pp. 104-5}}.</ref>. Così Galinsky mette a punto alcune caratteristiche in comune tra l'epoca augustea e le Metamorfosi, dimostrando quanto sia fondamentalmente inutile parlare di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” ovidiano:
1) Già il titolo dell'opera ''Metamorfosi'', rappresenta di per sé un elemento costitutivo dell'epoca augustea: il cambiamento<ref name="Galinsky, p.105">{{cita|Galinsky|p. 105}}.</ref>. Dopo la battaglia di Azio, ogni cosa stava cambiando. Nell'incipit del poema ''In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora'', la parola ''forma'', come [[Lothar Spahlinger]]<ref name="Spahlinger, p.28-9">{{cita|Spahlinger|pp. 28-9}}.</ref> ha recentemente notato, connota l'“essenza psichica”, mentre ''corpora'' riguarda la presenza fisica, l'apparenza concreta (Spahlinger 1996 28-29)<ref name="Galinsky, p.105" />. Questo è un concetto molto presente all'interno dell'opera ed è sottolineato in gran parte di tutte le metamorfosi: la forma cambia, ma l'essenza è preservata. Questo avrebbe potuto offendere un Augusto che stava cambiando ogni cosa? Secondo Galinsky no. Anzi lo storico statunitense prosegue la sua analisi apportando una serie di esempi che dimostrano quanto lo stesso Augusto si facesse promotore di un cambiamento che comunque si fondava sull'antico e questa convergenza di cambiamento e conservazione dell'originaria essenza era un concetto fondamentale per la politica augustea<ref name="Galinsky, p.105" />. In questo senso anche il concetto di ''Roma aeterna'', tante volte usato dai critici per dimostrare l'anti-augusteismo di Ovidio, perde di significato perché lo stesso Augusto predicava il cambiamento<ref name="Galinsky, p.106">{{cita|Galinsky|p. 106}}.</ref>.<br />
2) Anche nelle riforme augustee della religiose era molto palpabile questo concetto tra cambiamento e conservazione. Galinsky fa molti esempi, basti quello del tempio di Castore e Saturno ricostruito splendidamente sulle vecchie fondamenta<ref name="Galinsky, p.106" />.<br />
3) Un altro carattere distintivo della cultura augustea rintracciabile nelle ''Metamorfosi'' era l'inclusione e l'unione di tutte le precedenti tradizioni e modelli. Augusto stesso, come subito è reso chiaro dalle prime parole delle Res geastae (ma anche tramite altre fonti), si considerava non l'erede o di [[Cesare]] o di [[Pompeo]] o di [[Alessandro Magno|Alessandro]] o di [[Publio Cornelio Scipione|Scipione]] o di [[Romolo]] o di [[Numa Pompilio|Numa]], ma di tutti loro insieme. E abbiamo visto quanto sia appunto importante questa commistione di stili, generi, tradizioni diverse anche nelle ''Metamorfosi''<ref name="Galinsky, p.107">{{cita|Galinsky|p. 107}}.</ref>.<br />
Galinsky conclude affermando quindi che è inutile parlare di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” ovidiano. Quando guardiamo alle ''Metamorfosi'' dovremmo allargare i nostri orizzonti invece di rimanere legati a una prospettiva che, a suo modo di vedere, limita la comprensione del genio artistico ovidiano. Le ''Metamorfosi'', come ha dimostrato il critico statunitense con gli esempioesempi precedenti, non sono né augustee né antiaugustee, ma sono semplicemente un prodotto della cultura augustea. Nel periodo successivo alle guerre civili, Virgilio scrisse, nella prima decade della politica augustea, un “monumento poetico” al desiderio di stabilità e conservazione. Le ''Metamorfosi'', invece si sono concentrate sull'altro aspetto della cultura augustea, più caratteristico della decade successiva: il cambiamento<ref name="Galinsky, p.111">{{cita|Galinsky|p. 111}}.</ref>.
 
== La questione del genere ==
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== Edizioni ==
 
* {{Cita libro|lingua=la|editore=apud heredes Martini Nutii|cognome=Publio Ovidio Nasone|titolo=Metamorphoses|città=Antuerpiae|data=1618
=== Testo latino ===
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* {{Cita libro|lingua=la|editore=apud heredes Martini Nutii|cognome=Publio Ovidio Nasone|titolo=Metamorphoses|città=Antuerpiae|data=1618|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=9742385&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL5&pds_handle=}}
 
Il testo antico fu perduto, ma esistono oltre quattrocento manoscritti di epoca medioevale, completi o frammentari. Una lista non esaustiva di questi testi è stata compilato dal filologo classico e traduttore italiano [[Franco Munari]].
 
=== Edizioni italiane ===
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* {{Cita libro|altri=trad. e cura di [[Serafino Balduzzi]]|titolo=Le metamorfosi|anno=2011|città=Milano|editore=Cerebro|p=256|isbn=978-88-96782-47-7}}
* {{Cita libro|titolo=Le Metamorfosi di Ovidio|altri=trad. e cura di [[Vittorio Sermonti]]|edizione=Collana Saggi italiani|editore=Rizzoli|città=Milano|anno=2014|isbn=978-88-17-07263-2}} - Collezione [[I Libri della Spiga]], Milano, Garzanti, 2023, ISBN 978-88-110-0004-4.
* Ovidio, ''Metamorfosi,'' edizione con testo a fronte, traduzione di Nino Scivoletto, UTET, 2013 ISBN 9788841886946
 
=== Traduttori in inglese ===
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=== Traduttori in francese ===
 
*[[Joseph-Gaspard Dubois-Fontanelle]]
* Jean de Vauzelles (1557),
*[[Mathieu-Guillaume-Thérèse Villenave]]
* [[Pierre du Ryer|Pierre Du Ryer]] (1693)
* [[Antoine Banier]] (1732)
* [[Joseph-Gaspard Dubois-Fontanelle]] (1767)
* [[Ange-François Fariau|Ange-François Fariau de Saint-Ange]] (1800)
*[[Mathieu-Guillaume-Thérèse Villenave]] (1806-1807)
* Joseph Cabaret-Dupaty (1862)
* Georges Lafaye (1925-30)
* Joseph Chamonard (1936)
* Danièle Robert (2001)
* Olivier Sers (2009)
* Marie Cosnay (2017)
 
==== L'edizione del 1557<ref name=":0">{{Cita libro|nome=Peter|cognome=Sharratt|nome2=Bernard|cognome2=Salomon|titolo=Bernard Salomon: illustrateur lyonnais|collana=Travaux d'Humanisme et Renaissance|data=2005|editore=Droz|ISBN=978-2-600-01000-9}}</ref> ====
Una delle più celebri traduzioni delle ''Metamorfosi'' edita in Francia risale al 1557. Pubblicata con il titolo ''[[La Métamorphose d'Ovide figurée]]'' (''La Metamorfosi di Ovidio illustrata'') dalla [[Maison Tournes]] (1542-1567) a [[Lione]], è il risultato della collaborazione dell'editore [[Jean de Tournes]] e [[Bernard Salomon]], importante incisore del XVI secolo. La pubblicazione è edita in formato [[In ottavo|in-ottavo]] e presenta i testi di Ovidio accompagnati da 178 illustrazioni incise.
 
Tra gli anni 1540-1550 si instaura a Lione tra i vari editori una vera e propria corsa alla pubblicazione dei testi dell'poeta antico. Jean de Tournes si trova così a far fronte ad un’aspra concorrenza che pubblica anch’essa nuove edizioni delle ''Metamorfosi'', la cui diffusione nel campo dell’editoria contemporanea fa seguito al moltiplicarsi delle traduzioni. Jean de Tournes pubblica per la prima volta i primi due libri di Ovidio nel 1456, versione a cui fa seguito una ristampa illustrata nel 1549. Il suo principale concorrente è [[Guillaume Rouillé|Guillaume Roville]], il quale pubblica i testi illustrati da [[Pierre Eskrich]] nel 1550 e successivamente nel 1551. Nel 1553, egli pubblica i primi tre libri con la traduzione di [[Barthélémy Aneau]], che segue alla traduzione dei primi due libri da parte di [[Clément Marot]]. Tuttavia, la versione del 1557 pubblicata dalla Maison Tournes rimane la versione che gode di maggiore fortuna, come attestato dalle menzioni storiografiche.
 
Le edizioni cinquecentesche delle ''Metamorfosi'' costituiscono un cambiamento radicale nel modo di percepire i miti. Nei secoli precedenti, i versi del poeta antico erano stati letti soprattutto in funzione del loro impatto moralizzante, mentre a partire dal sedicesimo ne viene esaltata la qualità estetica ed edonistica. Il contesto letterario dell'epoca, marcato dalla nascita della [[La Pléiade|Pléiade]], è indicativo di questo gusto per la bellezza della poesia.
 
“La scomparsa dell'''Ars Amatoria'' e dei ''Remedia amoris'' segna la fine di un'epoca gotica nell'editoria ovidiana, così come la pubblicazione nel 1557 della ''Métamorphose figurée'' segna l'appropriazione da parte del Rinascimento di un'opera che è tanto in linea con i suoi gusti quanto la moralizzazione delle ''Metamorfosi'' lo era stata con le aspirazioni del XIV e XV secolo"<ref>{{Cita libro|titolo=Ovide en France dans la Renaissance|anno=1981|url=https://archive.org/details/ovideenfrancedan0000unse|collana=Cahiers de l'Europe classique et néo-latine|data=1981|editore=Publ. de l'Univ. Toulouse-Le Mirail|ISBN=978-2-85816-011-2}}</ref>.
 
L'opera fu ripubblicata in francese nel 1564 e nel 1583, sebbene fosse già stata pubblicata in italiano da [[Gabriel Simeoni]] nel 1559 con alcune incisioni aggiuntive.
 
Alcune copie del 1557 sono oggi conservate in collezioni pubbliche, presso la [[Biblioteca nazionale di Francia]], la biblioteca municipale di Lione, la [[Brandeis University Library]] di [[Waltham (Massachusetts)|Waltham]] (MA) e la [[Biblioteca del Congresso]] a [[Washington|Washington D.C]]., negli Stati Uniti. Una copia digitale è disponibile su [https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k71516d.image Gallica]. Sembrerebbe inoltre che una copia sia stata messa in vendita da [https://www.sothebys.com/en/buy/auction/2023/livres-et-manuscrits/la-metamorphose-dovide-lyon-1557-petit-in-8-rel-de Sotheby's].
 
===== Le illustrazioni =====
Nell'edizione del 1557 pubblicata da [[Jean de Tournes]] figurano 178 incisioni di [[Bernard Salomon]]<ref>{{Cita libro|nome=Maud|cognome=Lejeune|titolo=Gravures et dessins de Bernard Salomon, peintre à Lyon au XVIe siècle|collana=Cahiers d'humanisme et Renaissance|data=2021|editore=Droz|ISBN=978-2-600-06277-0}}</ref> che accompagnano il testo di Ovidio. Il formato è emblematico della collaborazione tra Tournes e Salomon, che esiste fin dal loro sodalizio a metà degli anni 1540: le pagine si sviluppano attorno ad un titolo, un'incisione con una strofa ottonaria e un bordo ordinato.
 
Le 178 incisioni non sono state realizzate tutte in una volta per il testo integrale, ma hanno origine da una ripubblicazione dei primi due libri nel 1549. Nel 1546 Jean de Tournes pubblicò una prima versione non illustrata dei primi due libri delle ''Metamorfosi'', per la quale Bernard Salomon preparò ventidue incisioni inziali. Salomon esaminò diverse edizioni illustrate delle ''Metamorfosi'' antecedenti prima di lavorare alle sue incisioni, che nonostante ciò non mancano di una spiccata originalità.
 
Nel libro ''Bernard Salomon. Illustrateur lyonnais'', Peter Sharratt afferma che le tavole di questa edizione, assieme a quella della ''[[Bibbia]]'' illustrata dal pittore nel 1557, sono i lavori di Salomon che evidenziano maggiormente il processo illustrativo basato su "un miscuglio di ricordi "<ref name=":0" />. Tra le edizioni precedenti da lui consultate, ne spicca una in particolare: ''[https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k71497z?rk=21459;2 Metamorphoseos Vulgare]'', pubblicata a Venezia nel 1497, la quale presenta analogie nella composizione di alcuni episodi, come la "Creazione del mondo" e "Apollo e Dafne". Nel disegnare le sue figure, Salomon utilizza inoltre il canone di Bellifontaine, a testimonianza dei suoi primi anni da pittore. Tra le altre opere, realizzò alcuni affreschi a Lione - affreschi per i quali si ispirò ai recenti lavori a [[Castello di Fontainebleau|Fontainebleau]].
 
Più noto in vita per la sua attività di pittore, il lavoro di Salomon su ''[[La Métamorphose d'Ovide figurée]]'' lasciò comunque un segno sui suoi contemporanei. Tali illustrazioni contribuirono alla celebrazione dei testi ovidiani nella loro dimensione edonistica. A questo proposito, [[Erwin Panofsky|Panofsky]] parla di "xilografie di straordinaria influenza"<ref>{{Cita libro|nome=Erwin|cognome=Panofsky|titolo=Problems in Titian mostly iconographic|anno=1969|url=https://archive.org/details/problemsintitian0000pano|collana=The Wrightsman lectures|data=1969|editore=Phaidon [u.a.]|ISBN=978-0-7148-1325-7}}</ref> e lo storico dell'arte americano [[Rensselaer W. Lee]] definisce l’opera come "un evento di grande portata nella storia dell'arte"<ref name=":0" />.
 
Ad oggi, nel [[Musée des Beaux-arts et des fabrics]] di Lione, è possibile osservare pannelli di legno che riproducono il modello delle incisioni di Salomon per le Metamorfosi di Ovidio del 1557.
 
==Note==
<references/>
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* {{cita libro|autore = [[Charles Segal]]|capitolo = La Metamorfosi, l'eroe, il poeta|titolo = Ovidio e la poesia del mito: saggi sulle metamorfosi|editore = Marsilio|città = Venezia|anno = 1991|cid = Segal}}
* {{cita libro|autore = [[Charles Segal]]|capitolo = Mito e filosofia nelle Metamorfosi: l'augusteismo di Ovidio e la conclusione augustea del libro XV|titolo = Ovidio e la poesia del mito: saggi sulle metamorfosi|editore = Marsilio|città = Venezia|anno = 1991|cid = Segal1}}
* {{cita libro|autore = William S. Anderson|capitolo = Form Changed: Ovid's Metamorphoses|titolo = Roman Epic|altri = edito da A. J. Boyle|editore = Routledge|anno = 1993|pagine pp= 108-124|cid = Anderson}}
* {{cita libro|autore= Lothar Spahilnger|titolo =Ars Latet Arte Sua: Untersuchungen Zur Poetologie in Den Metamorphosen Ovids | editore =Walter de Gruyter |anno =1996|cid = Spahilnger}}
* {{cita libro|curatore =Philip Hardie|curatore2= Alessandro Barchiesi|curatore3= Stephen Hinds|titolo =Ovidian Transformations: essays on Ovid's ''Metamorphoses'' and it's reception |capitolo=[[Karl Galinsky]], ''Ovid's Metamorphoses and Augustan cultural thematics''|pp= 103-111| editore = Cambridge Philological Society |città = Cambridge|anno =1999|cid = Galinsky}}
* {{cita libro|autore = [[Elaine Fantham]]|titolo = Ovid's Metamorphoses|url = https://archive.org/details/ovidsmetamorphos0000fant|editore = Oxford University Press|città = New York|anno = 2004|cid = Fantham}}
* (FR) Henri Lamarque, André Baïche, ''Ovide en France dans la renaissance,'' Cahiers de l'Europe classique et néo-latine vol. 1, Toulouse: Service des publications de l’Université de Toulouse-Le Mirail, 1981.
 
== Voci correlate ==
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* [[Poesia]]
* [[Video meliora proboque, deteriora sequor]]
* [[Ovidio]]
 
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=http://spazioinwind.libero.it/latinovivo/Ovidio_Metamorfosi.htm|titolo=Traduzione in versi}}
* {{cita web|url=http://www.iconos.it/index.php?id=18|titolo=Sito con compendio delle ''Metamorfosi''}}
* [http://www.uvm.edu/~hag/ovid/index.html Il "Progetto Ovidio" dell'Università del Vermont], una raccolta di immagini raffiguranti gli episodi del poema